Premessa
II
graduale, per evitare l’esclusione sociale di chi è espulso dal processo produttivo, e
per rendere meno gravosa la riduzione del reddito. In particolare, il conseguente
progressivo invecchiamento delle forze lavoro, porterà ad affrontare un grosso
problema di competitività ed adeguamento dei sistemi produttivi e dei sistemi
pensionistici.
Nel secondo capitolo, invece, l’oggetto di interesse sarà il lavoratore anziano, la
sua condizione all’interno dell’azienda e le caratteristiche che lo rendono diverso dai
lavoratori più giovani; esso si troverà ad affrontare una nuova realtà di conflitti
intergenerazionali e sociali e il crescente individualismo che è proprio delle nuove
generazioni e che è ulteriormente alimentato dalla coscienza di essere avvantaggiati,
in termini di preparazione e potenzialità, nella rincorsa al cambiamento (Golini,
2000b). Queste contrapposizioni non saranno facili da gestire e costituiranno un’altra
importante evoluzione del fenomeno dell’invecchiamento. E’ interessante capire
quale sarà la posizione che le aziende assumeranno, le politiche e i mezzi che
adotteranno per gestire la presenza di un numero sempre più elevato di dipendenti
anziani.
Nel terzo ed ultimo capitolo, si abbandonerà l’analisi del problema a livello
generale, per scendere nel particolare e soffermarsi ad osservare la situazione in tre
aziende operanti in settori differenti e diversamente coinvolte da processi di
mutamento tecnologico ed organizzativo. Si tenterà quindi di elaborare tre possibili
scenari per ciascuna azienda per evidenziare le difficoltà, più o meno grandi, che
potrebbero presentarsi in futuro e suggerire possibili modalità di intervento.
1
INTRODUZIONE
UN QUADRO DEMOGRAFICO DI RIFERIMENTO
1. Generalità
Abbiamo iniziato il ‘900 con una popolazione di un miliardo e 600 milioni di
individui ed entriamo nel nuovo secolo con più di 6 miliardi di individui. Tale
crescita è un fenomeno recente nella storia mondiale. Si stima che 2000 anni fa la
popolazione globale ammontasse a circa 300 milioni, per molto tempo non è stata
soggetta a significativi incrementi, con periodi di crescita seguiti da periodi di
declino, ed ha impiegato più di 1600 anni per raddoppiare. Le cause sono da
ricercare negli andamenti dei principali fenomeni demografici: fecondità e mortalità.
Infatti, a partire dalla rivoluzione industriale, nei Paesi Sviluppati (PS)
l’espansione della produzione di energia e di beni materiali, ed il progresso ad essa
associato, hanno permesso di spezzare i vincoli tradizionali alla crescita demografica,
attraverso una forte riduzione della mortalità che, accompagnata da un’iniziale
stabilità della natalità, ha permesso di raggiungere valori elevati del tasso di
accrescimento
1
. Essi si sono poi ridotti a causa del calo delle nascite registratosi
anche in seguito all’accresciuta pressione dei figli sopravviventi sulle risorse
famigliari, fino a sfiorare lo zero in molti Paesi nel mondo in questa fine di secolo.
Nei paesi poveri (PVS) la storia è analoga ma con tempi e cadenze differenti.
La limitazione delle nascite era pressochè sconosciuta e soltanto a partire dagli anni
’40 è iniziata una riduzione della mortalità grazie alla diffusione di antibiotici, Ddt e
1
Calcolato come differenza tra il tasso di natalità e quello di mortalità.
2
nuove tecnologie mediche e sanitarie. Così, con una fecondità che continuava
ad essere elevata (6 figli per donna negli anni ’60), il tasso di incremento ha
raggiunto il suo massimo valore nel 1940 (2,5%) ed è declinato poi con il calo della
natalità a partire dagli anni ’70 (3,3 figli per donna nei primi anni ’90).
A livello mondiale, il complessivo calo della fertilità registrato negli anni, ha
portato il tasso annuale di crescita a ridursi progressivamente a partire dal picco del
2% raggiunto nel 1965-70. Oggi la popolazione ha raggiunto e superato i 6 miliardi
e cresce ad un ritmo dell’1,3% annuo
2
(ONU,1998).
Il periodo di transizione demografica che stiamo attraversando, caratterizzato
da bassi tassi di natalità e mortalità, ci induce quindi a pensare che probabilmente il
tasso annuale di crescita non dovrebbe innalzarsi di nuovo.
I tassi di fecondità più bassi, le migliori condizioni di salute e la conseguente
longevità, hanno generato un numero crescente di persone anziane in quasi tutto il
mondo. Avremo quindi un numero sempre più elevato di persone che
raggiungeranno le età più avanzate, ed un numero sempre minore di nuovi nati,
insufficiente a rimpiazzare le generazioni precedenti, che provocheranno il
rovesciamento della più tradizionale struttura della piramide delle età.
Al variare della struttura per età della popolazione varia, a parità di altre
condizioni, la probabilità di morire, di avere figli, di sposarsi o di migrare, quindi
essa ha un forte impatto sulla composizione futura.
2
La quota più elevata della crescita della popolazione mondiale (il 97%) è concentrata nelle regioni meno
sviluppate. Ogni anno la popolazione dell’Asia cresce in media di 50 milioni di individui, quella dell’Africa di 17
milioni e quella di America Latina e Caraibi di circa 8 milioni. L’Africa ha il tasso di crescita più alto tra le
maggiori aree, l’Europa quello più basso (-0,2% nell’Europa dell’Est).
3
2. Distribuzione territoriale della crescita della popolazione e
previsioni per il futuro
Le previsioni effettuate dall’ONU vedono a metà del 21° secolo una
popolazione mondiale compresa tra i 7,3 e i 10,7 miliardi di abitanti (cfr. Graf. 1).
Grafico 1 – Ammontare della popolazione mondiale: stime e previsioni secondo gli scenari alto
medio e basso, 1950-2050
0
2000000
4000000
6000000
8000000
10000000
12000000
1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050
Scenario medio Scenario alto Scenario basso
Fonte: ONU, 1998.
In particolare le proiezioni rispondenti allo scenario medio, considerato il più
verosimile, indicano 8,9 miliardi di abitanti nel 2050 (con un tasso annuale di
crescita che continuerà a ridursi fino allo 0,34%); lo scenario alto ne prevede 10,7
miliardi (con un tasso che si ridurrà più lentamente raggiungendo lo 0,87%); infine
secondo quello basso tale riduzione sarà molto più rapida fino ad arrivare a 7,3
miliardi di abitanti (si raggiungerà un valore negativo del tasso di crescita (-0,23%)).
Osservando inoltre i Grafici 2 e 3 si può analizzare la recente distribuzione
della popolazione mondiale e gli incrementi previsti nei prossimi anni nelle principali
regioni del mondo.
4
Grafico 2 – Distribuzione della popolazione mondiale nel 1999 (milioni) ( )
767
511
3515
1185
Africa America Latina e Caraibi
Asia e Oceania Regioni più sviluppate
Fonte: ONU, 1998.
Grafico 3 - Incremento della popolazione mondiale previsto per il periodo
1999-2015( ).
311
120
716
29
Africa America Latina e Caraibi
Asia e Oceania Regioni più sviluppate
Fonte: ONU, 1998.
( ) Da Asia ed Oceania sono esclusi Giappone, Australia e Nuova Zelanda, che sono
inclusi nelle Regioni più sviluppate
5
3. Transizione demografica
3
Lo sviluppo demografico attraverso la storia è descritto da tre fasi fondamentali
che mettono in evidenza quella che viene denominata “transizione demografica”.
La prima fase è caratterizzata da alti tassi di natalità e di mortalità, dal
manifestarsi di epidemie e disastri climatici e da una insufficiente base economica su
cui costruire lo sviluppo demografico.
La seconda fase ha inizio con il mettersi in moto di un declino sostanziale della
mortalità, sospinto dalla diffusione di metodi di igiene e sanità e dallo sviluppo della
produttività nell'agricoltura. In questa fase si ha un rapidissimo aumento del tasso di
crescita della popolazione, perché il tasso di natalità non declina parallelamente al
tasso di mortalità, ma resta costante. Esso si mantiene sugli stessi livelli grazie ad
una maggiore capacità di sostentamento delle famiglie collegata all'aumento di
produttività nell'agricoltura, e ad una sostanziale invarianza dei costumi e delle
decisioni sul numero dei figli. La fase di forte crescita della popolazione, comporta
un progressivo deterioramento del rapporto tra popolazione e risorse, che rimangono
sostanzialmente immutate. La forte pressione demografica è anche mitigata nel
tempo da tre fenomeni scaturati da essa: la migrazione, il miglioramento delle
tecniche per sfruttare l’ambiente e la forte e prolungata mortalità derivante da
carestie, guerre ed epidemie.
La terza fase sopraggiunge quando anche i tassi di natalità si riducono. Questo
accade sia perché le persone accedono al matrimonio più tardi, sia perché il costo per
figlio aumenta significativamente
4
, oltre alla disponibilità di contraccettivi facili,
3
Per i contenuti di questo paragrafo cfr. Garella, 1999-2000.
4
Il livello di istruzione, la politica del lavoro, la sicurezza politico-economica sono alla base di una
stabilizzazione degli indici di fecondità.
6
economici ed efficaci
5
. Quindi il tasso di crescita della popolazione diminuisce fino a
livelli molto bassi.
Le varie regioni del mondo hanno vissuto le tre fasi in momenti differenti.
Mentre tale processo si è attuato, con tempi diversi, in tutti i PS, non è ancora giunto
a conclusione nei PVS (solo a partire dagli anni ’20 o ’30 la mortalità ha iniziato il
suo declino). La discesa della mortalità è stata senz’altro più rapida, ma la fecondità
è ancora molto elevata e non è semplice prevederne le evoluzioni future. Si ritiene
però altamente probabile che i PVS seguano il percorso dei PS.
Il futuro sviluppo della popolazione mondiale dipende molto dal
comportamento del tassi di fecondità e natalità nei PVS: se essi si abbasseranno
significativamente, come sembra stia accadendo da qualche tempo e in particolare
dal 1994 (anno della Conferenza mondiale de Il Cairo su Popolazione e Sviluppo),
anche i PVS avranno completato la transizione demografica, passando dalla seconda
alla terza fase.
5
Si tratta proprio della fase in atto nei Paesi industrialmente avanzati ed in particolare in Italia.
7
4. Impatto dei principali fenomeni demografici sulla crescita della
popolazione
I diversi scenari presi in considerazione dall’ONU si differenziano in base
all’andamento dei due principali fenomeni demografici che influenzano le variazioni
nell’ammontare della popolazione attraverso i secoli: fecondità e mortalità.
4.1 Fecondità
Questo è il primo e il più complesso fenomeno demografico che analizzeremo.
La fecondità umana è influenzata da una serie di fattori che interagiscono tra loro; si
tratta di fattori biologici, sociali e culturali. Essi costituiscono la grande differenza
con il fenomeno della mortalità: mentre la nascita di un figlio è un evento incerto e
ripetibile, e la capacità di procreare viene a ridursi, fino a scomparire del tutto, solo
col sopraggiungere dell’invecchiamento, la morte è un evento unico nell’esistenza di
un uomo e colpisce ogni componente della generazione. È per questo che la
fecondità, essendo un fenomeno più complesso, è oggetto di studi molto più
approfonditi.
Esistono una serie di cause che possono determinare la variazione del tasso di
fecondità all’interno di una popolazione. Prima di tutto esistono dei limiti, che sono
meglio identificabili per le donne come limite inferiore (pubertà) e superiore
(menopausa) alla vita fertile
6
. Questa considerazone ci permette di restringere la vita
fertile a meno di 30 anni nell’arco dell’esistenza di una donna. Bisogna poi prendere
in considerazione quei momenti della vita fertile in cui una donna non può avere
6
Questi periodi corrispondono alle fasce di età 12-16 e 44-50 anni in media.
8
figli
7
e la percentuale di gravidanze che non vengono portate a termine (aborto
spontaneo e natimortalità), sottolineando inoltre che un certo numero di donne non
sopravvive per tutta la durata della vita fertile
8
. Ricordando poi che la maggior parte
delle nascite avviene all’interno di un unione stabile ed in particolare all’interno di
un matrimonio, si ha un ulteriore decurtazione del periodo fertile. Questo ci fa capire
che, anche senza applicare lo strumento del controllo delle nascite, fortemente
diffuso nei Paesi industrializzati, esiste già una molteplicità di agenti che vanno ad
alterare i livelli della fecondità teorica di una popolazione.
Il tasso medio di fecondità globale è, nel 1998, di circa 2,7 figli per donna,
mentre nei primi anni ’50 era di 5 figli per donna. Ora la fertilità si sta riducendo in
tutti i Paesi del mondo. Negli ultimi 50 anni c’è stata una forte riduzione di tale
indicatore anche in Europa, con un passaggio da 2,6 a 1,4 figli per donna (ONU,
1998).
La geografia della fecondità riflette, invertita, la geografia della sopravvivenza:
dove la fecondità è bassa, la speranza di vita è alta e viceversa. Naturalmente ci sono
eccezioni, ritardi e anticipi, ma questo è il quadro generale (cfr. Graf. 4). I grafici
evidenziano le conseguenze dei singoli comportamenti demografici che si combinano
in modo vario nei diversi Paesi.
L’Europa mostra i tipici trends e la struttura dei Paesi economicamente
avanzati: nel 1950 la fecondità era già bassa e la speranza di vita alla nascita
abbastanza alta, con una differenza tra nascite e morti positiva ma mai
particolarmente elevata. Tra il 1995 e il 2010 è atteso un eccesso delle morti sulle
nascite e dei vecchi sui giovani.
7
Tale intervallo è dato dai 9 mesi di gravidanza, il periodo di amenorrea, legato all’allattamento, in cui non
avviene l’ovulazione, ed il “tempo morto” cioè l’intervallo di tempo tra la ripresa dell’ovulazione ed il possibile
concepimento successivo.
8
Quando questo numero è particolarmente elevato il numero teorico delle nascite può ridursi anche di un terzo.
9
Grafico 4 – Tassi di fecondità totale e speranza di vita alla nascita (anni) in Europa, Africa e Asia
(previsioni relative alla variante media)
AFRICA
0
1
2
3
4
5
6
7
30
35
40
45
50
55
60
65
70
75
80
TFT e0
EUROPA
0
1
2
3
4
5
6
7
30
35
40
45
50
55
60
65
70
75
80
TFT e0
1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050
1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050
10
Fonte: elaborazioni proprie su dati ONU.
Invece i trends e la struttura di Africa e Asia sottolineano quanto differente sia
la storia demografica delle regioni meno sviluppate. In Africa è in atto una forte
caduta della fecondità che però è partita da livelli molto più elevati rispetto ai Paesi
europei, e quindi continuerà a causare una crescita, nonostante la mortalità
relativamente alta. Il rapido e precoce crollo della fecondità in Asia ha invece
congelato la crescita demografica (Golini, 1999).
La differenza osservata nell’evoluzione demografica dei tre continenti (e i forti
differenziali tra tassi di crescita) evidenzia le numerose difficoltà che le regioni più
sviluppate dovranno affrontare considerando il processo di globalizzazione e di
competizione internazionale. Un fenomeno molto evidente è quello della graduale
convergenza dei comportamenti riproduttivi tra i PS e i PVS. In accordo con la
variante media, il TFR nei tre continenti dovrebbe convergere nel 2050, con un
valore di circa 2,03-2,10 figli per donna, assicurando teoricamente una crescita zero.
I Paesi meno sviluppati sono guidati in questo cammino di convergenza da una
ASIA
0
1
2
3
4
5
6
7
30
35
40
45
50
55
60
65
70
75
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TFT e0
1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050
11
maggiore diffusione dei contraccettivi e, più in generale, di una cultura del controllo
delle nascite, senza considerare la crescita del livello di istruzione che sicuramente si
è manifestata negli ultimi anni.
La diminuzione della fecondità in molte aree potrebbe dimostrarsi più veloce
del previsto, sostenuta da efficienti programmi di pianificazione familiare e,
soprattutto, da uno sviluppo sociale intenso (più istruzione, più emancipazione,…),
ma in altri Paesi, quelli dove il controllo delle nascite è assente ed il livello di
sviluppo bassissimo, tale riduzione potrebbe essere molto più lenta di quanto non si
pensi, provocando comunque un problema di eccessiva crescita.
4.2 Mortalità
La mortalità è il secondo fenomeno demografico che va ad influenzare la
struttura e l’ammontare di una popolazione. Il suo rapido declino a partire dalla fine
del ‘700 è stato legato fondamentalmente ai progressi nella medicina,
nell’alimentazione, nell’igiene e nelle tecniche sanitarie
9
.
Oggi il livello di mortalità non è più così strettamente legato al reddito, e la
speranza di vita ha raggiunto, nei Paesi industrializzati, livelli molto elevati. Ad
esempio si può analizzare tale indice in Europa (cfr. Graf. 5). Lo studio di questi
grafici ci fa capire che non si può omettere dall’analisi della mortalità la
considerazione relativa alla differenza tra uomini e donne. Infatti emerge una netta
superiorità femminile della speranza di vita alla nascita. Questo è il motivo per cui la
composizione per sesso della popolazione si è fortemente modificata nel tempo.
9
Inizialmente un forte contributo è stato dato dalla fine delle grandi epidemie, dalla riduzione delle carestie e
quindi dal generale miglioramento nelle condizioni di salute.