dal Piano Urbanistico del 1987 e fino alle altre diverse leggi in materia ambientale che si
sono susseguite in quegli anni (v. par. 1.3). Il nuovo P.U.P. prospetta un’ulteriore diffusione
del turismo, ma in maniera più equilibrata e selettiva, coinvolgendo zone al di fuori di
quelle già affermate, ma senza riprodurre i modelli negativi del passato. Vi è una maggiore
attenzione all’ambiente e quindi a tutte le interrelazioni che è possibile considerare con gli
elementi del sistema naturalistico ed insediativo. Certamente i parchi provinciali, che con la
legge del 1988 sono stati dotati di maggiori strumenti gestionali ed investiti di nuove
finalità, rappresentano la sintesi del nuovo modo di intendere il rapporto tra ambiente e
turismo: tutela e conservazione (ambientale e antropica) sono garantite anche grazie ad
un’utilizzazione turistica compatibile.
Con questo non bisogna però dimenticare il fatto che il turismo nel Trentino ha ormai
assunto dimensioni di assoluto rilievo, raggiungendo nel 1997 quota 26.530.927 presenze
(tab. 4.1), mentre gli arrivi sono stati 3.609.218. Queste cifre da sole evidenziano come, in
un contesto in cui risiedono 466.000 abitanti, il carico antropico aggiuntivo costituisca pur
sempre un problema rilevante. La crescita, che era stata costante fino al 1991, si è ormai
arrestata e si manifestano piuttosto oscillazioni dovute per lo più alle condizioni
meteorologiche e di innevamento e all’andamento del cambio. Anche la caduta di un’ipotesi
di crescita turistica indefinita ha contribuito alla revisione delle politiche per il turismo.
Nell’analizzare il livello di “turisticità” di un territorio è particolarmente interessante
Tab. 4.1 - Serie storica degli arrivi e delle presenze in provincia di Trento
Anno
Es e r c iz i
alberghieri
Esercizi
complementari
Totale
esercizi
ricettivi
Alloggi privati Seconde case Totale
A 1.264.494 281.163 1.545.657 379.264 409.773 2.334.694
P 7.216.393 2.448.751 9.665.144 6.812.937 5.634.818 22.112.899
A 1.447.060 304.015 1.751.075 460.859 503.050 2.714.984
P 7.843.702 2.497.337 10.341.039 7.520.047 7.033.079 24.894.165
A 1.498.191 319.070 1.817.261 556.379 491.437 2.865.077
P 8.273.146 2.536.518 10.809.664 8.434.809 7.249.899 26.494.372
A 1.706.690 370.782 2.077.472 614.088 608.955 3.300.515
P 9.035.753 2.734.075 11.769.828 8.535.132 8.023.751 28.328.711
A 1.628.327 397.242 2.025.569 552.077 673.516 3.251.162
P 8.512.977 2.621.276 11.134.253 7.398.294 8.111.988 26.644.535
A 1.851.297 476.408 2.327.705 538.390 735.080 3.601.175
P 9.650.720 3.129.777 12.780.497 6.905.315 8.818.873 28.504.685
A 1.916.685 484.024 2.400.709 490.209 718.300 3.609.218
P 9.753.857 2.881.993 12.635.850 5.667.696 8.227.381 26.530.927
Fonte: P.A.T.-Servizio Statistica, Comunicazioni Turismo , marzo 1998
(1):
" " "
, Annuario del turismo 1996
1997
1985
(1)
1987
1989
1991
1993
1995
utilizzare alcuni indici che, nella loro estrema sinteticità e semplicità, forniscono un’idea
immediata delle diverse situazioni, in particolare:
- il tasso di ricettività, che è ottenuto dividendo il numero totale dei posti letto
negli esercizi alberghieri ed extralberghieri per gli abitanti della stessa zona e rappresenta la
potenzialità turistica di un’area in rapporto alla popolazione residente;
- il tasso di turisticità, che è ottenuto dividendo il numero medio giornaliero di
presenze negli esercizi alberghieri ed extralberghieri per gli abitanti della stessa area ed
esprime l’effettivo peso del turismo sulla popolazione locale;
La tabella 4.2 mostra le dimensioni del fenomeno turistico non solo nei comuni del
Parco, ma anche nell’insieme dei tre comprensori interessati, che rappresentano meglio il
potenziale bacino d’utenza dell’area protetta.
Ciò che emerge da questi dati è il grado di turisticità del comune di Siror, non tanto
dovuta al capoluogo, ma quasi totalmente alla frazione in quota di San Martino di
Castrozza, vera e propria “albergopoli” . Nell’intero comune si trovano a soggiornare
mediamente nell’arco dell’anno più turisti che residenti e, considerando che un terzo delle
presenze è concentrato nel mese di agosto, i turisti in quel periodo sono in media quasi
cinque per ogni residente. Pur non rientrando all’interno dei confini del Parco, San Martino
Comune Posti letto Presenze Tasso di
ricettività
Tasso di
turisticità
Predazzo 9.438 684.243 2,27 0,45
Valle di Fiemme 38.047 2.879.490 2,14 0,44
Moena 9.664 814.595 3,73 0,86
Valle di Fassa 44.425 3.922.768 4,99 1,21
Canal S.Bovo 3.268 133.638 1,98 0,22
Mezzano 1.960 75.512 1,20 0,13
Imer 1.620 47.836 1,39 0,11
Siror 9.052 553.859 7,18 1,20
Tonadico 6.401 301.939 4,55 0,59
Sagron Mis 519 16.723 2,36 0,21
Transacqua 4.759 257.868 2,55 0,38
Fiera di Primiero 1.505 76.092 2,76 0,38
Primiero 29.084 1.463.467 2,98 0,41
Tot. comprensori 111.556 8.265.725 3,06 0,62
Tot. comuni del Parco 48.186 2.962.305 2,92 0,49
Fonte: ns. elaborazioni da: P.A.T.-Servizio Statistica, Annuario del turismo 1996
Tab. 4.2 - Posti letto, presenze, tasso di ricettività e di turisticità nei comuni
del Parco (1996)
di Castrozza vi è circondato su tre lati, collocandosi al culmine di un territorio che si insinua
all’interno dell’area protetta. La frazione rappresenta pertanto il centro turistico più vicino al
Parco e un comodo punto di partenza per le escursioni sia verso le Pale, sia verso il Lagorai.
Ma l’ambito di riferimento cui si rivolge l’offerta turistica del Parco non può certo limitarsi
a quell’area.
Nonostante abbiano un minor peso politico rispetto al comprensorio del Primiero,
dato che interessano solo il 15% del territorio del Parco , i comprensori di Fiemme e di
Fassa forniscono una domanda turistica, attuale e potenziale, di assoluta importanza. La
Valle di Fassa è il comprensorio del Trentino con il più elevato numero di posti letto per
residente ed è al primo posto anche nell’indice di turisticità. I quasi quattro milioni di
presenze annue rappresentano il 14% dell’intera domanda turistica trentina. I centri abitati
delle due valli non sono così a ridosso dei confini del Parco come San Martino di Castrozza,
ma da molti di essi (diciamo quelli compresi tra Cavalese e Moena) è comunque possibile,
in circa mezz’ora d’auto, portarsi alle zone di accesso dell’intera metà settentrionale del
Parco, grazie alla strada statale che collega Predazzo al Passo Rolle e, secondariamente, a
quella che collega Moena al Passo Valles. Inoltre il centro visitatori di gran lunga più
frequentato, quello di Paneveggio, si trova nel versante settentrionale del Parco ed è quindi
raggiungibile molto più comodamente dalla Valle di Fiemme che dal Primiero. Anche lo
stesso Passo Rolle, importante stazione turistica invernale, è più o meno equidistante dalle
principali località delle due vallate (a parte, ovviamente, San Martino di Castrozza).
Una caratteristica della struttura extralberghiera comune ai tre comprensori (come
pure al resto del Trentino) è il consistente sviluppo del settore residenziale secondario. Su
un totale di 111.556 posti letto, 27.243 (24%) sono situati in strutture alberghiere, 12.509
(11%) in esercizi complementari (campeggi, rifugi, colonie e campeggi mobili, case per
ferie, affittacamere, agritur e agricampeggi), 32.011 (29%) in alloggi privati e 39.793 (il
36%) in seconde case . I flussi turistici non rispecchiano questa ripartizione: su 8.265.725
presenze il 41% riguarda il settore alberghiero, l’8,6% quello complementare, il 20% gli
alloggi privati e il 30% le seconde case. Ciò dimostra chiaramente il basso grado di utilizzo
degli alloggi privati e delle seconde case rispetto agli alberghi: mentre un letto in albergo è
stato occupato nel 1996 mediamente per 125 giorni, quello di una seconda casa lo è stato
per soli 62 giorni.
L’arresto dell’eccessivo proliferare delle seconde case è un altro obiettivo del P.U.P.
del 1987, il quale indica le quantità complessive di residenza secondaria ammissibili nelle
diverse località, fornisce parametri che favoriscano la ricettività alberghiera a scapito delle
seconde case private e propone orientamenti circa le tipologie edilizie ed insediative da
privilegiare, al fine di contrastare la proliferazione delle case singole e il conseguente spreco
di suolo. Tra questi orientamenti si sottolinea in particolare quello assolutamente contrario
ai nuovi insediamenti turistici in quota, “un’esperienza che ha lasciato in Trentino cicatrici
che sarà difficile cancellare e che non va di certo ripetuta” (Mancuso, 1991)
I tre Comprensori si differenziano invece per quanto riguarda la provenienza dei
turisti. A tale proposito è utile analizzare la ripartizione degli arrivi nel settore alberghiero
per regione e per stato di provenienza. Nel Primiero la quasi totalità (93%) degli arrivi è di
provenienza italiana, mentre i pochi stranieri sono soprattutto tedeschi ed inglesi. Rilevante
è la percentuale di turisti veneti, il 24% del totale, a conferma del legame che unisce, non
solo geograficamente, questo “avamposto” del Trentino con la regione confinante. La Valle
di Fiemme è dei tre comprensori quello con la maggiore percentuale di arrivi stranieri: il
29%, di cui quasi la metà è costituito da tedeschi, mentre il resto proviene soprattutto da
Belgio, Gran Bretagna ed Austria. Tra i connazionali primeggiano i lombardi (19% del
totale), seguiti dagli emiliani. In Val di Fassa gli arrivi italiani sono l’83% del totale; anche
qui le regioni più rappresentate sono Lombardia ed Emilia Romagna, ma significative sono
pure le percentuali di turisti provenienti da Toscana e Lazio: rispettivamente 10 e 8%. I
tedeschi qui costituiscono la maggioranza assoluta (60%) degli stranieri. Una caratteristica
comune ai tre comprensori è la scarsa attrazione esercitata verso i propri corregionali: gli
arrivi dal Trentino-Alto Adige sono il 2% nel Primiero e in Val di Fiemme e meno dell’uno
per cento in Val di Fassa. Se consideriamo anche il settore extralberghiero risulta che in tale
comparto la proporzione italiani-stranieri si sposta leggermente a favore dei primi nel
Primiero e in Val di Fassa, mentre in Val di Fiemme la percentuale di stranieri cala molto
più vistosamente: dal 29 al 6%. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che, in tutti i tre
Comprensori, le seconde case, che si è visto essere molto numerose, non sono praticamente
in nessun caso utilizzate da stranieri.
4.1.1. Le strutture ricettive e di ristorazione.
Analizzando anzitutto la zona vasta del Parco (Primiero più Predazzo e Moena) è
possibile ricostruire anzitutto il quadro a livello comunale (tab. 4.3). La struttura alberghiera
dell’area presenta una consistenza di 169 esercizi per un totale di 9.299 posti letto, con una
distribuzione fortemente sbilanciata a favore di Moena, Siror (San Martino di Castrozza) e
Predazzo (in quest’ultimo comune quasi la metà degli esercizi si trova nella frazione di
Bellamonte, situata nella direzione di Paneveggio). Meno di un terzo degli esercizi si trova
nei rimanenti comuni, mentre nel piccolo comune di Sagron Mis non è presente nemmeno
una struttura alberghiera. Considerando la categoria come approssimazione della qualità del
servizio offerto, essa si posiziona su un buon livello, dato che il 57% degli alberghi possiede
tre o quattro stelle. Nel 1996 gli alberghi hanno complessivamente ospitato 201.709 persone
che, permanendo mediamente cinque giorni e mezzo, hanno totalizzato 1.104.560 presenze.
Mentre la struttura alberghiera ha origini lontane nel tempo, dato che l’avvio
dell’attività in questo settore a San Martino di Castrozza risale alla seconda metà del secolo
scorso, lo stesso non si può dire per il settore extralberghiero. Il passaggio da un turismo
Tab 4.3 - Consistenza degli esercizi alberghieri per categoria
Numero Letti Numero Letti Numero Letti Numero Letti Numero Letti
Predazo 234 94301740 181231285
Moena 7 253 14 620 34 2118 1 171 56 3162
Canal S.Bovo 6 112 2 59 8 171
Fiera di Primiero 1 25 1 46 3 261 5 332
Imer 3 69 3 101 6 170
Mezzano 1 7 2 70 1 70 4 147
Siror 4 80 8 328 27 2039 2 250 41 2697
Tonadico 2 49 5 148 9 430 1 126 17 753
Transacqua 3 104 6 478 9 582
TOTALE 26 629 47 1906 91 6136 5 628 169 9299
Fonte: P.A.T-Servizio Statistica, Annuario del Turismo 1996
4 stelle Totale
Comune
1 stella 2 stelle 3 stelle
Tab. 4.4 - Consistenza della struttura extralberghiera per tipologia
Numero Letti Numero Letti Numero Letti Num e r o Le t t i Numero Letti Numero Letti Num e r o Le t t i
Predazzo 2 1231 7 471 9 1702 478 2326 825 4125 1312 8153
Moe n a 64 313 6 223 70 536 757 3481 457 2485 1284 6502
Canal S.Bovo 1 5 10 437 11 442 198 815 460 1840 669 3097
Fiera di Primiero 00120 537 145 636 265 1173
Imer 1390 2 5 3 445 120 547 104 458 227 1450
Mezza n o 114 265 379260 1106 138 628 401 1813
Sagron Mis 1 8 6 153 7 161 32 134 48 224 87 519
Siror 4 342 1 560 3 172 8 1074 537 2318 664 2963 1209 6355
Tonadico 1 13 2 422 11 420 14 855 465 2418 496 2375 975 5648
Transacqua 16248354489 2409 339 1714 831 4177
TOTALE 71 690 8 2614 49 2044 128 5348 3456 16091 3676 17448 7260 38887
Fonte: P.A.T-Servizio Statistica, Annuario del Turismo 1996
Aff ittacamere
Campeggi,
agricamp. e agritur
con pernottamento
Altr i esercizi
Comune
Totale settore
extralberghiero
Tot. esercizi
complementari
Alloggi privati Seconde case
ricco e selezionato ad un turismo che coinvolge diverse fasce di reddito è alla base di questo
ampliamento dell’offerta, che espande notevolmente la disponibilità di posti letto dell’area.
Ai 9.299 posti letto menzionati nella struttura alberghiera se ne aggiungono ben 38.887 in
quella extralberghiera. Come mostra la tabella 4.4 ciò che contribuisce ad ampliare la
dotazione di posti letto è la presenza di alloggi privati e seconde case, con una
concentrazione, già evidenziata nel caso della struttura alberghiera, nei poli di Moena,
Predazzo e San Martino di Castrozza (Siror-Tonadico). Il 70% dei posti letto complessivi è
situato in alloggi privati e seconde case; si tratta di due posti letto per ciascun residente. Nel
1996 le strutture extralberghiere hanno ospitato 157.536 persone che, soggiornando
mediamente 11,8 giorni (il doppio rispetto al settore alberghiero), hanno totalizzato
1.857.745 presenze.
All’interno del Parco il patrimonio alberghiero si concentra essenzialmente in due
località (tab. 4.5): il Passo Rolle, con quattro unità ricettive e 168 posti letto (alberghi
Venezia, Alpenrose, Vezzana e Passo Rolle) e la Val Canali, con tre unità e 74 posti letto
(Cant del Gal, La Ritonda e Chalet Piereni). Al di fuori di questi due ambiti troviamo
solamente altri tre alberghi: La Bicocca, a Paneveggio, con 84 posti letto, il Rifugio
Capanna Passo Valles (45 posti letto), situato sull’omonimo passo al confine con il Veneto e
l’albergo Miralago, al Lago di Calaita, con 21 posti letto. Immediatamente al di fuori dei
confini settentrionali del Parco sorge invece l’albergo Passo Lusia. Complessivamente sono
dunque disponibili 392 posti letto già all’interno del Parco, un’offerta da coinvolgere
senz’altro nelle iniziative promosse dall’Ente Parco.
Tab. 4.5 - Esercizi alberghieri all'interno del Parco
Denominazione Cat. Località Camere P. letto
La Bicocca *** Paneveggio 40 84
Capanna Passo Valles * Passo Valles 15 45
Alpenrose *** Passo Rolle 20 39
Venezia *** Passo Rolle 31 60
Vezzana *** Passo Rolle 13 23
Passo Rolle ** Passo Rolle 27 46
Chalet Piereni *** Val Canali 15 28
La Ritonda ** Val Canali 11 22
Cant del Gal ** Val Canali 12 24
Miralago * Calaita 12 21
196 392
Totale
Ma le possibilità di sosta e soggiorno non si esauriscono nell’offerta alberghiera. I
rifugi sono diffusi più omogeneamente su tutto il territorio del Parco, ad eccezione dell’area
sud occidentale. Sono cinque quelli alpini, la cui apertura è garantita solo nei mesi estivi:
due appartengono alla sezione di Treviso del CAI: il Pradidali e il Treviso-Canali, due alla
SAT di Trento: il Pedrotti alla Rosetta e il Velo della Madonna, mentre è privato il Rifugio
Colbricon. Ad essi si possono aggiungere il Rifugio Petina e Capanna Cervino, due rifugi
escursionistici raggiungibili anche in auto. Si tratta quindi di sette strutture in grado di
offrire 288 posti letto, una consistenza quasi pari a quella alberghiera. Vi sono infine
strutture che offrono solo servizio di ristorante o bar: Baita Segantini e gli esercizi di
pertinenza degli impianti a fune: Tognola, Punta Ces, Colverde e Rosetta.
Nel panorama delle strutture ricettive si possono infine citare le due case per ferie
situate in Val Canali: Villa Madonna della Neve e Baita Don Bosco.
Certamente a volte il Parco crea agli operatori turistici qualche difficoltà ed appare
loro più come una sgradita imposizione di limiti che un’opportunità. Questa sensazione è
efficacemente, anche se drasticamente, espressa dalle parole del gestore del rifugio Treviso,
situato ad una quota di 1600 metri al termine della Val Canali: “Indubbiamente il Parco
preserva la natura e l’aspetto della valle, ma impedisce al turista di avvicinarsi”. In questo
caso si fa riferimento alle limitazioni alla circolazione e al parcheggio delle vetture, costrette
a fermarsi ben prima della fine della strada carrozzabile, determinando un calo delle
presenze negli ultimi anni. Altrove (Rifugio Miralago) un fattore deterrente appare la
limitazione delle attività di raccolta di funghi, fiori e frutti di bosco. In generale comunque
l’istituzione del Parco non sembra avere influito significativamente sulle presenze turistiche
al suo interno. Non è comunque nelle finalità del Parco incentivare forme di turismo
“consumistiche”. Ben vengano quindi deterrenti verso chi voglia raggiungere un rifugio,
una valle o una cima necessariamente in macchina o in funivia o verso chi ami riportare con
sé “pezzetti di natura” tanto belli quanto effimeri. Con ciò non si deve affermare un concetto
di montagna solo per pochi, ovvero puntare ad una selezione quantitativa, bensì compiere
un’opera educativa per un turismo di qualità. E’ anche questo che intende la legge
provinciale 18/1988 quando all’art. 1 parla di “uso sociale dei beni ambientali”. Un’opera
cui è chiamato l’Ente Parco per passare dal concetto meramente vincolistico e passivo,
quindi un po’ svilente del Parco (quale in effetti si aveva prima dell’istituzione dell’ente di
gestione) ad un’idea creativa, volta a modificare lo stato di fatto.
4.2.2. Le attività complementari
Le malghe del Parco sono in maniera sempre più estesa investite da un processo di
trasformazione legato alla domanda di posti di ristoro associata all’affluenza turistica. Ne
sono interessate prevalentemente le malghe dell’area centrosettentrionale del Parco, in
particolare: Venegia, Venegiotta, Juribello, Vallazza, Bocche, Rolle e Pala. Nella zona sud-
orientale troviamo invece Malga Canali. Al contrario, nella zona sud-occidentale si rileva
una sostanziale carenza di iniziative integrative all’allevamento. Non rientrano nella
disciplina agrituristica, pur svolgendo di fatto tale attività, Malga Fosse e Malga Ces .
Accanto al posto di ristoro viene spesso lasciato spazio alla rivendita di prodotti tipici
(formaggio, latte, burro e ricotta). I dati sulla distribuzione dei posti al coperto e dei tavoli
all’esterno per ogni malga che svolge attività nel settore della ristorazione (tab. 4.20),
mettono in evidenza l’esistenza di un’offerta ormai assestata su cifre ragguardevoli. Ad
esempio Malga Vallazza, situata alle porte nord-orientali del Parco lungo la statale del Passo
Valles, quindi comodamente raggiungibile anche in macchina, dispone di 25 posti tavola al
coperto e 50 all’aperto e lo scorso agosto ha servito mediamente 120 pasti al giorno, cifra
ridotta a 50 in luglio e a 20-30 nei mesi di giugno e settembre. Malga Venegia, anch’essa
facilmente raggiungibile tramite una strada carrozzabile, dispone di trenta posti al coperto
ed altrettanti all’aperto e nel mese di agosto registra una media di 60 pasti quotidiani. Ma
coloro che si fermano a pranzare sono solo una parte dei turisti che gravitano attorno alla
malga, dato che molti effettuano solo piccole consumazioni o acquisti di prodotti tipici, o la
Tab. 4.20 - Offerta agrituristica nel Parco (1998)
Servizi offerti Posti letto Posti tavola Periodo apertura
Malga Venegia ristoro 30+30 15/6-30/6
Malga Venegiotta ristoro 30 1/6-30/10
Malga Juribello ristoro 50 10/6-20/9
Malga Bocche ristoro 30+30 20/6-20/9
Malga Rolle ristoro 60 1/12-30/4, 1/6-30/9
Malga Vallazza ristoro-
alloggio in
appartamento
5 25+50 6/6-30/6 solo w.e.
1/7-27/7 settimanale
1/6-26/10 solo alloggio
Malga Pala ristoro 15+15 1/7-15/9
Malga Canali ristoro 20 Pasqua, 10/5-15/10
TOTALE 5 260+125
Fonte: P.A.T.-Servizio Vigilanza e Promozione dell'Attività Agricola
utilizzano come semplice punto di sosta, soprattutto se essa è situata lungo itinerari
escursionistici di grande pregio ambientale (si pensi alle due malghe in Val Venegia). E’
pertanto evidente l’importanza che ha assunto nel turismo della zona questo tipo di servizio,
sia nel dare un’impronta caratteristica alla domanda turistica, orientandola verso modelli
alternativi, sia nell’integrare i redditi delle famiglie degli allevatori e nell’offrire occasioni
aggiuntive di impiego, seppure stagionale.
Attualmente l’offerta agrituristica delle malghe del Parco si limita, quasi
esclusivamente, alla somministrazione di cibi e bevande e alla vendita di prodotti tipici.
L’unica eccezione è Malga Vallazza, che ha a disposizione un appartamento con cinque
posti letto, dato in affitto normalmente per periodi di un mese. Tuttavia non si esclude per il
futuro anche lo sviluppo di un’offerta di alloggio più ampia, pur nei limiti dettati dalla legge
sull’agriturismo. E’ il caso ad esempio di Malga Venegia, che sta pensando di adibire un
paio di locali al pernottamento di qualche escursionista.
Ma gli edifici legati alle attività zootecniche hanno potenzialità che vanno oltre
l’agriturismo. In generale possono essere finalizzati ad un turismo verde, sostenibile, che
garantisca la conservazione del patrimonio naturale ed antropico. A tale riguardo già nella
Relazione del Piano del Parco sono presenti alcune indicazioni. Data per scontata una
diversificazione del prodotto, in modo tale che possa essere fruito da diverse categorie di
turisti, si propongono “forme di intervento strettamente legate alle azioni e attività proposte
per il parco: valorizzazione dei saperi locali legati all’artigianato del legno (carpenteria del
legno, scandole, strutture lignee e manufatti in legno), alla gastronomia, all’uso delle piante
officinali, ecc.; creazione di itinerari turistici a tema, di un’ippovia, ecc.”
Nelle Azioni e Attività del P.d.P. sono contemplati tre progetti che coinvolgono
direttamente malghe ed edifici annessi. Il primo è il “Progetto sentieri gastronomici”, che si
prefigge di fornire un’offerta qualitativamente attraente recuperando i sapori della
gastronomia locale (vengono proposti al riguardo alcuni menù tipici). Esso si articola in una
fase di definizione del progetto (costo previsto: 10 milioni), nella pubblicizzazione (10
milioni), nella realizzazione di brevi pubblicazioni sulle ricette del parco (30 milioni) e in
“corsi” per imparare a preparare formaggio, burro, pane e altre ricette (50 milioni).
Il secondo è il “progetto agro-ippoturismo”, volto a far riscoprire la natura
utilizzando il cavallo, un modo di fare turismo diverso e ancora poco conosciuto e
valorizzato. Esso si fonda sull’individuazione di centri ippici e di una “ippovia”, una via per
l’equitazione che si sviluppi nel territorio del Parco attraverso punti di appoggio in malga
(ristoro, alloggio, stazioni di posta). La realizzazione del progetto contempla la
progettazione dell’ippovia (20 milioni), il suo allestimento (100 milioni), un fondo di
sostegno alle aziende agricole aderenti al programma (300 milioni) e la pubblicizzazione
(40 milioni). Si ipotizza anche la possibilità di avere un’entrata per il Parco, derivante
dall’introduzione di una tessera (giornaliera o valida per periodi più lunghi) necessaria al
transito sull’ippovia.
Infine troviamo il “Progetto recupero di manufatti edilizi per attività agrituristiche e
museali”, che detta le condizioni per il recupero del patrimonio edilizio e pascolivo ora in
stato di abbandono e propone, per le malghe in attività, funzioni che affianchino, dove
possibile, quelle esistenti. Fra le destinazioni d’uso proposte per le singole malghe prevale
l’utilizzazione come punto di sosta e ristoro dell’ippovia e dell’itinerario gastronomico. In
alcuni casi, come ad esempio la Malga Juribello, si auspica il ritorno in malga del processo
di trasformazione del latte, trasferitosi ovunque nei caseifici a valle per motivi
eminentemente igienici.
Vi è inoltre un altro progetto, quello del “Sentiero etnografico del Vanoi”, che
coinvolge Malga Miesnotta di Sopra e Malga Bocche. Complessivamente il progetto
necessita di ingenti costi, derivanti dal recupero dei campivoli (zone a pascolo) delle malghe
(160 milioni), dalla progettazione e realizzazione del recupero edilizio (ca. 800 milioni) e
dagli adeguamenti infrastrutturali (ca. 200 milioni). Ma si veda a tale riguardo il paragrafo
4.1.4.
Sempre nell’ambito dell’“Azione tradizioni e cultura locale” vengono inoltre proposti
alcuni progetti di formazione professionale, tra i quali sono qui rilevanti quello nel campo
della carpenteria e quello per operatori dell’alpeggio. Il primo si prefigge di perpetuare la
trasmissione di conoscenze tradizionali per il recupero del patrimonio edilizio esistente ed
ha un costo previsto di 30 milioni. Il secondo ha per oggetto le pratiche di prealpeggio e
alpeggio: lo sfalcio, la costruzione di utensili e suppellettili, il recupero e la manutenzione
della baita o degli edifici della malga, l’allevamento di capi bovini, suini, ovini e di animali
minori. Questo progetto “non è necessariamente rivolto agli attuali operatori del settore,
bensì a quanti vogliano fare un’esperienza di vita e lavoro diversa, per il periodo che va
dalla metà di giugno alla fine di settembre” e prevede un costo di circa 100 milioni.
4.3. La silvicoltura e le attività connesse
Il settore forestale merita un’attenzione particolare per l’insieme dei suoi valori
economici, ambientali e paesaggistici e per la rilevante estensione delle superfici interessate
nell’area del Parco di Paneveggio-Pale di San Martino. Il bosco, infatti, con il 39,3% della
superficie, rappresenta la destinazione d’uso prevalente del Parco.
4.3.1. L’evoluzione della silvicoltura trentina e la normativa provinciale
Fin dal XII secolo il bosco assume un’importanza economica e sociale nelle
comunità locali. Il suo uso, assieme a quello dei pascoli, era disciplinato da norme e
regolamenti locali ed era gestito collettivamente. Tale tipo di godimento ha dato origine a
proprietà comunali e collettive, che ancora oggi si ripartiscono gran parte dei boschi trentini.
Ciò ha favorito la conservazione di proprietà fondiarie relativamente estese. La gestione
collettiva dei patrimoni forestali caratterizzò per alcuni secoli la vita delle comunità
montane, ma cedette in molti casi alle sempre più misere condizioni della popolazione e alle
crescenti esigenze di pascolo e di legname per usi energetici. I prelievi erano attuati con
tagli irrazionali, impoverendo spesso le capacità produttive dei boschi e alterandone le
caratteristiche originarie.
L’amministrazione austriaca fu la prima ad emanare leggi organiche per la gestione
delle foreste, gettando le basi dell’organizzazione forestale trentina. La funzione unica del
bosco era quella produttiva e la gestione si basava su forti interventi nella composizione dei
boschi e su estesi rimboschimenti, rispondendo alle esigenze di occupazione e di reddito
della popolazione.
Le due guerre mondiali arrecarono danni ingentissimi ai boschi trentini, sia a causa
delle operazioni belliche, sia per far fronte alle necessità della ricostruzione, negli anni
immediatamente seguenti.
Nel secondo dopoguerra avvenne una svolta significativa nella silvicoltura trentina,
con l’abbandono degli obiettivi di massima produzione e con l’adozione dei nuovi indirizzi
naturalistici, basati sulla profonda conoscenza delle leggi che presiedono l’evoluzione dei
sistemi naturali forestali. La “silvicoltura naturalistica” si basa su “un’azione di coltivazione
globale informata al ripristino, al mantenimento ed all’esaltazione dei primari caratteri di
naturalità dei popolamenti forestali, attraverso interventi tali da non apportare turbative
all’assetto bioecologico della foresta ma capaci, per contro, di assecondarne ed assisterne i
naturali processi evolutivi” .
L’obiettivo finale è pertanto quello di un bosco dotato di elevati requisiti di naturalità
e stabilità. Ogni intervento viene eseguito in conformità alle prescrizioni contenute nei piani
di assestamento, che scaturiscono dal monitoraggio capillare della superficie forestale e
individuano il modello di bosco ottimale da raggiungere nell’arco di molti decenni.
Vengono evidenziati gli squilibri rispetto alla situazione attuale e l’entità annuale dei
prelievi non viene determinata in base a logiche commerciali, bensì proprio in funzione
delle capacità di rinnovamento del bosco.
Una caratteristica importante della silvicoltura naturalistica è la possibilità di
conciliare, almeno in parte, i diversi interessi del bosco, che ha assunto nel tempo una
pluralità di funzioni. Infatti si è abbandonata la pratica del taglio a raso a favore della
martellata, consistente in una scelta puntuale delle piante destinate al taglio, caratterizzata
quindi da interventi di prelievo mirati, di moderata intensità, territorialmente diffusi e
frequentemente ripetuti nel tempo. Mentre il taglio a raso era finalizzato alla sola
produzione di legname, la martellata esalta il carattere multifunzionale della foresta. Oltre
ad offrirsi maggiormente ad una fruizione ricreativa, presenta notevoli vantaggi riguardo
alla riduzione del grado di vulnerabilità dei boschi per cause naturali o antropiche. Le grandi
alluvioni degli anni Sessanta confermarono l’opportunità di tale nuovo indirizzo
naturalistico.
La normativa provinciale in materia di boschi fa ancora riferimento per molti aspetti
alla “legge forestale” nazionale del 1923 (R.D.L. n. 3267/1923), soprattutto per quanto
riguarda la disciplina relativa al vincolo idrogeologico. Tale legge è imperniata sul tema
della difesa del suolo, perseguendo la stabilità dei terreni e la regolare regimazione delle
acque e si applica a tutti i boschi della provincia soggetti a vincolo idrogeologico.
L’art. 130 della legge rende i piani economici o di assestamento obbligatori per tutte
le proprietà pubbliche e per le proprietà private più rilevanti. Tali piani precisano le norme e
i vincoli di gestione, in base a criteri omogenei stabiliti dal Servizio Foreste della Provincia .
Attualmente, come mostra la tabella 4.21, risulta assestato il 72,8% dei boschi trentini (il
93,5% dei boschi pubblici e il 7,4% di quelli privati). Ai piani di assestamento si
aggiungono gli inventari, relativi ai piccoli appezzamenti di bosco privato non assestati, che
coprono l’89,5% dei boschi privati (21,5% del totale). L’insieme di tutti questi dati
costituisce il momento conoscitivo di base su cui poggia la pianificazione subordinata di
settore (piano per la difesa dei boschi dagli incendi, piano della viabilità forestale, piano
delle utilizzazioni) e consente la realizzazione dei piani di livello superiore, come la carta
forestale (un censimento dei boschi trentini effettuato tra gli anni Sessanta e ’70) o,
attualmente, il Piano generale forestale.
La legge provinciale fondamentale nel settore forestale è la n. 48 del 23 novembre
1978, che stabilisce i provvedimenti per il potenziamento delle aree forestali. Le finalità che
la legge si propone sono il miglioramento dell’efficienza e della produttività del patrimonio
forestale e, più in generale, l’accrescimento della stabilità ecologica del territorio. La
definizione degli interventi volti a stimolare l’attività selvicolturale e a promuovere più
razionali forme di conduzione è inquadrata in un nuovo strumento, il Piano generale
forestale, redatto per ognuno dei bacini idrografici della provincia. Tale piano viene
predisposto dalla Giunta provinciale nel rispetto dei piani di assestamento forestale ed è
sottoposto a revisione decennale. Il primo Piano risale al 1982 ed è stato sottoposto a
revisione nel 1993.
Con il Piano Urbanistico Provinciale del 1987, che recepisce gli indirizzi della legge
Galasso, il bosco assume una precisa rilevanza ambientale. Le norme urbanistiche
stabiliscono il principio di conservazione delle foreste, vietando mutamenti di destinazione e
demandando al Piano generale forestale e ai piani di assestamento la definizione delle
attività compatibili ammesse nelle aree boscate.
4.3.2. Le caratteristiche dei boschi nei distretti forestali del Parco
I boschi possono essere visti sotto diversi aspetti. A seconda della destinazione
funzionale, possiamo distinguere tra:
- boschi ad evoluzione naturale: hanno prevalentemente finalità protettive e
sono posti di norma nel limite superiore della vegetazione arborea, oppure in zone
particolarmente accidentate o in aree particolari, quali le riserve integrali e speciali, dove
sono poste limitazioni alla normale gestione selvicolturale;
- boschi ad evoluzione controllata, la cui gestione è mirata a diverse finalità:
produttive, turistiche, paesaggistiche.
Tale distinzione coincide con quella tra boschi di protezione e boschi di produzione.
Le aree forestali possono poi essere distinte in base alla loro destinazione colturale (fustaia o
ceduo), oppure secondo l’assetto della proprietà. Le statistiche trentine distinguono da un
lato la proprietà privata, dall’altro quella pubblica o di enti, che comprende le proprietà del
demanio provinciale, dei comuni e di altri enti, tra i quali la Magnifica Comunità di
Fiemme.
I dati sono su base distrettuale: il Servizio foreste della Provincia gestisce il territorio
attraverso dieci Uffici distrettuali, le cui circoscrizioni coincidono quasi esattamente con i
comprensori urbanistici . Il distretto di Cavalese corrisponde ai due comprensori di Fiemme
e Fassa.
Nei confronti del regime colturale emerge la nettissima prevalenza della fustaia
rispetto al ceduo. La tabella 4.22 evidenzia come nei distretti forestali del Parco, la
percentuale di boschi ad alto fusto sia di gran lunga superiore alla media provinciale, anzi,
nel distretto di Cavalese, il bosco ceduo è praticamente assente. L’indice di boscosità, al
contrario, risulta complessivamente allineato sui valori provinciali.
Riguardo alla tipologia funzionale dei boschi, occorre dire che la fustaia si presta più
del ceduo ad una utilizzazione produttiva. Il governo a ceduo è una forma di coltura povera,
pertanto la tendenza è quella di mantenerlo solo nelle aree ad evoluzione naturale o in quelle
marginali. Ciò vale anche per i distretti del Parco, dove però le percentuali di bosco
coltivato sono, per entrambe le categorie colturali, inferiori alla media provinciale: nel
complesso il bosco di produzione ammonta al 78% della superficie boscata, contro una
media provinciale pari all’81% (tab. 4.23).
La ripartizione patrimoniale dei boschi nella zona del Parco vede prevalere
nettamente la proprietà pubblica (82,8%) rispetto a quella privata (tab. 4.22). La percentuale
della proprietà pubblica è maggiore rispetto alla media provinciale, specialmente nel
distretto di Cavalese. Ciò si deve in parte alla maggiore rilevanza della fustaia rispetto al
ceduo, un tipo di cultura più diffuso tra gli enti pubblici che tra i privati.
Passando a trattare degli aspetti produttivi del bosco, si può restringere il campo di
osservazione alla fustaia, dato lo scarso peso che il ceduo ha in questo ambito, specialmente
nei distretti del Parco. Anzitutto la tabella 4.24 mostra come, per la fustaia di produzione, i
livelli di provvigione nei due distretti (213 mc/ha) siano notevolmente superiori alla media
provinciale; in particolare, nel distretto di Cavalese la provvigione unitaria è superiore del
36% rispetto all’insieme del Trentino. Ciò spiega anche il minor saggio di incremento del
patrimonio legnoso in quelle zone: 1,8% contro il 2% della provincia. In termini assoluti i
distretti di Cavalese e Primiero, con una superficie a fustaia di produzione pari al 24% di
quella provinciale, detengono il 30% della provvigione legnosa. Ancora più rilevanti sono i
dati sulla ripresa annua, sia in rapporto alla provvigione (saggio di utilizzazione), sia
rispetto alla massa incrementabile. Nei distretti del Parco la ripresa è stata pari all’1,2%
della provvigione (contro l’1,1% provinciale) e al 67% dell’incremento (contro il 55%). I
maggiori livelli di sfruttamento, uniti alla maggiore dotazione iniziale, portano il contributo
dei due distretti al 33% della produzione legnosa provinciale. Anche per quanto riguarda la
fustaia di protezione si rilevano livelli di provvigione nettamente superiori alla media
provinciale, ma ciò è meno significativo dal punto di vista economico.
Il legname da opera utilizzato nei distretti di Cavalese e Primiero è stato pari a
177.421 metri cubi, il 16% dei quali proveniente da privati (tab. 4.25). La stessa percentuale
è stata registrata per la legna da ardere, della quale sono stati utilizzati 224.029 quintali. Per
quanto riguarda il legname da opera, la produzione destinata al commercio ammonta a
119.062 metri cubi, pari al 96% del volume commerciabile, mentre tutta la legna da ardere
(224.029 quintali) è destinata all’autoconsumo da parte delle aziende di produzione o dei
beneficiari dell’uso civico (tab. 4.26).
Il valore complessivo della massa legnosa utilizzata nel 1997 al lordo delle spese di
taglio, allestimento ed esbosco (prezzo all’imposto) è stato stimato in 22 miliardi per i
distretti di Cavalese e Primiero, pari ad un terzo del valore complessivo provinciale (tab.
4.27). I valori all’imposto sono stati messi a confronto con le superfici boscate produttive.
Ne deriva un valore elevato della produzione legnosa per i boschi di Cavalese (£ 508.000
per ettaro) e di Primiero (280.000 £/ha). Ciò si deve in parte alla maggiore proporzione di
fustaia rispetto al ceduo, prevalentemente utilizzato come legna da ardere; tuttavia il fatto
che i boschi delle valli di Fiemme e Fassa fruttino oltre il doppio della media provinciale è
dovuto soprattutto all’esistenza delle pregiate fustaie di abete rosso.
4.3.3. Le foreste del Parco di Paneveggio-Pale di San Martino
La legge provinciale sui parchi naturali stabilisce che le attività agro-silvo-pastorali
sono regolate dal Piano del Parco e che i piani di assestamento forestale riguardanti le zone
comprese nei parchi devono corrispondere a principi di silvicoltura naturalistica e di
miglioramento dei patrimoni silvo-pastorali. A tal fine essi sono sottoposti, prima della loro
approvazione, ai rispettivi enti di gestione, sentito il comitato scientifico (art. 26, commi 1 e
2). Posto che la silvicoltura trentina è comunque naturalistica, nel caso specifico dei parchi
si avrà una particolare attenzione, non solo a livello delle utilizzazioni programmate, ma
anche nella definizione delle caratteristiche strutturali dei boschi. Non si deve certo
impedire ogni intervento colturale, come vorrebbe una concezione meramente naturalistica
di parco naturale. Infatti, “se da un lato il parco può significare immagine da vendere sul
mercato di una nuova fruizione ricreativa del territorio, ancorata all’ambiente, dall’altro lato
non si può negare il forte attivo, nel bilancio della collettività, che viene dal mercato del
legname” .
Di fatto, nella zonizzazione dei parchi la quasi totalità delle foreste è esclusa dalle
riserve integrali, consentendone così uno sfruttamento colturale, pur entro i criteri stabiliti
dal Piano del Parco. La tabella 4.28 fornisce un’indicazione della ripartizione dei boschi del
Parco tra le diverse riserve, anche se i dati si riferiscono alla zonizzazione del Piano
Urbanistico e pertanto non tengono conto né delle parziali modifiche apportate dal Piano del
Parco, né dell’introduzione delle riserve speciali. Si nota come il 90% della superficie
forestale sia compresa in riserva guidata, mentre meno del 4% ricade in riserva integrale
(quasi tutta nella riserva integrale di Lusia-Bocche).
In merito all’assetto patrimoniale, le considerazioni fatte in generale sulla
predominanza della proprietà pubblica (v. par. 2.1) valgono a maggior ragione per le
superfici forestali (tab. 4.29). Nel bacino dell’Avisio l’88% delle foreste appartiene al
demanio provinciale (si tratta dell’area boscata della foresta di Paneveggio), l’11% alla
Magnifica Comunità di Fiemme, mentre meno dell’un per cento è in mano ai privati. Nel
bacino del Primiero prevalgono le proprietà comunali ed è più significativa la presenza dei
boschi privati (9,3%), situati prevalentemente nell’area della Val Canali e in Valsorda.
Complessivamente la proprietà pubblica investe il 94,4% dei boschi del Parco.
Nel successivo paragrafo verranno trattate in maniera specifica le quattro foreste
demaniali rientranti nel Parco, che interessano quasi i due terzi dei boschi del Parco.
4.3.4. Le foreste demaniali
Il Servizio Parchi e Foreste Demaniali della Provincia Autonoma di Trento provvede
alla gestione tecnica ed amministrativa delle sette foreste demaniali del Trentino. Non si
tratta di sole superfici boscate, ma di proprietà comprendenti anche pascoli e terreni
improduttivi. Le cinque foreste principali, quelle di Paneveggio, San Martino di Castrozza,
Valsorda, Valzanca e Cadino sono gestite dall’Ufficio Amministrazione Foreste Demaniali
di Cavalese e Primiero, tramite le stazioni forestali di Paneveggio, San Martino di
Castrozza, Caoria e Cadino; le altre due (Monte Bondone e Scanuppia) fanno capo
direttamente al Servizio Parchi e Foreste Demaniali.
Le foreste di Paneveggio e Valsorda rientrano integralmente nel territorio del Parco,
quella di Valzanca vi rientra per la quasi totalità, mentre quella di San Martino vi rientra per
tre quarti, rimanendo escluse le zone boscate circostanti l’abitato di San Martino di
Castrozza, presso il fondovalle.
Le foreste demaniali del Parco rappresentano l’1,4% della superficie boscata
provinciale, ma costituiscono il 2,4% della massa legnosa delle fustaie. La loro dotazione
provvigionale è infatti superiore del 37% rispetto alla media provinciale. Questo confronto
acquista ancora più rilevanza se si tiene conto che le quattro foreste si trovano tutte a quote
molto elevate: il 90% è situato al di sopra dei 1500 metri e la quota prevalente della foresta
di Paneveggio è di 1800 metri.
Per questo, oltre che per una scelta gestionale di lasciare una quota rilevante della
foresta all’evoluzione naturale, risulta molto elevata la percentuale di bosco di protezione,
nel quale non si effettuano interventi programmati e spesso si opera una precisa scelta di
non intervento, anche lasciando a terra eventuali schianti. La quota di territorio lasciato
all’evoluzione naturale costituisce in media il 30%, con proporzioni variabili tra il 28%
della foresta di San Martino e il 41,5% di quella di Valsorda (tab. 4.30). Si tratta quasi
sempre di porzioni di foresta di limitata importanza ai fini della produzione legnosa, ma di
grande interesse biologico ed ecologico, nelle quali da lungo tempo non si effettuano
utilizzazioni.
Restringendo l’analisi alla sola superficie forestale di produzione, il confronto delle
consistenze mette ancora più in risalto il primato delle foreste demaniali: la provvigione
media risulta superiore del 50% rispetto alla media provinciale. La sola foresta di Valsorda
ha una provvigione inferiore ai 300 mc/ha, mentre quella di Valzanca arriva a 339 mc/ha
(tab. 4.31). Nonostante l’elevata dotazione provvigionale, il saggio d’incremento è di poco
inferiore alla media provinciale (1,9% contro il 2%), e l’incremento per ettaro è del 44%
superiore a quello provinciale.
La ripresa complessiva delle foreste demaniali del Parco è di 11.010 metri cubi, pari
al 2,1% della ripresa provinciale e corrisponde ad un tasso di utilizzazione dell’1,05%.
Mediamente viene utilizzato il 54% dell’incremento. Secondo il Servizio Parchi e Foreste
Demaniali si tratta di valori di tutto rispetto, ma non particolarmente elevati, in rapporto alla
provvigione delle foreste considerate. I motivi di questa moderata intensità di prelievo viene
ricondotta, in sintesi, ai seguenti fattori :
- l’elevata altitudine, con conseguenti ritmi di crescita lenti e continui fino ad
età avanzate;
- una gestione improntata su modelli naturalistici, tendenti a mantenere gruppi
di piante ben oltre i concetti classici di “maturità economica”, nei quali si interviene, per
scelta colturale, a cadenze molto lunghe (30-40 anni);
- il perseguimento di obiettivi estetici e paesaggistici, con la conservazione di
soggetti monumentali, finalizzati ad un’apparente naturalità;
- l’elevato pregio del materiale legnoso e quindi la scelta di puntare su una
produzione di qualità, più che sulla quantità;
- l’attenzione generalmente posta, proprio in virtù dell’appartenenza ad un parco
naturale, verso obiettivi non strettamente produttivistici.
L’Ufficio Amministrazione Foreste Demaniali di Cavalese e Primiero provvede alla
gestione in economia dei lavori di conservazione, utilizzo e miglioramento del patrimonio
demaniale. Si occupa direttamente delle operazioni di utilizzazione forestale e di esbosco,
effettua l’allestimento del tondame su strada e il trasporto del legname da sega nella
segheria demaniale di Caoria e provvede alla sorveglianza. La tabella 4.32 fornisce
indicazioni sull’occupazione nelle foreste demaniali del Parco. All’Ufficio Foreste
Demaniali (che ha una sede principale a Cavalese e una secondaria a Fiera di Primiero) sono
assegnati otto addetti, tra funzionari e guardie forestali, impiegati in materie tecniche e
contabili e operai di ruolo. Gli addetti alle tre stazioni forestali relative alle foreste del Parco
sono complessivamente 10, ai quali si aggiungono 65 operai forestali.
Nella valutazione dell’occupazione nel settore forestale si possono aggiungere pure
gli 11 operai che svolgono diverse mansioni nella segheria demaniale di Caoria. La segheria
è stata acquistata ed ammodernata dalla Provincia Autonoma di Trento, attraverso l’Ufficio
Amministrazione Foreste Demaniali, nel 1991, per la lavorazione diretta del legname
prodotto nelle Foreste Demaniali. Dopo che l’attività delle piccole segherie esistenti presso
ciascuna foresta era stato interrotta negli anni Sessanta, mancava infatti l’anello finale del
ciclo produttivo, che si arrestava alla fase di vendita del legname allo stato tondo. Ora,
invece, il ciclo si conclude con la produzione, la selezione e la vendita degli assortimenti di
legname segato. La segheria, oltre al legname prodotto nelle cinque foreste demaniali di
Cavalese e Primiero, lavora anche quello dei boschi comunali di Canal San Bovo,
comprendenti due aree boscate interne al Parco, una situata tra le foreste di Valzanca e
Valsorda e l’altra circostante il Lago di Calaita. L’ammontare di tondame trasformato dalla
segheria ammonta a circa 12.000 metri cubi all’anno.