6
Spesso si afferma, non a torto, che ‘la storia è scritta dai vincitori’, ciò si
rivela tanto più reale in una società mediatizzata come la nostra, dove il
controllo sui mezzi di comunicazione di massa sembra essere presupposto per
l’acquisizione e il mantenimento del potere.
Il cinema, per fortuna, rappresenta ancor’oggi un momento di autonoma
interpretazione della realtà che, grazie alle nuove tecnologie di ripresa in
digitale, alle modalità di autoproduzione a basso costo delle opere, alla
distribuzione fatta su canali alternativi tra cui la rete internet, riesce ancora a
difendersi dallo strapotere economico delle majors e dei magnati
internazionali.
Partendo da queste considerazioni, ho analizzato alcune opere rappresentative
del periodo 1968-1978, per capire se fosse stato possibile assumere un punto di
vista estraneo a quello della cultura dominante, utile per una ricostruzione più
dettagliata dell’arco storico.
La scelta dei film è stata segnata dalla figura di uno degli artisti che
maggiormente ha inciso nella vita politica e civile del nostro paese, davanti e
dietro l’obiettivo, un attore che andò componendo con la sua invidiabile
coerenza nella scelta e nell’interpretazione dei ruoli un meta-film
rappresentativo di un altro italiano, lontano dagli stereotipi che il cinema
neorealista prima e quello americano poi, avevano contribuito a plasmare.
Gian Maria Volontè è stato per tutta la sua carriera un attore controcorrente,
irrisolto, problematico, che spazia dal teatro alla televisione fino a trovare nel
cinema d’impegno la sua naturale dimora, nonché la fama.
Sovrapponendo con due cerchi concentrici le opere di Volontè e gli
avvenimenti storici più controversi e dibattuti tra anni Sessanta e Settanta, la
scelta è ricaduta su cinque opere cinematografiche:
Banditi a Milano di Carlo Lizzani, 1968;
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e
La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, 1970 e 1971;
Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio1972;
7
Il caso Moro di Giuseppe Ferrara del 1986, ambientato nel 1978.
Le opere focalizzano su temi controversi degli anni Sessanta e Settanta che
ancora oggi alimentano discussioni: il movimento studentesco, l’emergere
della criminalità organizzata, la questione operaia, la strage di Piazza Fontana,
il rapimento di Aldo Moro.
Ogni pellicola verrà sezionata in quattro parti: si parte con la presentazione di
tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del film, nella pagina dei
credits, seguita dalla trascrizione di un passaggio significativo della
sceneggiatura: monologo o dialogo.
Nella seconda parte si fornirà una descrizione esauriente del film nella sua
interezza per poi passare alla fase denominata: Tra cinema e realtà, nella quale
si paleseranno i molteplici rapporti tra pellicola cinematografica e la coeva
storia italiana.
Nella quarta parte, infine, si procederà ad un’articolazione dettagliata delle
vicende politiche e sociali che hanno segnato gli anni in questione.
Tutto sarà preceduto da approfondimenti sui tre pilastri dell’intera ricerca:
il rapporto tra storia e cinema a partire dalle origini;
l’Italia durante il decennio 1968-1978;
il ruolo di Gian Maria Volontè nel cinema e nella società.
Il mio obiettivo è partire da un corpus scelto di opere, particolarmente sensibili
ed interessanti per la memoria storica che contengono al fine di poter tornare
ad interrogarci su una fase cruciale del nostro paese disponendo di un punto di
vista alternativo che deve rispondere a nessun altro se non se stesso: il cinema.
Sono convinto che le opere filmiche scelte abbiano una densità di informazioni
tali sul periodo che rappresentano, da non poter essere più ignorate come
valide fonti storiche, al pari di quelle tradizionali.
Dietro gli obiettivi principali anche un altro velleitario: contribuire a diffondere
l’interesse per il cinema civile nell’Italia di oggi; proprio ora che il grande
pubblico sembra tornato, dopo anni di indifferenza, a riconoscere in queste
8
opere uno strumento di crescita culturale, grazie ad autori capaci e coraggiosi
come Renzo Martinelli
1
, Guido Chiesa
2
ed Emanuele Crialese
3
.
1
Renzo Martinelli (Algeri, 1950) regista e sceneggiatore, gira Porzus (1997) sulla guerra fratricida tra
partigiani nel 1945; Vajont (2000) sulla tragedia del 1963; Piazza delle Cinque Lune (2003) sulla
vicenda Moro; Il mercante di pietre (2006) sulla jihad.
2
Guido Chiesa (Torino, 1959) regista e sceneggiatore, gira Non mi basti mai (2000) sulla marcia dei
40.000 quadri intermedi Fiat nel 1980; Il partigiano Johnny (2000); Lavorare con lentezza (2004) sul
movimento del ’77.
3
Emanuele Crialese (Roma, 1965) regista e sceneggiatore: Respiro (2002) sulla condizione di una
famiglia lampedusana; Nuovomondo (2006) sugli emigranti italiani negli Stati Uniti agli inizi del
secolo.
9
10
1. La storia e il cinema
Alla fine dell’Ottocento il cinema era poco più di una curiosità, nel
Novecento si è invece affermato come la più compiuta espressione del secolo e
ha influenzato tutta la produzione culturale, ipotecandone gli sviluppi all’inizio
del terzo millennio.
Nello stesso arco temporale la storia vissuta ha mostrato un’inarrestabile
tendenza alla catastrofe, tragicamente sottolineata dall’undici settembre 2001,
che ha concluso un secolo di guerre, crisi economiche, terrorismo ed epidemie
planetarie; la storia studiata, da parte sua, ha progressivamente registrato una
vistosa e progressiva involuzione
4
(Galasso 2000).
La disciplina storica era la regina della cultura a fine Ottocento, ma ha perso
d’importanza nella prima metà del xx secolo, quando la cultura umanistica si è
venuta separando da quella scientifica
5
(Le Goff 1982).
In seguito ha cercato di riconquistare l’antico primato, ma le catastrofi del
secolo avevano nel frattempo ucciso l’idea di progresso, che dava un senso allo
studio delle dinamiche storiche, e avevano di conseguenza cancellato la
convinzione che conoscere il passato potesse servire a non ripeterne gli errori
6
.
La differente sorte di Cinema e Storia è evidente anche nella loro diversa
capacità di trasformarsi e farsi apprezzare.
Il cinema ha mantenuto e imposto la sua supremazia grazie al continuo
aggiornamento tecnico: dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, dalla
celluloide al digitale, ha saputo cambiare qualità della recitazione e velocità del
racconto anche nelle pause tra un balzo tecnologico e l’altro.
Si pensi al processo di semplificazione della narrazione e all’aumento del ritmo
imposto da Guerre Stellari (George Lucas, 1977) e I predatori dell’arca
6
G. Sasso, Tramonto di un mito: l’idea di progresso tra Ottocento e Novecento, Bologna, Il Mulino,
1998.
11
perduta (Steven Spielberg, 1981) per contrastare l’avanzata dei programmi
televisivi
7
.
Al contrario, la storia studiata non ha mostrato significative trasformazioni
qualitative e l’uso di nuove tecnologie le ha offerto soltanto una maggior
capacità di maneggiare grandi quantità di dati. La storia vissuta ha invece
mostrato un’incredibile capacità di utilizzare l’innovazione tecnologica, ma per
peggiorare le condizioni della maggioranza del genere umano.
Non appare quindi casuale che alla fine del Novecento il cinema sia oggetto di
approfondite riflessioni filosofiche, mentre gli storici siano sempre meno
ascoltati e la loro materia frequentata, malmenata e semplificata da divulgatori
e imbonitori che la riducono in briciole o ne annunciano la fine (Cabrera 2000).
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta in Europa si inizia a discutere di film e storia
riconoscendo ai primi un ruolo preminente, ma bisogna attendere il 1968
perchè l’evoluzione della cultura europea rompa i vecchi quadri e favorisca la
promozione del cinema ad arte maggiore, l’accettazione dei generi come
strumento usuale della creazione artistico-letteraria e un certo grado
d’ibridazione tra forme di riflessione prima ritenute distanti.
Non è un caso che proprio nel 1968 Marc Ferro su “Annales” asserisca la
necessità di studiare i rapporti tra il cinema e la storia del Novecento
8
.
Alcune riviste storiche divengono palestre di analisi filmica e riflessione
teorica.
In Italia è il caso di “Quaderni Medievali” e “Passato e presente” negli anni
Settanta e Ottanta, mentre negli USA il “Journal of American History” e la
“American Historical Review” saggiano il terreno con interventi teorici e
dedicano al cinema uno spazio stabile preparando la strada alle recensioni sul
web
9
.
7
Cfr.G.P. Brunetta, (a cura di), Storia del cinema mondiale, I-III, Torino, Einaudi, 1999-2001.
8
M. Ferro, Societè du 20e siècle et histoire cinematographique, “Annales ESC”, 23, 1968, pp.581-585.
9
Cfr. i contributi di R. Brent Toplin in “Journal of American History”, 73, 3 ,1986, pp.819-821, e di R.
Rosenstone, D. Herlihy, H. White, J. O’Connor e Toplin in “American Historical Review”, 93, 5 1988,
pp.1173-1227.
12
Molti studiosi sono, però, carenti delle cognizioni tecniche necessarie e si
applicano soprattutto ad analisi contenutistiche, oppure s’interessano a
questioni distanti dagli interrogativi di Marc Ferro: invece di chiedersi come,
quando e perché il cinema incontri la storia e cosa nasca da tale connubio, si
sforzano d’identificare gli errori commessi nel rappresentare il passato.
La ricerca degli errori nei film storici va da quelli macroscopici, come il
legionario con l’orologio al polso in Scipione l’Africano (Carmine Gallone,
1937) a quelli più difficili da scoprire come i petali di bouganville portati da
Massino Decimo Meridio sulla tomba della famiglia nel Gladiatore (Ridley
Scott, 2000), peccato che quella pianta non fosse stata importata in Europa
prima del Settecento (Sanfilippo 2004).
I due storici Sergio Bertelli e Ileana Florescu giudicano con severità tali
svarioni ritenendoli responsabili dell’appiattimento del passato sul presente e
dell’eliminazione di ogni spessore storico (Bertelli e Florescu 1999, 229-236);
altri come Ferro consigliano di trattarli alla stregua di lapsus freudiani:
involontariamente testimoniano un arricchimento di quella conoscenza
collettiva che trova nel cinema una fonte non trascurabile (Sanfilippo 2004).
Attualità o narrazione, la realtà di cui il cinema offre l’immagine appare
terribilmente vera; si scopre che non corrisponde necessariamente alle
affermazioni dei dirigenti, agli schemi dei teorici, all’analisi degli oppositori.
Invece di illustrare i loro discorsi può capitare che li ridicolizzi.
Il cinema svela i segreti, mostra l’altra faccia di una società, le sue sviste.
“L’idea che un gesto potrebbe essere una frase, uno sguardo un lungo
discorso, è del tutto insopportabile: questo vorrebbe dire che l’immagine, le
immagini sonore, il grido di una ragazzina, una folla impaurita, costituiscono
il materiale di un’altra storia, diversa dalla Storia, una contro-Storia della
società” (Ferro, 1977, trad.it. 1980, 100).
La riflessione sul rapporto tra storia e cinema è andata via via affinando i suoi
strumenti, nondimeno esiste ancora una notevole confusione.
13
Schematizzando radicalmente, cercando di chiarire l’oggetto di ricerca e le
metodologie da utilizzare, possiamo indicare quattro crocevia
10
:
ξ Cinema come fonte per lo storico
ξ Cinema come scrittura storica
ξ Cinema come agente di storia
ξ Cinema come mezzo per raccogliere e conservare
testimonianze e documenti.
Il Cinema come fonte per lo storico vede l’Italia in prima linea con il saggio di
Antonio Mura: “Film, storia e storiografia”
11
che dedica all’argomento tutta la
prima parte.
Sembra ormai definitivamente caduta la contrapposizione tra documentario e
film di finzione, che tendeva a privilegiare il primo laddove in entrambi i casi
si tratta di opere immaginative.
I film di finzione, infatti, non ci parlano tanto del loro referente storico quanto
dell’epoca che li ha prodotti: le pellicole storiche italiane degli anni Dieci, ad
esempio, non ci dicono proprio nulla dell’epoca romana ma molto dell’età
giolittiana e del dannunzianesimo.
Anche i documentari, dipendono largamente dalla collocazione degli obiettivi
(nel duplice senso di sistema ottico e di scopo) e dunque sono da considerare
testimonianze involontarie: basti pensare a come gli operatori Rai riprendevano
gli oratori di Governo e di opposizione negli anni del centrismo, i primi civili e
pacati di fronte ad un pubblico attento e folto, i secondi nei momenti di
maggior foga con un pubblico raro e distratto.
Quale che sia il loro genere, i film costituiscono per l’avvenire dei tesori
incomparabili che riguardano la storia in generale, ma anche quella dei
10
P.Sorlin, La Storia nei film. Interpretazioni del passato, Firenze, la Nuova Italia, 1984, pp.XIV-
XVII.
13
A. Mura, Film Storia e Storiografia, Roma, Edizioni della Quercia, 1963.
14
costumi, del modo di vestire, dei gesti, delle arti (tra cui il cinema), del
linguaggio, della tecnica.
La nuova storia allarga considerevolmente gli orizzonti della storiografia
aprendosi a tutte le dimensioni delle culture, ora si tratterà di leggere il film
come discorso di una società su se stessa.
Se il cinema è fonte privilegiata per la storia della propaganda, della mentalità,
della psicologia sociale, da esso ci si potrà attendere un arricchimento e un
ampliamento della problematica della storia contemporanea dell’immaginario
collettivo.
La scrittura filmica della storia è l’ambito in cui vi è il maggior
rimescolamento di competenze, essendo coinvolti al massimo grado gli
specialisti di entrambe le discipline: storici e cineasti.
Innanzitutto è da chiarire se tali opere saranno realizzate dallo storico o dal
cineasta, poiché è proprio la frattura tra il momento dell’elaborazione storica e
il momento della traduzione in immagini a determinare la debolezza del genere
storico.
La tradizione anglosassone individua nello storico colui che dovrebbe
occuparsi non solo del testo ma anche della messa in immagini, per quanto
riguarda programmi di documentazione storica, didattici o simili.
Più facile a dirsi che a farsi.
Pierre Sorlin ha auspicato la realizzazione di film storici attraverso un
montaggio di documenti autentici e di documenti costruiti, portando come
esempio Salvatore Giuliano (Francesco Rosi, 1962)
12
.
Da non confondere il film storico col film in costume: il primo è una
riflessione sulla storia mentre nel secondo essa è un puro e semplice pretesto
13
.
12
P. Sorlin, La storia smascherata dal film, in Id., Storia e cinema, fascicolo monografico di “Storie e
storia”, n.9, aprile 1983, pp.36-37.
13
Per una definizione di film storico si veda: P.Sorlin, Clio à l’ècran ou l’hisorien dans le noir,
“Reveu d’hisotire moderne et contemporaine”, avril-juin 1974.
15
La nozione di Cinema come agente di storia introdotta da Ferro in “Cinema e
Storia” (Ferro 1977, trad.it. 1980), gli attribuisce un’influenza molto forte sulla
società.
Il caso più evidente è quello della propaganda, che in definitiva è solo la punta
dell’iceberg; il cinema è agente perché contribuisce anche in maniera
involontaria alla costruzione dell’immaginario di un’epoca, che poi in questo
ruolo sia stato abbondantemente superato dalla televisione, è un altro discorso.
Infine il Cinema come mezzo per raccogliere e conservare testimonianze e
documenti, viene comunemente definito videostoria
14
, poiché il mezzo usato è
appunto il videotape.
Si attua nella raccolta di testimonianze orali attraverso il videonastro,
strumento privilegiato della storia orale poiché supera di gran lunga il nastro
sonoro e a maggior ragione la trascrizione nel catturare l’oralità: la trascrizione
impoverisce il discorso orale e la registrazione fa perdere tutto l’apparato
gestuale.
Ci sono diversi modi di analizzare un film storico
(Ferro 1977, trad.it. 1980, 157-160).
Il più usuale, l’approccio positivista consiste nel verificare se la ricostruzione è
esatta, veritiera, se i dialoghi sono aderenti alle fonti, se le scenografie o i
costumi sono fedeli, il tono ‘vero’.
Basta che un’equipe di esperti, preferibilmente storici, abbia controllato il
lavoro, ed ecco brevettata l’opera.
Naturalmente esistono delle raffinatezze, come saper distinguere nei dialoghi il
dialetto Pugliese e Lucano; sostituire l’autenticità del non attore, preso dalla
strada, alla voce automatizzata e armonica del professionista; limitare al
minimo le ricostruzioni, selezionando le scenografie naturali che il tempo non
14
In questo settore è d’obbligo ricordare l’esperienza pionieristica dell’Archivio Nazionale
Cinematografico della Resistenza di Torino, diretto da Paolo Gobetti, che pubblica la rivista “Il Nuovo
Spettatore”.
16
ha trasformato. E’ da segni come questi che si riconoscono le particolari abilità
di Bertolucci o Visconti
15
.
La seconda variante con cui guardare un film storico è l’approccio ideologico:
il film viene collocato nel posto che gli compete, all’interno del sistema delle
rappresentazioni del mondo, tutto qui.
Da notare, allora, come Abel Gance e Jean Renoir abbiano proposto anch’essi
due versioni opposte della Rivoluzione francese, la prima bonapartista e
inconsciamente prefascista, che glorificava l’uomo della provvidenza; la
seconda di tipo marxista e popolare, che ignorava l’esistenza dei grandi
personaggi
16
.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare.
L’approccio romanzato, infine, autorizza una rappresentazione del passato che
non si risolve con la trascrizione di un tipo d’informazione proveniente dagli
archivi storici, ma permette al cineasta di trasformare la trama in discorso
d’immagini senza dover rispettare alcuna regola, quindi l’ordine delle riprese
sorge dall’immaginario storico, non dagli archivi e neppure dalle analisi
istituzionali.
15
Mi riferisco in particolar modo a La terra trema (1948) di Luchino Visconti e Novecento (1976) di
Bernardo Bertolucci
16
Abel Gance gira Napolèon Bonaparte nel 1934; Jean Renoir è regista di La Marsigliese nel 1938.
17
2. Italia: 1968-1978
Il primo Luglio 1966, due mesi dopo l’occupazione dell’ateneo romano, il
ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani invia ai prefetti delle città
universitarie una circolare riservatissima destinata a modificare un aspetto
importante dei rapporti tra Università e Stato italiano.
Tradizionalmente, infatti, le forze dell’ordine intervenivano negli atenei solo su
richiesta del rettore: “d’ora in poi dovranno intervenire immediatamente – e
anche preventivamente se possibile – a meno che il rettore non lo vieti in modo
esplicito” (Taviani, 2002, 268).
Non è questione di sfumature, per dirla con il linguaggio degli universitari
romani: “La circolare smaschera la posizione reazionaria del governo”
17
.
Cominciano a spargersi i semi di quel contrasto generazionale e di classe che
animerà il decennio immaginario 1968-1978.
Partendo dalla contestazione studentesca di fine anni Sessanta ci trascinerà
attraverso l’Autunno caldo delle fabbriche e la Strategia della tensione sino a
quel nove maggio 1978 che finirà ogni illusione.
Il movimento degli studenti non va ridotto a contestazione ‘sindacale’ degli
utenti di università e scuole ma inteso come attacco al principio di autorità, che
basandosi su un formidabile spostamento generazionale non poteva non partire
dal sistema dell’istruzione, fattosi di massa.
Si richiedeva al potere costituito una consapevole partecipazione ai momenti
della vita decisionale dell’università che fino a quel momento erano stati
negati.
Il movimento segnò una reale “ridefinizione della politica” nel nostro paese,
come scrisse Carlo Donolo, stando alla quale:
17
A. Viviani, Gli studenti: ieri, oggi, domani. Giustizia e legalità, Milano, Feltrinelli 1968.
18
“il nuovo militante si distingue dal rivoluzionario di professione, poichè la
plausibilità del suo discorso deriva dall’essere nel sistema, cioè dal ricoprire
un ruolo specifico – studente, insegnante, professionista – e dal non essere una
intelligenza rivoluzionaria sradicata” (Donolo, 1968, 35).
Ne derivò una spinta a sinistra nuova non solo per i contenuti ideologici, ma
anche per il dilagare della forma militante in ambienti già serbatisi immuni dal
virus della politica, che agli occhi dei moderati aveva in passato infettato solo
l’universo ‘chiuso’ degli agit-prop e del popolo comunista.
Essendo l’informazione in mano al nemico, si fece ricorso alla contro-
informazione materializzatasi in un diluvio di volantini, ciclostilati, opuscoli,
numeri unici, periodici prodotti in proprio da gruppi o collettivi locali, e la
quantità di contestatori aumentò vertiginosamente anche se il carattere
generazionale del movimento, il suo basarsi su reti di relazione interpersonali e
su specifici luoghi di studio o lavoro, faceva sì che esso si trovasse a vivere la
propria esperienza, a elaborare linguaggi e rappresentazioni come se il resto del
mondo non esistesse, ovvero il mondo circostante che non apparteneva al
movimento, non il mondo geografico più vasto comprendente l’Asia e
l’America Latina con il quale ognuno dei contestatori si sentiva intimamente
legato
18
.
E’ da Don Dilani, non da Marx o da Gramsci che il movimento studentesco
trae la sua definizione di politica:
“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la
politica. Sortirne da soli è avarizia” (Milani, 1967,14).
“Avaro è chi risolve un problema da solo. Ma l’avarizia non solo è
immorale, ma è inefficace perché non risolve i problemi. In fondo si
scopre che il problema era collettivo e dunque la soluzione non
poteva che essere collettiva”(Rostagno, 1968, 30).
18
M. Revelli, Movimenti sociali e spazio politico, in Aa. Vv., Storia dell’Italia repubblicana, Torino,
Einaudi, 1995, vol. II, t.2 pp. 385-476.
19
Ricostruendo gli eventi, i protagonisti parlano oggi di “un universo totalizzante
in cui pubblico e privato si mescolavano” di “spazi in cui l’individuo finiva
per sparire a favore del gruppo”
19
(Passerini, 1988, 99-100; 126)
Vi era l’intima convinzione di tanti ragazzi e ragazze di poter passare “dalla
conquista di uno spazio circoscritto alla speranza di liberare uno spazio
amplissimo, il mondo”
20
(Passerini, 1988, 102-3).
Nei gruppi più politicizzati del movimento studentesco episodi molteplici
alimentavano l’idea che forme di organizzazione dal basso potessero
svilupparsi in modo prepotente anche all’interno della classe operaia,
favorendo la radicalizzazione dei conflitti e l’affermarsi di contenuti alternativi
al sistema capitalistico: costruendo cioè le condizioni di un processo
rivoluzionario in Occidente che era ormai estraneo all’orizzonte politico della
sinistra tradizionale.
Iniziavano qui divisioni e dispute fra chi sovrapponeva a questi processi
l’armamentario più vetusto del marxismo-leninismo o del maoismo, e chi si
rivolgeva invece a filoni come il Consiliarismo
21
e l’Operaismo
22
.
Nasceva qui la storia dei gruppi della sinistra extraparlamentare che si
sarebbero definiti tra il 1968 e il 1969, introducendo divisioni ed
estremizzazioni negative: al di là di questo, essa affondava però le sue radici
nella più generale attenzione nei confronti della ‘questione operaia’.
‘Studenti e operai uniti nella lotta’, lo slogan più elementare ma al tempo
stesso più suggestivo di quegli anni , non esprimeva una sensibilità superficiale
19
Cfr. Le testimonianze di L.Bobbio e L. De Rossi.
20
Cfr. La testimonianza di L. De Rossi.
21
Il Comunismo dei Consigli proviene dalla sinistra olandese e tedesca, rigetta il ruolo del Partito
nella lotta di classe e nel processo rivoluzionario, e in molte occasioni ha considerato il Partito
Bolscevico e la rivoluzione russa come borghesi. Lo si distingue dalla sua degenerata discendenza: il
"Consiliarismo"sviluppatosi dopo la Seconda Guerra Mondiale e pesantemente influenzato
dall'ideologia anarchica.
22
Specifico atteggiamento e concezione politico-ideologica che, nell'ambito generale del movimento
socialista, identifica nella classe operaia l'unico agente rivoluzionario, addirittura in alternativa e in
contrapposizione con i partiti e i sindacati operai, visti come istituzioni soffocanti la spontaneità dei
movimenti di classe. Ne fecero parte in Italia alla fine degli anni ’50 Panzieri, Asor Arosa, Foa, Tronti,
Della Mea.