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Capitolo primo
QUADRO STORICO-TEOLOGICO DEL
PENSIERO BONHOEFFERIANO
1. Cenni storici-biografici
Era il 5 aprile 1943 quando Bonhoeffer compiuti da poco i 37
anni, fu arrestato. Si ritrovava, comunque, alle spalle un curriculum di
grande spessore, sia dal punto di vista scientifico che sul piano
dell’attività ecclesiale. Era nato il 4 febbraio 1906 a Breslau da Karl
Bonhoeffer e Paula von Hase, da una famiglia della media borghesia
prussiana. “Bonhoeffer nutrì il desiderio di divenire pastore e teologo
già fin da bambino, e lo mantenne, presumibilmente senza essenziali
interruzioni, fin che non l’ebbe realizzato. […] In parte era interessato
in parte si annoiava per le banalità”.
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Nel 1927 si laurea in teologia discutendo la tesi Sanctorum
Communio, poi pubblicata nel 1930; Atto ed Essere, tesi d’abilitazione,
pubblicata nel 1931, anno in cui, a luglio, segue per due settimane
l’insegnamento di Karl Barth, a Bonn, e nell’agosto riceve la libera
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E. Bethge, Dietrich Bonhoeffer. Una biografia, Queriniana, Brescia 1975, 37.
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docenza presso la Facoltà teologica dell’Università di Berlino; fa
seguito la sua ordinazione, l’11 novembre dello stesso anno.
Maturata la decisione di abbandonare la carriera universitaria, si
apre nella vita di Bonhoeffer una fase di passaggio; infatti, nell’aprile
del 1935, lasciata Londra, dove gli era stata affidata la cura di una
parrocchia, si trasferì a Finkelwalde accettando per un biennio, di
dirigere il seminario presso Stettino per la formazione dei futuri
pastori della Chiesa Confessante, dove nel 1936 inizia a lavorare sulla
stesura di Nachfolge (Sequela) che uscirà il 27 novembre del 1937.
Il 5 agosto 1936 Bonhoeffer si vide togliere dal regime, così
come Barth, la facoltà di insegnare nell’università. Nel mese di giugno
del 1938, con 45 pastori ex-alunni del seminario di Finkelwalde, si
prepara ai compiti della resistenza. Inizia, così, a scrivere Gemeinsames
Leben (Vita comune) che poi pubblicherà nel 1938. Nel 1940 compie
diverse azioni di resistenza e d’aiuto agli ebrei. In settembre-ottobre
inizia a lavorare sui temi etici, non portati a termine, ed è per questo
motivo che nelle lettere dal carcere così si esprime: “ Sul piano
personale mi rimprovero di non aver concluso l’etica”.
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Di questi
lavori sull’etica i risultati sono stati pubblicati postumi da Bethge col
titolo a noi oggi conosciuto di Etica.
Il 5 aprile 1943 Bonhoeffer e von Dohnanyi, suo cognato,
vennero arrestati perché sospetti di partecipazione alla resistenza e alla
congiura contro Hitler anche se, all’inizio, l’accusa fu quella di alto
tradimento. Bonhoeffer fu portato inizialmente nella prigione di Tegel
a Berlino.
Certamente, fin da principio, per lui fu chiaro che partecipare
alla resistenza nel gruppo dell’ammiraglio Canaris lo avrebbe condotto
a misurarsi fino in fondo con la responsabilità politica del cristiano,
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Dietrch Bonhoeffer, Resistenza e Resa, Edizione Paoline, Cinisello Balsamo (MI),
1989²,194.ibid.,446.
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compresa quella dell’uccisione del tiranno.
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Era stato uno dei capi
della Chiesa Confessante nella lotta contro i Cristiani tedeschi e il Terzo
Reich, ed uno dei pochi teologi che avevano osato opporsi ad Hitler.
Il 20 luglio 1944 fallisce l’attentato a Hitler; si scatena così la
reazione. Bonhoeffer è trasferito l’8 ottobre dal mite carcere di Tegel
alla prigione del Quartier Generale della Gestapo sulla Prinz-Albrecht-
Strasse. Dopo diverse settimane amici e parenti lo perdono di vista.
Solo più avanti, attraverso la testimonianza degli scampati, fu possibile
ricostruire gli ultimi giorni della vita di Bonhoeffer e, soprattutto, i
momenti prima di essere giustiziato. Il 7 febbraio 1945 viene trasferito
nel lager di Bunchelwalde. Il 3 aprile da Bunchelwalde è condotto a
Ratisbona. Il 6 aprile viene ulteriormente trasferito a Schönberg, dove
s’illude che sia arrivata l’ora della liberazione. Ricercato da una
macchina poliziesca, verrà portato nel campo di concentramento di
Flossenbürg. Durante la notte dell’8 aprile 1945, il tribunale lo giudicò
e lo condannò a morte. Il 9 aprile alle incerte luci dell’alba, D.
Bonhoeffer saliva sul patibolo. Lascerà nella propria cella i suoi due
ultimi libri, la Bibbia e Goethe. Fu ucciso quando non aveva ancora
quarant’anni. La motivazione della condanna: resistenza.
Nel 1949 viene pubblicata l’Etica e nel 1951 si ha la
pubblicazione delle lettere dal carcere, dal titolo di Winderstand und
Ergebung (Resistenza e Resa).
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“La sequela di Gesù Cristo, mediante la quale si partecipa alla sostituzione vicaria del
Cristo, è ciò che ha permesso a Bonheffer, nonostante il suo primitivo pacifismo, di
rispondere positivamente alla richiesta fattagli, di mettere le sue relazioni nell’ambiente
ecumenico a disposizione della resistenza a Hitler. E, contro le obiezioni fino adesso molto
diffuse, secondo cui proprio questo non farebbe parte del compito di un parroco. Ed
anche il suo impegno deciso per la pace, già nel 1932, e propriamente poi nel 1934, non ha
impedito che egli si assumesse anche la responsabilità per un attentato armato. Il pacifismo
di Bonhoeffer non era un pacifismo di principio, ma un pacifismo che doveva restare
ancorato alla situazione concreta. Nella “necessità” estrema, a lui apparve “comandato”
questo impegno estremo. Che in nessun caso si potesse avere semplicemente una
coscienza “pura”, nella scelta fra l’alternativa di dover lasciare fare ad Hitler a causa del
quinto comandamento, oppure di partecipare come “ultima ratio” all’attentato contro di
lui, fu l’esperienza che segnò Bonhoeffer in maniera profondissima. Egli credette tuttavia –
a ragione – che la sua fosse, anche così, una strada nella sequela e che la sua prigionia
costituisse una partecipazione alla “sofferenza messianica” del Cristo” (G. Ruggieri, Dietrich
Bonhoeffer. La fede concreta, il Mulino, Bologna 1996, 120-121).
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2. Fede, testimonianza e martirio: l’etica vissuta
2.1 Intreccio tra vita e dottrina
Parlando di Dietrich Bonhoeffer ci è dato di assistere ad un
intreccio strettamente condizionante tra la vita di un uomo e la sua
dottrina. I suoi contenuti derivano, da vicende sempre biografiche, ed
hanno, così, una giustificazione profonda. Anche il teologo G.
Ruggieri afferma che “in lui biografia e teologia facessero un tutt’uno,
mi è apparso evidente fin dal primo inizio”.
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Bonhoeffer è stato tra
quelli che volevano eliminare Hitler, il tiranno. È divenuto martire
rendendosi colpevole, di fronte alla legge, di una trasgressione politica,
motivata dall’adesione alla causa di Cristo. Alla domanda chi sia il
cristiano, così risponde: è cristiano colui che si rende partecipe,
nell’aldiquà della vita, alla sofferenza di Dio. Nella lettera del
21/07/1944 così scrive: “continuo ad apprenderlo anche ora, che
s’impara a credere solo nel pieno essere aldiquà della vita [...] cioè
vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli
insuccessi, [...] allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio,
allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le
sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel
Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è “conversione”, e così si
diventa uomini, si diventa cristiani”.
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Ma in che senso noi dobbiamo farci carico delle sofferenze altrui?
Siamo forse noi i “salvatori” di questo mondo? Facciamo rispondere
lui stesso: “Cristo ha provato nel suo corpo come sue proprie tutte le
sofferenze di tutti gli uomini [...] prendendole liberamente su di sé.
Noi certo non siamo Cristo e non siamo chiamati a redimere il mondo
con le nostre azioni [...] non siamo “noi” il Signore, ma strumenti
nelle
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G. Ruggieri, Dietrich Bonhoeffer. La fede concreta, op. cit., 114.
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mani del Signore della storia, e possiamo condividere le sofferenze
degli altri uomini in misura molto limitata. Noi non siamo Cristo, ma
se vogliamo essere cristiani, dobbiamo condividere la sua grandezza di
cuore nell’azione responsabile. [...] Attendere inattivi e stare
ottusamente alla finestra non sono atteggiamenti cristiani”.
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Ma come in definitiva bisogna essere cristiani in un mondo
secolarizzato e che fa a meno di Dio? “Essere cristiano non significa
essere religioso in un determinato modo, [...] ma significa essere
uomini. [...] Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere
parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo”.
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Potremmo, ancora, affermare con Bonhoeffer che: “l’“atto
religioso” è sempre qualcosa di parziale, la fede è qualcosa di totale,
un atto che impegna la vita”.
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Quest’ultima affermazione trova
riscontro nella sua stessa vita che si è trasformata, soprattutto
nell’esperienza della prigionia, in una testimonianza coerente che lo ha
portato fino al martirio cruento. Infatti, in una lettera del 5 aprile,
indirizzata ai genitori, così si esprime: “Sono certo che per me
personalmente è bene andare fino in fondo a questa prova, e sono
anche convinto che nessuno viene gravato da un peso superiore alla
forza che può ricevere. [...] Devo mettere in pratica in prima persona
quello che, nelle prediche e nei libri, ho detto agli altri”.
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Allora si comprende l’espressione detta all’inizio di questo
nostro discorso, cioè che non vi è dicotomia tra la vita dell’uomo
Bonhoeffer e la sua dottrina, che continueremo ad esaminare nei
paragrafi seguenti.
5
Resistenza e Resa, op. cit., 446.
6
Ibid., 71.
7
Ibid., 442.
8
L.c..
9
Ibid., 86.