di regole che valgano a risolvere i numerosi problemi di disciplina che
affliggono la famiglia di fatto.
Nei confronti di un fenomeno di siffatta rilevanza, per lungo
tempo è stato dominante un atteggiamento di pregiudiziale chiusura,
avvallato dalle stesse norme del codice penale e del codice civile, le
prime punendo l'adulterio addirittura come reato, le seconde
discriminando i figli nati fuori dal matrimonio anche in assenza di una
famiglia e di figli legittimi del genitore, con ciò mostrando un chiaro
disfavore per le relazioni fuori del matrimonio, viste come fenomeni
sociali di segno fortemente negativo e perciò da scoraggiare.
Al superamento di questa concezione hanno contribuito le
storiche sentenze della Corte Costituzionale, che hanno abrogato i
reati di adulterio (n. 126/68) e di concubinato (n. 128/68),
l'approvazione nel 1970 della legge sul divorzio, che aveva come
scopo non secondario quello di consentire la regolarizzazione delle
convivenze sorte in regime di indissolubilità del vincolo, la legge di
riforma del diritto di famiglia, che, parificando la condizione dei figli
naturali e legittimi, ha reso più libera la scelta tra matrimonio e
convivenza, non più condizionata dall'esigenza di assicurare ai figli
uno status più favorevole. Lo stesso mutare della coscienza sociale ha
contribuito a rendere socialmente accettati situazioni e rapporti in
passato considerati «devianti».
Non sorprende, pertanto, che i discorsi dei giuristi fossero
destinati a cambiare, a partire dallo stesso lessico, che vede in rapida
successione il passaggio da una denominazione del fenomeno come
«concubinato», a «convivenza more uxorio», a «famiglia di fatto».
In questa fase di transizione da un vecchio ad un nuovo
approccio al fenomeno, una tappa significativa è costituita dal
convegno di Pontremoli del 1975. La preoccupazione principale era
costituita, allora, dall'individuazione dei principi su cui fondare il
riconoscimento della famiglia di fatto da parte dell'ordinamento, ossia
dal passaggio dalla sua discriminazione alla sua tutela in quanto
formazione sociale in cui si svolge la personalità umana. Secondo tale
punto di vista, l'art. 29 Cost. non varrebbe ad assicurare alla famiglia
legittima una tutela esclusiva, mentre l'art. 30 tutelerebbe la funzione
educativa in genere, comunque assolta, all'interno del matrimonio o al
di fuori di questo; l'art. 2, infine, proteggerebbe ogni formazione
sociale in quanto effettivamente capace di corrispondere alle esigenze
di crescita ed affermazione personale, di soddisfacimento dei bisogni
spirituali e materiali delle persone che la compongono, facendovi
rientrare anche la famiglia di fatto.
La formula secondo la quale l'ordinamento, anche a livello
costituzionale, «riconosce» la famiglia di fatto ha avuto una forte
valenza, anche ideologica, quando si è trattato di rimuovere le forme
di discriminazione e gli autentici pregiudizi nei confronti della
famiglia di fatto. Essa, tuttavia, ha talvolta dato luogo all'equivoco che
«riconoscimento» potesse significare «equiparazione», radicando la
convinzione che, una volta riscontrato nell'ordinamento un positivo
apprezzamento per la famiglia di fatto, da questo potesse desumersi
una necessaria e meccanica parificazione alla famiglia legittima.
Il problema che in concreto si pone è, pertanto, un problema di
politica del diritto, volto ad individuare un adeguato punto di
equilibrio tra doveroso rispetto della libertà individuale e doveroso
intervento della legge per la regolamentazione e la tutela. E'
soprattutto alle aspettative ed agli interessi dei soggetti più deboli del
rapporto (la donna ed i figli), messi a rischio dall'assenza delle
garanzie formali che presidiano la condizione dei membri della
famiglia legittima, che deve assicurarsi adeguata protezione legale:
non già equiparando nel trattamento giuridico famiglia di fatto e
famiglia legittima, ma attribuendo alla prima quel tanto di rilevanza
giuridica necessaria e sufficiente perché le posizioni individuali che,
all'interno di essa, appaiono meritevoli di tutela, effettivamente la
ricevano anche con gli strumenti della legge.
In questo contesto, l'accumularsi di sempre più numerosi indici
di rilevanza giuridica della famiglia di fatto acquista pieno significato
solo se lo si confronta idealmente con un altro processo oggi in atto: la
tendenziale degiuridificazione del rapporto coniugale fondato sul
matrimonio, per cui gli aspetti più intimi e personali della relazione di
coppia risultano sempre meno assoggettati a precetti legali e tendono
sempre più ad essere affidati alle scelte autonome e consensuali degli
stessi interessati.
Queste due tendenze, di giuridificazione della famiglia di fatto e
di degiuridificazione della famiglia legittima, risultano solo
apparentemente contraddittorie. A ben vedere, infatti, esse
appartengono al medesimo processo di sviluppo dei moderni
orientamenti di diritto familiare, il quale può essere
emblematicamente riassunto nel tendenziale accostamento fra lo
statuto giuridico dei rapporti di coniugio legale e lo statuto giuridico
delle convivenze more uxorio, oggi sensibilmente più vicini di quanto
non lo fossero in passato. E' un processo che si sviluppa in una
direzione segnata, per un verso, dall'ampliarsi degli spazi di libertà
individuale in quelle più intime e personali zone del rapporto di
coppia (legale o di fatto) che peggio tollerano pesanti coercizioni
giuridiche; caratterizzata, dall'altra parte, da un rafforzarsi degli
impegni e delle responsabilità legali in quegli altri ambiti del rapporto
che, per evitare iniquità e dare protezione agli interessi meritevoli di
tutela, reclamano le garanzie del diritto e gli interventi degli organi
preposti alla sua attuazione.
CAPITOLO I
POSSESSO E DETENZIONE
I.1. Elementi del possesso:
a) l'elemento oggettivo: il potere di fatto sulla cosa
L'art. 1140, primo comma, del codice civile definisce il
possesso come «il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività
corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale», in
tal modo legando la titolarità della situazione soggettiva non ad un
titolo giuridico
1
, ma alla relazione di fatto intercorrente tra la persona
e la cosa.
L'attuale formulazione della norma, innovativa rispetto a quella
del codice civile del 1865, non fa altro che mettere in rilievo i due
elementi costitutivi del possesso: l'elemento soggettivo, dato
dall'intenzione di esercitare un diritto reale sulla cosa, e l'elemento
oggettivo, costituito dalla forma con cui, attuandosi il potere sulla
cosa, l'intenzione si rende esternamente palese.
1
ROSELLI, Il possesso e le azioni di nunciazione, in Giurisprudenza sistematica di
diritto civile e commerciale fondata da W. Bigiavi, Torino, 1993.
In tal senso si esprime la Relazione ministeriale al codice civile,
n. 533, la quale rievoca così la disputa, risalente alla dottrina tedesca
del secolo scorso, tra i sostenitori di due teorie: la teoria soggettiva,
che trova il suo primo ed illustre fautore nel Savigny
2
, il quale
attribuiva maggior rilievo all'animus del possessore, e la teoria
oggettiva dello Jhering
3
, fondata invece sulla centralità dell'elemento
materiale del rapporto tra il possessore e la cosa.
In particolare, secondo la prima di queste due teorie l'elemento
spirituale varrebbe a distinguere il possesso in nome proprio
(caratterizzato dall'animus domini del possessore) dal possesso in
nome altrui o detenzione.
Contrapponendosi a tale ricostruzione, lo Jhering ha indicato
quale elemento di distinzione tra possesso e detenzione non già
l'animus domini, bensì la causa possessionis. In altri termini, secondo
questo Autore per costituire il possesso è sufficiente l'intenzione di
mantenere un rapporto con la cosa, accompagnata dall'effettivo
esercizio di esso.
2
SAVIGNY, Das Recht des Besitzes, 7ª ed., Vienna, 1845.
3
JHERING, Beiträge z. Lehere vom Besitze, 1968; ID.,Ueber den Grund des
Besitzschutzes, 1869; ID.,Die Besitzwille, 1889; ID., Der Besitz nell'Handwörterbuch del
CONTRAT (1890), ripubblicato nei Jahrbücher für Dogmatik d. heut. Rechts, 1892.
Oggi la teoria soggettiva appare superata, sulla base di una
svalutazione dell'animus, «di incerta natura psichica o spirituale»,
mentre viene valorizzato
4
il modo con cui i rapporti tra la persona e la
cosa vengono valutati nella realtà sociale, prescindendo in tal modo
dall'atteggiamento psichico del possessore
5
.
L'elemento obbiettivo del possesso non deve, però, essere inteso
in senso assoluto, come inscindibile rapporto di contiguità fisica tra il
soggetto e il bene posseduto, ma, a dirlo con le parole di Roselli
6
,
«con riferimento alla concezione economico - sociale del tempo»,
essendo così sufficiente quell'atteggiamento tipico del proprietario o
del titolare di altro diritto. In tal modo, il pascolo utilizzato solo in
determinate stagioni o la casa al mare saltuariamente abitata vengono
posseduti non solo animo, ma anche oggettivamente, in quanto la
4
RESCIGNO P., Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1986, 550.
5
Spiega la Relazione al codice civile n. 533 che la formulazione del progetto preliminare
di riforma del Libro II del codice (1936) «non poneva forse sufficientemente in evidenza
che l'elemento volitivo in tanto diviene rilevante […] in quanto si concreta e si manifesta
in un comportamento esterno del possessore, il quale appunto vale a differenziare le varie
specie di possesso (il possesso come proprietario dal possesso come usufruttuario,
enfiteuta, ecc.)». «La nuova formula […] pone invece nel necessario rilievo l'elemento
subiettivo e l'elemento obiettivo del possesso. Il primo è costituito dall'intenzione di
esercitare un diritto reale sulla cosa; il secondo dalla forma con cui, attuandosi il potere
sulla cosa, l'intenzione si rende esternamente palese».
6
ROSELLI E., op. cit..
mancata utilizzazione periodica corrisponde ordinariamente al
comportamento del proprietario o del titolare di altro diritto reale
7
.
A conferma di quanto appena detto, è utile ricordare che anche
la giurisprudenza si è progressivamente orientata verso una
concezione assai elastica del corpus possessionis, inteso non tanto
come relazione diretta ed immediata con la cosa, quanto come
possibilità di agire su questa quando lo si voglia
8
.
Da ciò consegue necessariamente che, seppure in assenza di una
contiguità materiale tra soggetto e cosa, il possesso si ritiene
conseguito quando la cosa stessa sia posta a disposizione del
soggetto
9
, ed inoltre che non è sufficiente la semplice astensione
dall'esercizio concreto del potere sulla cosa per perderne il possesso,
sempre che il possessore mantenga in ogni caso la possibilità di
ripristinare ad nutum quell'esercizio
10
.
7
D'AMELIO, Del possesso, in Commentari del codice civile, Firenze, 1942, 931 ss.
8
Cass. 27 giugno 1969, n. 2318, in Rep. Giust. Civ., voce Possesso, n. 50; Cass. 23
ottobre 1969, n. 3470, in Giur. It., 1970, 1973.
9
Cass. 20 aprile 1962, n. 1801 in Giur. It., 1962, I, 733.
10
SACCO R., voce Possesso (diritto privato), in Enc. Dir., XXXIV, Milano, 1985, 491.
b) l'«animus possidendi»
La rilevanza o meno di un elemento psicologico che integri il
potere di fatto è stata oggetto di ampia discussione, sfociata nella
modifica del testo proposto dalla Commissione reale
11
, ritenuto
inidoneo a mettere in evidenza che «l'elemento volitivo in tanto
diviene rilevante per l'ordinamento giuridico in quanto si concreta e si
manifesta in un comportamento esterno del possessore»
12
, e nella
eliminazione della menzione dell'elemento soggettivo.
Dall'attuale formulazione dell'art. 1140 c.c. si desume, quindi,
che l'animus possidendi è l'intenzione di comportarsi e farsi
considerare come titolare di quel diritto reale, cui corrisponde il potere
di fatto sulla cosa
13
.
Tale animus si manifesta ed assume rilevanza giuridica solo
quando si estrinsechi in un'attività concreta corrispondente
all'esercizio di un diritto; non può essere qualcosa di astratto, ma deve
11
La Relazione della Commissione reale qualificava il possesso come il "potere di fatto
che alcuno ha sopra una cosa con la volontà di avere per sé tale potere in modo
corrispondente alla proprietà o altro diritto reale".
12
Relazione al Codice, n. 533, p.328.
13
SACCO R., op. ult. cit., 79; BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI, NATOLI,
Diritto civile, II, Torino, 1988, 359.
(direttamente od indirettamente) aderire al corpus, costituendone un
riflesso psichico
14
.
La volontà nel possesso ha importanza non in sé e per sé, ma
dal momento in cui si traduce in atto, «in quanto crea e colora lo stato
di fatto e il titolo della detenzione o del possesso»
15
; ciò che
effettivamente conta è, quindi, l'avere o meno tale potere di fatto.
Occorre, infine, appena accennare che l'elemento soggettivo
prescinde affatto dalla buona o mala fede, in quanto è rivelato soltanto
dall'intenzione del possessore di vantare per sé un seppur insussistente
diritto reale sulla cosa; di regola, l'intenzione si manifesta mediante
un'esplicita dichiarazione del possessore, ma essa può anche
desumersi da comportamento concludente opposto al diritto del
proprietario
16
.
14
BARASSI, Il possesso, Milano, 1952, 89; BRANCA, in Foro it., 1961, I, 117; Pret.
Genova 24 aprile 1961, in Temi genov., 1961, 263.
15
FUNAIOLI C.A., L'animus nel possesso e il dogma della volontà, in Giust. civ., 1951,
16 ss.
16
Cass. 7 giugno 1954, n. 1852, in Giust. Civ., 1954, 1315.
I.2. L'oggetto del possesso
Allo scopo di individuare le cose che possono essere oggetto di
possesso occorre prendere le mosse, da un lato, dalla nozione di bene,
inteso quale «cosa fisicamente delimitata e dominabile dall'uomo»
17
,
e dall'altro dal 1°comma dell'art. 1145 c.c., in virtù del quale «il
possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà è senza
effetto».
Dalla citata norma, infatti, si può argomentare a contrario che
tutte le cose che non siano fuori commercio sono suscettibili di
possesso, senza limitazione alcuna; ne consegue che si può trattare
indifferentemente di beni immateriali o materiali, cose singole od
universalità
18
.
Quanto alla differenza tra beni materiali ed immateriali, è chiaro
come essa non possa basarsi sulla corporalità o meno dell'oggetto,
considerando corporali solo quei beni che occupano un certo volume
nello spazio o che colpiscono i nostri sensi: tale criterio, infatti, non è
valido per le energie, che sono indiscutibilmente beni corporali, pur
17
GENTILE, Il possesso nel diritto civile, Napoli, 1956, 67.
costituendo delle vibrazioni della materia e di cui la percettibilità ai
nostri sensi rappresenta un carattere del tutto contingente.
A tal proposito, il Ferrara
19
ha precisato che «sono corporali
quei beni provvisti di un corpo determinato ovvero che possono essere
racchiusi, imprigionati o fissati in un corpo determinato, in modo che
per tramite di esso possa aversi un assoggettamento fisico»; il che non
avviene, invece, per i beni incorporali.
Un discorso a parte merita il possesso dell'acqua corrente, del
gas, dell'energia elettrica et similia, data l'enorme confusione di idee
che al riguardo si riscontra in una parte della giurisprudenza
20
,
laddove in tale materia possesso o detenzione non possono aversi se
non in quanto il bene si trovi in una sfera in cui l'utente sia in grado di
utilizzarlo a suo piacimento senza necessità dell'intervento altrui.
Per i beni immateriali l'istituto del possesso non solo non è
suscettibile di applicazione per la mancanza di corporalità
18
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1965, 193;
BARASSI, op. cit.,156.
19
FERRARA, La teoria giuridica dell'azienda, Firenze, 1945, 134.
20
Per una rassegna giurisprudenziale, vedi TORRENTE, in Foro it., 1951, I.404; in
genere sul punto, vedi FUNAIOLI C.A., in Giust. Civ., 1953, 2334 ss; TRABUCCHI, in
Giur. It, 1952, I, 1, 219, in nota a Cass. 10 maggio 1952.
dell'oggetto, ma anche perché il loro godimento non è esclusivo
21
. A
sostegno della tesi opposta
22
, appare opportuno accennare
all'argomento testuale fornito dall'art. 167 della L. 22 aprile 1941,
n. 633 sul diritto d'autore, nel quale si afferma che «i diritti di
utilizzazione economica riconosciuti da questa legge possono anche
essere fatti valere giudizialmente da chi si trovi nel possesso legittimo
dei diritti stessi».
A prescindere dalla considerazione che «il linguaggio del
legislatore è indice malsicuro» e che «il legislatore … si riferisce non
già al possesso di una cosa, ma al possesso di un diritto e perciò
(mentre documenta la diffidenza del legislatore nei confronti della
figura del possesso di cosa immateriale) non allinea il fenomeno di cui
all'art. 167 cit. con il possesso dell'art. 1140 c.c.»
23
, una puntuale
analisi del testo di legge potrebbe dimostrare come la locuzione in
questione sia stata adoperata impropriamente per indicare il soggetto
21
FERRARA, op. cit., 138; ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni
immateriali, Milano, 1957, 291; GRECO P., I diritti sui beni immateriali, Torino, 1958,
23.
22
BARASSI, Il possesso, Milano, 1952; MONTEL, Il possesso in Trattato Vassalli, 2ªed.,
Torino, 1962.
23
SACCO R., Il possesso. La denuncia di nuova opera e di danno temuto, Milano, 1960,
593.