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C A P I T O L O I°
IL DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI AMMINISTRATIVI
Premessa
Per comprendere il significato e la portata della legge 7 agosto 1990 n. 241 è
necessario un rapido sguardo retrospettivo sulla situazione in atto fino all'
entrata in vigore di tale testo normativo: il nostro ordinamento amministrativo
aveva fino ad allora disciplinato vari tipi di atti amministrativi ma nessuna
formulazione normativa aveva adottato coordinate all'adozione di un
provvedimento finale.
In altre parole, il nostro ordinamento non aveva previsto una disciplina di una
qualche ampiezza sul modo di essere e di svolgersi dell'azione amministrativa a
differenza di quanto avevano fatto altri Stati europei: la nozione e i caratteri
generali del procedimento amministrativo erano state, solamente, il prodotto di
elaborazioni dottrinali.
Del resto occorre anche ricordare che non sempre la Pubblica Amministrazione,
intesa come organo, deve necessariamente ricorrere a una sequenza
procedimentale di atti e operazioni: accanto a misure che vengono assunte come
"unico actu" (ad. es. un' ordinanza d' urgenza non preceduta da attività
preparatoria o istruttoria).
Nel corso degli ultimi anni la tipologia del procedimento e della trasparenza
amministrativa hanno attraversato vari stadi nell'elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale: a prescindere dall' epoca delle primissime teorizzazioni, in cui
l'attività che prevedeva l'emanazione di un provvedimento era vista come
incorporata nell'atto, tanto da parlare di atto-provvedimento.
"Al fine di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo
svolgimento imparziale"....., il disegno di legge 241/90 da un lato disponeva la
pubblicazione di atti di carattere generale (art. 26), dall'altro riconosce il diritto di
accesso, su iniziativa di parte, ai documenti amministrativi non pubblicati.
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Par. 1 Definizione e cenni storici del procedimento amministrativo.
Prima dell’emanazione della legge n. 241/90 mancava in Italia una legge generale
sul procedimento amministrativo.
Vi era una situazione particolare: il procedimento amministrativo era il frutto di
una elaborazione giurisprudenziale, cioè erano state elaborate regole di un
procedimento amministrativo, erano state enunciate molte sentenze che avevano
individuato il procedimento amministrativo in tre fasi.
1. Fase dell’iniziativa
2. Fase costitutiva
3. Fase integrativa dell’efficacia.
Mancava una legge generale sul procedimento, pur rinvenendosi nel sistema
alcune leggi di settore che si limitavano a regolare il procedimento.
All’estero molti paesi si erano dotati di una legge sul procedimento, per esempio
l’Austria, che già dagli anni ’20 si era dotata di una legge che disciplinava
organicamente il procedimento amministrativo.
Senza guardare i singoli Paesi, possiamo dire che in linea generale il panorama
legislativo internazionale offriva due modelli di procedimento:
1. un modello che andava a prendere come riferimento la falsariga del
procedimento giurisdizionale e quindi conteneva una serie di norme sulla
competenza, sul contraddittorio tra le parti, sulla forma, sul contenuto del
provvedimento;
2. un altro modello che concepiva il procedimento come strumento di valutazione
comparativa di interessi.
Il primo modello era un modello tipicamente contenzioso ed era quello che oggi
possiamo definire di matrice anglosassone, un modello che individuava nel
procedimento uno strumento di risoluzione preventiva dei conflitti tra
amministrazione e privati, questo soprattutto grazie ad una certa simmetria che
veniva operata tra sentenza e provvedimento amministrativo, proprio per la loro
comune vocazione a creare regole di concretizzazione di norme giuridiche.
L’altro modello di matrice europea, era un modello di natura sostanziale, che
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concepiva il procedimento come uno strumento di valutazione comparativa degli
interessi coinvolti dall’azione amministrativa, come un mezzo per il corretto
esercizio del potere discrezionale e quindi come forma in cui si esplica la funzione
amministrativa.
Questo procedimento, attraverso le sue varie fasi, è diventato il luogo ideale per
l’acquisizione e la ponderazione degli interessi in gioco e quindi la sua funzione
non è quella di prevenire i conflitti, come nel modello anglosassone, ma è
soprattutto quella di realizzare sul piano sostanziale i principi fondamentali che
reggono l’azione amministrativa: l’imparzialità e la buona amministrazione, il
buon andamento dell’azione amministrativa secondo i dettami dell’art. 97 della
Costituzione.
In Italia la mancanza di una norma generale sul procedimento comportava la
frammentazione dell’istituto in una pluralità di leggi eterogenee, alcune delle quali
erano ispirate al modello processuale (legge sui ricorsi amministrativi), altre
invece erano ispirate al modello sostanziale, come per esempio la legge in
materia di espropriazione.
Questo vuoto legislativo non creò particolari problemi, perché venne colmato dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, supportata dalla dottrina, elaborò una
serie di regole generali sul procedimento amministrativo che sono poi confluite
nella 241/90. Si pensi ad esempio alla scomposizione del procedimento in 4 fasi
(iniziativa, istruttoria, decisione e integrazione dell’efficacia), alla regola della
motivazione obbligatoria dei provvedimenti sfavorevoli per il destinatario, alla
necessità di un contraddittorio per i procedimenti contenziosi.
Lo stesso discorso riguarda i principi della massima acquisizione degli interessi, la
convocazione delle parti necessarie e l’intervento dei portatori di interessi,
l’obbligo di procedere e di provvedere entro un termine.
Oggi tutti riconoscono che sul finire degli anni ’80 il livello raggiunto
dall’elaborazione teorica di principi e regole per il procedimento amministrativo
risultava assolutamente soddisfacente e questo portò molti a dubitare della
necessità di un intervento legislativo.
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Molti ritenevano che fare una legge sul procedimento amministrativo fosse un
intervento inutile, proprio perché un procedimento c’era già e c’erano delle regole
che la giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva elaborato.
Il nostro diritto amministrativo si è formato negli ultimi 150 anni proprio sulla
base di pochissime norme positive e perciò sulla base di una serie di principi
elaborati dal Consiglio di Stato, principi che sono stati ritenuti sufficienti a reggere
l’impalcatura del sistema.
Le poche norme positive erano principalmente rivolte alla giustizia amministrativa
(norme sulla disciplina della tutela giurisdizionale, norme sui controlli) piuttosto
che sull’attività, norme sull’azione sostanziale della pubblica amministrazione
(norme sugli atti o sui procedimenti).
Ci siamo trovati davanti ad un sistema nel quale la disciplina processuale era
quindi largamente dominante, più vasta della disciplina sostanziale.
Perciò è un fenomeno recente quello che prende le mosse con il varo della 241,
quello della disciplina legislativa generale dell’azione amministrativa, che sotto
questo profilo si è staccato dalla impostazione della tradizione culturale francese
(dove manca una legge generale sul procedimento amministrativo) e il legislatore
si è ispirato ad altri paesi UE (Germania, Spagna, Olanda).
E’ proprio con la legge 241 che si è avuto il varo di una disciplina recante norme
di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi. All’inizio dovevano essere due corpi separati sul procedimento e
sull’accesso e poi è stata varata un’unica legge.
L’obiettivo del legislatore è stata una disciplina generale per principi che
reggono il procedimento amministrativo. Si è puntato su una soluzione che ha
ritenuto inutile una normativa che fosse fatta di regole puntuali e minuziose.
Tali esigenze sono realizzate con l’emanazione della legge 241/90 che riconosce
la partecipazione dei cittadini all’azione amministrativa e l’accesso agli atti e ai
documenti della pubblica amministrazione.
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Par. 2 La legge 241/90 e i criteri ispiratori della riforma amministrativa
(semplificazione e trasparenza)
Nessuno dubita che la riforma amministrativa in atto in Italia trova la sua spinta
iniziale e la sua ispirazione nel varo della legge 241/90.
Superati i dubbi sull’opportunità dell’emanazione di una legge sul procedimento, è
prevalsa l’idea di fissare delle regole per il processo di formazione delle decisioni
amministrative.
Ancora oggi questa legge viene considerata la pietra miliare della
modernizzazione del nostro sistema amministrativo.
Ci troviamo di fronte ad una legge ancora attuale, anche se largamente riformata,
che in parte non è stata attuata.
La legge 241 è considerata così importante per vari motivi.
Il nostro legislatore si è ispirato a due obiettivi di fondo:
1. la semplificazione dell’azione amministrativa – esigenza di rendere
finalmente l’amministrazione veloce ed efficiente, meno burocratica e più
responsabile di fronte al cittadino;
2. la democratizzazione dell’azione amministrativa - esigenza di rovesciare
il principio di segretezza documentale degli atti, che prima era anche
formalmente principio fondamentale del nostro ordinamento (era contenuto
nell’art. 15 del Testo unico degli impiegati civili dello stato del 1957 Dpr 3/57).
Sulla base di questo principio l’amministrazione si presentava come un castello
chiuso, con la 241 l’amministrazione mira a diventare “una casa di vetro
aperta al dialogo” che consente la partecipazione degli interessati al
procedimento di formazione degli atti.
Per la realizzazione di questi obiettivi sono stati fissati dei criteri ai quali si deve
ispirare l’azione della pubblica amministrazione e qui vengono in rilievo
l’efficienza, l’efficacia, l’economicità, la pubblicità e la responsabilità dell’azione
amministrativa. Tutti principi che, lungi dal porsi come regole programmatiche del
nostro ordinamento, sono principi di portata percettiva concreta, che sono in
grado di conformare ogni aspetto dell’esercizio del potere della pubblica
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amministrazione. In questo modo cambia il volto dell’amministrazione,
un’amministrazione che vede orientata la sua attività effettivamente al servizio
del cittadino, proprio per queste due direttrici della semplificazione e della
trasparenza, che orientano molte delle riforme degli anni ‘90 e quelle più recenti
di questo decennio, che hanno tutte questo minimo comune denominatore di
trasformare il volto della pubblica amministrazione per ispirarne l’azione alla
cultura del servizio al cittadino.
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Par. 3 I Principi generali dell’agire procedimentalizzato degli apparati
pubblici
E’ proprio dai principi generali che sono fissati nella legge 241 che bisogna
partire: è necessario avviare il discorso guardando l’art. 1 che apre con la solenne
affermazione del principio della legalità dell’azione amministrativa, eletto a
principio fondamentale (sottoposizione del potere ad una norma, giuridicizzazione
del potere):
“1. L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da
criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità secondo le modalità previste dalla
presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti.
2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per
straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria.”
Il principio di legalità viene affiancato da una serie di criteri informatori e di
obiettivi che sono quello della economicità, della efficacia e della pubblicità
dell’attività amministrativa.
Questi criteri direttivi, che vengono integrati da quelli dell’efficienza, della
trasparenza e della responsabilità si trovano enunciati in una serie di leggi
fondamentali emanate negli anni ’90, quindi non solo nella 241 ma anche in una
serie di leggi successive, per esempio nel D. Lgs 29/93 (riordino della pubblica
amministrazione e privatizzazione del pubblico impiego), legge 109/94 (lavori
pubblici), legge 59/97 (Bassanini sul decentramento amministrativo).
Non siamo in presenza di principi programmatici: siamo di fronte a principi di
portata percettiva concreta ed immediata, regole puntuali che indirizzano ogni
aspetto dell’organizzazione e dell’azione amministrativa. Infatti, proprio
nell’ambito del procedimento amministrativo la legge 241/90 fissa delle regole e
dei criteri che costituiscono puntuale specificazione di questi principi.
Vediamo nel dettaglio queste regole:
1. regole di efficienza e efficacia: impongono l’istituzione di apposite unità
organizzative per lo svolgimento dei procedimenti amministrativi, la previsione
del responsabile del procedimento, che obbligano l’amministrazione a fissare i
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tempi di durata massima dei procedimenti e a concluderli con un
provvedimento espresso e motivato;
2. disposizioni relative al principio di pubblicità, di cui sono corollari la
trasparenza, l’imparzialità e la partecipazione: sono da evidenziarsi
l’obbligo di avviso di avvio del procedimento alle parti necessarie nonché il
diritto per la partecipazione e l’accesso, l’obbligo della motivazione di tutti i
provvedimenti;
3. regole che sono espressione del principio di economicità, di cui
costituisce corollario quello di semplificazione, fra cui il divieto di
aggravamento del procedimento, gli accordi procedimentali e sostitutivi, la
conferenza di servizi, la denunzia di inizio attività, il silenzio assenso;
4. regole che sono espressione dell’efficienza, dell’efficacia e
dell’economicità, che si traducono in direttive e criteri di indirizzo dei piani di
azione dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti per la realizzazione
degli obiettivi funzione.
Proprio per evitare le valutazioni negative degli organi di controllo interne, che
sono alla base delle procedure di responsabilità per i risultati negativi della
gestione, è necessario che le direttive, e cioè i piani di azione dei dirigenti e dei
responsabili dei procedimenti siano chiaramente ispirati agli obiettivi di efficienza,
efficacia ed economicità e che i risultati dell’azione amministrativa siano conformi
agli obiettivi fissati di volta in volta.
Una volta che tutti questi principi di economicità, efficienza, efficacia, pubblicità,
buona amministrazione entrano nella legge 241 da principi generali astratti
diventano regole puntuali si realizza così una graduale, ma sicura,
giuridicizzazione di quei criteri direttivi e di quelle regole che governano il merito
amministrativo e quindi un processo che è in grado di valorizzare la forza
percettiva immediata di principi immanenti del sistema organizzativo e gestionale
degli apparati pubblici, le cui potenzialità espansive saranno decisive per
assecondare questo nuovo modello aziendalistico delle pubbliche amministrazioni
successivamente introdotto dalla riforma del Dlg.vo 29/93 ovvero con la
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emanazione del primo codice del pubblico impiego di “natura privatizzata” (oggi
Dlg.vo 165/2001).
Questa giuridicizzazione di quei criteri direttivi che governano il merito
amministrativo ha un significato importantissimo.
Il riconoscimento del carattere precettivo immediato dei principi di efficienza,
economicità e pubblicità vale di certo a concretizzare il risvolto sostanziale del
principio di legalità. In questo modo diventa norma di legge quel principio di
legalità sostanziale che è realizzato attraverso i criteri di economicità, efficacia,
efficienza e pubblicità. In secondo luogo, tutto ciò contribuisce a valorizzare il
principio di ragionevolezza delle scelte discrezionali e quello di correttezza
dell’agire pubblico cui è correlato l’affidamento degli amministrati, dei cittadini.
Concretizzazione del risvolto sostanziale del principio di legalità – se è vero che i
criteri e le regole di efficienza, efficacia ed economicità dell’organizzazione
dell’azione amministrativa diventano con la 241 precetti normativi, questo
significa che viene giuridicizzata gran parte dell’area del merito amministrativo e
che è anche vero che questi precetti, proprio perché sono espressivi del buon
andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, vanno ad integrare
il principio di legalità e ne integrano soprattutto il risvolto sostanziale.
Per quanto riguarda il secondo profilo, si può ritenere che il principio di
ragionevolezza, se questo è espressione sintetica della proporzionalità,
adeguatezza, coerenza e congruità delle scelte discrezionali, non solo non può
negarsi la sua immanenza nel sistema, ma se ne coglie anche un nuovo profilo,
un nuovo ruolo, quello di verifica, di contemperamento e adattamento dei criteri
dettati dagli altri principi al caso concreto.
Il principio di ragionevolezza diventa un principio sovraordinato a quello di
efficienza, efficacia, economicità e trasparenza e quindi esce rafforzato in questo
modo dal nuovo modello di agire amministrativo delineato dalla riforma del 1993,
ed esce rafforzato in questo modo il principio di buona fede al quale la 241 aveva
conferito una consacrazione implicita attraverso il principio di partecipazione e
quindi attraverso la previsione di un termine finale di durata del procedimento e
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quindi attraverso la regola della sua necessaria conclusione con un provvedimento
espresso e motivato.
Si tratta di regole procedimentali che hanno un obiettivo preciso: la tutela in via
strumentale e prodromica delle legittime aspettative e cioè degli affidamenti dei
destinatari dell’atto in ordine alla correttezza dell’amministrazione.
La legge 241/90 ha positivizzato alcune regole di correttezza dell’amministrazione
che oltre ad avere l’obbligo di comunicare l’inizio del procedimento, da concludere
entro un certo termine, deve motivare obbligatoriamente, deve predeterminare i
criteri di scelta nelle concessioni che attribuiscono vantaggi economici, ecc.
La fissazione di queste regole di correttezza ha conferito una dimensione
sostanziale e una protezione giuridica a situazioni soggettive procedimentali che
prima non aveva alcuna tutela. E quindi si è arrivati a questo grande risultato
della giuridicizzazione delle regole di correttezza dell’azione amministrativa, che
ha una conseguenza fondamentale sul piano della tutela, perché l’agire scorretto
dell’amministrazione, nel momento in cui è un’attività illegittima che viola una
norma di legge costituisce un vizio di violazione di legge, non più un eccesso di
potere o vizio di merito insindacabile.
Altre volte tuttavia vengono comunque in rilievo regole di correttezza che sono
regole non giuridiche, non scritte, che rilevano solo nel caso in cui dalla
motivazione emergano dati, quali ad esempio la scarsa considerazione delle
aspettative delle parti private, che integrano la figura dell’eccesso di potere per
violazione del principio di buona fede. Ad esempio si pensi all’inadeguatezza o
irragionevolezza motivatoria sulle cause di scostamento da certi criteri selettivi
che una commissione di concorso si è prefissata, agli atti di aggravamento di
un’istruttoria, all’ingiustificata sproporzione tra la gravità dell’illecito disciplinare
contestato e l’entità della sanzione.
Questi innovativi aspetti sono stati ancor più valorizzati dalla legislazione degli
anni successivi e dalle decisioni della magistratura. Si pensi alla norma dell’art. 17
della Legge Bassanini 59/1997, purtroppo rimasta inattuata, che ha introdotto un
sistema automatico di indennizzo a tutela delle aspettative alla tempestiva
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chiusura del procedimento e nel caso in cui il provvedimento finale non sia
adottato o sia adottato con ritardo.
Ma anche la giurisprudenza ha fatto la sua parte. Dopo due anni da questa legge,
nel 1999, è intervenuta la storica sentenza della Cassazione a Sezioni unite n.
500/1999 che ha riconosciuto il principio della buona fede come limite invalicabile
posto dall’art. 2043 del c.c. alle scelte discrezionali dell’amministrazione. In
questo modo le sezioni unite hanno impresso una svolta decisiva alla
consacrazione di questo principio.