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1. LA CRISI DELLE SCIENZE MODERNE E LA RISPOSTA
FENOMENOLOGICA
Mi soffermerò, evitando una noiosa ricostruzione storica di questo movimento,
facilmente reperibile in qualsiasi manuale o dizionario di filosofia, su di un’espressione
che suona come il motto della Fenomenologia: “il ritorno alle cose stesse”. E’
necessario capire cosa si intende esattamente con questa espressione, ma soprattutto che
cosa significa da una prospettiva filosofica rivendicare il ritorno alle cose stesse, ma
anche quando e perché è nata questa esigenza? All’inizio del 900 vari movimenti
filosofico- culturali hanno evidenziato i limiti del positivismo, considerandolo una
scienza schematica, astratta, estranea alle problematiche più profondamente
umanistiche. Del resto proprio l’esponente più illustre del positivismo e cioè A. Comte
definì la “legge dei tre stadi” in base alla quale la conoscenza progredirebbe da un
primo stadio, quello definito di ”conoscenza teologica”,ad un secondo stadio di
“conoscenza metafisica” fino ad arrivare al terzo ed ultimo stadio detto di “conoscenza
scientifica”. Conoscenza scientifica e conoscenza positiva sono la stessa cosa,e cioè una
conoscenza che si limita a descrivere i fatti così come sono. In effetti, dalla fondazione
razionale di scienze come l'economia, la sociologia e la psicologia si stava ormai
decisamente passando all'organizzazione tecnica dell'economia, della convivenza
umana, del comportamento psicologico. Il passaggio dalla scienza alla tecnica, avvertito
positivamente quando si trattava di ottenere il dominio della natura fisica e biologica da
parte dell’uomo, fu progressivamente avvertito come una minaccia, cioè come mezzo di
dominio dell’uomo sull’altro uomo. Di qui l'esigenza di mettere in discussione il
concetto di ragione scientifica, quella ragione che non sa cogliere l'originalità
dell'esistenza umana nella sua individualità e libertà, quella ragione che si limitava a
consacrare i fini dominanti della società borghese delle nazioni coloniali di fine
Ottocento. Il testo fondamentale per comprendere questo tema è quello di Husserl, La
crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale: "crisi" riconducibile al
fatto che tutte le scienze hanno voluto far trionfare una ragione tecnico-utilitaristica che
ha poi ridotto l'uomo a semplice oggetto tra oggetti. Solo con la riscoperta della ragione
filosofica l'uomo potrà diventare soggetto di scienza e artefice della propria storia.
Husserl si interrogava sui motivi del disagio delle scienze specialistiche e alla fine lui
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stesso dirà che le scienze specialistiche entrano in crisi quando perdono la loro finalità,
cioè quando diventano troppo specialistiche. La scienza specialistica è una scienza che
deve sapere tutto ciò che c’è da sapere riguardo ad uno specifico ambito della realtà. La
scienza specialistica vuole intendersi del suo specialismo e del resto nulla. Max Weber
agli inizi del 900 sosteneva che il problema degli specialismi nasce quando finisce
l’hegelismo, perché Hegel era convinto che la filosofia non fosse una scienza
specialistica, ma definiva la filosofia come sapere assoluto. Hegel è l’ultimo grande
filosofo della tradizione a pensare che sia possibile un sapere in senso assoluto. Con lui
tramonta l’idea di una scienza universale capace di abbracciare tutto e gli ambiti delle
scienze si moltiplicano. Ogni scienza viene separata dall’altra in modo tale da elaborare
in maniera logica, coerente il suo contenuto senza occuparsi minimamente delle sue
conseguenze. Il problema dello scienziato è quello di conoscere la sua scienza e se è
possibile progredire ulteriormente nella sua materia. Che poi questo progredire sia utile
o meno, questo alla scienza non interessa. Weber sosteneva la distinzione tra
conoscenza dei mezzi e conoscenza dei fini. La conoscenza scientifica è
sostanzialmente una conoscenza che elabora i mezzi per raggiungere un determinato
fine; quindi la conoscenza scientifica è conoscenza dei mezzi, perché il fine ci deve
essere già. Credere in Dio, in Allah, oppure essere ateo, questo la scienza non ce lo dice.
Weber ragionando intorno a questo tema semplificava al massimo il suo ragionamento
dicendo: se il soggetto x è un economista, in quanto scienziato sociale è convinto che il
destino del mondo spinga l’economia verso la pianificazione, quindi x in qualità di
scienziato sostiene che l’economia è destinata ad essere governata dallo stato, ma se x è
un liberale, è a favore del libero mercato, il convincimento teorico che il mondo sta
andando verso il comunismo non fa diventare il soggetto x un comunista, ma al
contrario x è portato a far valere la sua idea rispetto a quella dominante nella realtà
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.
Detto in altri termini la scienza, secondo Weber, ci dice quali sono i mezzi più
opportuni per raggiungere uno scopo, ma non ci dice qual è lo scopo che dobbiamo
raggiungere. In che cosa credere? In che cosa sperare? Questo la scienza non ce lo dice.
Weber appariva a coloro che lo studiavano come un razionalista estremo, come un
uomo che voleva ragionare su tutto. In realtà era questo ma anche l’opposto perché
Weber era convinto che rispetto ai fini ultimi vale la volontà e la decisione, vale cioè
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Per un ulteriore approfondimento sulla riflessione di M. Weber intorno a questo tema: WEBER M. Die
Objectivität sozialwissenshaftlicher und sozialpolitisher Erkenntnis(1904), in Gesammelte Aufsätze zur
Wissenshaftslehere, Mohr, Tübingen, 1922; ed. it., Id., La scienza come professione-La politica come
professione, Milano, Mondatori, 2006.
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una scelta che solo in parte può essere motivata razionalmente. Heidegger, violento
critico nei confronti della scienza moderna, nelle pagine iniziali di Che cos’è
metafisica? con stile complesso ma altissimo elaborava la domanda metafisica intorno
al tema del niente,e riguardo al fine ultimo della scienza scriveva: “Ciò che deve essere
indagato è l’ente soltanto, e sennò – niente; solo l’ente e oltre questo niente; unicamente
l’ente e al di là di questo – niente
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” . Può darsi che la cosa più importante da conoscere
sia proprio quel niente. Quei fisici italiani che negli anni 20-30 produssero la scissione
dell’atomo che generò la produzione della bomba atomica, sicuramente non avevano
dato peso alle conseguenze devastanti della loro scoperta. Perché il fisico, in quanto
tale, deve conoscere la fisica e basta. Alla luce di questo contesto, a questo punto,
possiamo capire cosa Husserl intende dire quando critica le scienze oggettive
accusandole di mostrare la realtà senza attribuirgli un significato, di concentrarsi sul
come e non sul perché. L’esempio più illuminante è quello della storia che argomentata
secondo il metodo positivista viene svuotata di significato e assume l’aspetto di un
eterno susseguirsi di popoli che scalzano altri popoli, di guerre e di lotte cicliche.
“Le norme che volta per volta hanno fornito una direzione agli uomini si formano e
poi si dissolvono come onde sfuggenti, che così è sempre stato e sempre sarà, che la
ragione è destinata a trasformarsi sempre e di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in
flagelli…
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”.
Secondo Husserl il pericolo principale dell’Europa è la stanchezza:l’occidente vede
ormai che l’atteggiamento scientifico, e cioè il suo “prodotto di punta”non è più in
grado di dare un senso alla vita ed è per questo che secondo Husserl solo grazie ad un
notevole sforzo di volontà sarà possibile far fronte alla crisi. Allora a questo punto
diventa più facile capire cosa si intende quando si parla della fenomenologia come
“ritorno alle cose stesse”. La fenomenologia pretende d'essere un ritorno alle cose, è il
tentativo di lasciar parlare le cose, cogliendo, nel loro dire, quegli aspetti che più
interessano la coscienza umana(come i valori, le essenze, ecc.). Secondo i padri
fondatori della fenomenologia, questo bel nome indica l’essenza della filosofia, che
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HEIDEGGER M., Was ist Metaphysik?, Cohen, Bonn, 1929; II ed. con nuova ‘Introduzione’,
Klostermann, Frankfurt a. M. 1949; la 4° ed. del 1943, è seguita da un Nachwort; la 5°, del 1949, porta
una nuova Einleitung dal titolo Der Rückgang in den Grund der metaphysik ; ed. it., Id., Che cos’è
metafisica?, in Segnavia, a cura di F. Volpi, Milano, Adelphi, 2005, p. 41.
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HUSSERL E., Die Krisis der europaeischen Wissenschaften und die transzendentale Phaenomenologie,
Kluwer - Nijhoff, Dordrecht, 1993; ed. it., Id., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale, Milano, Il Saggiatore, 1961, 1983, poi Milano, NET, 2002.
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deve ancora insegnarci il senso profondo del mandato di Platone: salvare i fenomeni
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Ossia le cose che appaiono. Platone come discepolo di Socrate, riconosce la grande
importanza del problema della conoscenza per lo sviluppo della vita umana. Partendo
dal relativismo di Protagora e dal divenire di Eraclito, egli sostiene che la conoscenza
sensibile che riguarda le cose, mutevoli e in perpetua trasformazione, non può dare che
risultati approssimativi e provvisori, validi solo nelle circostanze particolari in cui sono
stati ottenuti, e diversi da uomo a uomo. Ognuno in base alle condizioni in cui si trova
può pretendere di avere in suo possesso la verità; nessun giudice può dar torto ad uno
piuttosto che ad un altro, anzi non può nemmeno esservi un giudice, essendo tutte le
pretese legittime. Nessuna conoscenza universalmente valida può essere raggiunta se ci
si riferisce unicamente al sensibile. Solo la conoscenza razionale può portare ad un
risultato sicuro, universale, valido per tutti. L'uomo, raccogliendosi in sé stesso e
cercando dentro di sé, riesce a trovare la certezza razionale ed assoluta. Si ha pertanto
una netta contrapposizione tra sensibilità e razionalità, come era stato nel pensiero di
Parmenide. Il famoso mito della caverna, nel VII libro della Repubblica, dimostra bene
la differenza tra conoscenza sensibile e conoscenza razionale. L'uomo è come
incatenato in una caverna, col viso rivolto alla parete di fondo. Fuori dalla caverna vi è
una grande luce, e, dinanzi all'apertura, passano degli esseri reali, che proiettano la loro
ombra sulla parete di fondo. L'uomo può vedere solo queste ombre, e crede che esse
siano la realtà. Se però riesce a infrangere le catene che lo pongono in mezzo tra i due
mondi, esce dalla grotta, e può conoscere la realtà vera. Alzerà poi lo sguardo al cielo e
alle stelle, per poter, infine, contemplare il sole. La ragione permette dunque di cogliere
qualcosa di diverso dalla realtà materiale, qualcosa di assoluto ed universalmente
valido. Esiste davvero questo qualcosa? Se non esistesse, allora non vi sarebbe alcuna
conoscenza sicura e non resterebbe che l'opinione sensibile, come sostenevano i sofisti.
Ma noi abbiamo conoscenza di essenze che non hanno alcun riscontro nella realtà
sensibile e che quindi non possono derivare dall'esperienza. Tali sono, ad esempio, i
concetti matematici e i giudizi etici. Bisogna perciò ammettere una forma di realtà
diversa da quella delle cose sensibili: una realtà immateriale, universale, immutabile ed
eterna. Questa realtà è costituita dalle idee. Le idee hanno una propria reale esistenza
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Platone sostiene che la conoscenza vera non è la conoscenza sensibile, ma al contrario solo andando oltre
l’aspetto sensibile si accede alla conoscenza delle essenze. E’ anche vero che solo a partire dal mondo
sensibile possiamo parlare di un mondo che sta oltre il sensibile. In Platone è necessario salvare il
fenomeno perché questo è la condizione di possibilità per parlare di ciò che sta oltre il fenomeno(che
secondo Platone è la conoscenza vera). Tuttavia solo Husserl è il primo a salvare i fenomeni in un senso
diverso rispetto a Platone perché in Husserl è nel fenomeno che sta la conoscenza vera, e non, come in
Platone, in una dimensione soprasensibile.
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nel mondo "iperuranio", indipendentemente dalla mente dell'uomo. Esse sono anzi la
vera realtà, mentre il mondo delle cose non costituisce che una realtà inferiore. Esistono
così realmente, ad esempio, le idee di figura, di virtù, di bene, a prescindere dalle
singole figure, dalle singole azioni virtuose, dalle singole cose buone. Inoltre le idee
sono molteplici, mentre unico è l'essere immutabile di Parmenide da cui forse, più che
da Socrate, trae origine la dottrina platonica. Il mondo della natura, nel suo continuo
divenire e nella sua relatività, è un misto di essere e di non essere e cerca di imitare il
mondo delle idee, che sono appunto le forme reali ed immutabili delle cose. Se in
Platone, quindi, le idee sono separate dalle cose che partecipano ad esse per cui le
essenze non si colgono mai nelle cose stesse, ma sempre al di là di esse, quando
parliamo del ritorno alle cose stesse in Husserl le cose non stanno esattamente così. In
questo caso il fenomeno è ciò che insieme al suo aspetto sensibile mi rivela
contemporaneamente anche la propria essenza. In altre parole in Husserl le essenze
delle cose non stanno oltre le cose, in una dimensione sovrasensibile, che sta oltre ciò
che immediatamente ci è dato; al contrario in Husserl il fenomeno si rivela non solo per
quello che appare ma per quello che essenzialmente è. C’è un esempio che considero
particolarmente utile più di qualsiasi definizione di carattere teorico per comprendere
quello di cui sto parlando. Immaginiamo di ascoltare un suono emesso da una chitarra
nella stanza accanto. Penseremo che qualcuno si sta esercitando. Adesso io mi
domando: che cos’è un suono? Cioè quali sono le caratteristiche che determinano un
suono come suono; quali sono le caratteristiche, dunque, senza le quali un suono non
sarebbe suono. Detto in altri termini qui mi chiedo qual è l’essenza del suono perché
l’essenza di qualcosa è proprio ciò che fa in modo che una cosa sia quella che è e non
un’altra. Cioè l’essenza di qualcosa racchiude quelle caratteristiche che determinano la
cosa in quanto tale. Quali sono queste caratteristiche quando parliamo di un suono? E’
evidente che se confrontiamo il suono emesso dalla chitarra con il suono di una
campana siamo tutti in grado di cogliere una differenza. Eppure se il suono non avesse
un timbro noi non potremmo mai riconoscerlo come suono. Questo lo posso dire a
partire dal modo in cui il suono immediatamente si manifesta, cioè a partire dal modo in
cui il suono mi è dato, vale a dire l’ascolto e l’udito. In effetti abbiamo definito una
della caratteristiche essenziali del suono senza far riferimento alla nostra conoscenza
della parola”suono”. Se andiamo a consultare un vocabolario non troveremo nella
definizione lessicale queste caratteristiche perché il suono viene definito come un
evento fisico o come un evento psichico. Ma le cose stanno veramente così? Cioè
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possiamo dire che il suono sia solo un evento fisico e psichico, oppure dobbiamo
ammettere che in queste definizioni qualcosa si perde. Cosa si perde del suono? Si perde
la cosa stessa, cioè l’essenza stessa del suono così come a noi si manifesta. In altre
parole l’evidenza (vale a dire la prova) sulla base della quale affermo che un suono deve
pur avere un timbro, una durata, un’altezza, non è semplicemente di tipo semantico, ma
di un tipo immediato, intuitivo. E’ chiaro che nella definizione della parola suono
potrebbero anche essere descritte quelle caratteristiche che determinano l’essenza del
suono: ma il punto è che per cogliere queste caratteristiche del suono in generale, del
suono in quanto tale, io devo potermi rivolgere a un qualche suono dato. Cioè io devo
avere in qualche modo presente il suono per poterlo riconoscere come tale. E’ ovvio che
io posso riconoscere qualcosa solo quando ho già fatto esperienza di questo qualcosa.
Vedere un particolare non come quel particolare specifico e unico, ma vedere quel
particolare nella sua esemplarità e universalità. Cosa significa questo? Io ho davanti a
me questa scrivania, ma non la considero nella sua particolarità, e cioè non la considero
come questa scrivania posta al centro di questa stanza, in questo determinato edificio,
piuttosto la considero come la scrivania in generale, cioè come esemplare di un tipo
(come modello di tutte le scrivanie). Io colgo nella scrivania che sta di fronte a me
quelle caratteristiche che ogni scrivania deve possedere per poter essere definita come
tale(vale a dire un piano orizzontale e dei piedi di appoggio). Detto ancora in altri
termini, io designo questa specifica scrivania come modello universale a partire dal
quale io posso chiamare scrivania ogni altro oggetto composto da un piano orizzontale
che poggia su piedi di appoggio, indipendentemente da tutte quelle caratteristiche
secondarie e variabili che ogni specifica scrivania può possedere, ad esempio il
materiale con cui è stata fabbricata, la qualità del legno ma anche semplicemente il
luogo in cui può essere posizionata. Edmund Husserl, il fondatore della fenomenologia
fu, come ogni grande filosofo, capace di grandissima meraviglia di fronte ad una
possibilità talmente quotidiana da passare inosservata ma soprattutto non pensata
veramente fino in fondo dopo Platone. Incontrare individui in quanto esemplari, e non
in quanto individui. Questo è il famoso vedere eidetico, o essenziale. Eppure questo
vedere eidetico non potrebbe esserci senza il vedere semplicemente empirico, e questo a
sua volta non ci sarebbe senza il vedere eidetico. E’ a questo punto che dobbiamo
cogliere la chiave fenomenologica, ma anche il senso di questo ritorno a Platone. In
fenomenologia le essenze delle cose non stanno oltre le cose, non sono al di là delle
cose ma sono nelle e con le cose stesse. Ritornare alle cose stesse significa ritornare ai
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fenomeni, significa considerare il fenomeno come ciò che porta direttamente in sè la sua
essenza. L’essenza del fenomeno, non sta oltre il fenomeno ma è ciò che determina la
ricchezza e la profondità del fenomeno stesso. Ad esempio se io considero un pezzo di
creta e faccio riferimento alle proprietà fisiche del pezzo di creta sicuramente queste mi
spiegano che quella creta può essere modellata in una statua, tuttavia è altrettanto
evidente che le caratteristiche fisiche non sono in grado di spiegarmi quale valore
estetico ha la statua. Eppure la statua ha determinate qualità estetiche che non ha il
pezzo di creta per questo non possiamo dire che la statua è riducibile al pezzo di creta.
A questo punto resta da chiarire concretamente quali passaggi è necessario seguire per
utilizzare correttamente il metodo fenomenologico. E’ evidente che il mondo è
costituito da una pluralità effettiva di oggetti, di persone, di situazioni che si
manifestano dinanzi a noi mostrandoci non solo i loro caratteri essenziali, ma nel
momento in cui osserviamo un oggetto, una persona o qualunque altra cosa,
inevitabilmente ci appaiono anche qualità positive, negative che ovviamente sono tali
per il nostro giudizio che può essere fallibile. Sono due i principi fondamentali della
fenomenologia che accompagnano i momenti di ogni ricerca in questo stile:
• Principio di Evidenza. Ogni cosa ha un modo specifico di apparire per quello che è,
essenzialmente.
• Principio di Trascendenza. Ogni cosa ha un modo specifico di andare oltre la sua
apparenza, cioè di essere realmente al di là di quello che appare.
Questi due Principi ci permettono di capire quello che la fenomenologia considera
essenziale del rapporto fra fenomeni e realtà, apparenza ed essere. Il Principio di
Evidenza e Principio di Trascendenza sono affiancati da una regola che ci guida
nell’applicazione pratica di questi due principi: la Regola di Fedeltà. Questa regola puo’
essere articolata in due parti. Innanzitutto è necessario accogliere ogni cosa per quello
che appare essenzialmente. In secondo luogo è necessario spingersi oltre la semplice
apparenza delle cose stesse per seguire il profilo nascosto della cosa che ci viene
suggerito dal suo profilo apparente. In altre parole il senso dell’applicazione di questi
principi è questo: lasciarsi guidare oltre le apparenze delle cose dalle apparenze stesse,
ovvero seguire il profilo nascosto della cosa, così come ce lo suggerisce il profilo
apparente. Allora utilizzare il metodo fenomenologico significa innanzitutto fermarsi,
sospendere ogni risposta, azione, pregiudizio, ogni giudizio positivo o negativo che
immediatamente esprimiamo sulle cose che ci circondano e su cui si sofferma la nostra
attenzione. Questa sospensione è la famosa epochè, che sempre accompagna qualsiasi
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definizione della fenomenologia. E in che cosa consiste concretamente questa
sospensione? Che cosa dobbiamo sospendere? Dobbiamo sospendere non solo i nostri
giudizi sulle cose, ma al tempo stesso tutto quel ventaglio di informazioni, di
conoscenze, pregiudizi che si aggiunge alla nostra percezione delle cose nel mondo; in
altre parole deve essere sospeso tutto ciò che noi attribuiamo ad un oggetto, ma che non
si mostra immediatamente nel suo aspetto fenomenico. Sospendere pregiudizi, giudizi,
azioni, informazioni ed ogni altro tipo di conoscenza e osservare l’oggetto che ci sta di
fronte a partire da come semplicemente ci appare significa modificare il nostro
atteggiamento naturale, pre-filosofico, per lasciare emergere il puro apparire.
Sospendere tutto il ventaglio di informazioni che avremmo a disposizione per descrivere
un determinato oggetto, non significa mettere in dubbio oppure negare la validità di
queste informazioni, ma più semplicemente questo sospendere va inteso come un
tentativo di evitare di fare uso di queste informazioni nella descrizione fenomenologica.
Tuttavia la riduzione fenomenologica non si limita agli oggetti ma si estende anche al
soggetto. Questo è uno dei passaggi più importanti ma anche più difficili del
ragionamento husserliano. La domanda che porta verso l’io è l’ultima tappa della
cosiddetta riduzione trascendentale, che Husserl compì per la necessità di giustificare
l’esistenza di una molteplicità di atti diversi e separati e che tuttavia sentiamo
appartenere ad un unico io. Come si fa ad entrare in contatto con questo particolare dato
primo che è il soggetto e che ognuno di noi sente come se stesso? Nel testo del 1913,
Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, il filosofo vi
perviene osservando che nel flusso mutevole degli atti, ognuno dei quali sorge e poi
svanisce, permane qualcosa di identico, una continuità che costituisce una sfera d’essere
particolare che permane nella continuità delle cose, una sfera d’essere trascendentale
nel senso che costituisce la condizione di possibilità di qualunque atto e del manifestarsi
di qualunque oggetto: […] “tutto ciò che è oggettivo in un senso ampio è pensabile
soltanto come correlato di una coscienza possibile, più precisamente: di un possibile “io
penso” e così è pensabile soltanto in quanto relazionabile con un io puro. Ciò vale anche
per lo stesso io puro. L’io puro può essere posto oggettivamente attraverso l’io puro che
è identicamente lo stesso”.
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Ma come va inteso questo Io Puro? Che cosa possiamo sapere dell’Io puro, e quindi che
cosa possiamo sapere di noi stessi? Questo principio che in Husserl rappresenta il
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HUSSERL E., Ideen zu einer reinen Phäenomenologie und phäenomenologischen Philosophie II, Kluwer-
Nijhoff, Dordrecht, 1976; ed. it, Id., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica
II, tr. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino, 2002, p. 498.
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fondamento ultimo della vita cosciente e conoscitiva, non va confuso con l’io empirico,
cioè non va confuso con il soggetto studiato dalla psicologia o da altre scienze. Solo
mettendo tra parentesi questo io empirico, epochè che attua la riflessione filosofica,
posso accedere ad una coscienza pura. Ma cosa significa mettere tra parentesi l’io
empirico per far emergere l’io puro? Mettendo tra parentesi l’io empirico io metto da
parte tutto quello che appartiene alla realtà psicologica di questo evento singolare, e
quindi io metto tra parentesi questa mia percezione della scrivania che avviene in questo
momento, sulla base del mio sistema nervoso. Io metto fra parentesi questo momento
della vita di questa particolare persona che risponde al mio nome, per considerarlo solo
un esempio di un tipo di esperienza che riguarda un certo oggetto sotto indagine. Se io
sto ascoltando i suoni della chitarra nella stanza accanto, il mio vissuto è a questo punto
l’esempio di una percezione acustica pura. Più in generale un vissuto puro è un modo di
presenza di cose accessibile a chiunque voglia occupare il posto dell’io puro. Ecco
perché Husserl definisce la Fenomenologia “pura” o “trascendentale”, perché è una
scienza di essenze e non di dati di fatto
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. Questo processo di ritorno alla visione
autentica e originaria della cose è l’essenza stessa della Fenomenologia: la scienza che
permette alle cose di giungere alla coscienza nel modo più autentico e originario
possibile, escludendo quindi tutti i dati attorno alle cose che sono stati acquisiti per via
teorica e scientifica.
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Per approfondire la comprensione del metodo fenomenologico è utile ricordare: DE MONTICELLI R.
Nulla appare invano – Pause di filosofia, Milano, Baldini Castaldi, 2006.