5
Uno dei contributi riguarda la concezione, diffusa nelle
ricerche storiche, che la storia potesse essere guidata dalla
tecnologia. L’idea di fondo sostiene che, nel momento in cui si
giunge allo sviluppo di una innovazione, termina un processo
storico.
Un altro fattore importante, fa capo alle “retoriche sulla
tecnologia” (Bennato, 2002). Ci riferiamo al discorso sulle
analogie tra la magia e la tecnologia stessa. Infatti, come la
magia, la tecnologia ha delle funzioni che non tutti sono in
grado di spiegare. Inoltre, entrambe sono una forma di potere:
la tecnologia ha un potere tecnico, la magia uno simbolico.
Tuttavia, la corrente deterministica porta con sé delle
contraddizioni di fondo, che furono il germe della sua caduta.
Il determinismo tecnologico, infatti, rappresentava una teoria
troppo semplicistica: non poteva essere accettata la tesi
secondo cui la tecnologia era l’unico fattore di mutamento
sociale.
In secondo luogo, era errato considerare la tecnologia
informatica come la causa determinante la nascita
dell’informazione.
Nonostante ciò, è stato possibile individuare gli elementi che
hanno permesso al determinismo tecnologico di essere la teoria
6
per eccellenza circa la relazione tra società vs tecnologia,
possiamo sintetizzarli come: ”semplicità, plausibilità e
semplicità” (Bennato, 2002).
Questo approccio è stato, in seguito, sostituito da altre teorie
che hanno analizzato in modo più articolato il rapporto tra
tecnologia e società. Esse abbandonano la teoria deterministica
dell’impatto e adottano quella più sociologica della
“negoziazione”.
Una delle più importanti teorie è quella del modellamento
sociale della tecnologia (Williams e Edge, 1996 - Social
Shaping of Technology-SST) per la quale, contrariamente al
determinismo tecnologico, si afferma che è la società stessa a
modellare il cambiamento, ridisegnandolo rispetto ai valori e
alle pratiche sociali presenti in quel determinato momento. La
scelta di “una particolare opzione tecnica è pertanto influenzata
da una vasta gamma di fattori sociali” (Williams, 2001).
Proprio per questo Fleck, ha adottato il termine di innofusione
(innofusion: Fleck, 1988, citato in Bennato, 2002), per
intendere che i due processi, innovazione e diffusione, sono
strettamente correlati e mutano al mutare delle esigenze sociali.
Altri concetti chiave di questa teoria sono: la negoziabilità
della tecnologia, l’irreversibilità, la chiusura.
7
Il concetto di negoziabilità sostiene che l’artefatto tecnologico
si formi in base agli interessi delle forze sociali.
L’irreversibilità è una fase in cui il dispositivo non è più
sottoposto all’influenza delle forze suddette.
La chiusura vede la stabilizzazione dell’artefatto e la sua
entrata nei meccanismi sociali di massa.
“Recentemente sono state proposte ulteriori variabili”
(Bennato, 2002): l’ideologia, la fase di commercializzazione,
l’appropriazione sociale.
La prima è considerata una forza che è capace di modellare
tutte le fasi di un artefatto tecnologico. Essa può essere distinta
in codifica funzionale e codifica simbolica (MacKay, Gillespie,
1992, citato in Bennato, 2002).
La codifica funzionale vede l’artefatto formarsi in base alla
sua funzionalità nella società, mentre quella simbolica sostiene
che si formi in base al significato che potrebbe assumere.
Durante la fase di commercializzazione si considera il ruolo del
marketing, per due ordini di motivi: il primo perché “è
attraverso il marketing che si costituisce la domanda della
tecnologia” (Bennato, 2002); il secondo perché “esso è una
delle forme possibili con cui si manifesta il modellamento
8
sociale” (MacKenzie, Wajcman, 1999, citato in Bennato,
2002).
Terzo e ultimo concetto, quello dell’appropriazione sociale,
visto come un processo che porta molto spesso i consumatori
ad utilizzare una tecnologia in modo differente, se non
addirittura opposto, a come essa è stata progettata.
Con la nascita di un nuovo settore, quello della sociologia della
conoscenza scientifica, (Sociology of Scientific Knowledge-
SSK) verso la fine degli anni 80, si tentava di definire quali
fossero i fattori sociali che entravano in gioco nel processo di
costruzione sociale della tecnologia, si aprirono le porte a
numerosi studi che si svilupparono e si affinarono sempre di
più, dando vita ad importanti teorie.
Uno dei primi approcci che ha spostato l’attenzione sugli
utenti, è stato sicuramente quello relativo alla teoria della
costruzione sociale della tecnologia (Social Construction of
Technology-SCOT).
Pinch e Bijker (1984), definendo il modello SCOT, hanno
concepito gli utenti come un gruppo sociale che gioca un ruolo
fondamentale nella costruzione della tecnologia.
Hanno notato come, differenti gruppi sociali fossero in grado di
costruire significati di una tecnologia radicalmente diversi.
9
Quest’ultimo concetto è stato definito come flessibilità
interpretativa della tecnologia. Inoltre il modello, specifica un
certo numero di meccanismi di chiusura - processi sociali
attraverso i quali la flessibilità interpretativa viene, in qualche
modo, progressivamente limitata.
Alla fine, una tecnologia si stabilizza, la flessibilità
interpretativa svanisce, ed emergono un significato ed un uso
dominanti (Bijker a Pinch, 1987).
Riassumendo, il modello afferma che una tecnologia assume
“tante forme” quanti sono i gruppi sociali che partecipano al
dibattito creatosi intorno ad essa, secondo un processo
schematizzabile in tre fasi (Bijker, 1995):
1. flessibilità interpretativa
2. gruppi sociali pertinenti (Relevant Social Groups)
3. chiusura e stabilizzazione
Nella prima fase, una funzione ben precisa è incorporata in un
artefatto tecnologico, ma la sua forma è ancora suscettibile di
molte variazioni.
Nella seconda fase, i gruppi sociali possono influenzare il
dispositivo in base alle loro esigenze.
10
Nell’ultima fase, l’artefatto viene definito una volta per tutte
ed entra nella sfera dei consumi.
L’approccio SCOT è stato criticato per la sua attitudine
eccessivamente generosa nei confronti degli utenti, esso ha,
infatti, chiuso troppo frettolosamente il problema, e non ha
mostrato come gli utenti potessero attivamente modificare
tecnologie stabili (Mackay e Gillespie, 1992).
“..Un sistema tecnologico è nello stesso tempo causa ed effetto,può
modellare la società o esserne modellato. Più i sistemi divengono
importanti e complessi,più tendono a modellare la società
essendone,a loro volta,meno modellati”
(Thomas P. Hughes, 1983)
11
1.2 I media digitali.
Il convergere dell’industria culturale con l’industria delle
telecomunicazioni e dei media, ha creato un settore industriale
e un mercato unico, denominato delle “tecnologie
dell’informazione e delle comunicazioni” ( Information,
Communication Technology – ICT ).
Tale terminologia oltre ad esprimere una nuova fase di
evoluzione economica, si usa per indicare il complesso delle
industrie manifatturiere e dei servizi che operano nei settori
dell’informatica ( IT ). Negli Stati Uniti si utilizza l’acronimo
IT, che sta per Information Technology.
“All’inizio degli anni 80, le ICT costituivano circa il 10%
scarso degli investimenti complessivi. Alla fine dello stesso
decennio, anche per merito della diffusione dei PC, sono
arrivate a circa il 30% ” (Celata, 2000).
Da un punto di vista storico- culturale l’approccio anglosassone
agli usi sociali delle ICT nasce nell’ambito degli studi sulla
comunicazione, con l’approccio degli Uses and Gratifications
e successivamente con la scuola dei Cultural Studies
(Sorice, 2000).
12
E’ stato possibile definire vari modi di interpretare gli usi
sociali delle ICT. Per esempio Breton e Proulx avevano
distinto tra adozione, utilizzo e appropriazione (Scifo, 2005).
E’ stato confermato che “il principale oggetto di ricerca sugli
usi sociali è il rapporto tra ICT e le relazioni sociali” (Scifo,
2005) con particolare interesse sulla nozione di “integrazione”
in rapporto al concetto di “addomesticamento” (che
analizzeremo in seguito).
Negli studi sociali delle tecnologie dell’informazione, si è fatto
ricorso al concetto di “configurazione” ( Bennato, 2002), la cui
attribuzione di senso dipende dall’uso sociale e dalla sua
legittimazione.
Steve Woolgar afferma che tale concetto rappresenta il
processo di “definizione dell’identità dell’utente putativo, e di
creazione di vincoli circa le loro probabili azioni future”
(Woolgar, 1991).
In tale prospettiva si è sviluppata una delle ricerche sulla
relazione tra designer e utente, infatti, in contrasto con gli
approcci precedenti, questo, di tipo semiotico, pone l’accento
sugli utenti come rappresentati dai designer piuttosto che sugli
utenti come individui o gruppi coinvolti o implicati nel
processo di innovazione tecnologica.
13
In dibattiti recenti, la nozione di configurazione degli utenti da
parte dei designer, è stata in qualche modo ampliata per poter
capire meglio la complessità della relazione tra utente e
designer.
Diversi autori hanno criticato Woolgar per aver descritto la
configurazione come un processo unidirezionale, in cui il
potere di plasmare lo sviluppo tecnologico è attribuito
solamente agli esperti.
Per esempio Mackay ha affermato che “i designer configurano
gli utenti, ma, a loro volta, vengono configurati sia dagli utenti
che dalle proprie organizzazioni” (Mackay, 2000).
In contrasto con il lavoro di Woolgar, in merito alla
configurazione dell’utente, ritroviamo lo studio di Madeleine
Akrich e Bruno Latour (1992).
La loro analisi circa la relazione utente-tecnologia è, di fatto,
basata su un approccio semiotico e prende in considerazione il
concetto di “scrittura”.
Essi, infatti, per teorizzare questo tipo di relazione usano tale
termine per descrivere l’inflessibilità degli oggetti. Il concetto
di scrittura cerca di dimostrare come gli artefatti tecnologici
abilitino o vincolino le relazioni umane così come quelle tra
persone o cose.
14
Secondo Akrich, nella fase di progettazione, i creatori di
artefatti tecnologici anticipano gli interessi, le abilità, le
motivazioni e i comportamenti dei futuri utenti.
Successivamente, queste rappresentazioni degli utenti si
materializzano nel design del nuovo prodotto. Di conseguenza,
le tecnologie contengono una scrittura: esse attribuiscono e
delegano specifiche competenze, azioni e responsabilità sia agli
utenti che agli artefatti tecnologici.
Per comprendere meglio il ruolo attivo degli utenti, nel
modellamento delle loro relazioni con le tecnologie, Akrich e
Latour hanno introdotto i concetti di sottoscrizione, de-
inscrizione e antiprogramma.
Il termine “antiprogramma” si riferisce direttamente a quel
programma di azione degli utenti, che si viene a trovare in
conflitto con il programma dei designer (o viceversa).
“Sottoscrizione” o “de-inscrizione” sono usati per descrivere
le reazioni di attori umani (e non ) a “ciò che viene prescritto e
proscritto per loro” (Akrich e Latour, 1992) e si riferiscono
rispettivamente alla dimensione con cui essi sottoscrivono o
rigettano e rinegoziano le prescrizioni.
In contrasto, quindi, con l’analisi di Woolgar, lo studio
riguardante il concetto di scrittura, comparato alla teoria
15
dell’addomesticamento (che sarà descritto in seguito)
concettualizza così, sia il designer che gli utenti come agenti
attivi nello sviluppo della tecnologia.
16
1.3 Cultural Studies.
“L’idea della tecnologia come bene di consumo ha portato allo
sviluppo di nuove prospettive di studio come la teoria dei
Cultural Studies” (Bennato, 2002), che considera la tecnologia
come, appunto, un bene di consumo. Compito di questa teoria è
capire cosa significhi possedere una tecnologia, analizzare
come questo strumento sia entrato nella vita delle persone,
come si sia evoluto a strumento di comunicazione di massa.
Grazie a questi studi, nel corso degli ultimi anni, si sono
sviluppate molte linee di ricerca di impianto etnografico
proprio sui consumatori e loro capacità di produrre usi originali
dei testi della cultura di massa.
Con l’etichetta “Cultural Studies” si indica quell’approccio di
studi sociologici di matrice culturalista che ha origine
britannica e che, dagli anni 80, si affermerà con successo negli
USA, in Sud America e in Australia.
Le origini risalgono alla fine del XIX secolo, quando
l’insegnamento della lingua e della letteratura inglese si
affermò come strumento di formazione dell’identità nazionale
e di educazione morale.
17
In un contesto nel quale le analisi erano rivolte esclusivamente
alla cultura cosiddetta “alta”, Richard Hoggart affermava che la
cultura popolare non poteva comunque essere ignorata .
L’uscita dei lavori di Raymond Williams (“Culture and
society”, 1958) e lo stesso Richard Hoggart (“The Uses of
Literacy”, 1957) fissano la data di nascita dei “Cultural
Studies”.
Quest’ultimi si consolidano successivamente come corrente
definita nell'area culturale britannica intorno al Centre for
Contemporary Cultural Studies (CCCS) dell'Università di
Birmingham (Sorice, 2000), fondato da Hoggart stesso (1964)
e che dirigerà fino al 1968.
Lo scopo primario del centro era lo studio dei cambiamenti
nella cultura della classe operaia inglese dal dopoguerra in poi
(Sorice, 2000) e in particolare dei mutamenti nell'orientamento
della gioventù della working-class.
Fin dagli anni 70, l’idea del consumo come manipolazione,
aveva contribuito alla diffusione di una letteratura, dominata da
studi orientati verso la produzione e il marketing- studi che
hanno conferito alle grandi compagnie di pubblicità il ruolo di
forze manovratrici di consumo.
18
In tali studi, quest’ultimo, era considerato come un processo
passivo ed adattabile e i consumatori rappresentati come
compratori anonimi e come “vittime della produzione di
massa” (Feenberg 1999, citato in Scifo, 2005).
Al contrario Baudrillard (1976) ha posto l’enfasi sulle mutue
dipendenze tra produzione e consumo ed ha evidenziato come i
consumatori non siano vittime passive ma agenti attivi nel
modellamento del consumo, delle relazioni sociali e
dell’identità.
Gli studi culturali sottolineano inoltre la libertà creativa
dell’utente, sia mediante le pratiche di consumo, sia con la loro
dipendenza dalle industrie culturali, non perché queste ultime
controllino i consumatori, ma perché esse forniscono quei
significati e quelle condizioni necessarie alla creatività
culturale (Storey, 1999).
In tale prospettiva possiamo collocare Stuart Hall, il quale ha
introdotto il modello di consumo mediatico
“encoding/decoding” (Hall, 1973), che ha l’obiettivo di
spiegare entrambi i ruoli strutturali assunti dai media nel
“creare agende e fornire strutture e categorie culturali” e la
nozione di “spettatore attivo, che crea significato dai segni e
dai simboli che i media forniscono” (Morley, 1995).