5
partnerships coi siti online che si occupano di job-posting (detti job boards), il
sito Internet aziendale (nello specifico: la sezione delle Human Resources)
da progettare globalmente in termini di struttura, contenuti, tipologie di
contatto con i potenziali candidati, set di links da e verso l'esterno.
Relativamente al retaining, gli sforzi si dovranno invece concentrare sulle
politiche retributive, sulla soddisfazione connessa all'ambiente di lavoro, sui
programmi di mobilità in termini di percorsi di carriera o anche
semplicemente di spostamenti di location, sulle opportunità di crescita offerte
attraverso periodi formativi, su tutti i programmi di benefits concessi ai propri
dipendenti. Un’attenzione particolare andrà posta poi sulle opportunità fornite
dalle nuove tecnologie web come strumento, a complemento delle altre
azioni organizzative, finalizzato ad accrescere da un lato, la positività e
l’attrattività dell’immagine dell’aziende quali employer, percepita da potenziali
candidati, dall’altro il senso di comunità e di appartenenza e quindi
l'identificazione dei dipendenti con l'impresa. Al centro della filosofia
dell'Employer Branding, la convinzione che l'azienda debba definire e
implementare le proprie strategie di marketing e branding per il recruitment e
la fidelizzazione della forza lavoro con lo stesso impegno con cui lo fa per il
cliente esterno, ma inserzioni e feste aziendali non possono più bastare. È
necessaria un’impostazione strategica professionale e l’utilizzo di strumenti
nuovi.
A riguardo l’iper-complessità attuale del mercato fornisce un forte stimolo.
Infatti le nuove tecnologie legate ad Internet, alle telecomunicazioni e
all’informatica da una parte, e la globalizzazione dei mercati dall’altra,
rendono più confrontabili realtà aziendali di tutto il mondo e richiedono
risposte sempre più efficaci in termini di competitività.
Il seguente lavoro si è preposto di trattare ed analizzare dunque entrambe le
facce della medaglia dell’Employer Branding.
Dopo un’essenziale excursus su quella che è stata l’evoluzione
dell’importanza e del ruolo delle risorse umane nella storia, e dopo aver
delineato il panorama odierno dei mercati del lavoro, dei nuovi scenari
prodotti dalla globalizzazione e dall’avvento e sviluppo delle nuove
6
tecnologie, si è entarati nel vivo della trattazione, con l’illustrazione di ciò che
questa nuova strategia di gestione delle Risorse Umane detta appunto
Employer Branding rappresenta.
La tesi è concentrata su Internet quale canale abilitante per le aziende, in
riferimento particolare alla comunicazione esterna e sul ruolo importante e
strategico che esso assume all’interno dell’employer branding process,
soprattutto dal punto di vista del reruiting marketing. Messi in evidenza i
vantaggi dell’e-recruitment e dell’on-line recruiting advertising l’attenzione si
è poi spostata su altri mezzi messi a disposizione dalla grande Rete, ma che
a risultano ancora poco sfruttati e rapprensetano tutt’oggi qualcosa di
innovativo e di cui incentivare l’utilizzo: blog e business game quali mezzi per
l’Employer Branding. Si è voluto sottolineare che internet soprattutto se
impiegato in maniera professionale ed originale può rappresentare non
soltanto un ausilio aggiuntivo che semplicemente si affianca agli strumenti
tradizionali, ma può anche potenziare fortemente gli effetti di per sé già
vantaggiosi di tale nuova strategia di gestione delle risorse umane.
Grazie ad esso si possono innescare dinamiche comunicative unidirezionali,
bidirezionali e pluridirezionali che se ben progettate, gestite e sfruttate,
possono produrre almeno tre tipi di vantaggi principali per l’Employer
Branding.
Innanzitutto è possibile ottenere una maggiore quantità di informazione utile
su candidati e dipendenti, che aggiunta e integrata con quella già contenuta
nei sistemi informativi aziendali, può portare ad una loro migliore conoscenza
e profilazione, anche e soprattutto in termini di gusti, preferenze, stili e
modelli di comportamento non riferibili solamente alla sfera lavorativa. In
secondo luogo, può svilupparsi un più intenso senso di identità e di
appartenenza alla azienda, alla sua vision e alla sua mission da parte delle
risorse umane, grazie alla circolazione, trasmissione e interiorizzazione
consapevole e /o inconsapevole dei valori, simboli, riti e credenze, che dalla
cultura aziendale derivano e che a loro volta attraverso l’aumento della loro
condivisione la rafforzano. Infine, si possono generare dei meccanismi di
trasmissione e rafforzamento del brand, dell’immagine e della reputazione
7
dell’azienda presso il mercato del lavoro, in maniera rapida ed estesa, con
una conseguente maggiore attrattività presso possibili candidati di talento.
Attraverso lo studio e l’analisi approfondita del caso aziendale L’Oréal, si è
esaminato infine in che modo tutto ciò di cui si è precedentemente parlato
viene effettivamente realizzato all’interno di un Gruppo così importante ed
affermato. Si è indagato sulle strategie di Employer Branding da questo
messe in atto per entrambi i versanti (recruiting e retention), sul modo in cui
internet viene sfruttato all’interno di esse e come viene combinato con gli
strumenti più tradizionali, dedicando un’attenzione e una rilevanza particolare
all’innovativo strumento di recruiting già da qualche tempo utilizzato con
successo da L’Orèal, che è rappresentato dal business game.
8
Primo Capitolo
Le risorse umane come fattore strategico per l’impresa e la guerra
dei talenti
I. 1 Gestione del personale, strategia aziendale e vantaggio competitivo
La gestione del personale può essere definita come il processo articolato e
complesso che riguarda l’acquisizione delle Risorse Umane in azienda, la
loro amministrazione, valutazione, sviluppo e retribuzione.
1
Comprende
quindi un insieme di attività che hanno come riferimento le persone con la
loro intelligenza, le loro emozioni, i loro sentimenti. Gestire le Risorse Umane
significa dunque guardare di volta in volta agli individui secondo un’ottica di
pianificazione, reclutamento, selezione, assunzione, valutazione del
potenziale, ricompensa, comunicazione e clima.
Queste sono tutte aree d’interesse che possono diventare altrettante
specializzazioni, per gestire le quali, le aziende devono definire delle politiche
del personale che poi si traducano in specifiche procedure e metodologie, ed
adottare anche strumenti utili, attuali e confacenti al raggiungimento dello
scopo per cui la singola attività viene svolta.
Nel realizzare ciò le aziende non sono tutte uguali e l’attenzione dedicata da
esse alla gestione delle persone è ancora abbastanza diversificata.
Esistono imprese per le quali la gestione del personale significa la pura e
semplice applicazione di norme, sia di legge che di contratto, che riguardano
il rapporto di lavoro.
Esse si limitano infatti a curare l’indispensabile, che si traduce nell’occuparsi
delle retribuzioni, nel versamento dei contributi agli enti previdenziali, nella
sicurezza del e sul lavoro.
Ci sono altre aziende poi che si possono definire più avanzate e che
rivolgono un’attenzione maggiore alle persone che lavorano al loro interno;
1
Auteri E. (2001) Management delle Risorse Umane. Fondamenti professionali, Guerini e Associati,
Milano.
9
per queste gestire le risorse umane significa considerare le persone in
quanto tali, aventi altre esigenze e necessità oltre a quelle dell’essere
amministrate e retribuite.
Le iniziative che vengono prese da questa tipologia di organizzazioni, però,
possono ancora essere ricondotte al paradigma delle relazioni umane
2
,
risultando dunque ancora poco coinvolgenti, poco partecipative, quasi come
se le persone fossero entità da ritenere distinte e separate dall’azienda e non
ci fosse un collegamento stretto tra la gestione delle stesse e il
raggiungimento degli obiettivi dell’impresa.
I due tipi di atteggiamenti aziendali appena trattati non sembrano tenere in
considerazione il fatto che negli ultimi tempi, i fattori della competitività
stanno, o meglio, sono già cambiati.
Ciò che fa davvero la differenza, in termini di competitività, dipende sempre
più dal modo di lavorare delle persone.
Prende sempre più corpo una terza categoria d’imprese, quelle in cui le
attività di gestione del personale sono in stretto collegamento con gli obiettivi
di competitività e di sviluppo delle aziende. Qui la gestione delle Risorse
Umane si innova, si migliorano le metodologie, si attivano strumenti nuovi in
modo da assicurare sempre alle persone un collegamento stretto e una
2
Grazie alle ricerche condotte da E. Mayo presso la WEC, che estesero il campo di studio in ambito
industriale alla dimensione del “fattore umano” (atteggiamenti, sensazioni, convinzioni, percezioni,
sentimenti dei lavoratori), negli anni 30, prese il via il movimento delle Human Relations. Per la
prima dalla nascita del Taylor-fordismo e dell’orgazanizzazione scientifica del lavoro, infatti,
l’impresa manifestò interesse per la vita non lavorativa del dipendente come fattore importante per il
raggiungimento dei fini economici propri dell’impresa. In questa prospettiva, pertanto, il concetto di
organizzazione subì una trasformazione: da modello razionale, imperniato esclusivamente sui fattori
tecnici ed economici, si passò ad un’interpretazione della realtà aziendale meno deterministica e, per
la prima volta, cominciò a prestare attenzione anche agli aspetti psico-sociologici.
E’ opportuno sottolineare come la teoria sviluppata da Mayo deve essere letta nell’ottica di un
processo di integrazione e di completamento dell’approccio tayloristico e non come soluzione
alternativa volta a scardinarne le basi. Infatti, come la letteratura sociologica ha evidenziato, non
vennero rinnegati i fini aziendali che erano stati precedentemente enucleati dallo Scientific
Management, ma vennero rielaborati alla luce delle nuove condizioni dello sviluppo capitalistico. In
questo senso, rileva Bonazzi, “… non è esagerato affermare che le Relazioni Umane si limitarono
soltanto a fornire una serie di tecniche lubrificanti per far meglio funzionare la macchina tayloristica”.
Ad esempio, non venne negata l’importanza degli incentivi economici quale elemento della
motivazione a lavorare. “Bonazzi G., (2002) Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli,
Milano.”
10
sintonia continua con gli obiettivi aziendali, ma soprattutto vengono
valorizzate.
Sono aziende eccellenti nelle gestione del personale, e questa eccellenza
viene riscontrata puntualmente nella qualità dei prodotti o sevizi forniti al
consumatore finale, ma la si legge anche e soprattutto in termini di
soddisfazione, di clima interno, di motivazione delle persone che in esse
lavorano.
In un contesto socio-economico ad elevata complessità come quello in cui le
aziende odierne si trovano ad operare, a vincere sono quelle che adottano
un approccio evolutivo alla gestione della relazione tra strategia, risorse
umane e struttura aziendale.
In passato in condizioni ambientali stabili e semplici e in una situazione in cui
le conoscenze e il potere decisionale erano molto concentrati al vertice
dell’organizzazione, un approccio lineare poteva bastare per raggiungere e
mantenere un solido vantaggio competitivo.
Secondo il paradigma Strategia-Struttura
3
, infatti, la scelta della “cosa” da
produrre è di tradizionale competenza della Strategia e quella di “come”
produrre, dell’organizzazione.
Una volta definita la strategia da parte dell’imprenditore o della coalizione di
comando, veniva costruita la struttura più adatta ad implementarla, e solo in
ultima analisi, come anello finale di una catena sequenziale di fattori,
venivano inserite le risorse umane.
Fig. 1 Approccio lineare
3
Costa G. (2002) Economia e direzione delle Risorse Umane, Utet, Torino.
Strategia Struttura G r u
11
L’organizzazione dispiega, in un siffatto modello, tutta la propria razionalità
tecnico-economica, imponendo i suoi fini e riducendo gli altri membri che ne
fanno parte a mero strumento.
È evidente un orientamento fortemente programmatorio, che si basa
sull’assunto che i manager sono decisori razionali che dispongono di una
serie di obiettivi a lungo termine e definiscono programmi per realizzarli,
ipotizzando un ambiente prevedibile che poco o nulla influenza
l’organizzazione e le sue azioni.
In presenza però di un ambiente più complesso, turbolento e variabile, come
quello attuale, e di fronte ad una articolazione interna delle conoscenze e del
potere decisionale, il suddetto approccio non è più praticabile. Strategia,
struttura e risorse umane, si influenzano reciprocamente e sono a loro volta
esposte alle influenze del contesto esterno a cui cercano di adattarsi.
L’organizzazione è un sistema che apprende, si trasforma attraverso una
pluralità di soggetti (interni ed esterni) che interagiscono con i mutamenti
ambientali e tali cambiamenti sono causa ed effetto delle azioni definite dalla
strategia.
Fig. 2 Approccio evolutivo
La struttura descritta da questo modello ha la capacità di trasformarsi,
evolversi e differenziarsi sotto la spinta di una pluralità di soggetti individuali
e collettivi (manager, quadri, operai, gruppi professionali, sindacati,
stakeholders in generale).
Strategia Struttura G r u
Strutture di governo delle
transazioni
Strategie degli attori
Ambiente
12
Questo approccio, detto evolutivo
4
, riconosce l’aspetto creativo e relazionale
delle strategie che permettono di dominare e sfruttare, più che subire, la
complessità ambientale e vede l’organizzazione come una costruzione
umana, che è il portato delle strategie concorrenti degli attori che ne fanno
parte, e che convergono su un’azione collettiva intelligente. Si riconosce
dunque un ruolo attivo alle persone e viene considerato essenziale non più
un approccio strumentale alla gestione delle stesse, ma uno costitutivo, che
le investa di un ruolo di primo piano nella creazione del vantaggio
competitivo.
L’individuo deve essere messo nelle condizioni di comportarsi come un
soggetto portatore di un valore originario ed autonomo, con una propria
collocazione nel sistema organizzativo, capace di sviluppare e rigenerare
competenze e relazioni anticipando le esigenze del cliente esterno ed
interno. Le persone devono essere considerate portatrici di un’autonoma
progettualità, di una capacità di innovazione, sviluppo e gestione del proprio
valore e l’azienda deve essere in grado di integrare al meglio tali risorse nella
struttura e nella strategia.
Esistono nell’impresa degli assets che non si materializzano in impianti,
fabbricati, prodotti (Tangible Assets), ma che sono invece definibili
intangibili. Questi non compaiono in bilancio e tuttavia costituiscono il
fondamento del suo potere competitivo.
Parlo del sapere tecnologico, dell’immagine aziendale, delle conoscenze
accumulate sul mercato e sui consumatori, del controllo e del potere di
influenza esercitati sul sistema distributivo, delle competenze del
management, della cultura d’impresa. Sono risorse basate sull’accumulo di
informazione e di conoscenza. Il loro valore non è facilmente quantificabile,
ma se viene opportunamente gestito, non solo si sottrae all’usura del tempo,
ma a differenza di quanto accade per le immobilizzazioni materiali, è
suscettibile di un’espansione cumulativa.
Per ottenere e mantenere un solido vantaggio competitivo le aziende devono
imparare a combinare e gestire sempre di più le proprie risorse immateriali e
4
Costa G. (2002) Economia e direzione delle Risorse Umane, Utet, Torino.
13
più specificatamente, imparare a gestire con successo quello che possiamo
definire il proprio “capitale intellettuale”.
Thomas Stewart definisce il capitale intellettuale la “nuova ricchezza”.
5
L’economia dell’intangibile negli ultimi anni ha ormai di fatto eguagliato in
rilevanza strategica e dimensioni l’economia del tangibile. E ciò non potrà
che avvantaggiare quelle aziende che per prime hanno investito tempo e
risorse nella ricerca dei metodi migliori per valorizzare i propri assets
strategici sul versante delle risorse intangibili.
Prusak definisce il capitale intellettuale come “ il materiale che è stato
formalizzato, incapsulato ed usato come leva per produrre un patrimonio di
maggior valore”, ancora Stewart lo definisce “sapere utile confezionato”
6
.
Dal punto di vista della sua strutturazione esso si compone del:
1) capitale umano: skill, conoscenze e competenze delle persone; è
importante sviluppare procedure affinché dipendenti e collaboratori siano in
grado di sprigionare il massimo potenziale possibile;
2) capitale sociale: relazioni e convenzioni che legano le persone, il valore
dei rapporti di un’azienda con l’ecosistema dei suoi contatti;
3) capitale organizzativo (o strutturale): processi, routine, meccanismi
formalizzati e non, infrastrutture, in altre parole tutto ciò che i professionisti
lasciano nell’organizzazione quando la sera tornano a casa.
5
Epifani S. (2003) Business community. Gestire il capitale intellettuale nella Net Economy,
FrancoAngeli, Milano.
6
Epifani S. (2003) Business community. Gestire il capitale intellettuale nella Net Economy,
FrancoAngeli, Milano
14
Fig. 3 Struttura del Capitale Intellettuale
Per poter produrre valore una risorsa deve avere le seguenti caratteristiche e
soddisfare condizioni quali:
- generare valore;
- essere rara;
- essere inimitabile o non perfettamente imitabile;
- non essere sostituibile.
In accordo con un approccio basato sulle risorse (Resurces Based View), il
vantaggio competitivo dipende dal processo con cui l’impresa, acquisisce e
sviluppa al proprio interno un portafoglio di risorse, competenze e capacità
organizzative specifiche, difficilmente trasferibili e imitabili. Le politiche di
gestione delle risorse umane a riguardo hanno un ruolo costitutivo.
La sostenibilità di una strategia è più problematica quando le abilità e
competenze (individuali) in possesso di poche persone chiave sono critiche
per conseguire e mantenere il vantaggio competitivo, perché c’è il rischio che
lascino l’azienda.
Quando invece il vantaggio competitivo deriva da capacità di gruppi di
persone o dalle competenze dell’intera organizzazione, la sua sostenibilità è
comparativamente più elevata.
In questa prospettiva le imprese competono tra loro non solo nel mercato dei
prodotti, ma anche in quello delle risorse umane, per attrarre le skill e le
competenze migliori, necessarie ai propri processi di creazione del valore. Le
risorse acquisite e sviluppate al proprio interno sono in una certa misura
Capitale Intellettuale
Capitale Strutturale Capitale Relazionale Capitale Umano
Capitale d’innovazione
Capitale di Procedimenti
Capitale Clienti
Capitale fornitori-
partner
15
controllabili, ma l’analisi delle risorse disponibili comprende anche la capacità
di attrarre quelle che si trovano all’esterno, che magari possono trovarsi
nella disponibilità di altre imprese, ma che possono essere mobilitate ed
inserite nel proprio processo aziendale di creazione di valore e vantaggio
competitivo.
Nell’analisi delle risorse quindi devono essere considerate sia le capacità di
acquisizione e di sviluppo delle risorse interne, sia la capacità di attrarre
risorse esterne, poichéqueste sono fonte potenziale di rendite in quanto
valorizzabili, inimitabili, rare e non trasparenti nel loro contributo al risultato, e
possibili generatrici di superiori performance.
Conseguire un vantaggio competitivo attraverso le persone richiede una
direzione risorse umane che operi sempre di più in una prospettiva strategica
e che disponga delle capacità per rispondere alle esigenze del business.
I.2 Il percorso evolutivo della funzione Risorse Umane,
dall’amministrazione del personale al partner strategico:
preludio all’Employer Branding
Rispetto ad altre funzioni aziendali, quella del personale è certamente una
funzione molto più giovane, non vanta infatti la consolidata esperienza della
produzione, né della vendita, o ancora dell’amministrazione, che sono nate
insieme all’impresa.
Il percorso evolutivo che ha portato gli addetti del personale dallo svolgere
compiti meramente amministrativi a quelli di partner strategico del vertice
aziendale, ha richiesto una serie di passaggi intermedi alimentati da una
migliore comprensione dei fattori che rendono un’azienda competitiva e che
ne consentono la trasformazione.
È oggi possibile individuare alcuni modelli alternativi della suddetta funzione,
emersi in fasi evolutive differenti, ancora presenti e che possono convivere
persino all’interno della stessa organizzazione, fino a dar vita ad un ruolo
multiplo.
16
In una prima configurazione definibile “Amministrazione del personale”, la
funzione si caratterizza per una concezione di tipo contabile-amministrativo,
volta ad amministrare il rapporto di lavoro.
Essa ha scarse relazioni con il vertice strategico e con la line operativa, ai
quali evidenzia i vincoli amministrativi e dai quali si limita a ricevere input
informativi, necessari per tradurre le loro scelte gestionali in ordine al
personale, in atti e rilevazioni coerenti con le norme legislative e contrattuali.
La gestione del personale in termini sostanziali viene invece effettuata dal
vertice strategico e dalla line, senza supporti specialistici, e con strumenti
non professionali e politiche formalizzate.
Dal punto di vista organizzativo la funzione Risorse Umane viene dunque
confusa con quella amministrativa. La segmentazione del personale non
viene effettuata se non in grandi categorie definite per via legislativa e
contrattuale (dirigenti, quadri, operai).
In questo tipo di assetto, la cultura, i valori di riferimento e gli orientamenti del
personale possono anche essere diversi da quelli espressi dall’impresa nel
suo complesso.
Tale configurazione la si può tuttora riscontrare più facilmente in
organizzazioni di piccole dimensioni, in grandi imprese burocratizzate e nelle
pubbliche amministrazioni.
In una seconda alternativa, si può parlare invece della funzione “Gestione
del personale”. Qui il task è caratterizzato sia in termini amministrativi che
gestionali. La direzione del personale definisce le politiche specifiche e offre
al vertice strategico e alla line operativa i supporti tecnici per implementare le
loro scelte strategiche e gestionali in termini di risorse umane, godendo di
due tipi di autonomia:
- un’autonomia specialistica, che deriva da una collocazione organizzativa
che la vede ora nella posizione indipendente di staff, con il compito di fornire,
senza però potere e responsabilità diretti sulla gestione dei dipendenti,
strumenti professionali specifici (ad es. tecniche di selezione, check up
retributivi, analisi motivazionali).
17
Questa seconda alternativa tipologica si adatta meglio a imprese di più
elevate dimensioni e riveste un ruolo di consulenza interna per il vertice e la
line;
- un’autonomia politica, che conferisce ai responsabili del personale un
potere diretto sulle politiche delle risorse umane. Dal punto di vista
organizzativo la funzione risponde direttamente ai vertici aziendali ed ha
un’autorità funzionale sulla line per tutti i problemi che riguardano i
dipendenti.
Le politiche del personale si collocano, in ogni caso, rispetto alla strategia
aziendale ancora in posizione residuale ed adattiva o interdipendente. La
professionalità degli addetti risulta generica per ciò che concerne la gestione
aziendale, la loro cultura ancora troppo tecnocratica e la valutazione delle
performance è basata su criteri di efficienza ed efficacia. A prevalere è
un’ottica di breve periodo e di soluzione di problemi specifici, con un
orientamento strategico rivolto al costo e all’ottimizzazione del rapporto costi-
benefici delle diverse politiche del personale.
La terza configurazione è definita invece “Direzione e sviluppo delle
Risorse Umane”.
Le politiche sono in questo caso concepite in relazione alla strategia
dell’impresa ed evolvono con essa in una visione sistemica dei rapporti tra
organizzazione, ambiente e attori sociali. La direzione risorse umane si
integra nei massimi livelli decisionali dell’organizzazione ed è focalizzata
sulle problematiche strategiche, in una posizione proattiva.
La segmentazione del personale diviene molto sviluppata ed è alla base di
un vero e proprio marketing interno. Si tratta di una segmentazione
pluridimensionale, che procede in senso orizzontale (funzionale),
professionale e culturale, fino ad arrivare alla crezione di politiche
personalizzate su certi gruppi professionali o addirittura per alcune figure
chiave.
La collocazione organizzativa, come per la configurazione precedente,
rimane ancora quella di staff per esigenze di concentrazione di alcune
funzioni, nella necessità di affidarle a dirigenti di alta professionalità specifica
18
e per mantenere ancora una certa autonomia rispetto alla line. E’ però da
sottolineare un rapporto più forte tra uomini del personale e quelli della line
soprattutto per esigenze di supporto e responsabilizzazione di quest’ultimi.
La professionalità degli addetti diviene elevata sia sugli aspetti tecnici che di
gestione e sviluppo dei dipendendenti. Il criterio dominante per valutare le
performance della direzione del personale diviene la capacità di alimentare il
vantaggio competitivo, attraverso lo sviluppo di caratteristiche distintive dei
collaboratori aziendali.
Questa terzo modello è fortemente focalizzato sulla gestione di quelli che
abbiamo definito “invisibile assets”, concentrandosi nell’incremento del loro
valore e nella continua ricerca di coerenza con la strategia dell’impresa, con
le condizioni ambientali e l’organizzazione interna.
Tale alternativa è la più diffusa in aziende medie e grandi, orientate
all’innovazione di prodotto e di mercato che affrontano contesti sociali
sviluppati, ambienti perturbati e innovativi e mercati del lavoro differenziati.
La quarta ed ultima configurazione infine fa riferimento al modello di Ulrich.
Si può parlare di una direzione multiruolo.
Fig. 4 Modello di Ulrich
Agente di
cambiamento
Business
Partner
Employee
Champion
Gestore
Processi Persone
Focus strategico
Orientamento di
lungo periodo
Focus operativo
Orientamento breve periodo
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I ruoli sono ordinabili su due assi: quello verticale riguarda il focus (strategico
e operativo) e l’orientamento (di breve e di lungo periodo), quello orizzontale i
processi e le persone, si vengono così a formare quattro quadranti, uno per
ogni ruolo.
In alto troviamo i ruoli più strategici:
- il business partner contribuisce ad assicurare il successo dell’impresa
aumentando la capacità dell’organizzazione di definire ed implementare la
strategia;
- l’agente di cambiamento si sostanzia della abilità dei professionisti delle
risorse umane nel migliorare la capacità dell’azienda di progettare e
implementare i cambiamenti organizzativi, con particolare catalizzazione
della cultura aziendale;
- il gestore è forse il ruolo più tradizionale, che richiede la sicura
realizzazione di procedure efficienti ed efficaci per la selezione, la
formazione, la valutazione e la remunerazione delle persone;
- l’employee champion gestisce il contributo degli individui assicurando lo
sviluppo del loro coinvolgimento e delle competenze.
7
Quest’ultima configurazione risulta dunque la più completa, essa ingloba
infatti tra le proprie competenze quelle di tutte le precedenti.
Necessariamente dunque la direzione delle risorse umane dovrà concepire il
proprio ruolo ed i propri obiettivi in coerenza con la mission aziendale.
I referenti di tale funzione, ossia i dipendenti, in un ottica di servizio, potranno
e dovranno essere definiti “clienti” e venire segmentati, per poter
differenziare i servizi ad essi dedicati in funzione dei loro bisogni, delle loro
motivazioni, e delle loro caratteristiche.
Infine la strategia, la cultura e i valori aziendali dovranno essere
costantemente presidiati da tale funzione.
7
Costa G., Gianecchini M. (2005) Risorse Umane, persone relazioni e valore, McGraw-Hill, Milano.