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Osservare come queste strutture affrontano la città scontrandosi
con essa, derubandola di parte del proprio potere, della propria
centralità, ma più di tutto derubandola dei propri abitanti.
Per rintracciare le origini di questo scontro, sarà importante far
luce su quel groviglio sincretico irriducibile dato dalla
composizione complessa di cultura, consumo e comunicazione.
Nella seconda parte si cercherà di analizzare da più punti di
vista il protagonista di questo scontro e di questo lavoro:
Megalò.
Tramite vari zoom si passerà da una visione molto ampia delle
dinamiche di consumo urbano ad una progressiva
focalizzazione di queste dinamiche all’interno di questo
shopping center, attraverso un racconto etnografico di un
esperienza indefinibile, dai mille aggettivi.
Moltiplicando gli strumenti comunicativi a disposizione si
cercherà di esplicitare al meglio la forza comunicativa delle
merci-visuali all’interno del Megalò. “La voce della merce”
concluderà il tortuoso percorso multi-prospettico per le nuove
vie del consumo abruzzese.
7
Antropologia urbana.
1. Questioni di etichetta.
La nascita dell’Antropologia Urbana si colloca
cronologicamente alla fine degli anni Sessanta ed è
strettamente connessa al mutamento del contesto storico-
politico globale, in cui si muoveva l’«antropologo classico»
prima della fine della seconda guerra mondiale: la nuova
situazione prende vita, fondamentalmente, dall’espansione del
sistema economico e culturale dell’Occidente, fenomeno che
ha avuto l’effetto di trasformare in “complesso” ciò che una
volta si riteneva semplice: le società tradizionali. L’oggetto di
studio di tale disciplina è, dunque, identificabile nelle «società
complesse», ma i fini, le prospettive, i metodi d’indagine che
essa si propone e persino la sua stessa definizione non possono
essere ben identificati, a causa della varietà di interessi
confluiti in tale disciplina e della variabilità del tipo di ricerche
condotte nel suo ambito, essendo tale scienza giovane e ancora
in fase sperimentale.
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L’etichetta di Antropologia Urbana appare per la prima volta
nel titolo di uno dei primi volumi dedicati a tale argomento:
Urban Anthropology. Research, Strategies, Perspectives, una
raccolta di saggi a cura di Elizabeth Eddy, pubblicata nel 1968,
cioè nel periodo in cui emerge un interesse specifico rivolto
agli ambienti urbani.
Nel 1979, per mano di antropologi statunitensi, viene fondata
la Society for Urban Anthropology (SUA), nell’ambito
dell’American Anthropological Association.
La città come “totalità”, è questo un potenziale oggetto di
studio in una prospettiva di ricerca in cui l’elemento urbano
appare come “immagine della società complessa”(Pitto,1980),
alternandosi ad una visione più generica che la proietta nelle
vesti di prodotto della progressiva complessificazione che è il
mondo contemporaneo.
In un contesto disciplinare alquanto incerto, vengono ad
emergere difficoltà strutturali nel definire nuovi percorsi
antropologici che poggiano su fragili fondamenta quali, il gran
numero di indirizzi di ricerca, e l’assenza di coordinate teoriche
nel “campo” di studi sull’antropologia urbana.
L’etichetta di antropologia urbana, deve tener conto della
straordinaria varietà di ricerca che va a contenere nei propri
9
ambiti. Considerando questo aspetto come dovuto, si delineano
“questioni di etichetta” che ci mostrano la loro estensione nelle
varie definizioni disciplinari, che vanno da antropologia delle
società complesse, o delle società post-industriali, o
semplicemente antropologia della città.
A questa incertezza nella metodologia di ricerca, corrisponde
una medesima tensione in ambito teorico laddove si possono
considerare due concezioni di antropologia urbana differenti.
Una dichiara le città oggetti di studio in se stesse, affermando
l’esistenza di una “ totalità - città” in una prospettiva di ricerca
comparativa, che pone ogni città come singolarmente
analizzabile.
Di contro, la città non può essere definita negli angusti termini
di unità isolata ed inoltre il concetto studiato sulle città non
può avere intrinseche relazioni verso la città. Così, la
progressiva complessificazione dell’oggetto di studio, ci porta
a considerare la forma-città attraverso tre metodologie di
ricerca, figlie dei mutamenti spazio-temporali della stessa .
10
2. La “Scuola di Chicago” e la nascita degli studi urbani.
Se vi è dubbio sul fatto che a Chicago sia “nata” l’etnografia
urbana, non ve ne sono molti per quanto riguarda la nascita in
quel contesto della “sociologia urbana” e, per diversi aspetti,
della sociologia statunitense tout-court.
L’omonima università ospitava già dal 1892 un dipartimento di
sociologia, ma è con l’arrivo di W. I. Thomas prima (nel 1897)
e di R. E. Park successivamente (nel 1913) che l’interesse per
le questioni propriamente urbane della realtà sociale è divenuto
preminente.
Quella che solo successivamente verrà chiamata “Scuola di
Chicago” non è altro che la felice congiunzione di alcuni
percorsi biografici con l’istituzionalizzazione della sociologia
come disciplina accademica negli Stati Uniti e con la forte
domanda di intervento sociale che proveniva dagli ambienti
riformisti, pubblici e privati, della città stessa. La rapida e
convulsa espansione della città statunitense del Midwest si era
infatti prodotta nel corso di soli 90 anni, dovuta allo sviluppo
dell’industria dei trasporti e manifatturiera e all’espansione
11
verso occidente che spinse a un progressivo inurbamento
1
di
popolazioni prima extra-statunitensi (svedesi, irlandesi,
tedeschi, italiani, ebrei e polacchi innanzitutto) e
successivamente nere provenienti dal sud del paese.
Se si tiene conto del fatto che nel 1900 metà della popolazione
residente era nata fuori dagli Stati Uniti, si riesce ad intuire
quale potesse essere la complessità della vita quotidiana che si
poteva sperimentare a Chicago, al di là degli evidenti problemi
che scaturivano dalla necessità di garantire alla popolazione
delle abitazioni, del lavoro e dei servizi. Non è perciò un caso
se da un lato fiorirono numerose istituzioni caritatevoli di
stampo volontaristico, e se dall’altro le istituzioni pubbliche
investirono enormemente in programmi di riforma sociale.
È in questo contesto che la sociologia statunitense muove i
primi passi di rilievo: qui viene creato il principale programma
dottorale di sociologia, qui viene fondato l’American Journal
of Sociology (nel 1895) e più in generale i testi di base della
disciplina e qui hanno sede altri istituzioni di ricerca sociale
come la Society for Social Research.
1
Questo termine si riferisce al processo di migrazione delle popolazioni
dalle campagne alle città.
12
Se la sociologia (e l’antropologia, dato che fino al 1929 le due
discipline rimasero unificate nello stesso dipartimento) si mise
fin dall’inizio a sostenere la causa del riformismo sociale, da
un lato reclutando i propri membri tra persone attive in
quell’universo e dall’altro condividendo con esso programmi di
ricerca e di insegnamento, con l’arrivo di Park nel 1913, le
scienze sociali presero una direzione più autonoma e orientata
alla ricerca. Provenendo dal mondo del giornalismo d’inchiesta
e forte della lezione pragmatista di Dewey e Mead, Robert Ezra
Park spinse la ricerca sociale verso alcune direzioni nuove: lo
studio della città, quello delle relazioni razziali e, infine, quello
dei comportamenti collettivi. Benché si tratti di temi
interconnessi fra loro, per questo lavoro si farà riferimento
principalmente al primo di essi, lo studio della città.
L’originalità che viene riconosciuta generalmente all’approccio
di Park risiede tanto nei contenuti del proprio programma di
ricerca urbano che nell’accento fortemente empirista ed
induttivo, che porterà poi alla centralità dell’ipotesi The city-
as-tribe cioè allo studio delle tribù urbane con gli stessi metodi
e criteri utilizzati per le società tribali per antonomasia. Questa
ipotesi derivava dalla visione antropologica d’avanguardia dei
grandi maestri, come Malinowski che poneva lo studio del
13
“nativo urbano” fra i nuovi compiti dell’antropologia, secondo
quell’impostazione metodologica fondamentale che è
l’osservazione partecipante.
2.1 Chicago è La Città.
Anno 1925, esce l’antologia The City, in cui R.E. Park, E.W.
Burgess e R.D. McKenzie pongono in risalto l’importanza di
uno studio approfondito della vita urbana nella città (Chicago).
Chicago nasce dal nulla, e si dilata in modo liquido. Una città
che non ha confini e che, “già nel 1925 era nata e morta più
volte” ( Sobrero, 1992). Fondata nel 1836 in occasione dello
scavo di un canale, sviluppatasi come nodo ferroviario,
distrutta quasi completamente da un incendio nel 1871, agli
inizi del Novecento, Chicago ha quasi due milioni di abitanti.
Questa città rappresenta in anticipo la forma moderna di
ambiente urbano, cioè la metropoli. Nel periodo storico in cui
si evidenzia maggiormente il distacco dall’Europa umanista, la
città americana celebra il suo trionfo di potenza e creatività. Gli
Statunitensi sono un popolo city-building
2
, Chicago ne è la
prova. La metropoli americana, rappresenta una novità assoluta
2
Sobrero A. (1992) Antropologia della città, La Nuova Italia, Firenze.
14
nella storia dell’umanità, novità che modifica, deforma,
ambiente, individuo e stili di vita.
2.2 Ecologia umana e aree naturali urbane.
Lo studio della città che si stava sviluppando nel Midwest
statunitense, negli anni ’30, si basava sull’idea di trovare le
leggi naturali dello sviluppo urbano, e del rapporto tra la natura
della città e quella umana, attraverso le aree naturali urbane
come unità d’analisi, come punti di incontro tra il piano
antropologico e lo spazio urbano. L’area naturale era per gli
autori di The City, una mappa antropologica dei processi
universali di identità- alterità.
L’area naturale rappresenta la dimensione urbana in cui fattori
di coesione, prevalgono sui fattori di disaggregazione.
.Il programma ecologista applicato alla città presupponeva la
costruzione di una mappa di aree naturali della città e
parallelamente lo studio della natura umana all’interno delle
singole aree. Il pensiero di Park e soci intendeva una
metodologia applicata al concetto innovativo di ecologia
umana, intesa come “ studio delle relazioni spaziali e temporali
degli esseri umani in quanto influenzati dalle forze selettive,
15
distributiva e adattive che agiscono nell’ambiente. L’ecologia
umana si interessa fondamentalmente degli effetti della
posizione,(il termine posizione è usato per indicare la relazione
spaziale di una data comunità con altre comunità, e inoltre la
collocazione dell’individuo o dell’istituzione nella comunità
stessa.) sia nel tempo sia nello spazio, sulle istituzioni e sul
comportamento umano”
3
. E’ interessante notare come la scelta
ecologica sia motivata nel concetto di “comunità”, “la
comunità umana differisce dalla comunità vegetale nelle due
principali caratteristiche della mobilità e dello scopo, cioè nel
potere di scegliere un habitat e nella capacità di controllarne o
di modificarne le condizioni”, e ancora “la comunità umana ha
la sua origine nei tratti della natura umana e nei bisogni degli
esseri umani”
4
. Lo studio della città nella prospettiva ecologista
viene visto come occupazione inconsapevole da parte degli
individui, dello spazio urbano, secondo un ordine dettato da
mezzi di trasporto e mezzi di comunicazione che tendono alla
segregazione degli stessi. Segregazione spaziale degli
individui, che crea distanze morali che fanno della città un
mosaico di mondi che si toccano, ma che non penetrano mai
3
Park, R.E., Burgess, E.W. e McKenzie R.D. 1925, The City, Chicago,
University of Chicago Press [trad. It. 1999].
4
Ibid.
16
l’uno nell’altro. La segregazione permette agli individui di
spostarsi da un ambiente morale ad un altro molto facilmente
ed incoraggia l’esperimento di vivere molti mondi diversi, che
sono sì contigui, ma rigidamente separati. Nella metropoli,
l’individuo trova l’ambiente morale in cui potersi esprimere e
sentirsi a proprio agio, trova quel clima morale da cui trarre gli
stimoli che portano le sue qualità innate a manifestarsi.
Inoltre nelle città, individui con una moralità simile tendono a
segregarsi in regioni morali, ossia aree della città in cui si
incontrano individui con simile moralità, esempi di regione
morale sono i quartieri del vizio.
Il modo per così dire automatico dell’ingresso di popolazioni
nello spazio della città porterebbe alla creazione delle
cosiddette “aree naturali”, quegli spazi urbani come lo slum o i
quartieri alti dove la segregazione della popolazione è un
fenomeno apparentemente spontaneo. Si riesce facilmente ad
intravedere in questo sguardo quello di chi ha visto la propria
città nascere ed evolvere nel corso di pochi anni proprio grazie
al flusso massiccio di popolazioni differenti.
L’idea di ecologia umana di Park e colleghi è decisamente
Chicago-dipendente, nella misura in cui riflette in maniera
spesso meccanica la realtà urbana che intende descrivere.