maggiore responsabile di questa situazione fu il governo, che aveva fatto dell’inadempimento
costituzionale la sua «unica politica»
8
e che «al dovere di lealtà costituzionale ha preferito la
convenienza politica del partito da cui era formato: e […] ha deliberatamente agito per far sì che
le leggi di attuazione costituzionale non fossero presentate, o se presentate non arrivassero
all’approvazione»
9
: ciò spinse il giurista a parlare di “ostruzionismo della maggioranza”
10
.
Questo comportamento del governo era causato dell’avvertita necessità di non rafforzare quelle
garanzie che la Costituzione prevedeva per l’opposizione, cioè per quei comunisti che
costituivano l’oggetto principale della discriminazione iniziata dal governo centrista con le
elezioni del 18 aprile. Ad esempio, così si espresse De Gasperi in una lettera a Piccioni del luglio
1952: «Credo nocivo anzi disastroso il referendum che i socialcomunisti vogliono utilizzare per
il siluramento della legge elettorale e la destra per ripresentare con qualche trucco o espediente il
problema della riforma istituzionale»
11
.
L’inadempimento costituzionale consentì la permanenza di un certo «arbitrio governativo» che,
pur non essendo quello illimitato del regime fascista, andava comunque oltre «la piena legalità
democratica promessa dalla Costituzione»
12
. All’interno di questa zona di «arbitrio» che si inserì
il tentativo del governo centrista di emanare una legislazione speciale diretta principalmente
contro i comunisti e i loro alleati (i “socialcomunisti”), che tuttavia non fu mai approvata.
Ultimo atto del tentativo per emarginare completamente i comunisti dalla vita politica del paese
fu la nuova legge elettorale del 1953, che assegnava alla maggioranza vincitrice (quella centrista)
un numero di seggi tale da rendere innocua ogni attività di opposizione dei comunisti e dei loro
alleati. Questa riforma fu particolarmente criticata dalle opposizioni, che l’accusarono di far
venir meno l’eguaglianza del voto dei cittadini perché, attraverso il premio di maggioranza, il
voto di coloro che avevano votato per la coalizione vincente avrebbe avuto un valore maggiore.
Proprio perché la democrazia da proteggere era quella espressa dal governo centrista,
l’espressione “democrazia protetta” è diventata, in riferimento alla situazione italiana di questo
periodo, sinonimo di “centrismo protetto”
13
.
Il tentativo di instaurare una “democrazia protetta” fu giustificato dal governo e delle forze di
maggioranza con la necessità di contrastare il “pericolo comunista”, che avrebbe potuto far
diventare l’Italia una preda dell’espansionismo sovietico: ciò seguiva la logica della «“cittadella
8
Ivi, p. 308.
9
Ivi, p. 280.
10
Ibidem.
11
A. De Gasperi, De Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di stato, cardinali, uomini politici, giornalisti,
diplomatici, a cura di M. R. De Gasperi, Morcelliana, Brescia 1981, volume I, p. 197.
12
Ivi, p. 250.
13
P. Craveri, De Gasperi, Il Mulino, Bologna 2006, p. 463.
4
assediata”, i cui occupanti devono potersi difendere quasi con ogni mezzo»
14
, determinata dalle
dinamiche della Guerra fredda. Esse furono, principalmente, le cause che mossero le azioni della
maggioranza e dell’opposizione, che nelle loro decisioni seguivano i comportamenti, quando non
le direttive, dei due diversi schieramenti mondiali cui facevano riferimento
15
. Solo inserendo gli
avvenimenti italiani nel contesto bipolare mondiale, infatti, si può capire la necessità avvertita dal
governo di intraprendere un’azione di «“autodifesa dello Stato democratico” contro il pericolo
mortale del comunismo interno e internazionale»
16
anche se, comunque, le dinamiche
internazionali si innestavano su un fondo di anticomunismo insito in molte frange dei partiti della
maggioranza e della Democrazia cristiana
17
. Come fece notare Calamandrei, la rinuncia ad una
parte della propria sovranità che l’Italia aveva fatto aderendo al Patto atlantico, non poteva
rimanere senza conseguenze sulla politica interna perché «quando un paese accetta di entrare
nell’orbita di predominio di una grande potenza straniera, di uno “Stato guida” […] bisogna che
si rassegni a seguire la politica suggeritagli dalla potenza protettrice, la quale […] condiziona la
sua protezione alla buona condotta del protetto»
18
.
La propaganda contro i comunisti, che avrebbero costituito una “quinta colonna” del bolscevismo
sovietico in Italia, assunse toni martellanti e ripetitivi: la lettura dei discorsi e delle affermazioni
sui comunisti degli esponenti della maggioranza permette di riscontrare una noiosa monotonia di
temi ed espressioni che però, proprio attraverso la loro continua ripetizione, diventavano cultura
condivisa nell’opinione pubblica. Come messo in luce da Bellassai,
il comunista è adesso additato alla pubblica opinione non in quanto ribelle alle leggi, non per
qualche suo comportamento concreto che, anche indirettamente, mirasse a turbare l’ordine
costituito, bensì ormai come comunista in quanto tale, come cioè un potenziale nemico che per le
sue stesse opinioni, a prescindere da atti specifici in violazione delle leggi, è automaticamente
“diverso” da quegli onesti cittadini che costituiscono il corpo sano della nazione. Con l’insistenza
ossessiva sul termine “quinta colonna”, con le innumerevoli analogie tra “i sinistri” e immagini
come “infezione”, “malattia” e simili si vuole inculcare nell’opinione pubblica l’idea che i
comunisti […] siano totalmente estranei alle società civili, non siano “italiani” ma semplicemente
14
S. Rodotà, La libertà e i diritti, in R. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, Donzelli,
Roma 1995, p. 353.
15
Secondo Giampiero Carocci, invece, «la diplomazia di De Gasperi costituì l’esempio forse più grosso in tutta la
storia di Italia di subordinazione della politica estera alla politica interna, di sfruttamento della incipiente tensione
nelle relazioni russo-americane per indebolire i comunisti italiani e, poiché erano loro alleati, i socialisti». Cfr. G.
Carocci, Storia d’Italia dall’Unità a oggi, Feltrinelli, Milano 1975, p. 338.
16
G. Scarpari, La Democrazia Cristiana e le leggi eccezionali, 1950-53, Feltrinelli, Milano 1977, p. 167.
17
Cfr. M. Barbanti, Funzioni strategiche dell’anticomunismo nell’età del centrismo degasperiano, 1948-53, in
“Italia Contemporanea”, marzo 1988, n. 170, passim: Barbanti ribalta questa prospettiva, affermando che
l’anticomunismo era un elemento strutturale, costitutivo ed essenziale del centrismo e che le dinamiche della Guerra
fredda furono funzionali alle imposizioni di tipo autoritario che la maggioranza voleva perseguire.
18
P. Calamandrei, La Costituzione e le leggi per attuarla, pp. 288-289.
5
traditori al soldo del nemico, come una serpe nel grembo della candida Patria che è doveroso
distruggere, scacciare, cancellare.
19
Il pericolo comunista, dunque, serviva a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica la scarsa
attenzione governativa per l’adempimento della Costituzione e la sua parallela attività diretta ad
elaborare e far approvare una legislazione eccezionale che, se attuata, avrebbe consentito
all’attuale maggioranza una permanenza al governo di lunghissima durata:
per salvare la democrazia dai pericoli di domani, questa brava gente si dà cura di distruggerla
oggi. Così, accreditando la supposizione che le opposizioni, se diventassero maggioranza, si
servirebbero del potere per abolire la Costituzione, il partito che oggi è maggioranza si affretta ad
abolirla per conto suo, dicendo che fa questo per evitare che la supposizione diventi realtà, e
intanto traducendola in realtà a proprio vantaggio: come se un giocatore, figurando di supporre
che l’altro possa barare, cominciasse a barare prima di lui per impedirglielo: e pretendesse, in
questo modo, di poter ancora essere considerato come un giuocatore onesto!
20
E proprio a partire dal pericolo di oltrepassare i limiti democratici agendo in protezione della
democrazia che si è sviluppato il dibattito che questa ricerca si prefigge di analizzare, facendo
soprattutto riferimento alla presentazione di quei provvedimenti legislativi che furono considerati
dalle opposizioni come un tentativo di adottare una legislazione eccezionale anticomunista.
Ogni tentativo di difendere la democrazia da quelli che sono considerati come i suoi nemici,
infatti, è stato sempre accompagnato da dubbi circa la possibilità di limitare il pluralismo in
nome del pluralismo stesso, soprattutto in circostanze in cui – come nel caso preso in esame – il
partito politico considerato “anti-sistema” e “anti-democratico” svolgeva un’attività compatibile
con il dettato costituzionale
21
. A questo proposito, Karl Popper criticò la concezione secondo cui
la democrazia, per combattere il totalitarismo, potrebbe adottarne i metodi e propose limitazioni
solo per chi si prefiggeva un rovesciamento violento della democrazia, cioè una violazione del
suo fondamento di sistema politico in cui il governo viene sostituito senza spargimento di sangue
e attraverso le elezioni
22
.
Questa ricerca non verterà su tutti quei condizionamenti, interni ed esterni, che spinsero la
Democrazia cristiana a prendere determinati provvedimenti
23
, ma sul dibattito che da essi scaturì.
I provvedimenti saranno analizzati secondo il loro ordine cronologico di presentazione al
Parlamento – e non secondo quello della loro discussione – in quanto ognuno di essi è
19
S. Bellassai, Noi classe. Identità operaia e conflitto sociale in una democrazia imperfetta (1947-1955), in L.
Baldissara (a cura di), Democrazia e conflitto. Il sindacato e il consolidamento della democrazia negli anni
Cinquanta (Italia, Emilia-Romagna), Franco Angeli, Milano 2006, pp. 193-194.
20
P. Calamandrei, La Costituzione e le leggi per attuarla, cit., p. 297.
21
S. Ceccanti, Le democrazie protette e semi-protette da eccezione a regola, cit., pp. 2, 5.
22
Ivi, p. 5.
23
Per i rapporti e i condizionamenti tra Dc e Usa rinvio a G. Formigoni, La Democrazia Cristiana e l’alleanza
occidentale (1943-53), Il Mulino, Bologna 1996 e a M. Del Pero, L’alleato scomodo. Gli Usa e la Dc negli anni del
centrismo (1948-1955), Carocci, Roma 2001. Per le pressioni ricevute dalla Dc dalla destra vaticana rinvio a A.
Riccardi, Il partito romano nel secondo dopoguerra, 1945-1954, Morcelliana, Brescia 1983.
6
emblematico del periodo in cui fu elaborato ed assume importanza in relazione agli altri
provvedimenti coevi. Particolare rilevanza assume, in quest’ottica, la deflagrazione della guerra
di Corea nel giugno 1950, che fece avvertire con maggiore preoccupazione il pericolo comunista:
è per questo motivo che la ricerca inizia proprio con gli avvenimenti coreani, anche se non è stato
possibile trascurare il fatto che già nei mesi precedenti si erano avuti dei larvati tentativi di
prendere dei provvedimenti volti a reprimere quelle forme di opposizione popolare che erano il
cardine dell’attività comunista.
I provvedimenti volti a delineare una “democrazia protetta” nell’Italia degli anni ’50 furono
innanzitutto volti a reprimere le forme di lotta caratteristiche dei partiti di opposizione. Solo in un
secondo momento – in quel 1952 definito come «il punto più alto della progettualità
democristiana nel campo della “lotta al comunismo”»
24
– fu elaborato, infatti, quel progetto di
“legge polivalente” che rientra più propriamente nella definizione di “democrazia protetta”
sviluppata dalla scienza giuridica, secondo cui una delle tre forme che essa può assumere è quella
di «protezione della rappresentanza» attraverso il controllo sulle finalità dei partiti
25
. Entrambi
questi momenti del tentativo di proteggere la democrazia avrebbero potuto portare, anche
secondo gli studiosi meno inclini ad accettare il punto di vista dei comunisti, «ad una sostanziale
“sospensione della Costituzione” operata mediante deliberazioni talvolta al limite del mancato
rispetto di libertà fondamentali»
26
.
Saranno presi in esame innanzitutto i provvedimenti in sé e, laddove ci fu, il dibattito
parlamentare che li accompagnò; per una maggiore completezza, soprattutto nei casi in cui il
dibattito parlamentare fu inesistente, ho ritenuto opportuno integrare l’analisi con le posizioni che
assunsero i diversi esponenti della maggioranza e dell’opposizione nei confronti di queste misure
– prendendo principalmente in considerazione, per quanto riguarda i primi, gli interventi pubblici
con i quali le presentarono e le giustificarono e, per quanto riguarda i secondi, gli articoli sulla
loro stampa in cui venivano commentate.
Nell’analisi del dibattito politico che accompagnò questi provvedimenti, bisogna tener presente
che essi non furono mai approvati (e spesso neanche discussi) dalle camere e che decaddero con
la fine della legislatura
27
. Queste misure, però, ebbero una grande influenza sul sentire condiviso
24
S. Bellassai, Noi classe, cit., p. 195.
25
S. Ceccanti, Le democrazie protette e semi-protette da eccezione a regola, cit., pp. 8-12. Le altre due forme
sarebbero la «protezione del Governo» e la «protezione della Costituzione».
26
S. Chillè, I riflessi della guerra di Corea sulla situazione politica italiana degli anni 1950-1953: le origini
dell’ipotesi degasperiana della «democrazia protetta», in “Storia contemporanea”, a. XVIII, ottobre 1987, n. 5, p.
922.
27
Le uniche due eccezioni furono la “Legge Scelba” contro il neofascismo che, anche se non rivolta direttamente
contro i comunisti, fu interpretata come il primo passo verso una legislazione contro di loro, e il decreto-legge sulla
richiesta dei dati di giacenza di alcune merci e sul potenziale produttivo di alcuni settori industriali che, seppur
approvato, non entrò mai in vigore.
7
del paese in quanto legittimavano – e incoraggiavano – nella pratica, anche se non legalmente,
tutta una serie di diffusi atteggiamenti discriminatori, se non repressivi, nei confronti delle forze
di sinistra e, in generale, delle rivendicazioni dei lavoratori: per questo motivo, nonostante la
mancata approvazione, non possono essere sottovalutate né considerate non pericolose per
l’assetto democratico italiano.
8
I. LA GUERRA DI COREA: RIFLESSI SUL DIBATTITO
POLITICO ITALIANO
I.1. Brevi cenni sulla situazione interna e internazionale allo scoppio
della Guerra di Corea
Il 25 giugno 1950 l’attacco nordcoreano alla Corea del Sud fece precipitare il mondo nel timore
di un nuovo conflitto mondiale. L’inizio della guerra di Corea provocò la sensazione che sarebbe
stato imminente il passaggio dalla “guerra fredda” ad una vera e propria “guerra guerreggiata”.
Questo timore era rafforzato dagli avvenimenti dell’ultimo anno. Nel settembre 1949, infatti,
Truman aveva annunciato che anche l’Unione Sovietica disponeva ormai della bomba atomica:
ciò cambiava gli equilibri mondiali, fino ad allora basati sul monopolio atomico americano. Il 1°
ottobre 1949 era stata proclamata la nascita della Repubblica Popolare Cinese, subito
riconosciuta dall’Urss e dalla Gran Bretagna ma non dagli Stati Uniti.
I riflessi della situazione internazionale furono particolarmente visibili in Italia, dove la divisione
globale tra “blocco occidentale” e “blocco sovietico” era riprodotta internamente nella frattura tra
le forze della maggioranza e i social-comunisti (“guerra civile fredda”
28
). Questa frattura, già visibile nell’esclusione dei socialisti e dei comunisti dal governo e
nell’adesione italiana al Piano Marshall nel 1947, era stata resa definitiva dalle elezioni politiche
del 18 aprile 1948, che avevano visto una netta affermazione della Democrazia Cristiana e dei
partiti ad essa alleati (i repubblicani del Pri; il Blocco nazionale di liberali e qualunquisti; i
socialdemocratici di Unità Socialista)
29
.
Le vicende politiche della prima legislatura repubblicana sono incomprensibili se si prescinde
dal loro inserimento nel contesto internazionale. Si tratta, infatti, di
un processo storico in cui situazioni ed esigenze interne ai vari paesi e scelte direttive di politica
internazionale assunte dalle superpotenze risultano strettamente legate e interdipendenti, al punto
che non si possono considerare le une senza considerare contemporaneamente le altre e
viceversa.
30
28
Cfr. A. Lepre, Storia della Prima Repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Il Mulino, Bologna 2004, p. 119-156.
29
Alla Camera, la Dc raccolse il 48,5 % dei voti, i repubblicani il 2,5 %, il Blocco nazionale il 3,8 % e i
socialdemocratici (Unità socialista) il 7,1 %. Il Fronte popolare di Pci e Psi raccolse solo il 31 % dei voti. Cfr. Istat,
45 anni di elezioni in Italia: 1946-90, Istat, Roma 1990, pp. 15-21.
30
O. Bariè, Lo scenario internazionale, in G. Rossini (a cura di), De Gasperi e l'età del centrismo, 1947-1953, Atti
del Convegno di studio organizzato dal Dipartimento cultura scuola e formazione della Direzione Centrale della Dc:
Lucca, 4-6 marzo 1982, Cinque Lune, Roma 1984.
9
La contrapposizione ideologica tra i due schieramenti politici italiani – l’uno legato agli Usa e al
blocco occidentale, l’altro al blocco sovietico – creò una frattura fra «l’area delle forze politiche
presenti nelle istituzioni rappresentative (area della rappresentanza) e quella delle forze
legittimate a governare (area della legittimità)»
31
. I social-comunisti non sarebbero mai potuti
andare al governo in un paese collocato nel blocco occidentale come l’Italia: questa situazione
viene solitamente designata con il nome di conventio ad excludendum. La particolarità della
situazione italiana stava proprio nel fatto che, nonostante fosse politicamente legata
all’Occidente, aveva al suo interno il più forte partito comunista dell’Europa occidentale, che era
quindi considerato ostile allo Stato per la sua fedeltà al blocco nemico
32
. Questa situazione
spinse Piero Calamandrei ad affermare che «anche se gli elettori dessero la maggioranza ai
partiti di estrema sinistra, il partito oggi al potere sarebbe spinto da fattori internazionali ad
opporsi colla violenza alla loro ascesa al governo; e la vittoria elettorale di quei partiti di estrema
sinistra sboccherebbe fatalmente nel colpo di stato e nella guerra civile»
33
.
Per queste ragioni, gli iscritti al Pci e, in misura minore, gli iscritti al Psi, anche se formalmente
godevano pienamente dei diritti civili, subirono spesso discriminazioni «in tutti i campi in cui
l’intervento diretto degli organi statali e delle direzioni delle aziende era possibile»
34
.
La posizione dei comunisti italiani si fece più difficile nel 1949. Dopo un acceso dibattito
politico e parlamentare, infatti, le Camere votarono a favore dell’ingresso dell’Italia nel Patto
atlantico, che fu firmato il 4 aprile 1949. Per capire le conseguenze di questa scelta sulla
situazione politica italiana, sono significative le profetiche parole dell’on. Piero Calamandrei,
allora iscritto nel gruppo parlamentare del Partito Socialista Unitario, che durante la lunghissima
seduta alla Camera in cui fu approvata l’adesione italiana al Patto atlantico
35
osservò:
[…] la contrapposizione militare dei due schieramenti, che difendono due contrapposte
concezioni sociali, darà sempre maggiore asprezza alla lotta interna dei corrispondenti partiti e
sempre più ai dissensi politici darà minacciosi aspetti di guerra civile. E questo potrà rimettere in
discussione le libertà costituzionali che sono scritte per il tempo di pace e non per la vigilia di
guerra, per gli avvenimenti politici e non per supposte quinte colonne; e darà sempre più ai
provvedimenti di polizia il carattere di repressioni di emergenza, che si vorranno giustificare con
le rigorose esigenze della preparazione militare.
36
31
G. Sabbatucci, La soluzione trasformista. Appunti sulla vicenda del sistema politico italiano, in “il Mulino”,
marzo-aprile 1990, p. 172.
32
I comunisti erano spesso messi sotto accusa per la loro fedeltà all’Urss, anche in virtù del fatto che esponenti
comunisti dichiararono a più riprese che mai avrebbero combattuto contro l’Unione Sovietica.
33
P. Calamandrei, La Costituzione e le leggi per attuarla, in AA.VV., Dieci anni dopo: 1945-1955. Saggi sulla vita
democratica italiana, Laterza, Roma-Bari, 1955, p. 303.
34
A. Lepre, Storia della Prima Repubblica, cit., p. 129.
35
La seduta, una delle più lunghe della storia repubblicana, durò ininterrottamente per 51 ore, dalle ore 16 del 16
marzo 1949 alle ore 19,15 del 18 marzo.
36
ATTI PARLAMENTARI, Camera dei Deputati, Legislatura I, Discussioni, seduta pomeridiana del 16 marzo
1949, p. 7273.
10
Il 14 luglio 1949 fu diffuso un decreto del Sant’Uffizio, in cui si affermava che «i cristiani che
professano la dottrina comunista materialista e anticristiana, e soprattutto coloro che la difendono
e la propagano» erano scomunicati ipso facto
37
. Si voleva, in questo modo, rendere ostile alla
gente l’ideologia comunista, anche se si ottenne in realtà il risultato opposto, quello di
allontanare molti credenti comunisti dalla pratica religiosa
38
.
Il 1949, in Italia, fu anche l’anno delle grandi lotte contadine e delle occupazioni di terre,
appoggiate e organizzate da comunisti e socialisti e represse, spesso nel sangue, dalla polizia del
ministro dell’Interno Scelba, definito “il McCarthy italiano”
39
. Durante tutta la prima legislatura
la polizia di Scelba, e in particolar modo i reparti della Celere, furono costantemente messi sotto
accusa dalle sinistre per la violenza con cui cercavano di mantenere l’ordine pubblico,
reprimendo le manifestazioni e gli scioperi di operai e contadini. Secondo i dati del Ministero
dell’Interno, tra il 1° gennaio 1948 e il 30 giugno 1950, «in occasione di servizi d’ordine
pubblico» furono uccisi 34 lavoratori (di cui 28 comunisti), feriti 695 (572 comunisti) e arrestati
13.609 (10.728 comunisti)
40
.
Il 9 gennaio 1950, a Modena, la polizia sparò su una folla di lavoratori che protestava contro
alcune centinaia di licenziamenti davanti alle Fonderie Riunite: sei persone rimasero uccise. Il
fatto provocò una profonda impressione in tutta l’opinione pubblica, ma si trattò dell’ultimo
eccidio di tali proporzioni
41
. La conflittualità sociale, infatti, cominciò lentamente ad attenuarsi,
anche perché furono emanati i primi provvedimenti (la Legge Sila nel maggio 1950 e, in seguito,
la Legge Stralcio in ottobre)
42
che facevano sperare i contadini, i più attivi nelle lotte di questo
periodo, in un prossimo avvento di una riforma agraria. Questi provvedimenti provocarono la
caduta del quinto governo di De Gasperi. Lo statista trentino formò un nuovo governo, da cui
escluse i liberali, ostili ad ogni tentativo di riforma agraria.
37
A. Lepre, Storia della Prima Repubblica, cit., p. 135
38
Ivi, p. 136.
39
Cfr. G. C. Marino, La repubblica della forza: Mario Scelba e le passioni del suo tempo, Franco Angeli, Milano
1995, pp. 175 e sgg.
40
G. Caredda, Governo e opposizione nell'Italia del dopoguerra, 1947-1960, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 94-95.
Questi dati differiscono notevolmente da quelli riportati da Togliatti nella relazione al VII Congresso del Pci: il
segretario comunista parlò, per lo stesso periodo, di 62 lavoratori uccisi (48 comunisti) e 3126 feriti (2367
comunisti), negli scontri con la polizia e con “squadre di agrari e fascisti”, e di 92169 (73780 comunisti) lavoratori
arrestati per motivi politici (cit. da Inchiesta sull’anticomunismo, in “Rinascita”, agosto-settembre 1954, 8-9, p.
544). Le cifre riportate da Togliatti, desunte dai questionari compilati dalle prefetture, non sono mai state smentite
dal governo.
41
Tra il 1951 e il 1958 furono uccisi “solo” 18 lavoratori nel corso di proteste popolari (cit. da M. G. Rossi, Una
democrazia a rischio. Politica e conflitto sociale negli anni della guerra fredda, in F. Barbagallo et al. (a cura di),
Storia dell’Italia repubblicana, volume I, La costruzione della democrazia: dalla caduta del fascismo agli anni
cinquanta, Einaudi, Torino 1994, p. 917).
42
Cfr. P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Einaudi, Torino 1989. pp.
160-187.
11
La sorveglianza e la repressione dei movimenti di operai e contadini, ad ogni modo, non
sparirono, anche se assunsero forme meno violente:
la politica di ordine pubblico perseguita dal governo passerà così dalla repressione cruenta delle
lotte ad una sistematica e capillare attività di prevenzione e controllo dei militanti; da una pratica
quotidiana di illiceità ed arbitri ad una vera e propria pianificazione di mezzi e di strumenti in
relazione agli specifici obiettivi volta a volta da perseguire; da una discriminazione dei comunisti
mantenuta a livello amministrativo ai progetti di una normativa “eccezionale” tesa a colpire il PCI
e le organizzazioni ad esso collegate, […].
43
43
G. C. Scarpari, La Democrazia Cristiana e le leggi eccezionali, 1950-53, Feltrinelli, Milano 1977, p. 11.
12