6
giuridico nazionale e sovranazionale è diventata una condizione
essenziale per realizzare una compiuta Unione ci siamo rivolti verso
quegli atti che hanno condizionato le economie degli Stati membri. La
politica agricola ha inciso sul settore primario integrando un sistema
in cui ogni Stato prevedeva diverse discipline a riguardo; la riforma
sui dazi doganali ha permesso la libera circolazione all’interno della
comunità e ha difeso la produzione interna dalle importazioni extra-
ue. Nondimeno importante e anzi strategica per il futuro europeo è
stata la previsione di un mercato unico in cui la libertà individuale
d’impresa diventava il principio cardine e in cui lo Stato riduceva il
suo raggio d’azione nel sistema economico con diversi riflessi sulla
gestione dell’economia pubblica. Con la rivisitazione dei Trattati
avvenuta prima a Maastricht e poi ad Amsterdam l’U.E. ha rivolto la
sua attenzione specificamente sulla convergenza economica degli Stati
in previsione dell’entrata a regime della moneta unica simbolo di una
definitiva unione europea. Questa azione ha inciso sui bilanci statali in
modo tale da “costringere” i governi ad adottare misure che
garantissero finanze pubbliche solide.
L’incisività del diritto comunitario sull’ordinamento statale è
stato un problema affrontato dalla dottrina che, soprattutto in Italia, ha
avuto difficoltà ad ammettere la supremazia del diritto comunitario su
quello nazionale. E tuttavia anche l’Italia al pari degli altri Paesi
aderenti all’U.E. ha modificato la propria legislazione seguendo i
criteri stabiliti dalle istituzioni sovranazionali. Dal 1957 in poi il
legislatore italiano ha adempiuto alla lettera dei Trattati in modo più o
meno complessivo e ha convenuto di accettare i limiti derivanti dalla
politica agricola, dalla politica in favore della concorrenza e,
recentemente, da quella relativa al Patto di Stabilità e Crescita
7
introdotto con il Trattato di Amsterdam. Si sono registrate, a ragion
veduta, fasi di “smarrimento” istituzionale intese come perplessità e
remore a modificare il consolidato assetto nazionale. Lo spirito
europeista ha però prevalso e si sono succedute riforme importanti e
attuative delle direttive europee. Esempio ne sono le privatizzazioni
(dal momento che lo Stato non poteva più assumere una posizione
dominante nel mercato), le restrizioni sulla produzione degli
agricoltori che in Italia (acclarata la forte vocazione in questo settore)
sono state assimilate con più lentezza, e poi le norme che recepiscono
l’adesione all’unione economica e monetaria, incidenti sulle
dinamiche di spesa dello Stato. Certamente quest’ultimo elemento è
palesemente attuale atteso che in questa fase storica l’U.E. si
stabilizza, si amplia e cerca di dotarsi di un sistema finanziariamente
stabile. In quest’ottica, l’Italia si è dotata di uno strumento non
dissimile da quello sancito ad Amsterdam con l’intento di
responsabilizzare i centri di spesa e soprattutto gli enti periferici che,
per la loro peculiarità, sono sempre sfuggiti a controlli sull’impiego
delle risorse e in molte occasioni si sono rivelati cause di aumento del
debito.
L’intervento del legislatore teso a razionalizzare la spesa non ha
potuto non tener conto dei comparti che storicamente hanno
contraddistinto le voci negative del bilancio pubblico. Da sempre il
dibattito si è incentrato su come ridurre la spesa per previdenza e
assistenza, settori in cui si nutre maggiore preoccupazione di
sostenibilità finanziaria. In ragione di questa considerazione, il
presente lavoro vuole esaminare i riflessi che la politica comunitaria
relativa all’economia pubblica ha avuto sul servizio sanitario italiano
valutando soprattutto, la legislazione del cosiddetto Patto di Stabilità
8
interno che racchiude gli interventi mirati a contenere la spesa
pubblica. E’ un problema annoso e infatti le diverse leggi di riforma
della sanità italiana hanno sempre avuto riguardo al sistema di
finanziamento di tale settore. Non è stato mai facile ottenere risultati
soddisfacenti per via di una gestione economico-finanziaria al limite
della legittimità atteso che si sono accumulati, dalle diverse
articolazioni sanitarie, deficit di bilancio tali da provocare una
voragine nei conti pubblici. Ancora oggi si subiscono le conseguenze
di un malsano impiego del denaro pubblico. In tale situazione si è
cercato d’introdurre il decentramento e quindi, in una visione
federalista, attribuire alle regioni oneri e onori dell’organizzazione del
servizio sanitario con una conseguente responsabilità sulla gestione.
Con la normativa rubricata come Patto di stabilità interno e dopo la
riforma del Titolo V della Costituzione bisognava diffondere, tra i
livelli istituzionali coinvolti, la consapevolezza di dover “governare”
il sistema con manovre di bilancio virtuose dal momento che
bisognava traguardare una netta cesura con il passato. Infatti, da
sempre il ripiano dei disavanzi del servizio sanitario era stato trasferito
in capo allo Stato centrale. Sono stati questi innumerevoli saldi
negativi tra entrate e spese a provocare disfunzioni nel sistema. Una
dinamica che ha contribuito a produrre quel debito pubblico del quale
l’U.E. richiede il progressivo e costante ridimensionamento. A questo
punto i vari attori istituzionali, per concorrere al rispetto degli obiettivi
del Patto di Stabilità e Crescita, hanno dovuto assumersi la
responsabilità di risanare il sistema. Compito molto arduo in base ad
una valutazione sulle condizioni di ricchezza e stabilità finanziaria
delle diverse regioni.
9
Non è un mistero che in Italia la disparità tra le varie aree del
Paese sia stato sempre causa di disfunzioni anche a livello finanziario
oltre che sociale. I territori maggiormente produttivi, come ad esempio
il nord est, hanno potuto contare su un prodotto interno lordo elevato e
quindi garanzia di un maggior introito per l’erario regionale.
Viceversa i contesti locali del meridione hanno sempre subito
l’arretratezza, il mancato decollo industriale, la difficoltà a crescere in
termini di produttività e quindi a dover ricorrere a sussidi economici
provenienti dallo Stato centrale. Minore ricchezza equivale a minore
disponibilità erariale. Nel settore della sanità queste condizioni si sono
rilevate determinanti soprattutto quando è stata introdotta la nuova
configurazione delle responsabilità degli enti territoriali. Alle regioni è
stata affidata la competenza a garantire, attraverso risorse proprie, il
regolare servizio di assistenza sanitaria nonché la copertura di
eventuali disavanzi di bilancio. Un dovere quest’ultimo che come
vedremo ha messo in difficoltà tutte le regioni a tal punto da dover
trasferire nuovamente in capo allo Stato l’obbligo di provvedere a
sanare i deficit.
Questo studio sull’universo sanitario italiano intende
evidenziare oltre ai riflessi dei parametri comunitari sul sistema
nazionale anche le condizioni di adattamento dei contesti regionali,
esaminando il caso della Regione Calabria all’indomani di questa
rimodulazione di competenza e funzioni. Proprio una regione dotata di
poche risorse e quindi maggiormente impegnata a gestire in modo più
efficiente possibile un comparto che storicamente ha assorbito tante
risorse dai bilanci pubblici. Dall’introduzione della riforma che in un
certo senso ha avviato il cosiddetto federalismo sanitario si sono
registrati periodici sconfinamenti di bilancio nel settore della sanità
10
tali da evidenziare una perdurante incapacità dei governi regionali a
razionalizzare la spesa, l’organizzazione, le strutture. Gli effetti dei
ritardi del passato si sono accentuati negli ultimi anni dal momento
che gli enti locali, per non violare la normativa vigente, hanno avuto la
necessità di adottare stringenti manovre di bilancio. Il contesto
calabrese ha sofferto di un governo della sanità assente di strategie e
programmazioni determinando disfunzioni sul duplice livello
assistenziale e finanziario. Ritardi attribuibili a una classe dirigente
inadeguata a governare una regione difficile sotto ogni aspetto. La
sanità che doveva essere monitorata efficacemente è stata invece
“vittima” di una politica e burocrazia disastrose.
Tale situazione oggi assume un carattere drammatico atteso che
i vincoli di bilancio (diritto comunitario e legislazione nazionale)
investono di forte responsabilità le autonomie locali che sono
chiamate a rispettare il Patto di Stabilità interno, quale strumento di
regolazione tra centro e periferia.
11
Capitolo Primo
ECONOMIA PUBBLICA E UNIONE EUROPEA
1.1 Considerazioni introduttive
La recente approvazione del “Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa”
1
risulta essere l’epilogo di un processo che,
per oltre mezzo secolo, ha accompagnato la vita, nonché la crescita
economica, sociale e politica del vecchio continente. La previsione di
un corpo organico di valori e principi a cui riferirsi mira ad unire,
definitivamente, i popoli europei, atteso che è risultato sempre
difficile immaginare l’Europa come un unico Stato. E’ innovativo
pensare ad una Carta costituzionale europea alla stregua di quelle
vigenti in ogni Stato democratico. La Costituzione europea, invece,
non può che essere considerata come il risultato di un’evoluzione che
ha condotto all’integrazione politica ed economica.
Quest’ultima, in realtà, fin dagli anni ’50 è stata al centro di
diversi accordi internazionali, obiettivo primario di quei Paesi
2
che
1
Il Trattato è stato firmato a Roma il 29 ottobre 2004 dai Capi di Stato e di Governo degli Stati
membri dell’Unione europea.
2
Vedi infra § 2.
12
iniziarono a prevedere forme di collaborazione e integrazione. Oggi
siamo giunti ad un fase in cui è forte la volontà di creare una
coscienza comune dell’U.E., quasi per sfatare le unanimi espressioni
dottrinali che definiscono come “popoli europei” quei quasi 300
milioni di cittadini comunitari. E’ innegabile che il processo
d’integrazione europea si è articolato in modo anomalo. Prima
un’unione economica poi quella monetaria, e quindi la
costituzionalizzazione di “principi e valori comunitari”. In questi
mesi, gli Stati membri sono chiamati a ratificare la Costituzione
europea e non pochi problemi politici si affacciano sulla scena
3
. Ciò
dimostra come non sia facile pervenire a una compiuta Unione sotto
tutti gli aspetti dal momento che una tale iniziativa è in atto da.
Esistono problematiche che riguardano le resistenze opposte alla
cessione di quote di sovranità nazionale e il dibattito politico-giuridico
focalizza l’attenzione sulla natura dell’Unione Europea che,
unanimemente, viene considerata un sistema diverso sia da uno Stato
federale che da uno confederale. Viene definito come “terzo genus”,
nel senso che, nei suoi aspetti istituzionali, è più simile ad una
organizzazione internazionale che non già una forma di Stato. Lungi
dal voler esaminare in questa fase tali problematiche, dobbiamo farvi
riferimento per comprendere il perché l’integrazione politica non può
dirsi ancora totalmente compiuta.
Premesso questo, non possiamo esimerci dall’analizzare
l’unione economico-monetaria, promossa nel particolare periodo
3
A riguardo è utile sottolineare che, nella fase di ratifica da parte degli Stati membri, ci sono state
due pronunce sfavorevoli da parte di Francia e Olanda che hanno proceduto alla ratifica tramite
l’istituto del referendum popolare.
13
storico del secondo dopoguerra
4
, e primo stadio verso la costruzione di
una compiuta comunità europea. Senza questo primo vero risultato
conseguito nel processo d’integrazione, l’evoluzione verso una
coesione anche politica dell’Unione forse, ancora oggi, tarderebbe a
manifestarsi. La suddetta comunità economica diventava realtà con i
primi Trattati. Assumeva notevole importanza l’incidenza che, norme
internazionali producevano sulle economie nazionali. Gli Stati membri
furono chiamati a rispettare nuovi “parametri” europei e il cosiddetto
diritto pubblico dell’economia si modellava in relazione a queste
nuove condizioni. Cambiava lo scenario delle politiche pubbliche
economiche che attualmente, ancor più che allora, non possono
prescindere dai vincoli comunitari.
Certamente il processo d’integrazione economica si è sviluppato
per fasi. A tal fine ci interessa esaminare le varie disposizioni del
diritto comunitario che hanno permesso la realizzazione dell’unione
economico-monetaria e soprattutto verificare in che modo le
disposizioni dei Trattati hanno inciso sugli assetti politico-economici
nazionali preesistenti condizionando in modo irreversibile (con la
cessione di sovranità in materia) l’economia pubblica degli Stati
membri.
1.2 Le prime fasi dell’integrazione economica
L’immediato secondo dopoguerra segnò l’inizio del processo di
cooperazione tra gli Stati europei volto a creare strutture funzionali
4
Non bisogna dimenticare che la Comunità Economica Europea nasceva proprio con lo scopo di
unificare i mercati e collaborare economicamente soprattutto in considerazione del periodo storico
a cui si fa riferimento e cioè il dopoguerra degli anni cinquanta. L’ambizioso progetto di avere un
solo mercato europeo addirittura si è rivelato il precursore di una più vasta unione politica e
sociale che oggi si vuole formalizzare per mezzo della Costituzione per l’Europa.
14
allo sviluppo economico. L’idea
5
nacque da una proposta che mirava a
rafforzare l’unità europea anche attraverso la produzione comune del
carbone e dell’acciaio (CECA) da parte dei Paesi dell’Europa centrale.
L’obiettivo economico e produttivo si univa a quello politico che
includeva la volontà di eliminare le rivalità tra Francia e Germania
persistenti fin dal conflitto mondiale. Del resto, le lacerazioni politiche
e sociali non potevano continuare a condizionare il periodo della
ricostruzione postbellica. Non bisogna dimenticare che la firma del
Trattato di Bruxelles, istituivo della CECA, seguì altri eventi che
iniziarono ad incidere sulle economie nazionali.
Già dagli ultimi anni ‘40 i Paesi europei realizzarono forme di
cooperazione economica tramite l’European Union of Payments
(UEP) ed il General Agreement on Tariffs and Trade (GATT).
Entrambi furono prodromici alla costituzione della futura Comunità
del carbone e dell’acciaio.
1.2.1 L’Unione Europea dei Pagamenti (UEP)
Alla fine del conflitto la maggior parte delle valute europee
non era convertibile e il commercio intraeuropeo aveva subito un
calo drastico. Vennero così conclusi numerosi accordi di pagamento
bilaterali, che in sostanza prevedevano forme di baratto che
certamente provocavano un regresso verso forme di pagamento
obsolete
6
.
5
Il 9 maggio 1950 il Ministro degli Esteri francese Shumann lanciò la proposta di impegnare gli
Stati a trasferire, per il tramite delle relazioni di cooperazione, quote di sovranità statale ad
organizzazioni sovranazionali con lo scopo di garantire la pace in Europa.
6
Si rendevano operativi accordi commerciali sulla base del contingentamento delle merci ed
accorsi di pagamento in compensazione. Questo sistema provocava due problemi: difficoltà di
15
Alla fine del 1947 i pagamenti erano ancora soggetti al
sistema bilaterale di compensazione diretta. Un primo tentativo di
risolvere questa intricata situazione fu rappresentato dall’accordo di
pagamento intraeuropeo del settembre 1947 in cui gli Stati erano
obbligati a segnalare i crediti e i debiti alla banca per i regolamenti
internazionali in modo tale che agisse un meccanismo di
compensazione multilaterale. Analoga ratio si riscontrava nel
secondo accordo di pagamento. Esso stabiliva che il 25% dei debiti
maturati da un Paese debitore nei confronti di un Paese creditore
potessero essere spesi al di fuori di quest’ultimo. In altri termini si
garantiva la possibilità di trasferire quota di un debito in un altro
Stato. Entrambi questi due rimedi non sortirono effetti positivi e,
dunque, le economie nazionali necessitavano di un sistema di
garanzia e stabilità. Il problema non si rifletteva soltanto con gli
scambi commerciali di natura privata ma anche con quelli inerenti
imprese pubbliche ovvero in modo ancor più rilevante con i debiti e
crediti che un apparato statale poteva contrarre con Paesi terzi.
L’Accordo che sanciva la nascita della UEP fu firmato nel
1950. Due erano le caratteristiche fondamentali
7
: la trasferibilità
delle monete e la disponibilità di credito garantita dal Piano
Marshall. Grazie a questo nuova tipologia di normativa integrata,
tutti i Paesi furono in grado di pagare le importazioni con propria
valuta e non. Si assicurava così la piena convertibilità delle valute
europee. L’EUP sostanzialmente rappresentava la novità nel mondo
delle valute. Si creava quasi un comune sistema monetario in cui i
bilanciare gli scambi e quindi quantificare egualmente i rispettivi stock di merci, e l’impossibilità
di utilizzare l’eventuale surplus di valuta estera in un altro Paese.
7
Cfr. Picozza E., Il diritto pubblico dell’economia nell’integrazione europea, Roma Nuova Italia
Scientifica, 1996, cap. 3