- 4 -
Quando, infatti, soddisfare il cliente con prodotti di
qualità, performance eccezionali, funzioni innovative ed
un eccellente rapporto qualità/prezzo non basta più,
allora bisogna cercare nuove terre di conquista, qualcosa
che non abbia a che fare con la razionalità, ma con le
emozioni.
I reparti di ricerca e sviluppo delle aziende continuano
costantemente a ricercare e sviluppare prodotti sempre
migliori, più efficienti, meno costosi, più belli e più o
meno utili. E questo è sicuramente necessario. Il
problema è che lo fanno tutti e, soprattutto, che tutti
fanno le stesse cose. Ci si è resi conto, insomma, che non
è più possibile ragionare impiegando soltanto categorie
del marketing tradizionale come i benefit dei prodotti
perchè resi sempre più simili dall’elevato tasso di
concorrenzialità presente nei mercati. E come si può
essere competitivi su un mercato in cui tutti offrono più o
meno le stesse cose, più o meno allo stesso prezzo e più o
meno della stessa qualità? È palese allora che la
soluzione vada ricercata altrove, non nei prodotti, ma
nell’individuo.
La componente emotiva, la parte inconscia,
irrazionale, legata ai sensi dell’individuo/consumatore
sembra essere un buon terreno di azione. Ed è qui che
entrano in gioco le strategie di marketing esperienziale (o
emotivo) che mirano a stimolare i nostri sensi e il nostro
lato passionale. In sostanza, in accordo con la
comunicazione polisensoriale, questo tipo di strategie
propone un approccio alla comunicazione che inglobi
anche aspetti della fisicità e della percezione che fino ad
ora sono stati trascurati. Creare valore per il cliente
significherà allora renderlo protagonista di una
- 5 -
memorabile esperienza di acquisto emozionandolo
tramite la stimolazione di tutti i suoi sensi.
Come?
L’aspetto del marketing mix più adatto su cui
intervenire è sicuramente quello della distribuzione,
essendo l’unico momento in cui l’azienda entra
veramente in contatto con i suoi consumatori. La pratica
dello shopping sta diventando un’esperienza a tutto
tondo, che esula dal semplice aspetto funzionale degli
oggetti, e sempre meno legata al mero utilizzo “pratico”
dei prodotti acquistati. In questa nuova fase si cerca di
offrire al consumatore uno spettacolo sensoriale, un
piacevole intrattenimento per i suoi sensi prima ancora
che un prodotto/servizio. La parola d’ordine è dunque
intrattenimento (dei sensi, ma anche del corpo), offrire
uno spettacolo sempre nuovo e coinvolgente, tanto da
cominciare a far parlare di neologismi come
retailtaintment e shoptainment. Tutto sta nello sfruttare
questa dimensione emozionale in modo coerente e
armonioso, cercando di raggiungere più direttamente i
consumatori per trasmettere loro i valori della marca
coinvolgendoli in una gratificante shopping experience.
Nello sterminato territorio del retail, nuove forme
distributive sono chiamate a rispondere a questa
necessità: nascono nuovi format distributivi capaci di
dare soddisfazione al consumatore coccolandolo ed
offrendogli un mondo fantastico in cui immergersi. I
concept store sono i luoghi deputati a questo; veri
contenitori non più solo di prodotti, ma di esperienze
olistiche profondamente attraenti. All’interno dei concept
stores la vendita dei prodotti è ambientata in un contesto
distintivo che rappresenta un valido strumento per
- 6 -
costruire la relazione duratura con il consumatore finale,
basata sempre più su aspetti emozionali.
Per questo motivo, si è scelto di analizzare come case
history uno dei primi (e dei pochissimi) concept store
romani ed italiani, TAD-Concept Store, un punto vendita
che sintetizza in maniera mirabile l’essenza di una
strategia di marketing esperienziale e di una
comunicazione polisensoriale a trecentosessanta gradi.
Un luogo all’interno del quale, per dirla con Marianne
Cordier, responsabile della direzione artistica degli spazi
TAD, il consumatore «…si sente libero di acquistare, di
coccolarsi e di concedersi qualche ora fuori dalla realtà
metropolitana. È un vero stile di vita. Da TAD, il cliente
può cominciare con una collezione d’arte, iniziarsi
all’arte del profumo, evolvere…»
Lo scopo del lavoro sarà, quindi, quello di dimostrare
come strategie di marketing emotivo e di comunicazione
polisensoriale si possano fondere per creare una comune
strategia esperienziale che si concretizza nei luoghi come
i concept store, dimostrando come e perché il modello
concept store funzioni così bene nella mente del
consumatore, partendo dall’impatto emotivo che esso
suscita.
- 7 -
1.1 La genesi del nuovo consumatore.
hi è il nuovo consumatore? Semplicemente, noi. Il
nuovo consumatore non è nient’altro che ciò che
noi siamo diventati. Già, perché prima di ogni
altra cosa, gli uomini, gli individui, le persone sono senza
dubbio consumatori. Anche quando non pensiamo di
esserlo, quando leggiamo un libro o ascoltiamo della
musica o guardiamo un film; quando facciamo un
viaggio oppure andiamo al ristorante. Ebbene noi
consumatori stiamo mutando, più o meno velatamente,
ma è quello che sta avvenendo; e di conseguenza
cambiano i nostri profili di consumo (il plurale non è un
caso), il nostro rapportarci con l’universo delle merci,
degli oggetti. Il nuovo consumatore è l’evoluzione
naturale della nostra specie; proiettato, ormai, non più
solo con la mente ma con tutto se stesso, nel mondo dei
desideri che diventano realtà. Tutto ciò, ovviamente, è il
riflesso dei tempi che cambiano, del mutato contesto che
ci ruota attorno; è un’osservazione ormai consolidata il
fatto che quando in una società si verificano frequenti
scostamenti o discontinuità rispetto alle conoscenze
acquisite, allora è necessario ricorrere a nuovi paradigmi
di riferimento. Ciò che, in questi anni, sta causando il
cambiamento di rotta è uno di quegli eventi che,
improvvisamente, a lunghi periodi di stabilità
sostituiscono fasi di incertezza diffusa. La rivoluzione
della tecnologia dell’informazione ha costituito (e
C
- 8 -
costituisce) uno di questi eventi: portando a compimento
la fase della modernità e innestando un nuovo ciclo
1
.
Sarebbe poco attento pensare ad un taglio netto, ad un
brusco passaggio da una fase ad un’altra; è per questo
che il nuovo ciclo è da intendersi come qualcosa in fieri,
un cambiamento costante ma inesorabile che punta dritto
verso l’epoca nuova della postmodernità.
2
Siamo in una
fase in cui la parola d’ordine sembra essere il
cambiamento, diffuso, generalizzato e totalizzante. Si
disgregano le vecchie ideologie, si perdono i punti di
riferimento e si assiste ad un graduale ma progressivo
rimescolamento delle conoscenze, dei paradigmi e dei
modi di fruizione dei beni. In sintesi, siamo una società
in transizione.
L’universo del consumo ci aiuta a capire ed
interpretare i cambiamenti che investono le società,
restituendo una coerente immagine speculare dei contesti
di volta in volta analizzati. Nelle società occidentali è
prevalsa a lungo l’idea che il consumo, inteso come
scambio, acquisto, e uso di beni, sia un fenomeno di
natura esclusivamente economica in quanto implica un
trasferimento di denaro. Già nell’epoca della modernità,
infatti, si parlava di società dei consumi, ma allora il
consumo non godeva di alcuno statuto epistemologico,
essendo ridotto ad un de cuius della produzione
3
, una
variabile dipendente dagli obiettivi di accumulazione e di
profitto che caratterizzano la società capitalistica.
L’attenzione che nella società moderna viene prestata
allo studio del consumo è quindi concentrata solo sui
1
Fabris, G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco
Angeli Editore, Milano, 2003.
2
ibidem
3
ibidem
- 9 -
significati che la produzione gli attribuisce e al cui
sviluppo l’utente finale non contribuisce affatto; siamo
nell’ottica del “prendere o lasciare”. Tale teoria,
promulgata da economisti classici come Keynes
4
, è stata
ampiamente superata da quando alle logiche strettamente
macroeconomiche si sono aggiunte la microeconomia, il
marketing e le scienze sociali che hanno fatto nuova luce
sullo studio dei comportamenti individuali di consumo,
prendendo in considerazione i processi decisionali degli
individui e le variabili ambientali intervenienti nelle
scelte dei consumatori.
Anche l’etichetta di società dei consumi attribuita
all’epoca della modernità, indicava più che altro un fatto
oggettivo individuabile nella cosiddetta società del
benessere, caratterizzata dalla scomparsa della pressione
dei bisogni. Il bisogno infatti sembra appartenere ormai
solo a frange ristrette della popolazione (occidentale), ai
poveri, agli emarginati, ai cosiddetti “bisognosi”,
appunto. Per la maggior parte delle popolazioni del nord
del mondo, europei e statunitensi in testa, i bisogni
primari come la fame, il freddo e la malattia hanno perso
i loro connotati più urgenti.
Accade così che il consumo assume una nuova forma
e un diverso significato; i bisogni lasciano spazio ai
desideri
5
e le merci non hanno più soltanto una valenza
pratica, un valore d’uso, ma acquisiscono una
competenza comunicativa propria. Liberatosi dai vincoli
della logica della produzione, l’atto del consumare,
4
Keynes, J., M., Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e
della moneta, traduzione a cura di A. Campolongo, UTET, Torino
1971.
5
Cfr. paragrafo 1.2.1
- 10 -
osserva Di Nallo
6
, inizia ad adottare schemi propri e si
propone come linguaggio di se stesso, aprendosi a
un’infinità di valenze simboliche, diventando strumento
per esprimere emozioni, sensazioni e per tessere relazioni
sociali. Si acquista un bene per comunicare il proprio
stato d’animo, il proprio universo di valori o stile di vita,
per segnalare l’appartenenza ad un gruppo (le nuove
tribù metropolitane di cui si occupa il marketing tribale)
o, al contrario, unicità e distintività.
Se il cardine della modernità era la produzione, oggi al
centro è sempre il consumo, ma sempre meno di merci e
sempre più di simboli e segni: la performance del
prodotto è superata dai significati semiotici degli oggetti.
Lo stesso termine “consumare” perde la sua valenza
etimologica, non essendo più collegato al reale logorio e
deterioramento degli oggetti (a differenza del passato, in
cui un bene era “usato”, “consumato” fino alla sua reale
consunzione): basti pensare al settore dei servizi che non
rientra nell’insieme dei beni che si distruggono con l’uso.
Piuttosto oggi possiamo parlare di una fruizione parziale
del bene, che ne lascia sostanzialmente invariato il valore
d’uso.
7
Se vogliamo, questo stesso cambiamento di
significato nei termini, rispecchia il passaggio da
un’ottica di soddisfacimento dei “bisogni” fisici e
materiali, verso un modello di consumo in cui questi
stessi sublimano per diventare bisogni intangibili ed
astratti: desideri.
È molto importante sottolineare questo aspetto perché
permette di spostare un ampio comparto del consumo
6
Di Nallo, E.(a cura di), Il significato sociale del consumo, Bari,
Laterza, 1992.
7
Fabris, G., op. cit.
- 11 -
dall’area economica a quella assai più realistica dell’agire
umano.
Il focus del discorso rimane, quindi, puntato sul
consumatore, ma su un consumatore che ha cambiato
pelle, gusti e modi di consumo. Egli sembra risvegliarsi
da un letargo che ne ha intorpidito i sensi; vuole
riappropriarsi della sua fisicità, del suo individualismo e
soprattutto vuole finalmente consumare per gratificarsi.
Il paradigma che attraversa trasversalmente la mutata
logica del consumo è quello della frammentazione; i
consumi dei singoli diventano sempre meno logici,
sempre meno lineari e sempre più discordanti tra loro;
Fabris, a riguardo, parla di patchwork come nuovo
paradigma della società del consumo e, più in generale,
come nuova metafora per un nuovo agire umano.
Abbiamo già detto che un elemento cardine della
postmodernità è il superamento dell’idea del consumo
come linguaggio della produzione e la nuova
consapevolezza di come esso rientri più nella sfera
dell’agire sociale dotato di senso che in quella delle
categorie economiche. Un altro elemento che caratterizza
il nuovo scenario del consumo è la presa di distanza dalle
interpretazioni del consumo come status symbol. Nel
1981 Veblen
8
individuava un legame particolare tra
consumo e desiderio di emulazione e ostentazione; in
pratica le classi meno agiate, spinte dal desiderio di
elevarsi nella scala sociale, sarebbero portate ad emulare
i comportamenti sociali (e quindi anche quelli di
consumo) delle classi più ricche. Rispetto agli Stati Uniti,
in Europa questo tipo di fenomeno non ebbe proprio tratti
8
Veblen, T. , La teoria della classe agiata: studio economico sulle
istituzioni , Torino, Einaudi, 1981
- 12 -
così netti, coinvolgendo solo determinate classi sociali e
non altre. In ogni modo, ciò che ci preme sottolineare è
l’importanza attribuita ai meccanismi di emulazione e
ostentazione, considerati per molto tempo un fattore
imprescindibile nell’analisi delle dinamiche di consumo.
Questi stessi meccanismi, com’è noto, soggiacciono alle
interpretazioni del consumo come indicatore di prestigio
e di classe sociale; in una parola, all’idea del consumo
come status symbol.
Ebbene, un discorso del genere avrebbe avuto senso
nell’epoca che ci stiamo lasciando alle spalle, quando un
gioiello, una macchina, una casa o una vacanza ci
facevano sentire parte di una classe sociale precisa,
svolgevano una maggiore funzione nella connotazione
del nostro status.
Ma, come abbiamo già detto, le cose sono cambiate, i
vecchi paradigmi non bastano più a risolvere i quesiti che
la contemporaneità ci pone; non riusciamo ad inquadrare
bene il post-consumatore: egli infatti non aspira più a
imitare gli strati sociali più abbienti semplicemente
perché questi ultimi non sono più considerati dei modelli
di riferimento. Ciò che più conta per l’uomo
consumatore
9
è vivere meglio, vivere in armonia con la
propria fisicità e personalità, e circondarsi di oggetti che
glielo consentano. Poco importa il prestigio sociale che
può offrire un’automobile se essa non corrisponde all’
“automobile” del nostro sistema di valori. Questa è
un’altra dimostrazione di come la nostra sia diventata una
società estremamente frammentata, quasi polverizzata;
una volta era possibile parlare di status symbol perché i
simboli di una certa appartenenza erano ampiamente
9
Katona, G., L’uomo consumatore, Milano, Etas-Kompass, 1964.
- 13 -
codificati in tutti (o comunque in molti) strati della
popolazione. Oggi questi simboli hanno perso il loro
valore semantico e, di riflesso alla società che li ha
generati, si sono frantumati in una galassia di elementi,
ognuno detentore di significato solo per il segmento di
persone che lo ha originato e ne condivide i significati
stessi. Ad universo di valori corrisponde status symbol,
potrebbe essere un buon claim per uno spot a favore del
post-consumo. Ed è così che il prestigio che poteva
caratterizzare determinati prodotti lascia il posto
all’attualità culturale: il consumatore sceglie determinati
prodotti perché rispecchiano da una parte la propria
personalità, dall’altra i valori culturalmente egemoni
(ricordiamoci sempre che il consumatore o uomo
consumatore è pur sempre immerso in un contesto
sociale e, per quanto voglia egoisticamente affermare il
proprio modo di essere, questo sarà sicuramente indotto
da determinate categorie socio-culturali in quel
particolare momento storico dominanti).
Con l’avvertenza che si tratta di un sistema in
continuo divenire e che, dopo ciascuna norma o valore
socialmente rilevante bisognerebbe, come afferma Anne
Anastasi, sempre scrivere a caratteri cubitali I.O.C., in
our culture.
Tutto ciò avviene in un contesto che ha perso i tratti
spazio-temporali tradizionali; il post-consumatore decide
da sé quando, come e dove comprare. Così gli capiterà di
fare acquisti nel negozio sotto casa, nei mega-centri
commerciali, cattedrali del consumismo moderno, ma
anche da un rivenditore di tessuti di Bangalore contattato
tramite la rete alle quattro del mattino. Gli acquisti online
sono proprio l’emblema del consumo senza limiti spazio-
temporali: questa, è anche l’epoca del consumo
- 14 -
delocalizzato e despazializzato. Tra le mille e più
possibilità offerte dal mercato si destreggia il
turboconsumatore di cui ci parla Gilles Lipovetsky
10
, il
quale lo descrive efficacemente come più libero e attento
al mercato, mobile e a volte contradditorio, meno
alienato dalle merci ma più esistenzialmente frustrato e,
soprattutto, non più imbrigliato entro le coordinate
spazio-temporali del consumismo tradizionale. Il
consumatore tradizionale, spiega il filosofo francese,
subiva la società dei consumi, mentre il
turboconsumatore ne è diventato un attore protagonista,
giudicando, scegliendo e cambiando i modelli. Egli
cavalca il mercato con lo stesso ritmo che il demone della
velocità impone alla produzione di beni e servizi,
diligentemente a volte, ma anche e impulsivamente e in
maniera poco razionale.
In questo modo il turboconsumismo trasforma
chiunque in un potenziale consumatore, favorendo una
segmentazione sempre più spinta che in alcuni casi
produce una vera e propria “balcanizzazione” del
mercato: un mercato senza più un centro che ne detta le
leggi.
Tutto ciò ha ovviamente delle controindicazioni; per
questo, spesso troviamo il nostro consumatore coinvolto
in attività potenzialmente e concretamente negative per
se e per la società. Parliamo del consumo negligente,
intendendo un utilizzo improprio di beni e servizi; ma
possiamo rintracciare anche consumi compulsivi, cioè
tutti quei «comportamenti legati al desiderio o bisogno
impellente di ottenere, usare o provare una certa
sensazione, una sostanza o un’attività che inducono
10
Lipovetsky, G., Le bonheur paradoxal, Gallimard, 2006, pp.370.
- 15 -
l’individuo a realizzare in maniera ripetitiva un certo
comportamento che sarà progressivamente causa di
danno per se e/o per gli altri»
11
. Una forma particolare di
comportamento compulsivo molto diffusa negli Stati
Uniti è quella dell’acquisto compulsivo o sindrome da
shopping compulsivo; senza indagare sulle motivazioni
psicologiche che inducono questo tipo di comportamenti,
diciamo che essa genera un impulso irrefrenabile e
cronico a comprare oggetti di ogni sorta, oggetti inutili e
non indispensabili che, frequentemente, non si collegano
ai gusti dell’acquirente, che sono spesso al di sopra delle
sue finanze e che spesso sono varianti di una stessa
categoria di prodotto
12
. In ogni caso si tratta di
comportamenti d’acquisto devianti.
Parallelamente si vanno poi sviluppando altri e diversi
trend di consumo che a volte convivono all’interno dello
stesso individuo diversificando, spesso in maniera
contraddittoria, il suo atteggiamento/comportamento
d’acquisto. Stiamo parlando degli acquisti cosiddetti
“etici”, dell’eco pragmatismo, del commercio/consumo
equo e solidale e di tutte le ulteriori forme di consumo
che nascono o sono incoraggiate dalla volontà di dare ai
propri acquisti un significato o una qualche
“giustificazione” morale, un po’ per ribadire
l’appartenenza ad un certo universo valoriale, un po’ per
sentire di aver fatto “la cosa giusta”.
11
Dalli, D., Romani, S., Il comportamento del consumatore. Acquisti
e consumi in una prospettiva di marketing, Milano, Franco Angeli,
2000.
12
Si veda sul tema Psicopatologia dell’acquisto: la sindrome da
shopping, reperibile su:
http://www.benessere.com/psicologia/arg00/sindrome_da_shopping.
htm
- 16 -
In altra direzione vanno invece i trend che mettono al
centro il corpo, il benessere e il recupero di un equilibrio
psico-fisico tanto anelato. Ecco così aumentare i consumi
di prodotti “bio”, il fiorire di centri estetici e il boom di
palestre e centri polisportivi, il tutto nell’ottica della
ricerca del benessere e della salute con la volontà di
mettere al centro di tutto il proprio corpo e “viziarlo” con
mille attenzioni. Da qui anche l’affermarsi di nuovi trend
come il polisensualismo, che sarà al centro di questo
lavoro insieme alle tecniche prettamente manageriali
connesse ad esso. Polisensualismo, infatti, significa
immergersi nel mondo del consumo a trecentosessanta
gradi, lasciarsi trasportare dagli odori e dalle sensazioni
tattili derivanti dagli oggetti, percepire il mondo con i
sensi nella loro totalità. Il post-consumatore non si
accontenta più di guardare e non toccare, vuole entrare in
stretto contatto con la merce che per troppo tempo è stata
relegata al di la del vetro (o è forse lui ad essere stato
relegato al di qua del medesimo vetro?) e, soprattutto,
vuole che essa lo coinvolga, travolgendolo in un fiume di
sensazioni.
Benvenuti nell’epoca del post-consumo.
1.2 Metamorfosi delle merci: nuovi significati.
Dunque il consumatore cambia pelle e lo fa servendosi
degli oggetti di cui si circonda; non, come abbiamo già
affermato, con la volontà di ostentare ed entrare a far
parte di precise categorie sociali, ma col desiderio intimo
di affermare se stesso.