Anche Norberg-Schulz ritiene la chiesa messinese una delle sue prime opere e soprattutto
individua nella soluzione della cupola l’inizio di una sperimentazione che darà sorprendenti risultati
e sarà un motivo ricorrente della sua poetica architettonica.(11)
T. Viscuso, autrice di uno studio sulle opere messinesi di Guarini, è della stessa opinione
intendendo la chiesa come “un punto di partenza per una serie di edifici a pianta centrale, di epoca
posteriore, come S. Anna la Reale a Parigi e il S. Lorenzo a Torino.”(12)
Gli studi recenti di Meek ribadiscono questa posizione ritrovando nella chiesa dei Padri
Somaschi tutte le “suggestioni” acquisite da Guarini durante il viaggio in Spagna e avvalorando
l’ipotesi che l’architetto abbia compiuto un viaggio nella penisola iberica tra il 1657 e il 1660. (13)
Portoghesi(14) tende, invece, a spostare la datazione del progetto a una fase successiva della
vita dell’artista che non coincide con la sua breve presenza a Messina, cioè intorno al 1670; a
giustificare tale scelta sottolinea che la chiesa dei Padri Somaschi “ripete su uno schema esagonale
il partito di San Lorenzo”, uno degli edifici più celebri dell’architetto, costruito a Torino a partire
dal 1668; intendendo la chiesa messinese come una derivazione della chiesa torinese.
La medesima datazione tarda dell’opera è seguita da Henry A. Millon(15).
Anche S. Boscarino(16) ritiene il progetto come “una delle ideazioni più mature” che
apparterrebbe all’ultimo periodo della sua fervida attività.
F. Borsi afferma nel 1968 in riferimento al progetto messinese: “La complessità e la maturità
architettonica dell’organismo lo pongono tra le opere di maggiore interesse del maestro ed è
difficile poterla ricondurre al biennio dell’attività messinese. Il problema della datazione, in assenza
di documenti, è quindi aperto; ma ad una prima considerazione viene fatto di posporlo
all’esperienza parigina che fu del resto determinante nella formazione del teatino e, in un certo
senso, il momento in cui la sua esperienza architettonica tocca il livello europeo (…)”.(17)
Il progetto “poteva essere conosciuto a Messina tramite i disegni inviati dal Guarini, mentre la
sua diffusione si poteva avere con la pubblicazione del suo trattato sull’Architettura civile, di cui
alcune tavole di progetti erano pubblicate nel 1686 (...) Attraverso la realizzazione di questo
progetto l’ambiente architettonico siciliano avrebbe potuto conoscere l’altro barocco, quello di
derivazione borrominiana (...)”(18) . Questo, in effetti, non accadde. Il progetto rimase tale e, forse,
non fu mai realizzato .
Il problema della sua realizzazione nasce dalla difficoltà di reperire documenti che ne
attestino l’avvenuta costruzione, o l’apertura del cantiere in una città come Messina che dal 1693 ha
subito violenti terremoti di cui l’ultimo, del 1908, ha raso al suolo l’intero abitato distruggendo i
documenti “costruiti” e lasciando solo frammenti di difficile interpretazione.(19) Se, come riporta
Meek(20), “le guide precedenti al 1908 non ne fanno menzione e non è neppure illustrata nella
raccolta Vedute e prospetti della città di Messina, opera del 1768 di Francesco Sicuro”, è più
opportuno condividere l’ipotesi che la chiesa non fu mai costruita. Del resto questa è l’opinione di
gran parte della critica, da cui si discostano E. Guidoni(21) che ipotizza la sua effettiva realizzazione
e A. Blunt che lascia intendere che la fabbrica potrebbe essere stata costruita(22) ; entrambi però non
approfondiscono l’argomento e non giustificano con documenti le loro tesi; dunque questi giudizi,
anche per la loro datazione, si possono considerare superati dai più recenti studi.
“Non destò subito entusiasmo a Messina l’opera di Guarino Guarini. L’ambiente era ancora
legato alla solidità, alla fermezza della massa, ai valori classici dell’architettura”(23) tardo
rinascimentale. Si dovrà dunque aspettare almeno cinquanta anni affinché si possa comprendere il
fondamentale contributo dell’architettura di Guarini in Sicilia; in particolare, la fase della
ricostruzione dopo il terremoto del 1693, che distrusse città piccole e grandi della Sicilia sud-
orientale, fu un’occasione senza precedenti per realizzare un’architettura nuova che tenesse conto
anche della lezione guariniana.
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NOTE
1) La storia della critica inerente l’opera di Guarini si trova analizzata in particolare nei seguenti
testi: G. Guarini, Architettura Civile (1737), a cura di N. Carboneri, Milano 1968, pp. XL-
XLVI; E. Guidoni, Guarini, voce del Dizionario Enciclopedico di Architettura Urbanistica ,
Roma 1969, p. 62; S Bordini, La critica guariniana, in Guarino Guarini e l’internazionalità del
Barocco, Atti del convegno (1968). Torino 1970, pp. 283-305; H. A. Meek, Guarino Guarini,
Milano 1991, pp. 9-10.
2) G.C. Sciolla, Insegnare l’arte, Firenze 1989, p. 142.
3) Giudizio riportato da G. C. Sciolla, op. cit., p. 142.
4) Giudizio riportato da H. A. Meek, op. cit., p. 9.
5) Pubblicata a Milano nel 1956
6) Pubblicato a Torino con lo stesso titolo nel 1970.
7) Il trattato contiene due immagini della chiesa dei Padri Somaschi, rappresentata in pianta,
prospetto e sezione. Architettura Civile di Guarini fu pubblicato postumo a Torino nel 1737 a
cura di Bernando Vittone. Esiste inoltre un’edizione più recente del suddetto trattato pubblicato
a cura di Nino Carboneri (Milano, 1968).
8) “Nell’anno 1660 venne pubblicata a Messina una tragicommedia morale intitolata La pietà
trionfante destinata a essere rappresentata dai giovani del seminario teatino della città (...) ne è
autore il chierico regolare Guarino Guarini, lettore di matematica presso la scuola teatina. La
data di pubblicazione di questo libro è l’unica prova cronologica certa del soggiorno di Guarini
in Sicilia”. Da H. A. Meek, op. cit., p. 27. In effetti anche P. Reina (un contemporaneo
messinese dell’architetto) testimonia la presenza di Guarini, annoverandolo tra i “forestieri”
devoti della Vergine della Sacra Epistola, una tradizione molto viva a Messina, citando un suo
discorso tenuto nella Cappella del Duomo. Da P. Reina, Delle notizie storiche della citta di
Messina, Messina 1668, p. 89
9) “All’inizio del 1662 peggiorano le condizioni di salute della madre, e Guarini ottiene dai suoi
superiori il permesso di lasciare Messina e di trasferirsi nella casa dei teatini di Modena (...)”.
Da H. A. Meek, op. cit., p. 35.
10) R. Wittkower, Arte e Architettura in Italia - 1600-1750 (1958), Torino 1972, pp. 354-355.
11) C. Norberg-Schulz, Architettura barocca, Milano 1979, p. 127
12) T. Viscuso, Aspetti dell’architettura barocca in Sicilia. Guarini Guarini e Angelo Italia,
Palermo 1979, p. 18
13) H. A. Meek, op. cit., p. 21
14) P. Portoghesi, Guarini, voce dell’Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. VII, Firenze 1958, p.
8.
15) H. A. Millon, Guarini, voce della Macmillan Encyclopedia of Architects, vol. 2, New York
1982, p. 272
16) S. Boscarino, Sicilia Barocca - Architettura e città 1610-1760 (1981), Roma 1997, p. 113.
17) F. Borsi, Guarino Guarini a Messina, in Guarino Guarini e l’internazionalità del Barocco, Atti
del convegno (1968). Torino 1970, pp. 75-76.
18) S. Boscarino, op. cit., p. 114.
19) Per quanto riguarda i documenti scritti “forse una parte degli atti cartacei, ma certamente non
considerevole, è andata perduta nel terremoto del 1908. Viceversa una notevole quantità di
documenti è andata distrutta nell’incendio dei locali dell’Intendenza di Finanza di Messina,
appiccato nei torbidi avvenuti nel 1944.” Da G. Nigro, M. Alibrandi, L’Archivio di Stato di
Messina e i documenti che custodisce (1184-1955), in Archivio Storico Messinese,vol. XVII –
XIX, 1966-68, p 74.
20) H. A. Meek, op. cit., p. 31
21) E. Guidoni, op. cit., p. 59.
22) “Guarino Guarini venne (a Messina) nel 1660 a costruire per il proprio ordine, i teatini, la
chiesa dell’Annunziata, e nella stessa occasione disegnò quella dei Padri Somaschi. Entrambe
andarono distrutte nel 1908, ma si conoscono attraverso incisioni, completate nel caso
dell’Annunziata da una fotografia precedente al terremoto.” A. Blunt, Barocco Siciliano,
Milano 1968, p. 39.
23) M. Accascina, Profilo dell’Architettura a Messina dal 1600 al 1800, Roma 1964, pp. 54-55.
CAPITOLO 3
DESCRIZIONE DEL PROGETTO
La chiesa dei Padri Somaschi fa parte di quella serie di edifici guariniani concepiti a pianta
centrale dove il ruolo della simmetria è estremamente importante e rimanda all’osservazione della
natura tipica del Seicento(1): come la simmetria dei fiori e degli esseri viventi è fonte di bellezza,
armonia, diletto per l’occhio umano, così deve essere l’architettura.
L’edificio ha una struttura molto complessa generata da precise relazioni geometriche che ne
dettano le regole compositive in ogni sua parte;(2) tale struttura è inoltre arricchita da ulteriori
significati religiosi e allegorici che la rendono unica e difficilmente imitabile.
I disegni sui quali oggi si possono effettuare gli studi (tre piante ai diversi livelli, un prospetto e
una sezione) sono stati illustrati per la prima volta nelle tavole XXIX e XXX dei “Disegni” e poi
riprodotti in “Architettura Civile”.(3)
Le dimensioni della chiesa(4) sono sorprendenti: la pianta nel suo punto di massima estensione
raggiunge 44 metri; l’alzato, misurato dalla scalinata d’ingresso alla cima decorata del pinnacolo,
misura 55 metri. Se la chiesa fosse stata realmente costruita a Messina alla fine del Seicento sarebbe
apparsa come uno degli edifici più imponenti della città.
Il prospetto ha una chiara disposizione a cannocchiale: tre corpi sovrapposti indipendenti l’uno
dall’altro, quasi slegati, ognuno con una propria intrinseca compiutezza.
Il primo livello è un’esplosione di decori plastici e architettonici che conferiscono un preciso
movimento alla struttura: i fregi della trabeazione, le nicchie con i Santi dalle vesti svolazzanti
mosse da un vento irreale, le statue poste come acroteri con gesti ampi delle braccia quasi ad
ammonire i passanti, le volute arricciate, i timpani spezzati ricoprono quasi tutta la superficie
disponibile.
Il livello intermedio viene improvvisamente dimezzato di volume e diventa sobrio nelle
decorazioni; è concluso in basso da una balaustra continua che abbraccia il perimetro del tamburo, a
cui fa eco in alto una trabeazione ininterrotta; la zona centrale è scandita ritmicamente da una
semplice teoria di colonne corinzie binate che inquadrano le finestre aperte in ognuna delle sei facce
del tamburo.
Nel terzo e ultimo livello il ritmo ritorna ad essere sincopato: la balaustra, identica alla
precedente, è qui arricchita da nuove statue in movimento; poi, un nuovo tamburo più piccolo le cui
sei facce, bucate da finestre, hanno vertici invisibili perché camuffati da contrafforti dall’inedita
forma a libro aperto; e ancora più su la calotta sferica decorata da nuove sculture sempre più
minute, ma sempre più fitte.
La pianta presenta una complessa articolazione delle masse murarie: il perimetro esterno
descrive un dodecagono irregolare in cui si alternano sei lati lunghi con sei lati brevi. Questi ultimi
si inflettono fino a definire nicchie semicircolari rivolte verso l’esterno. I lati lunghi sono invece
piatti e inquadrati da coppie di colonne corinzie con il fusto scanalato.
Addossate a queste ultime, ma al di qua del muro perimetrale, ritroviamo nuovamente dodici
coppie di colonne con uguali caratteristiche formali, ma di dimensioni ridotte; queste ultime non
sono semplicemente addossate alla parete ma risultano mosse da una forza che
contemporaneamente le allontana dal muro e le trattiene; le colonne sono poste in relazione diretta
sia con la coppia limitrofa e simmetrica, sia con la terna di colonne che delimitano l’ambulacro e
sorreggono il tamburo. Le sei terne di colonne, anch’esse corinzie, sono in effetti costituite da un
pilastro triangolare i cui vertici sono arrotondati e coperti dalla presenza delle tre semicolonne.
La zona periferica dell’ambulacro è completata in altezza da un complesso gioco di archi e volte
che, generandosi gli uni dalle altre, contribuiscono a definire questa parte dell’edificio in modo
autonomo e sorprendente.
In particolare, in coincidenza del lato lungo del dodecagono, troviamo una copertura con volta a
crociera costolonata su base rettangolare. Mentre il lato lungo definisce l’esagono del tamburo
superiore, il lato corto di forma convessa invade lo spazio limitrofo e si pone in relazione con la
volta simmetrica e con il muro concavo della nicchia esterna. Questo nuovo spazio che rimanda
morfologicamente a un triangolo è concluso da una cupoletta poggiata su un piccolo tamburo
fornito di finestrelle da cui entra una luce soffusa. Il deambulatorio riceve luce anche da
particolarissime finestre in cui si legge la dialettica luce-materia in modo suggestivo; qui avviene la
“liquefazione del muro (…) l’inspiegabile contorno mistilineo dell’esterno si spiega osservando
all’interno come la parete sia stata bruciata dietro le silhouettes di due putti reggicorona”.(5)
Tutt’altro tipo di illuminazione, questa volta forte e intensa, invade la zona centrale del tamburo.
Attraverso sei pennacchi riccamente decorati, dall’esagono di base si passa a un cerchio che
delimita la base del tamburo e che a sua volta inscrive e circoscrive due nuovi esagoni; il tamburo è
chiuso da sei pareti regolari in ognuna delle quali si apre una grande finestra. Quest’ultima,
all’esterno, è incorniciata da colonne binate e trabeate, ripetendo lo schema del primo livello.
All’interno i vertici dell’esagono esterno sono il punto di partenza per una nuova invenzione: sei
costoloni che, partendo a coppia da ogni vertice, raggiungono il vertice opposto così da formare una
stella a sei punte e un esagono con i vertici ruotati rispetto a quello esterno. I costoloni, così svuotati
dalla muratura, vengono illuminati dall’alto fornendo al visitatore la sensazione magica di una
cupola diafana che sembra non avere saldi punti di appoggio.
Al terzo livello una nuova invenzione prende forma ricalcando i contorni esagonali dell’intreccio
dei costoloni; qui trova posto un nuovo tamburo più minuto: all’interno le finestre delle pareti sono
scandite da semicolonne incastrate nei vertici. Secondo P. Portoghesi la moltiplicazione dei tamburi
(che troviamo in alcune chiese guariniane a pianta centrale) potrebbe tradire un’insufficienza
inventiva “poiché ricorrendo a modelli tradizionali di aggettivazione per strutture inedite fa
emergere contraddizioni insanabili”; a Messina questo problema viene però superato diminuendo
gli strati sovrapposti (rispetto al progetto del Santuario di Oropa), e armonizzandoli
proporzionalmente.(6)
Una calotta sferica, costolonata all’esterno e cassettonata all’interno, completa la composizione.
La chiesa non presenta una direzionalità accentuata, al contrario uno qualunque dei lati maggiori
del dodecagono potrebbe essere la facciata principale; “è come se fosse stata pensata assolutamente
avulsa da un qualsiasi contesto ambientale che avrebbe dovuto accoglierla”,(7) ma questa
indifferenza per il luogo potrebbe derivare dal carattere teorico e dimostrativo di Architettura
Civile(8) dove gli edifici (anche quelli realmente costruiti) sono rappresentati come esempi concreti
di teorie elaborate dall’autore: l’architettura, la matematica, la teologia, l’astronomia si uniscono e
si giustificano a vicenda, avvalorando l’opera dell’autore.
RUOLO DELLA DECORAZIONE NELLA CHIESA DEI PADRI SOMASCHI
Un altro tema della poetica guariniana è quello della decorazione: il merito di aver studiato
questo aspetto dell’architettura di Guarini va a Manfredo Tafuri.(9) La scissione tra struttura e
decorazione nasce dal fatto che l’apparato decorativo è elaborato secondo schemi e riferimenti
molteplici ed eterogenei che poi vengono assemblati tra loro e sommati alla struttura legandosi in
modo omogeneo. Del resto anche la struttura stessa sembra generata da una somma di elementi
discordanti i quali vengono sapientemente posti in relazione dall’architetto che li associa secondo
nuove regole. Se infatti provassimo a immaginare uno dei tanti progetti dell’architetto modenese
privato della sua decorazione fatta di santi, angeli, putti, animali, fiori, foglie, vasi, stelle, riccioli e
altro ancora, anche la forma stessa perderebbe la sua forza comunicativa e il suo effetto dinamico.
“La natura diviene per Guarini qualcosa da assoggettare alle astrazioni matematiche: la geometria è
chiamata a “vincere” il naturalismo dimostrando che l’esasperazione della razionalità può approdare
al deforme, ma anche, all’inverso, che non esiste deformità da non poter venire filtrata attraverso la
costruzione di artifici intellettuali”.(10) Anche nella chiesa dei Somaschi la decorazione prende il
sopravvento sulla struttura e diventa parte essenziale e inscindibile dal resto. E’ forse qui, più che in
altri progetti, i movimenti ampi delle braccia, la gestualità teatrale, delle figure imploranti che
adornano ogni punto disponibile del prospetto si richiamano direttamente ad una architettura
effimera, una macchina da festa, un oggetto di sicuro richiamo per tutta la popolazione.
Come affermava E. Tesauro, un contemporaneo di Guarini: “Niuna pittura, adunque, niuna
scultura merita il glorioso titolo d’ingegnosa, se non è arguta: e il medesimo dico io
dell’architettura, gli cui studiosi son chiamati ingegneri per l’argutezza delle ingegnose lor opre.
Questo appare in tante bizzarie di ornamenti vagamente scherzanti nelle facciate de’ sontuosi
edifici: capitelli fogliati, rabeschi de’ fregi, triglifi, metope, mascaroni, cariatidi, termini,
modiglioni; tutte metafore di pietra e simboli muti, che aggiungono vaghezza all’opra e mistero alla
vaghezza”.(11)
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NOTE
1) Gli studi sulla simmetria sono citati in: F. Borsi, Guarino Guarini a Messina, in Guarino
Guarini e l’internazionalità del Barocco. Atti del convegno (1968). Torino 1970, p.72.
2) M. Passanti, Nel mondo magico di Guarino Guarini, Torino 1965, pp. 108-111, ha studiato i
progetti di Guarini sottolineandone gli schemi compositivi che li hanno generati.
3) G. Guarini, Architettura Civile (1737), Milano 1968.
4) Nei disegni originali di Guarini le misure sono espresse in “trabucchi piemontesi” che
corrispondono a mt. 3,086.
5) P. Portoghesi, Il linguaggio di Guarino Guarini, in Guarino Guarini e l’internazionalità del
Barocco. Atti del convegno del 1968. Torino 1970, p. 19
6) ivi, p. 17-18.
7) T. Viscuso, Aspetti dell’architettura barocca in Sicilia. Guarini Guarini e Angelo Italia,
Palermo 1979, pp. 21-22.
8) Del resto anche in Palladio ritroviamo la stessa difformità tra le opere costruite e la
rappresentazione delle stesse nei Quattro Libri dove gli edifici sono disegnati simmetrici e
proporzionati, idealizzandoli a scopo didattico, mentre nella realtà gli stessi hanno subito delle
variazioni dovendosi immergere in contesti già densamente costruiti come quelli cittadini.
9) M. Tafuri, Retorica e sperimentalismo Guarino Guarini e la tradizione manierista, in Guarini
Guarini e l’internazionalità del Barocco Atti del Convegno (1968). Torino 1970, pp. 679-682.
10) ivi, p. 680.
11) E. Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, in F. Borsi, op. cit., p. 71.