sociali e, in senso più lato e più ampio, umani. Tra gli aspetti sociali,
devono essere inclusi gli aspetti diasporici, in quanto il fenomeno
della diaspora è comune sia alla storia dell’India che a quella dei
Caraibi, benché con caratteristiche e modalità diverse. Ma pur
provenienti da un altrove con tale comune caratteristica, Bhatt e Philip
sono segnate da stigmate esperenziali diverse come diverso è stato il
loro peregrinare verso paesi nuovi, nuove culture, che sono anche
paesi ‘altri’, una cultura ‘altra’.
La breve bibliografia in appendice a questa tesi, mostra
chiaramente che uno scrittore dall’altrove che scrive del suo andare ‘di
gente in gente’, non appartiene più, (e non solo dal punto di vista
critico, visto il crescente pubblico internazionale), ad una letteratura
‘minore’, o ‘secondaria’.
5
Le letterature della diaspora indiana e
caraibica in lingua inglese, accanto alle letterature di lingua inglese
‘viste’ come minori (canadese, australiana, neozelandese, sudafricane
e così via), sono ormai accreditate di uno status stabile, riconosciuto
ed estremamente ricco, che è la cornice entro la quale si pone questo
lavoro, che mira a mettere a confronto due poetesse lontane ma sorelle,
due artiste nomadi e trans-culturali che attraversano linguaggi e
5
Ricordiamo che il Premio Nobel per la letteratura è andato al nigeriano Wole Soyinka nel 1986,
alla sudafricana Nadine Gordimer nel 1991, e al caraibico Derek Walcott nel 1992.
Le stesse Philip e Bhatt hanno ricevuto diversi riconoscimenti. Philip riceve nel 1988 il “Casa de
Las Americas Prize” per la raccolta di poesie She Tries Her Tongue; Her Silence Softly Breaks.
Nello stesso anno riceve il “Tradewinds Collective Prize” per le sue poesie e i racconti. Nel 1989 il
romanzo Harriet’s Daughter è uno dei secondi classificati al “Canadian Library Association
(CLA)” ed è inoltre “Book of the Year for Children Award”. Nel 1994 ha vinto il “Lawrence
Foundation Award” per il racconto “Stop Frame”. L’anno successivo ha vinto il “Toronto Arts
Award” e nel 2001 il “YWCA Woman of Distinction Award in the Arts”. Notizie attinte dal sito
web: http://www.nourbese.com/BIO1.HTM#Awards%202001
Nel 1988 Bhatt riceve l’“Alice Hunt Barlett Award” e il “Commonwealth Poetry Prize” per la
raccolta di poesie intitolata Brunizem. Nel 1991 viene pubblicato Monkey Shadows che le frutta
una “Poetry Book Society Recommendation”. Nello stesso anno riceve un “Cholmondely award”.
Dal 1992 è “writer-in-residence” presso l’università di Victoria nella British Columbia in Canada.
Notizie attinte dal sito web:
http://www.carcanet.co.uk/cgi-bin/reframe.cgi?app=scribe&author=bhatts
7
continenti, accorciando distanze, fondendo immagini, suoni e colori di
paesi lontani.
6
Esse vivono e agiscono, socialmente e artisticamente,
in due punti del nostro pianeta che sono quasi agli antipodi,
geograficamente parlando, ma le loro esperienze e il modo di
esprimerle hanno molti punti in comune, dei quali i principali
conviene elencare subito:
(i) l’uso della stessa lingua ma con un diverso sfondo culturale;
(ii) una continua diaspora artistica, oltre che sociale e personale,
che sviluppa quella che Philip definisce molto
appropriatamente, poetica del movimento, una espressione
che, ai fini di questo lavoro, equivale a poetica diasporica;
7
(iii) la consapevole condizione di essere un’aliena in paesi dove
l’incalzante processo di globalizzazione non si coniuga
ancora con un processo di accettazione e assimilazione
antropologica della multirazzialità e del multiculturalismo;
(iv) la reazione e contro-reazione verso la lingua dell’oppressore,
assieme ad una opposizione al ‘canone’ letterario dominante
che la cultura ‘colonizzatrice’ vuole far passare come
‘canone unico’; e, infine,
(v) una battaglia dai molti aspetti per affermare la propria
individualità e unicità in quanto donne, donne di colore e
poete.
Più propriamente dunque, scopo di questa tesi è mettere a confronto
due voci poetiche con tali caratteristiche per capire cosa vogliono dirci,
e insieme individuarne le affinità, le diversità, e i modi espressivi che
hanno loro assicurato un posto di rilievo nella letteratura moderna.
6
Paola Splendore (a cura di), Il colore della solitudine, Roma, Donzelli Editore, 2005, p. 201.
7
Marlene NourbeSe Philip, Caribana African Roots and Continuities – Race, Space and the
Poetics of Moving, Toronto, POUI Publications, 1996.
8
2. Voci lontane, voci sorelle
8
Sujata Bhatt nasce ad Ahmedabad, nel Gujarat
(India), il 6 maggio del 1956 in una famiglia
tradizionale brahmina,
9
dai costumi semplici, austeri
e saldamente radicati nella cultura indiana, la cui
lingua madre era il guajarati.
10
Molto importanti
furono gli anni dell’infanzia trascorsi nella bella e
verde Poona. Durante quel periodo lei e la sua famiglia vivevano in un
appartamento all’interno del Virus Research Centre, luogo di lavoro
del padre, stimato virologo. Ma già all’età di cinque anni la sua
famiglia si trasferisce negli Stati Uniti, a New Orleans, dove ella
impara ‘una prima volta’ l’inglese nella variante americana senza però
conservarne alcun ricordo:
I have no memory
of learning English.
No sounds. No images.
There’s a blank space in my mind.
A true nothingness.
11
Nonostante il migrare rappresenterà per lei, come vedremo, una
straordinaria ricchezza da un punto di vista culturale e linguistico,
Bhatt ha vissuto sempre i suoi trasferimenti in modo traumatico.
Ricorrente sarà, infatti, nelle sue poesie, l’immagine del rigoglioso
8
Titolo della rassegna/festival di poesia tenuto a Firenze. La prima edizione, nel giugno del 2002,
ha visto la presenza di poetesse americane e magrebine, la seconda, settembre-ottobre 2003, di
poeti israeliani e palestinesi (dalla rassegna è nata poi l'idea di un'antologia di poesia palestinese,
attualmente in corso di stampa). La terza rassegna, del giugno 2005, è stata la più varia e
ambiziosa e ha visto la presenza di numerosi poeti sia occidentali che orientali, tra cui Bhatt.
9
Brahmano. Appartenente alla più elevata casta ereditaria indiana, cioè quella sacerdotale. La sua
superiorità risale al I millennio a.C., quando esisteva già la quadripartizione sociale in brahmani o
sacerdoti, guerrieri, commercianti e agricoltori, e servi. Godono tuttora di grande prestigio.
10
I genitori della poetessa abitavano a Poona, nel Maharashtra, ma, per esser conforme alla
tradizione indiana, secondo la quale le donne sono solite partorire nella casa dei genitori, la madre
di Bhatt si recò ad Ahmedabad, presso la casa dei suoi genitori dove Sujata nacque.
11
Sujata Bhatt, “New Orleans Revisited”, Autagora, Manchester, Carcanet, 2000, pp. 44-45.
9
giardino davanti alla casa di Poona, una sorta di icona di un Eden
perduto:
12
As children we lived outside.
…
Then, we’d roam beyond the neem tree,
close to the hedge
where a huge hibiscus sways
13
From our garden,
when I stand near the bougainvillaea
14
Nella città americana Bhatt soffrì per l’impotenza’ di non poter
comunicare nelle sole lingue che conosceva, il Guajarati (lingua-
madre, tenera e musicale), il Marathi e l’Hindi (lingue sorelle e
solidali), anche se iniziava quel processo graduale di avvicinamento
all’inglese che sarà poi lingua ‘padre’, amatissima e tirannica,
onnipotente e impositiva allo stesso tempo.
15
Dopo soli tre anni, nel 1961, la piccola Bhatt fa ritorno a Poona
dove inizia il suo periodo di scolarizzazione frequentando un istituto
di suore cattoliche, St. Helena’s School, dove le viene insegnato
l’inglese nella versione britannica. L’atmosfera a scuola era soffocante
anche perché alle alunne veniva insegnato ad essere mansuete e docili,
e veniva loro ‘imposto’ cosa pensare, piuttosto che incoraggiate a
pensare con la propria testa. Fu in questi anni che, probabilmente per
scappare da tanta oppressione, ella cominciò a scrivere le sue prime
poesie in lingua inglese, anche per differenziarsi dagli zii poeti e
narratori in lingua Guajarati.
12
Idolina Landolfi (a cura di), Incarnazioni – Poesia del corpo, corpi di parole, Cava de’ Tirreni,
Avagliano Editore, 2002, p. 23.
13
Sujata Bhatt, “The Difference Between Being and Becoming”, Brunizem, Manchester, Carcanet,
1988, p. 33.
14
Sujata Bhatt, “The Echoes in Poona”, Monkey Shadows, Manchester, Carcanet, 1991, p. 81.
15
Andrea Sirotti, “Recensione di Augatora”, in Il Tolomeo, 5, 1999-2000.
10
Nel 1968, la famiglia si ri-trasferisce negli States, e più
precisamente a New Haven, nel Connecticut, dove il padre è chiamato
a dirigere un programma di ricerca virologica all’università di Yale.
Nonostante il parere contrario del padre, che sperava di indirizzarla
allo studio delle scienze, Sujata si iscrisse alla facoltà di filosofia del
“Goucher College” di Baltimora e si laurea in filosofia e inglese,
conseguendo il cosiddetto ‘double major degree’. Frequenta poi un
corso di scrittura creativa all’università dell’Iowa per ottenere il
“Master of Fine Arts Degree”, che spera le possa esser d’aiuto nella
carriera universitaria. In questi anni viene a contatto con Eleonor
Wilner che, oltre ad aver influenzato molto il suo modo di scrivere,
diventa sua mentore e lettrice reale e ideale delle sue poesie.
16
Cosmopolita e poliglotta Bhatt ha mostrato sempre interesse verso
nuove lingue per il semplice piacere di leggere opere letterarie in
lingua originale. Studia, di fatti, anche lo spagnolo, per leggere le
opere di Lorca, e il francese, per meglio comprendere Sartre.
17
I suoi spostamenti sono continuati nel tempo ed oggi la ritroviamo
in Germania, a Brema, dove vive con il marito, lo scrittore tedesco
Michael Augustin e la figlia, Jenny Mira.
Potremmo definire Bhatt una ‘poetessa diasporica di cultura
indiana ma di lingua inglese’. Una definizione che, da un lato, si
oppone in modo netto a, per esempio, ‘poetessa indiana’ oppure, più
genericamente ‘poetessa in lingua inglese’ o ‘poetessa indo-inglese’, e
16
Eleonor Wilner. Famosa poetessa americana contemporanea. Ha pubblicato molte raccolte di
poesie tra cui New and Selected Poems, Otherwise, e Sarah's Choice. Direttrice della rivista The
American Poetry Review. Le sue opere sono state pubblicate in: The New Republic, The New
Yorker, and the Southern Review. Vincitrice di premi come il MacArthur Foundation Fellowship,
il Juniper Prize, e il Pushcart Prize. Ella ha insegnato nelle università di Chicago, Utah, Hawaii e
Iowa dove ha conosciuto Sujata Bhatt. Per la potessa indo-inglese è stata la sua guida, la lettrice
perfetta ed ideale di ogni sua opera. Informazioni attinte dal sito web:
http://www.poets.org/poet.php/prmPID/274
17
Vicki Bertram, “Sujata Bhatt in Conversation”, in PN Review, 138, Manchester, Carcanet, 2001.
11
dall’altro necessita di chiarimenti e precisazioni di alcuni confini di
ordine geografico, culturale e linguistico che tale definizione sottende.
Dunque, ‘diasporica’ perché in perenne viaggio e perché, nelle sue
poesie, canta il dolore, la confusione, lo smarrimento, l’alienazione,
l’esilio e altri contrastanti sentimenti che tale condizione suscita in lei;
‘di cultura indiana’ perché lo sfondo psico-culturale è tinto dei colori e
degli umori dell’India; ed infine ‘di lingua inglese’ perché i suoi versi
sono scritti per il tramite della lingua inglese che però co-esiste nella
sua mente come lingua altra perchè in costante opposizione (sempre
psichica) con le lingue imparate nell’infanzia. Sarebbe anche
opportuno, per amore di completezza, aggiungere alla definizione,
“femminista” o “poetessa al femminile”, perché i versi di Bhatt sono
anche un grido contro la condizione di subordinazione della donna e
allo stesso tempo un canto alla fisicità del corpo femminile, in passato
negletto, quasi scomodo involucro, accidente da dimenticare; in sintesi,
un canto cioè alla propria sensualità, la propria meraviglia, la propria
rabbia sociale.
18
Marlene NourbeSe Philip, che ha avuto, a mio
avviso, una vita più travagliata di quella di Bhatt,
nasce nel 1947 nell’isola di Tobago (conosciuta
anche come l’isola di Crusoe), a nord-est di
Trinidad, dove ha vissuto fino all’età di otto anni.
19
Nel 1955 inizia la sua diaspora personale. Si
trasferisce, insieme alla sua famiglia, a Trinidad dove il padre sperava
18
Idolina Landolfi (a cura di), Incarnazioni – Poesia del corpo, corpi di parole, cit., p. 7.
19
Trinidad è una nazione indipendente del Commonwealth britannico, costituita dalle isole di
Trinidad e di Tobago. È situata nell’oceano Atlantico, nelle Piccole Antille, di fronte alla costa
sudamericana. Entrambe scoperte da Cristoforo Colombo nel 1498, le due isole hanno avuto però
una storia diversa: Trinidad fu occupata prima dagli spagnoli, poi dagli inglesi che ne presero
possesso definitivo nel 1802. Tobago fu abitata prima dagli inglesi, e in epoche successive e a
varie riprese, da francesi e olandesi; divenne colonia britannica nel 1814.
12
di poter offrire ai propri figli un’istruzione migliore. NourbeSe, di
fatto, riceve una brillante istruzione, anche se di stampo coloniale, in
uno dei migliori istituti superiori della città per poi trasferirsi a
Kingston, in Giamaica, dove studia economia (B.Sc. – 1968). Fino a
questa età Philip fu secolarizzata per il tramite della lingua inglese, la
lingua ufficiale di Trinidad. Da ragazzina parlava inglese, ma ha più
volte specificato che in città erano in uso due varietà di inglese: un
vernacolo parlato dalla classe socio-economica più bassa, a cui veniva
dato l’appellativo di “Bad English” (inglese demotico), e un altro più
formale, l’inglese standard che era quello delle classi borghesi,
insegnato peraltro anche a scuola. Ella fu perciò scolarizzata in lingua
inglese standard, ma entro un ambiente, sociale e culturale che
possiamo definire ‘caraibico’ in cui l’uso del “Queenenglish” o
“Kinglish” (come era ironicamente chiamato l’inglese standard) era
vissuto come esperienza angosciante.
20
Nascerà da questa sorta di
dicotomia linguistica, negli anni successivi, la consapevolezza della
necessità e della legittimità di allontanarsi dall’inglese standard per
liberarsi dal controllo linguistico della potenza imperiale.
21
Nel 1968 emigra verso il nord America e al suo arrivo all’aeroporto
di New York vive il primo episodio significativo dell’odissea che
attende un ‘emigrato di colore’ che spera nella solidarietà della ‘razza’.
Dopo aver aspettato per ore il fratello che doveva andare a riceverla,
decide di raggiungere la casa della zia dividendo la spesa della corsa
del taxi con ‘un fratello’ che faceva lo stesso percorso. Ma questi le
diede il ben servito lasciandole l’intera tariffa della corsa da pagare.
20
Marlene NourbeSe Philip, She Tries Her Tongue; Her Silence Softly Breaks, cit., p. 11.
21
Paolo Bertinetti, “Le letterature in inglese”, in Paolo Bertinetti (a cura di), Storia della
letteratura inglese, Vol. II, Torino, Einaudi Editore, 2000, p. 323.
13
L’ingresso nella “grande mela marcia”, come ella l’ha definita, deve
averle confuso le idee sul concetto di razza.
22
Nell’estate dello stesso anno raggiunge il Canada dove si laurea in
diritto internazionale e scienze politiche (M.A. in Political Science –
1970; L.L.B. – 1973), si sposa e ha un bambino.
23
Da allora fece i
lavori più umili per potersi guadagnare da vivere e infine trovò un
impiego a lei congeniale come legale (apprendista) presso la
“Parkdale Community Legal Clinic”. Nei due anni di lavoro presso
quella istituzione, maturò la decisione di specializzarsi in “Family and
Immigration Law”. Sostenuta dal secondo compagno, Paul, si dedicò
alla carriera di avvocato coltivando allo stesso tempo quella di
scrittrice/poetessa. Fu infatti nel 1980 che uscì la sua raccolta di
poesie Thorns. Prese poi la decisione di avere un altro bambino e
concedersi un anno sabbatico per pensare a cosa fare in futuro, ma a
distanza di due anni la storia con Paul si rivelò un fallimento e
NourbeSe si ritrovò con due figli e il lavoro che cercava di gestire da
casa. Ma, nonostante tutte le avversità, l’esigenza di scrivere si faceva
sempre più forte e cominciò a scrivere poesie, saggi, racconti e
romanzi. Sei anni dopo ebbe un’altra bambina e da allora la sua vita
si complicò ancora di più.
24
Doveva non solo badare al primogenito,
oramai adolescente, e ai due bambini, ma lavorare molto e non
abbandonare la sua vera passione alla quale, alla fine, si dedica
completamente. Attraverso la scrittura crede di poter aiutare gli
africani a ricreare nel Nuovo Mondo l’integrità che avevano nel
Vecchio Mondo. Il suo scopo dichiarato era quello di fare da
22
Marlene NourbeSe Philip, Extended Biography, cit.
23
Bruce, il suo primogenito al quale dedica le poesie “For Bruce” in Thorns e “Black Fruit (II)” in
Salmon Courage.
24
Hesper, a cui dedica la raccolta di poesie Salmon Courage.
14
mediatrice raccontando i soprusi che i suoi avi avevano dovuto
sopportare. Oggi Philip non rimpiange di aver abbandonato la
professione di avvocato in quanto l’unica cosa spiacevole, forse, era
quella di non ricevere più il cospicuo assegno di fine settimana; a
distanza di anni lei sente e dichiara di essere soddisfatta della sua
‘scelta di cuore’.
Alla luce di queste poche note biografiche potremmo definire
Philip ‘una poetessa diasporica caraibica in lingua inglese’.
25
Il suo
stile provocatorio, incisivo, ma spesso ermetico, ci fa capire quanto
forte sia il desiderio di ‘una canadese nera di nascita caraibica’ di
narrare le proprie vicende diasporiche; quanto forte sia l’orgoglio
(soprattutto in qualità di ‘donnista’) di esistere in quanto donna e in
quanto donna nera, e quanto traumatico (ma io l’ho trovato
commovente allo stesso tempo) sia il rapporto con la lingua
dell’oppressore, una lingua ormai ‘infetta’ e che lei stessa ha
contribuito a ‘infettare’ perché diventi strumento nuovo, vergine.
25
Tale etichetta differisce da quella che ho attribuito a Bhatt, ‘poetessa diasporica di cultura
indiana ma di lingua inglese’, perché è stato detto che una vera cultura caraibica non esiste. “Le
Indie Occidentali sono viste come un popolo bastardo, che occupa un posto intermedio tra la
Britishness, intesa come eredità coloniale, e un’amorfa e a-storica relazione con il continente nero
e quelle parti del nuovo mondo dove è stato possibile ri-costituire (aggiungerei ‘con fatica’)
l’Africa.” Cfr. Paul Gilroy, “There Ain’t No Black in the Union Jack. The Cultural Politics of
Race and Nation”, in Marie-Hélène Laforest, Diasporic Encounters – Remapping the Caribbean”,
Napoli, Linguori Editore, 2000, p. 157.
15