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cui data di pubblicazione risale al 1961, procederò a un’analisi critica del testo,
con il preciso intento di metterne in luce i temi essenziali, senza omettere i possi-
bili riferimenti all‘intera sua produzione.
Proprio l’intreccio tra il passato, (attraverso la riscoperta della politica greca),
e il futuro, nell’attualità delle sue analisi e del suo modo di intendere il rapporto
tra filosofia e politica, costituisce il filo conduttore di questo volume. Arendt sot-
tolinea che il tesoro della libertà dell’agire è impossibile da trasmettere in un
mondo che non attribuisce senso all’agire in pubblico. I saggi raccolti nell’opera
costituiscono una variazione sul tema della rottura che si apre nell’esistenza e
nella cultura, quando l’essere umano non può aprirsi al mondo e quindi al presen-
te. Tutti i vari tipi di crisi - dell’autorità, della libertà, persino del pensiero - sono
ricondotti alla sostanziale assenza dell’agire.
Cercando di sfuggire al facile rischio della commemorazione dell’opera, ten-
terò di perseguire un approccio critico, una ripresa di temi e problemi ancora
aperti. Del resto è la stessa Arendt a sottolineare che, per riverire un pensiero e
per mantenerlo in vita, è necessario collocarsi in una posizione critica.
Nell’opera che qui è stata assunta come oggetto d’analisi, l’autrice ha conse-
gnato alla storia il suo straordinario genio politico, ma, soprattutto ci ha lasciato
in dono l’esempio di "un’esistenza pensante", pervasa da un senso di gratitudine
sempre fedele alla realtà delle cose.
Ho diviso questo mio lavoro in due capitoli: il primo capitolo riguarda la di-
scussione dell’opposizione tra sfera pubblica e sfera privata. Partendo dall’analisi
dell’idea arendtiana di mondo come spazio della presenza e della pluralità uma-
na, il tema affrontato è quello della crisi della politica e della dimensione del po-
litico nella società moderna e contemporanea. La sfera pubblica, in quanto spazio
di coesistenza degli esseri umani, è il luogo dell’esistenza autentica, dove l’uomo
realizza se stesso. Attraverso il pensiero e l’azione gli uomini si distinguono e
appaiono gli uni agli altri, cosicché la pluralità umana si presenta con il duplice
carattere dell’uguaglianza e della distinzione. Non a caso Arendt fa riferimento
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all’istituzione della polis greca, presa in considerazione a motivo delle molte
qualità peculiari nel rapporto tra singolarità e politica che rappresentava e rappre-
senta tutt’oggi, un modello prezioso dal quale trarre motivo d’ispirazione e non
certo nostalgico e patetico tentativo di ritorno al passato. Socrate, esempio di
lealtà e di virtù civica, incarna per Arendt la figura del filosofo per eccellenza;
è proprio Socrate a suggerire all’autrice uno dei temi più importanti della sua
riflessione, e cioè la condanna esplicita di quell’assenza totale di pensiero, quella
strana incapacità di pensare che nasce dal rifiuto fondamentale dell’impegno a
pensare, nel quale andrebbe ravvisata la causa dei tragici eventi della storia.
Il secondo capitolo prende in considerazione il tema della descrizione dell’età
moderna come l’epoca dell’alienazione del mondo, dell’ acosmismo. L’analisi
arendtiana dell’acosmismo serve ad Arendt per introdurre la questione della legit-
timità o meno del potere, in quanto lo Stato non è solo forza, potenza, ma anche
autorità; infatti il concetto di autorità, o meglio, la crisi del concetto di autorità è
uno degli argomenti centrali della sua opera. Il divorzio tra autorità e potere nella
società moderna è l’esito di un lungo processo che da secoli minacciava le basi
della religione e della tradizione e che ha finito per eclissare l’autorità, che è stata
rimpiazzata da un potere crescente. Questo oblìo sarebbe la causa di tutti i totali-
tarismo del mondo, i quali altro non sarebbero che la realizzazione pratica di
un’idea, di una ideologia che è, appunto, la logica di un’idea. L’obbedienza non
inconsapevole, ma di certo acritica a questa logica ha generato quel male che
Arendt definisce, non già radicale, ma semplicemente banale. L’opposizione tra
vita contemplativa e vita attiva è messa fruttuosamente in relazione al tema del
primato, nella società moderna, del bios theoretikos sul bios politikon. Il risulta-
to di tale rovesciamento è che l’attività preminente non è più l’agire politico né
la produzione di oggetti, ma quella del puro lavorare per la sopravvivenza. Si
spiega così il motivo per cui Arendt critica la società moderna, accusandola di
avere privilegiato il versante economico ed ha dimenticato il vero significato
dell’agire. Ma, affinchè l’agire dia inizio a un vero e proprio processo significati-
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vo è necessario che esso venga raccontato, e reso noto alle generazioni future.
Solo così, dunque, passato e futuro saranno ricchi di significato.
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CAPITOLO 1
1. L’ idea di mondo in Hannah Arendt.
Nello scenario politico-filosofico la voce di Hannah Arendt assume un valore
che trascende l’analisi storica. Le sue parole, oggi più che mai , risuonano con
tutta la forza propulsiva e meritevole di essere ricordata e celebrata, in particola-
re, per il significato nuovo che esse hanno saputo conferire al termine ″politica″ .
Pensiero e azione, speculazione filosofica e agire comune, partecipazione atti-
va e contemplazione: sono queste le categorie sulle quali Arendt ha costruito
la sua riflessione; in esse è possibile riconoscere la lezione più importante che
abbia lasciato in eredità alle generazioni future.
L’aspetto del pensiero di Arendt che più si scontra con il "pensiero comune"
è riconoscibile nel suo convincimento che l’esistenza autentica si dispiega nella
sfera pubblica, e perciò nella politica, e non nella sfera privata; considerate come
lo spazio politico, condiviso con gli altri cittadini, la prima, e lo spazio intimo,
personale, domestico, la seconda.
Non dunque in interiore homine, neppure se inteso come luogo della medita-
zione filosofica, va individuata l’autenticità dell’esistenza, bensì nella partecipa-
zione a quel "nuovo inizio" che è l’azione, dal momento che essa consente
all’inaudito di fare irruzione nel mondo.
L’idea di mondo di Arendt affonda le sue radici nella condizione umana che ci
fa tutti individui al plurale, in quanto esseri che sono messi al mondo con la na-
scita e che abitano il mondo, prima di lasciarlo, cercando di renderlo una dimora
adeguata ai loro bisogni e ai loro desideri, per consegnarlo quindi ai nuovi venu-
ti. Non c’è in Arendt alcun idea di umanità e di mondo come un tutto assoluto,
un’interezza totale; difatti, è da rimarcare la sua convergenza con l’idea heideg-
geriana, secondo cui il mondo costituirebbe l’insieme delle possibilità in cui
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l’essere umano esiste; il mondo rappresenterebbe, dunque, un modello di possi-
bili relazioni, una struttura referenziale. La contingenza rende il mondo fragile
e bisognoso di cura, ma il mondo sa convertire tale fragilità in forza quanto più
non ha pretese totalizzanti e assolutistiche, o non declina le proprie responsabili-
tà nei confronti della stessa tutela, dal momento che essa sta ad indicare quel
"prendersi cura" della condizione umana. Tutto questo, però, ha come condizione
che si mantenga fermo che, non l’uomo al singolare, abita la terra, ma la pluralità
degli uomini.
Il concetto di mondo per Hannah Arendt scaturisce allora dal fenomenico,
e finisce per trascendere il mondo così come appare, solo in quanto la sua stessa
idealità gli conferisce un’autonomia rispetto alle effettive e concrete situazioni
mondane. Si tratta di un’autonomia propria del pensiero, dal momento che quan-
do si pensa, ci si astrae dal corpo, dalle categorie formali dello spazio e del tem-
po, le quali sono nondimeno coordinate strutturali della condizione umana. Per
parlare di mondo in senso arendtiano, deve essere salvaguardata la condizione
umana nella sua integrità, facendo attenzione a non omettere alcuna delle sue
caratteristiche salienti: nascita, terra, morte, pensiero, azione, discorso. Queste
caratteristiche attengono ad ogni individuo al plurale e, pertanto, un mondo che
si arroga il diritto di mortificarle, anche in un solo essere umano, non potrebbe
dirsi mondo poiché infrangerebbe il fondamento originario della convivenza
umana.
Una comunità civile che si ostini ad estromettere dalla comune appartenenza
umana uomini e donne, è un sistema di vita portatore di morte, cui occorre
contrapporre l’immagine di un mondo diverso, capace di far crescere più mondi
intesi quali differenti progetti di vita tenuti insieme dalla responsabilità e dalla
tutela della condizione umana, in quanto "spazio di condivisione civile". L’opera
di Hannah Arendt sfugge così a ogni classificazione accademica, perché costitui-
ta da una riflessione sull’essere umano come essere al plurale, e tuttavia indivisi-
bile e irriducibile a strutture o fondamenti interpretativi, come avviene invece
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nelle scienze sociali. La sua autonomia teoretica è il risultato di una netta op-
posizione al frazionamento dell’immagine dell’uomo che, a ben vedere, costitui-
sce il nodo fondante nella nostra cultura. Anche l’etichetta "teoria politica" va
intesa nel senso originario dell’espressione, ossia come "contemplazione appas-
sionata di ciò che gli uomini fanno insieme, o meglio in presenza gli uni degli
altri"
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. É solo nel rispetto, dunque, della rilevanza e priorità assoluta della "com-
presenza" come caratteristica primaria dell’umano, che Arendt ha scelto per sé
la qualifica di studiosa di teoria politica.
Ogni individuo è, nella sua assoluta diversità, unico, singolare, senza parago-
ni né confronti con tutti gli altri; ed è per questo motivo che la sua esistenza,
luogo della autenticità indiscutibile e assoluta, diventa lo spazio nel quale egli
può compiere azioni uniche ed originali. Rinunciare a questo vuol dire, per
Arendt, soffocare proprio le qualità più personali e più distintive che l’essere
umano possiede. Che poi la società moderna, per diversi motivi, abbia finito
con il dare vita a un’eguaglianza fittizia e artificiale, costituisce uno dei punti
cruciali dell’analisi arendtiana e sarà uno dei temi che tratterò più avanti.
Adesso è più opportuno precisare in che senso autenticità e pluralità costitui-
scono i termini irriducibili, attraverso i quali soltanto è possibile inquadrare
quello "spazio vitale" che è l’esistenza umana.
Arendt attribuisce al pensiero platonico la responsabilità, quanto meno,
dell’avvio di un percorso che è sfociato poi, lungo la storia, in una predilezione
indiscussa del "pensiero solitario"
3
. Non è un caso, infatti, che la pensatrice si
sia occupata, a lungo e ripetutamente di quel famoso "rovesciamento"che Platone
avrebbe attuato e di cui esisterebbero prove evidenti nel mito della caverna: "con
Platone muore la politica e nasce la filosofia politica"
4
.
2
H.Arendt, Vita Activa (1958), Bompiani, Bologna, 2000, p.34. (d’ora in avanti, H.Arendt, Vita Activa)
3
S. Forti (a cura di), Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano, 1999, p.212.
4
Ivi, p.214.