La ''democrazia protetta'': un dibattito politico italiano (1950-1953)
All’inizio degli anni ’50 si sviluppò in Italia un serrato dibattito sulla “democrazia protetta”, espressione che indica un insieme di norme che vietano i comportamenti volti a scardinare la costituzione e l’ordinamento democratico di uno stato. Il tentativo del governo centrista di “proteggere la democrazia” si esplicò principalmente lungo tre direzioni: la mancata emanazione di alcune leggi di attuazione della Costituzione, il tentativo di varare una legislazione speciale, principalmente diretta verso i comunisti (che tuttavia non fu mai approvata), e la legge elettorale del 1953 (la “legge truffa”).
Il tentativo di instaurare una “democrazia protetta” fu giustificato dal governo e delle forze di maggioranza con la necessità di contrastare il “pericolo comunista”, che avrebbe potuto far diventare l’Italia una preda dell’espansionismo sovietico. Solo inserendo gli avvenimenti italiani nel contesto bipolare mondiale, infatti, si può capire la necessità avvertita dal governo di intraprendere un’azione di difesa dello “stato democratico”. Le dinamiche internazionali, tuttavia, si innestavano su un fondo di anticomunismo insito in molte frange dei partiti della maggioranza.
La propaganda contro i comunisti, che avrebbero costituito una “quinta colonna” del bolscevismo sovietico in Italia, assunse toni martellanti e ripetitivi che, per questo, diventarono cultura condivisa nell’opinione pubblica.
Questa ricerca verte sul dibattito che scaturì a partire dalla presentazione da parte del governo di quella serie di disegni di legge che avrebbero dovuto limitare l'influenza e la libertà d’azione dei comunisti e dei socialisti, portando ad una sostanziale “sospensione della Costituzione”. Saranno presi in esame innanzitutto i provvedimenti in sé e, laddove ci fu, il dibattito parlamentare che li accompagnò; per una maggiore completezza, ho ritenuto opportuno integrare l’analisi con le posizioni che assunsero i diversi esponenti della maggioranza e dell’opposizione nei confronti di queste misure negli interventi pubblici e negli articoli in cui venivano commentate.
I provvedimenti saranno analizzati secondo il loro ordine cronologico di presentazione al Parlamento – e non secondo quello della loro discussione – in quanto ognuno di essi è emblematico del periodo in cui fu elaborato ed assume importanza in relazione agli altri provvedimenti coevi. Particolare rilevanza assume, in quest’ottica, l’inizio della guerra di Corea nel giugno 1950, che fece avvertire con maggiore preoccupazione il pericolo comunista: la ricerca inizia proprio con la reazione agli avvenimenti coreani, anche se già nei mesi precedenti si erano avuti dei larvati tentativi di prendere dei provvedimenti volti a reprimere quelle forme di opposizione popolare che erano il cardine dell’attività comunista. Tra la fine del 1950 e l’inizio del 1951 iniziò l’iter parlamentare di quella serie di misure che furono definite come il primo ciclo di “leggi eccezionali” e che si rivolgevano soprattutto alla difesa del corretto funzionamento della vita economica del paese: le opposizioni criticarono duramente questi provvedimenti, accusando il governo di voler accrescere i suoi poteri in campo economico e di voler sopprimere quel diritto di sciopero chiaramente previsto dalla Costituzione, facendolo rientrare a vario titolo nelle categorie di «pericolo per l’incolumità pubblica», «moti sediziosi» o «sabotaggio economico». La legge che avrebbe represso tutti i partiti con finalità antidemocratiche, definita come “polivalente”, è invece il cardine del secondo ciclo di “leggi eccezionali”, che comprendeva provvedimenti restrittivi del diritto di sciopero e della libertà di stampa.
È necessario, comunque, tener presente che queste misure non furono mai approvate (e spesso neanche discusse) dalle camere e che decaddero con la fine della legislatura: ciò dimostra che la loro progettazione, più che corrispondere ad un reale pericolo avvertito dal governo, fu di tipo strumentale, in quanto serviva alla Dc per far fronte alle pressioni che subiva da più fronti. Queste misure, però, ebbero una grande influenza sul sentire condiviso del paese in quanto legittimavano – e incoraggiavano – nella pratica, anche se non legalmente, una serie di diffusi atteggiamenti discriminatori e repressivi verso le forze di sinistra e le rivendicazioni dei lavoratori: per questo motivo, nonostante la mancata approvazione, non possono essere sottovalutate né considerate non pericolose per l’assetto democratico italiano.
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Informazioni tesi
Autore: | Ilenia Rossini |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze storiche |
Relatore: | Giovanni Sabbatucci |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 181 |
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