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sembra avere più chiarezza grazie alla paleogenetica e ai recenti ritrovamenti nella
Sierra di Atapuerca (dal 2000 Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO), presso
Burgos. Da ciò nasce l’idea di intraprendere il soggiorno di studio in Spagna in uno
dei siti preistorici più significativi della storia umana. Il giacimento, infatti,
costituisce una significativa tappa dell’evoluzione umana in Europa e, dunque, della
successiva comparsa dei neandertaliani. I resti fossili rinvenuti ad Atapuerca nei siti
della Sima de los Huesos e della Gran Dolina hanno allargato sul piano cronologico il
panorama delle possibili ipotesi relative al primo insediamento umano nel continente
europeo. Per finire ho discusso dello scenario ambientale in cui visse e si spostò
l’uomo di Neandertal, con particolare attenzione ai siti italiani e alle variazioni
paleoambientali che la caratterizzarono nel periodo della sua massima diffusione.
Infine, ho preso in considerazione la Sardegna e le tracce più verosimili
dell’eventuale passaggio dell’Homo neanderthalensis testimoniate dagli autori Blanc
e Maxia nelle grotte marine di Cala Ilùne nel Golfo di Orosei. Attraverso
l’esplorazione della zona durante un’escursione organizzata dai docenti Rosalba
Floris e Carlo Spano, rispettivamente relatrice e correlatore, ho potuto prendere in
esame i solchi di battente formatisi durante la glaciazione würmiana in seguito ad un
notevole abbassamento del livello marino e la successiva formazione di una pianura
costiera. L’instaurarsi di una fase continentale, infatti, potrebbe aver permesso la
frequentazione umana in epoca prenuragica.
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1. LA COMPARSA E L’ORIGINE DELL’UOMO DI NEANDERTAL
Nel corso di un lungo lasso di tempo, che comprendeva la fase finale della glaciazione
rissiana (tra 186 e 130.000 anni fa), l’interglaciale Riss-Würm (tra 130 e 115.000 anni
fa), la prima parte della glaciazione di Würm (tra 115 e 58.000 anni fa) e
l’interpleniglaciale würmiano (tra 58.000 e 30.000 anni fa), in tutta Europa, nel
Vicino Oriente e in una parte dell’Asia centrale (Uzbekistan), era diffuso l’uomo di
Neandertal.
Un tempo considerato come una specie a sé stante, è stato visto, in seguito a più
approfondite ricerche, sotto una luce diversa e classificato come un membro
dell’Homo sapiens, per poi tornare nuovamente a negare, alla luce dei più recenti
dati archeologici e delle analisi del DNA, l’appartenenza dell’uomo di Neandertal e
dell’uomo moderno ad un’unica specie.
I primi neandertaliani fecero la loro comparsa durante l’interglaciale Riss-Würm,
ma prosperarono e si diffusero durante la successiva glaciazione Würm, adattandosi,
per la prima volta, a climi freddi e inospitali. Nell’ultimo milione di anni, infatti, il
mondo fu interessato da una successione di periodi freddi, durante i quali
l’espansione dei ghiacciai ricoprì fino al 30% delle terre emerse, interrotti da periodi
più caldi, durante i quali la temperatura media fu anche superiore a quella di oggi.
L’interglaciale Mindel-Riss fu il più lungo e il più temperato, quindi il più favorevole
ad un’ampia diffusione degli uomini. In questa lunga epoca essi si spinsero più a
Nord di quanto non fosse mai avvenuto prima. A questo periodo seguì la glaciazione
Riss, la più lunga e fredda. Nel ritrovamento di reperti vi è un vuoto proprio
corrispondente a questa epoca di quasi 150.000 anni. Il rigore del clima aveva
costretto tutte le popolazioni a scendere sempre più a Sud e, quasi sicuramente, a
contrarsi come numero.
Data la loro diffusione, i neandertaliani vengono suddivisi in due gruppi in base a
criteri cronologici e alla loro differente morfologia:
• Il gruppo più antico è quello dei neandertaliani pre-würmiani, rappresentato
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dalle forme vissute durante l’ultimo interglaciale (Riss-Würm).
• Il gruppo più recente, caratterizzato da una bassa variabilità, è quello dei
neandertaliani classici, vissuti nel periodo würmiano e molto più specializzati
rispetto al gruppo precedente.
Il nome di questo gruppo umano deriva dalla gola di Neander, situata tra Elberfeld
e Düsseldorf, profonda 53 m, sul cui fondo scorre un affluente del Reno, il Düssel. In
questa gola si ritivava a scrivere e a comporre Joachim Neumann (1650-1680),
autore di canti liturgici, che adottò come secondo nome una forma grecizzata del
proprio cognome, Neander, ed è in suo onore che quella parte della valle del Düssel
venne chiamata Neander Thal. Lungo i fianchi della valle vi sono diverse caverne,
la maggiore delle quali, posta a circa 20 m di altezza sopra il fondovalle, divenne
celebre.
La prima scoperta risale all’agosto 1856, quando vi furono condotti lavori per
sfruttarla come cava di calcare. Un deposito di argilla di due metri di spessore la
ostruiva quasi completamente e, per questa ragione, gli operai cominciarono a
rimuovere il deposito e alla profondità di circa 1,5 m si resero conto della presenza di
ossa. Il proprietario, pensando che si trattasse di ossa di orso delle caverne,
comunicò la notizia della scoperta al prof. Johann K. Fuhlrott (1804-1877), il quale
prese i reperti (comprendenti una calotta cranica, una clavicola, una scapola, due
omeri, due femori, parte del bacino, alcune costole), e fece un sopralluogo alla
caverna. Fuhlrott studiando le ossa, capì immediatamente che si trattava di un tipo
umano primitivo, ancora sconosciuto, e si rivolse ad Hermann Schaffhausen,
professore di anatomia all’università di Bonn. Nel febbraio 1857 entrambi
presentarono l’enigmatico ritrovamento a una riunione della Società Medica e di
Storia Naturale del Basso Reno.
Fuhlrott sostenne l’antichità dell’uomo di Neandertal, basandosi sulla profondità in
cui era stato rinvenuto e sulla marcata mineralizzazione delle ossa. Schaffhausen
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mise in rilievo che pur essendo umano, lo scheletro era differente da qualunque altro
finora conosciuto. L’aspetto che colpì maggiormente era la calotta cranica di grandi
dimensioni ma bassa e con inusuali rilievi sopraorbitari che si ritrovano soltanto nel
gorilla, oltre che la robustezza delle ossa.
La conclusione non priva di dubbi fu che i resti dovevano appartenere ad un
membro di una qualche antica popolazione di aspetto primitivo che aveva abitato la
regione prima che fosse occupata dagli antenati degli attuali abitanti.
La successiva pubblicazione di Schaffhausen attirò l’attenzione degli studiosi inglesi.
Il suo articolo, infatti, fu tradotto nel 1861 dall’anatomista Busk, che permise la sua
divulgazione in lingua inglese. Nel 1864 il geologo William King, dopo aver studiato
il caso, definì una nuova specie umana che chiamò Homo neanderthalensis.
Al contrario, in Germania l’interpretazione di Schaffhausen fu respinta e prevalse
l’opinione che i resti dovevano essere attribuiti ad un individuo di età recente affetto
da deformazioni patologiche. Queste interpretazioni errate cessarono di essere prese
in considerazione grazie a Gustav Schwalbe nel 1901, che ribattezzò i resti dell’uomo
di Neandertal come Homo primigenius.
In quello stesso periodo, numerosi nuovi ritrovamenti dimostrarono l’antichità e
l’effettiva esistenza di un tipo umano differente da quello attuale. Negli anni 1911-
1913 Marcelin Boule pubblicò uno studio dettagliato della sepoltura de La Chapelle
aux Saints, fornendo un’interpretazione che per molto tempo sarebbe rimasta un
punto di riferimento di grande importanza. Boule evidenziò gli aspetti primitivi del
Neandertal, ricostruendo in modo non esatto le parti mancanti dello scheletro ed
attribuendogli un’andatura non perfettamente eretta come quella dell’uomo
moderno.
Boule giustificò le ragioni di questo con una mancata ascendenza dall’uomo
moderno e non si rese conto che l’uomo della Chapelle aux Saints era affetto da gravi
deformazioni artritiche localizzate nella colonna vertebrale. Ciò lo condusse ad
interpretazioni del tutto errate.
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Gli uomini di Neandertal avevano statura di 1,50-1,65 m circa, con andatura
perfettamente eretta. Le ossa delle loro gambe sono molto più robuste di quelle
dell’uomo attuale e denotano una potente muscolatura. Il corpo era di aspetto tozzo
in conseguenza ad una forma di adattamento al clima freddo, con spalle larghe e con
gambe ed avambraccio corti.
La struttura corporea dei neandertaliani era, infatti, adatta alla conservazione del
calore. Molti sono gli aspetti morfologici che confermano questo fatto, tra cui la
grande ampiezza delle cavità nasali, che permetteva all’aria inspirata di riscaldarsi
più rapidamente prima di raggiungere i polmoni.
La differenza fondamentale con l’uomo moderno si vede nella morfologia del cranio
(Fig. 1 e 2).
Il neurocranio presenta il frontale basso e sfuggente con grande lunghezza e
larghezza e notevole capacità cranica (da 1300 a 1740 cm3 con una media di circa
1520 cm3 e quindi maggiore di quella dell’uomo attuale), il contorno subcircolare in
norma occipitale con larghezza massima a livello della metà dei parietali, l’occipite a
forma di chignon, un forte toro occipitale orizzontale non incurvato come nell’uomo
moderno, una caratteristica depressione soprainiaca e il processo mastoide piccolo. Il
grande sviluppo dei seni frontali e mascellari ha determinato la formazione di una
massiccia arcata sopraorbitaria continua e un forte sviluppo della regione naso-
mascellare, con una mascella molto grande e proiettata in avanti con forte
prognatismo facciale.
Inoltre, un’altra caratteristica tipica del Neandertal è la morfologia della regione
facciale, il cui profilo in norma frontale è quasi diritto e non concavo come nell’uomo
moderno. La mandibola, inoltre, è molto robusta e priva di mento. Per quanto
riguarda i denti, gli incisivi sono più grandi che nell’uomo attuale ed hanno una
particolare forma a paletta; i premolari e i molari presentano un ingrandimento della
cavità pulpare (taurodontismo) e radici in genere fuse e, inoltre, nel ramo ascendente
della mandibola è presente uno spazio libero (diastema retromolare).
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Il numero di reperti ossei giunto fino a noi è estremamente elevato. I più significati
sono stati scoperti in Francia (almeno 25 località, fra cui La Chapelle aux Saints, La
Ferrassie, La Quina, Le Moustier, Saint Cesaire), nella penisola iberica (almeno 8
località, fra cui Gibilterra), in Italia (una dozzina di località, fra cui Saccopastore, il
Circeo e Altamura), nel Belgio (4 località, fra cui Engis e Spy), in Germania (7
località, fra cui la valle di Neander), in Moravia e Slovacchia (almeno 5 località), in
Croazia (Krapina, grotta di Vindija), in Ucraina (5 località), a Shanidar nei Monti
Zagros iracheni, in Palestina (Tabun, Amud, Kebara) e a Teshik-Tash,
nell’Uzbekistan.
Alcuni di questi reperti testimoniano un grande miglioramento delle condizioni di
vita, legato probabilmente allo sviluppo culturale, nonché la comparsa di
comportamenti totalmente nuovi nella storia dell’uomo. Con l’uomo di Neandertal,
infatti, si hanno le prime chiare testimonianze di sepolture intenzionali e di riti
magico-religiosi.
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2. STILE DI VITA E CULTURA DELL’UOMO DI NEANDERTAL
2.1. LA CACCIA E L’INDUSTRIA LITICA
L’uomo di Neandertal viveva di caccia e di raccolta del cibo. La dieta di un animale
è rivelata dal tasso di concentrazione dell’isotopo del carbonio 13C e dell’azoto 15N:
nei carnivori è alto quello di 15N, mentre negli erbivori è alto quello di 13C. Le analisi
condotte sul collagene delle ossa di neandertaliani per determinare le concentrazioni
di 13C e di 15N, hanno dimostrato che la loro dieta era quella di un carnivoro a metà
strada tra un lupo, che consuma praticamente solo carne, e una volpe, che oltre alla
carne consuma saltuariamente anche frutti, grano e fogliame. Per quanto riguarda le
tecniche di caccia utilizzate, il dibattito è ancora aperto.
Binford sosteneva che il Neandertal fosse un animale spazzino, necrofago, più che un
cacciatore. La tesi opposta a questa è che fosse un cacciatore altamente
specializzato. La documentazione archeologica sembra indicare una via di mezzo: i
neandertaliani erano dei veri cacciatori, ma non molto specializzati. Essi potevano
cacciare o anche sfruttare qualunque preda si trovasse nel loro territorio, senza
praticare una forma specializzata di caccia e senza concentrarsi su alcune specie
piuttosto che su altre. I neandertaliani cacciavano utilizzando lance di legno, sulle
quali spesso venivano montate delle punte di selce. Non avendo tecniche di lancio a
distanza quali quelle consentite dall’arco o dal propulsore, erano costretti ad
affrontare gli animali a distanza molto ravvicinata. Probabilmente è a questa
pratica che si deve l’alto numero di lesioni traumatiche che si riscontrano sulle loro
ossa. Il riparo di La Quina in Francia documenta l’utilizzo di un’altra tecnica di
caccia, che consisteva nello spingere gli animali verso punti ristretti o verso un
dirupo presso i quali si trovavano appostati in agguato altri cacciatori. Infatti, alla
base del dirupo di La Quina sono state rinvenute ammucchiate molte ossa di bovidi,
cavallo e renna, macellati sul posto dopo essere stati uccisi in questo modo. In
Europa occidentale i neandertaliani cacciavano soprattutto cervidi nella prima fase
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del Würm, bue primigenio, bisonte e cavalli durante la seconda fase più fredda e
secca, mentre alle latitudini più meridionali le principali prede erano lo stambecco e
la renna. Occasionalmente venivano cacciati anche l’orso e il mammuth. I
mammiferi di media taglia come cervo, renna, stambecco, camoscio, erano
trasportati interi al campo base e qui scuoiati e macellati. Animali di dimensioni
maggiori come il Bos primigenius, il bisonte e il cavallo venivano macellati nel luogo
di abbattimento, dove era poi abbandonata la colonna vertebrale, mentre gli arti
erano trasportati al campo base. I neandertaliani erano stanziali e rimanevano tutto
l’anno nella stessa area. Per questo motivo potevano andare incontro a forti stress
nutrizionali in determinate stagioni dell’anno. Questo fatto sembra essere
confermato dall’analisi dei denti. Infatti, un’analisi condotta su 300 resti
neandertaliani ha riscontrato un tasso del 40% di ipoplasia. Tale patologia consiste
in un mancato sviluppo completo dei denti ed è associata sempre a stress nutrizionali
nei primi sette anni di vita.
La presenza di bruciature all’estremità delle ossa lunghe attesta che a volte la carne
veniva cotta e, inoltre, i focolari riscontrati nei siti di abitazione dimostra che gli
uomini di Neandertal sapevano usare il fuoco ed erano anche in grado di riprodurlo.
Tutte le tecniche di caccia e di macellazione così come l’uso del fuoco, sono frutto di
nuovi stimoli e idee che fanno parte della nuova cultura associata all’uomo di
Neandertal: la cultura musteriana, di cui si discuterà più dettagliatamente nel
paragrafo successivo. L’industria litica si fa molto più ricca rispetto alle precedenti.
Infatti, fanno la loro comparsa strumenti più specializzati in funzione del loro
impiego. Accanto ai tradizionali utensili per la caccia, ulteriormente migliorati, per
la prima volta si fabbricano degli strumenti detti “raschiatoi”, di varie forme e
dimensioni e utilizzati per lavorazioni diverse. Uno degli impieghi più frequenti dei
raschiatoi doveva essere la lavorazione delle pelli: taglio, scarnificazione, pulizia,
ammorbidimento, operazione quest’ultima che veniva fatta anche utilizzando i
denti, come ancora fanno oggi gli Esquimesi. Il rinvenimento di punteruoli indica
che erano in grado di forare le pelli per tenerle poi insieme con lacci, probabilmente
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sempre di pelle. Con le pelli così lavorate i neandertaliani si confezionavano
indumenti, coperte e ripari ben isolati. Fu questo l’avvenimento culturale che li
avvantaggiò e permise loro di sopportare climi freddi ed abitare zone settentrionali,
dove i grossi animali erano più abbondanti. Di questi animali utilizzavano, oltre alla
carne ed alle pelli, il grasso, per farne torce per illuminazione, e le corna e le zanne,
per farne altri strumenti.
Un aspetto singolare della cultura musteriana fu la raccolta di oggetti
apparentemente inutili. Raccogliere e fabbricare qualcosa che non aveva una utilità
pratica, ma che aveva un puro valore estetico, è il segnale che qualcosa di nuovo
stava avvenendo nel loro cervello. Corna con strane incisioni, cristalli di quarzo
rinvenuti lontano dal posto dove potevano essere raccolti, ciottoli incisi o colorati
sono stati trovati in diversi luoghi abitati dai neandertaliani.
La domanda che ci si può fare è se le innovazioni culturali che si osservano negli
ultimi neandertaliani provengano dal contatto con gli uomini moderni. La questione
resta ancora oggi irrisolta a causa dell’esiguo numero di resti umani e dei limiti dei
metodi di datazione per questo periodo. Per molto tempo si è ritenuto che l’arrivo
degli uomini moderni in Europa risalisse a circa 40.000 anni fa: portatori di nuove
tecnologie, di oggetti di ornamento personale, di utensili in osso, sarebbero stati loro
a trasmettere (per imitazione o per acculturazione) le loro conoscenze tecniche e la
loro arte a qualche gruppo di neandertaliani. Alcuni ricercatori hanno persino messo
in dubbio il fatto che i neandertaliani abbiano fabbricato in prima persona gli
ornamenti e gli utensili in osso, preferendo spiegazioni alternative per il loro
rinvenimento in alcuni siti francesi. Tra le ipotesi avanzate c’è quella che i
neandertaliani abbiano raccolto o ricevuto in scambio oggetti fabbricati da uomini
moderni vicini, oppure che si tratti di un semplice mescolamento degli strati
archeologici. Alcuni studi recenti dimostrano che i neandertaliani sono gli autori
degli ornamenti personali e delle punte in osso ritrovate nel sito della Grotta della
Renna: a testimoniarlo sono l’abbondanza degli scarti di fabbricazione degli oggetti
in questione negli strati più profondi del sito, in contraddizione con l’idea di un loro
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mescolamento, e il nuovo studio dei numerosi denti umani isolati, scoperti negli
stessi strati, tutti attribuiti ai neandertaliani. Inoltre, i punteruoli in osso ritrovati
nel sito e decorati con motivi astratti, mostrano differenze tecniche sostanziali
rispetto a quelli fabbricati dagli uomini moderni dell’Aurignaziano. Anche le
tecnologie su cui si basa la realizzazione degli utensili in pietra degli ultimi
neandertaliani non presentano alcun apparente legame con le tecniche introdotte in
Europa dagli uomini moderni, ma sembrano essere il risultato di sviluppi
completamente autonomi di tradizioni culturali locali, già affermate prima
dell’arrivo dei sapiens in Europa. Stando a queste teorie e secondo alcuni ricercatori,
tra cui Francesco d’Errico, gli ultimi neandertaliani stavano già sviluppando la
propria transizione verso il Paleolitico superiore, almeno in Europa occidentale,
molto tempo prima che gli uomini moderni si stabilissero nelle stesse regioni.
Ma l’aspetto più sorprendente di tale cultura fu l’usanza di seppellire i morti, forse
inizialmente determinata dal desiderio di sottrarre il corpo dei loro defunti alla
profanazione dei carnivori e, quindi, implicante una forma di rispetto, prima
totalmente sconosciuta.
2.2. IL MUSTERIANO E LA TECNICA LEVALLOISIANA
Il termine Musteriano, derivato dalla località omonima di Le Moustier in Dordogna
(Francia), designa l’insieme delle industrie del Paleolitico medio. Le industrie litiche
musteriane rappresentano lo sviluppo di quelle già note durante il Paleolitico
inferiore rispetto alle quali, però, documentano le seguenti caratteristiche di
innovazione tecnologica:
perfezionamento della tecnica di scheggiatura levalloisiana;
perfezionamento della tecnica di lavorazione dei bifacciali;
differenziazione e standardizzazione degli strumenti su scheggia, in particolar
modo delle punte e dei raschiatoi;