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pubblicità, e deve essere completato con approfondimenti posti in essere da altri
specialisti o da ipotesi operative di genere diverso.
D’altra parte, un’impostazione eminentemente - quando non esclusivamente -
scientifica del fenomeno pubblicitario può risultare troppo generale e quindi
inconsistente, per lo meno di fronte alle istanze operative che provengono dal mondo
dell’imprenditorialità. Il che porta a ritenere che l’approccio più corretto sia quello,
sì, scientifico, ma quel tanto che basta a illuminare, in modo critico, l’area
decisionale dell’operatore. Quindi l’indagine scientifica sul fenomeno pubblicitario
deve essere condotta con umiltà e con il senso di colui, o coloro, dal cui agire, nel
momento in cui operano delle scelte ed assumono delle decisioni di natura
economica, deriva un incremento nella qualità della vita dell’uomo, o - per lo meno -
una presunzione ragionevole che a tale incremento, presto o tardi, si arrivi.
Con questo elaborato si cerca quindi di esplorare la pubblicità “introspettiva”, se
così si può chiamare, ovvero quella pubblicità che si serve di mezzi teorici più che
pratici.
Nel primo capitolo sarà svolta un’analisi storica della pubblicità, i suoi inizi, i
suoi sviluppi, il suo sistema e i sui mezzi.
Nel secondo capitolo, attraverso le discipline psicologiche del
Comportamentismo/Behaviorismo, della Psicologia Cognitiva, della Psicanalisi e
della Psicologia Sociale si approfondirà quelle che sono le influenze derivate da
questi orientamenti psicologici nel campo pubblicitario.
Nel terzo capitolo sarà approfondito il tema della persuasione e i suoi
meccanismi, con alcuni rimandi alla psicologia delle folle, alla psicanalisi e al
cognitivismo di cui si è parlato nel capitolo precedente.
Per concludere, nell’ultimo capitolo, si parlerà di propaganda, vista come un
modello di pubblicità persuasiva e considerata possibile strumento di manipolazione
in grado di sfruttare a suo piacimento i sentimenti.
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Cenni storici
Sembra nata ieri, e invece esiste da sempre. Poche cose caratterizzano i “tempi
moderni” meglio di quanto non faccia la pubblicità; eppure la sua origine è antica
quanto il commercio o il baratto, è antica in sostanza quanto l’uomo. Offrire un
prodotto mettendo in evidenza le sue qualità è un atto che risale alla notte dei tempi.
Infatti, il più antico annuncio pubblicitario scritto risale a forse 3000 anni fa, e fu
scoperto da un archeologo nelle rovine di Tebe. In esso si offriva una moneta d’oro
quale ricompensa per la restituzione di uno schiavo fuggitivo, di nome Shem. Anche
gli scavi di Pompei documentano l’uso di reclamizzare, con scritte, eventi pubblici,
spettacoli, gare, fiere, o l’uso di propagandare le magnificenze di un punto di ristoro
o di una stazione termale, erano già pienamente affermati in epoca romana. Andando
ancora più indietro nel tempo, risalgono ai Fenici i primi esempi di pubblicità di cui
abbiamo prova. Lungo le strade principali essi erano soliti lasciare grandi pietre con
l’elenco dei prodotti in vendita. Anche vasi, bassorilievi e pergamene erano utilizzati
per fini pubblicitari e spesso per propaganda politica. E, se oggi si cerca l’elettore
tramite gli spot, ieri si faceva circolare la moneta con l’effige dell’imperatore per dire
a tutti chi comandava.
Ma più che alla scrittura, il messaggio pubblicitario era affidato alla parola,
all’arte dell’eloquio e della retorica. Imbonitori, banditori, “strilloni” nelle fiere, nei
mercati e nelle piazze dei paesi: fino all’avvento della stampa la pubblicità era cosa
loro; in loro possiamo riconoscere i precursori degli attuali pubblicitari, i “pionieri”
della professione.
La prospettiva cambia con la diffusione della stampa a caratteri mobili per opera
di Giovanni Gutenberg
1
; grazie a questa invenzione fu possibile affiggere nelle strade
delle principali città i primi manifesti stampati. Anche se i detentori del potere
politico, coscienti delle grandi possibilità comunicative di questo nuovo mezzo non
tardarono ad imporre una rigida regolamentazione, assicurandosi il monopolio
dell’affissione.
1
Johann (o Johannes) Gänsfleisch detto Gutenberg (1390 - 1468): inventore della stampa a caratteri
mobili. Il procedimento di stampa di Gutenberg consisteva nell'allineare i singoli caratteri in modo da
formare una pagina, che veniva cosparsa di inchiostro e pressata su un foglio di carta o di pergamena.
L'innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri - fino ad allora le matrici di stampa
venivano ricavate da un unico pezzo di legno, che poteva essere impiegato solo per stampare sempre
la stessa pagina - finché non si rompeva la matrice, cosa che accadeva assai spesso.
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Ciò nonostante è possibile datare il primo annuncio pubblicitario stampato di cui
si abbia traccia: appare in Inghilterra è un volantino del 1473 che reclamizzava un
libro di precetti religiosi dell’editore-tipografo William Caxton
2
, il quale, in anni
successivi, fu il realizzatore di un manifesto, forse il primo di tipo commerciale, per
promuovere le cure termali di Salisbury.
Molti anni più tardi, nel 1631, venne pubblicato a Parigi il primo giornale con
annunci pubblicitari a pagamento, la Gazette Hebdomanaire. L’iniziativa fu
dell’editore Théophraste Renaudot, che fondò il primo giornale fatto unicamente di
piccoli annunci a pagamento, il Feuille du bureau d’adresses, creazione che
prendeva spunto dall’ufficio creato dallo stesso Renaudot l’anno prima, il Bureau
d’adresses e de rencontres, nel quale chi offriva o cercava beni o servizi di qualsiasi
natura lasciava un biglietto con la descrizione dell’oggetto del lavoro o del servizio
cercato o offerto.
Le gazzette uscivano generalmente una volta la settimana e contenevano notizie e
informazioni utili. E fu grazie a queste pubblicazioni che nacque la réclame, quella
che possiamo considerare la prima e vera forma di pubblicità, ancora priva di
immagini e basata su un testo simile a quello degli articoli giornalistici. Il successo
dell’iniziativa fu tale che vent’anni dopo anche l’Inghilterra creò il suo giornale
d’annunci: il Mercurius Politicus.
Fu nel Settecento che la réclame cominciò a diffondersi in modo capillare sui
giornali, soprattutto su quelli inglesi (Tatler, Spectator), non a caso in Inghilterra,
perchè fu proprio lì che nel Settecento prese il via la prima Rivoluzione Industriale,
che sconvolse e rivoluzionò tutto il mercato. È sempre in Inghilterra che nel 1712 il
governo impose una tassa su ogni quotidiano o periodico venduto ed una tassa
addizionale su ogni annuncio pubblicitario.
Da questo momento le iniziative simili non si contarono più, anche grazie allo
sviluppo del commercio e delle attività artigianali. Fu forse per questo motivo che
sempre in Inghilterra, tra Settecento e Ottocento, nacque la figura dell’agente
pubblicitario, il cui compito era quello di vendere spazi pubblicitari disponibili su
riviste e gazzette sparsi sul territorio secondo le volontà del committente. Si
comprese inoltre che anche i giornali avrebbero avuto il loro tornaconto: si
2
William Caxton (1422 - 1491): primo tipografo inglese.
7
liberavano da ogni preoccupazione amministrativa e erano messi in contatto da un
personale specializzato con le aziende, che a quei tempi dovevano ancora essere
convinte delle virtù della pubblicità, ma che ben presto dovettero ricredersi perché
ormai il potere pubblicitario era indiscutibile.
La nascita della pubblicità moderna
Il boom del fenomeno pubblicitario, o meglio la nascita della vera e propria
pubblicità, così come la conosciamo noi, coincide senza dubbio con la rivoluzione
industriale del XIX secolo, che segna il passaggio dalla produzione artigianale alla
produzione industriale di merci per una distribuzione e una vendita pianificata su
larga scala.
Parallelamente, nella seconda metà dell’Ottocento, compaiono e si sviluppano i
giornali quotidiani e i manifesti, che diventano i principali veicoli della pubblicità.
Sono gli illustratori e gli artisti a realizzare le immagini che promuovono il prodotto:
nel 1886 Jules Cheret disegna le prime affiches per il profumiere Rimmel, seguito da
Toulouse-Lautrec (autore di più di 30 manifesti per spettacoli, libri e cosmetici) e da
Honoré Daumier, da Edoard Manet, dai futuristi italiani e da molti altri pittori.
Nascono contemporaneamente, negli Stati Uniti, le prime agenzie pubblicitarie.
Volney Palmer ne apre una nel 1840, una semplice concessionaria che acquistava in
blocco spazi pubblicitari sui maggiori quotidiani per rivenderli ai suoi clienti.
Pochi anni ancora e le concessionarie per favorire l’acquisto degli spazi iniziano
ad offrire anche la creazione del testo, l’impaginazione dell’annuncio, le illustrazioni.
La Carlton & Smith, fondata nel 1864, viene acquistata dalla J. Walter
Thompson, ancora oggi una delle prime agenzie internazionali e, per molti anni, la
prima in assoluto.
All’inizio del ventesimo secolo le agenzie già possiedono una struttura ben
precisa, con regole e ruoli che vanno definendosi sempre più distintamente. Tra gli
anni Trenta e Quaranta, esse assumono definitivamente il modello operativo valido
ancora ai nostri giorni.
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Il mondo del commercio e dell’industria crede sempre più nella pubblicità: c’è
quindi la necessità di affidare i primi budget importanti a veri professionisti della
comunicazione, i quali devono seguire regole certe e non basate
sull’improvvisazione. Nascono quindi negli Stati Uniti le prime riviste specializzate,
come Printer’s Ink, e contemporaneamente escono i primi manuali di tecnica
pubblicitaria: The Theory of Advertising di W. Scott è del 1903, Modern Advertising
di Cal-Kings e Holden è del 1905. La pubblicità si dà quindi le regole per diventare
una vera e propria disciplina. Daniel Stach, nel 1925, pubblica il primo trattato di
tecnica pubblicitaria, in cui ne fissa cinque fondamentali, secondo le quali il
messaggio commerciale per essere efficace deve:
ξ Essere visto, perciò bisogna conferirgli la necessaria attrattiva.
ξ Essere letto, perché molti annunci sono guardati, ma non osservati.
ξ Essere creduto, perché un buon annuncio deve convincere l'acquirente
della veridicità di quanto promette.
ξ Essere ricordato.
ξ Essere capace di spingere il compratore ad agire, cioè ad acquistare un
determinato prodotto.
Ma il successo definitivo, la vera e propria “esplosione” della pubblicità, si deve
allo sviluppo dei mezzi di comunicazione moderni, a diffusione planetaria: per primi
il cinema e la radio.
Nel 1904 fece scalpore la proiezione del primo film pubblicitario, nella Parigi dei
fratelli Lumiere: fu realizzato per lo champagne Monet et Chandon.
Negli anni ‘20, con la diffusione della radio, la pubblicità comincia ad entrare
nelle case di molte famiglie dove non si leggevano i quotidiani: vengono creati i
primi comunicati commerciali che interrompono i programmi radiofonici. Un
modello che sarà ereditato successivamente dalla televisione.
Fu una stazione della AT&T a trasmettere il primo annuncio radio, il 28 agosto
1922. Lo sponsor era la Queensbooro & Co., un’immobiliare che vendeva
appartamenti in un nuovo quartiere newyorchese, che ora porta lo stesso nome.
L’annuncio durava 10 minuti!
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A metà secolo arriva la Tv. Negli Stati Uniti nascono le prime stazioni televisive
commerciali, senza canone di abbonamento: gli introiti pubblicitari diventano
fondamentali per la sopravvivenza degli stessi network. Si vedono i primi
commercials: sono famosi quelli che pubblicizzavano detersivi e saponi (soap) che
venivano inseriti nei telefilm per casalinghe. Da qui il nome Soap opera. Il primo
commercial è del 1953 e andò in onda sulla Nbc.
In Italia, la pubblicità esordisce in televisione il 3 febbraio 1957 con “Carosello”.
Lo storico programma conteneva cinque filmati pubblicitari, di alcuni minuti
ciascuno, che costruivano delle brevi storie intorno a un prodotto, utilizzando
soprattutto sketch di noti attori comici o disegni animati. Questa originale formula
made in Italy ha uno straordinario successo di pubblico e dura fino agli anni ‘70,
quando l’apertura delle televisioni commerciali importa nella televisione italiana il
modello anglosassone dello spot pubblicitario breve (tra i 7 e i 60 secondi), che
interrompe il programma e pone il prodotto - anziché la storia - al centro del
messaggio.
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Gli anni ‘60: funzione storica della pubblicità.
Se facciamo riferimento agli anni ‘60, scopriamo che la pubblicità ha avuto
un’enorme importanza per il cambiamento socioculturale. Negli anni ‘60 la
pubblicità ha il ruolo guida di avvicinare nuovi beni mai sperimentati in precedenza;
comunica alla gente concetti precisi, riesce a parlare alla massaia e al novello
automobilista, spiega perché accadono determinati cambiamenti, conforta e stimola
nel cambiamento. Proprio perché siamo in un’epoca di mutamento, negli anni ‘60 la
pubblicità ha la funzione di rassicurare, di togliere l’ansia circa questo mutamento.
Come ha dimostrato Alberoni
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negli anni ‘60 la pubblicità ha allo stesso tempo la
funzione di tentare (cambiamento) e di rassicurare (immodificazione dei valori
consolidati). E’ il periodo centralmente caratterizzato dalla scoperta e la pubblicità
aiuta ad aggirare le angosce circa l’abbandono di comportamenti abituali. In questo
periodo la funzione culturale ed economica della pubblicità appare davvero decisiva:
il mutamento necessità di guida, di ideologie che forniscano possibilità di
aggiramento delle resistenze al cambiamento. L’angoscia depressiva, causata
dall’abbandono dei vecchi comportamenti, deve essere esorcizzata attraverso la
conferma che i nuovi modi di essere non sono nient’altro che una declinazione
migliorata della stessa vita.
Si può ora senz’altro affermare che i mutamenti nella società sono avvenuti
grazie, anche, a forme di comunicazione pubblicitaria che hanno saputo interpretare
in maniera precisa il bisogno dei produttori (far superare la resistenza al nuovo) e il
bisogno dei consumatori (essere rassicurati che, con i nuovi prodotti, non si stava
tradendo antichi valori, radicate certezze). Gli anni del boom sono un test d’efficacia
della pubblicità e anche della credibilità. I messaggi che accompagnano i prodotti
riescono a conciliare esigenze apparentemente inconciliabili: rendono appetibili
standard di vita borghese ad un pubblico dai valori contadini, insistendo su di una
prospettiva funzionale di vita che tuttavia non intaccherebbe la profondità dei valori
in cui ciascuno crede. C’è anche da sottolineare il fatto che in quel periodo,
prescindendo dalle forme suggestive o referenziali, dalle performance più o meno
spettacolari, la pubblicità si è caricata di un ruolo formativo determinante (qualcuno
dirà manipolatorio).
3
Francesco Alberoni (1929-…): sociologo e giornalista.
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In altre parole: negli anni ‘60 la pubblicità ha comunicato al pubblico concetti, ha
suggerito modelli di vita, ha istruito, ha avuto una funzione didascalica. Tutto ciò si è
tradotto in una diffusione massiccia da parte del pubblico; tutto ciò ha creato
consenso, persuasione, valori nel nuovo pubblico. Negli anni ‘60 la pubblicità è
riuscita a fondare significati, a forgiare immagini di prodotto e di consumatore, a
rendere pubblici desideri che erano rimossi e sottaciuti, relegati nell’intimo della
massaia rassegnata e dall’operaio frustrato.