Stato, per cercare di comprendere quale ruolo abbia quest’ultimo oggi rispetto alle altre attribuzioni
costituzionali, e, in particolare, se non vi sia alcun dubbio sul carattere “residuale” di questo
strumento.
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CAPITOLO I
I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO
L’equilibrio costituzionale. Cenni.
Il sistema costituzionale italiano presenta alcune caratteristiche di fondamentale rilievo che tendono
ad assicurare il regolare funzionamento dei rapporti tra i diversi poteri
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, titolari di attribuzioni
costituzionali. L’organizzazione dello Stato risulta articolata in base ad esigenze di collaborazione e
coordinamento che hanno come finalità fondamentale quella di preservare l'equilibrio
costituzionale.
In estrema sintesi, e senza pretese di esaustività, potremmo dire che il concetto di equilibrio
costituzionale consiste nella capacità di ogni potere di esercitare quel complesso di attribuzioni che
gli sono riconosciute dall'ordinamento giuridico, nei limiti imposti dalla Carta fondamentale. Questa
condizione, che abbiamo descritto come indispensabile, non rischia quindi di subire alterazioni, fino
a che vi sia accordo sulle regole del gioco politico da parte dei soggetti coinvolti..
La Costituzione tuttavia, intesa come sistema di limiti giuridici fondamentali, non poteva trascurare
la previsione dell'ipotesi inversa a quella ora accennata, e cioè quella in cui si verifichi un'invasione
da parte di un potere nella sfera di attribuzione di un altro potere con conseguente necessità di
conferire ad un organo a ciò preposto il dovere di dirimere il contrasto che ne deriverebbe.
Storicamente il delicato compito di conservare l'equilibrio nell'assetto politico-costituzionale è stato
affidato alle Corti Costituzionali, organi competenti a intervenire qualora venga sollevato un
conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
1
I diversi significati di "potere dello Stato" verranno illustrati nel corso di questo capitolo.
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La nostra Corte costituzionale non fa eccezione a questa prassi, e, infatti, ai sensi dell'articolo 134
Cost. :«La Corte giudica sui conflitti di attribuzioni tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e
le Regioni, e tra le Regioni»
Al fine di rendere più esauriente il discorso, è necessario prendere in considerazione anche un altro
riferimento normativo, e cioè quello di cui all'articolo 37 della l. 87/1953, che, riguardo al primo
tipo di conflitti in analisi enuncia due principi fondamentali. Anzitutto questi possono sorgere solo
tra «organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono», e,
inoltre, hanno ad oggetto «la delimitazione della sfera di attribuzioni determinate per i vari poteri
da norme costituzionali». Disposizioni queste che hanno suscitato numerosi problemi interpretativi
sul piano applicativo, e che occorre esaminare per una maggiore comprensione della materia.
Nel capitolo iniziale di questo lavoro intendiamo soffermarci, sia pure in un'ottica generale, sui
diversi aspetti che riguardano il conflitto interorganico
2
, e il giudizio su di esso, nel tentativo di
comprenderne gli elementi essenziali, quali l'oggetto, la funzione, le norme c.d. parametro alla
stregua delle quali può sorgere lo stesso, dedicando una particolare attenzione al profilo soggettivo,
che richiede un'indagine, anche storica, di particolare interesse
3
.
Il profilo soggettivo
Il combinato disposto costituzionale-legislativo (art. 134 Cost., art. 37 l. 87/1953) genera dubbi
interpretativi soprattutto per quanto concerne l'esatta individuazione dei soggetti legittimati a
sollevare il conflitto dinanzi alla Corte, considerata l'assoluta indeterminatezza del significato del
termine «poteri».
Già in sede di Assemblea Costituente era incerto se questa espressione dovesse richiamare il
significato di potere secondo il tradizionale principio della separazione dei poteri di derivazione
montesquieviana (che distingueva i poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario, ciascuno dei quali
era inteso come complesso di organi, tra i quali si pensava distribuita la funzione di cui il complesso
stesso è titolare), ovvero con esso si dovesse intendere qualcosa di diverso e di nuovo.
2
Così definito per distinguerlo da quello tra Stato e Regioni (anche detto intersoggettivo).
3
Ci occuperemo in separata sede degli aspetti che riguardano i profili processuali dell'istituto.
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Sebbene divisa, la dottrina era comunque orientata ad escludere che il concetto in questione potesse
essere ricondotto in senso stretto alla nota teoria illuminista
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e, anche coloro che assunsero posizioni
più sfumate, accoglievano in realtà la ratio ultima del principio di divisione, piuttosto che la sua
teorizzazione concettuale. In quest'ottica "potere" poteva anche assumere il significato di "organo"
5
.
L'esame degli atti dell'Assemblea Costituente, peraltro, mostra chiaramente come il punto di
contrasto era principalmente focalizzato sulla possibilità di conferire o meno alla Corte
costituzionale la competenza a decidere sui conflitti di giurisdizione
6
. In seguito all'approvazione
della Carta costituzionale, infatti, la discussione dottrinale sulla materia si concentrò principalmente
sui conflitti di attribuzione come disciplinati dalla l. 3761/1877 e dal codice di procedura civile. Il
problema era di un certo rilievo, in quanto poneva il dubbio se la Costituzione, con l'articolo 134,
avessi operato una sottrazione della competenza sui conflitti alla Corte di cassazione.
Questo fu, di fatto, l'orientamento seguito dai primi commentatori, convinti che tra le garanzie
costituzionali la Corte avesse assorbito la competenza della Cassazione
7
. Una dottrina non univoca,
tuttavia, perché non mancava chi, contrario all'impostazione di Mortati
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, riteneva che si trattasse di
altre ipotesi di conflitti del tutto diversi da quelli oggetto della competenza della Cassazione.
Al termine della discussione prevalse comunque la tesi che aveva trovato espressione (anche) in
sede Costituente, e l'aggiunta delle parole «fra i poteri dello Stato», piuttosto che suggerire
indicazioni sulle nuove funzioni del Giudice costituzionale sembrava diretta ad escludere la
competenza di quest'ultimo in materia di conflitti di giurisdizione. Tutto ciò trova peraltro conferma
nel testo definitivo dell'art. 37 della l. 87/1953, laddove restava esclusa la competenza della Corte
appunto sui «conflitti di giurisdizione».
L'introduzione nella Carta fondamentale dello strumento necessario per dirimere il contrasto tra
poteri generava, però, anche un altro ordine di critiche dottrinali, poiché si dubitava della
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Tra le posizioni radicalmente contrarie all'introduzione del principio in Costituzione quella dell'on. La Rocca, secondo
il quale si sarebbe trattato «di un principio superato, artificiale e anacronistico, che tende a rappresentare lo Stato come
una sovrapposizione di organi indipendenti gli uni dagli altri e che, pur lavorando alla stessa opera generale, farebbero
ciascuno operazioni essenzialmente diverse e avrebbero ciascuno una sfera di azione propria, dalla quale ogni altro
potere sarebbe escluso». In Pisaneschi A., I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, Milano, 1992 , p. 30, nota 47.
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Così avvenne nella proposta Calamandrei alla IIa sottocommissione. Oggi una distinzione tra i due concetti si trova in
Zagrebelsky. Secondo questo autore l'articolo 37 della legge 87/1953 disciplina chiaramente una distinzione tra
soggetto sostanziale e soggetto processuale del conflitto. L'organo è quindi soggetto processuale mentre il potere
identifica quello sostanziale. La coincidenza tra questi vi sarà solo quando il "potere" si «esaurisce» in un (solo)
"organo" . Più avanti si cercherà di approfondire l'argomento. Zagrebelsky G., giustizia costituzionale, Bologna, p. 367.
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Prima dell'entrata in vigore della Costituzione i conflitti di attribuzione erano disciplinati, insieme con quelli di
giurisdizione dalla l. n. 3761/1877, che attribuiva la soluzione degli stessi alle «sezioni di Cassazione istituite in Roma»,
sostituendo queste al Consiglio di Stato. Erano previste due tipologie di conflitto: il primo (di giurisdizione) poteva
essere sia positivo che negativo; il secondo, invece, (tra organi dell'amministrazione e i giudici) poteva essere soltanto
negativo, e cioè sorgere quando entrambi i poteri rifiutavano di regolare una determinata materia escludendo
simultaneamente la loro competenza su di essa.
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Non era chiaro però, se si trattasse di una competenza identica, ovvero dovesse intendersi in senso più ampio rispetto
a quella attribuita alla Suprema Corte.
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I relatori Mortati e Tesauro furono autori del primo testo della disposizione che non conteneva il riferimento ai
"poteri".
7
risoluzione di questi in sede giurisdizionale, considerato il loro carattere prevalentemente politico, e
quindi tale da non consentire l'intervento di un Giudice
9
.
Se qualche dubbio può sorgere per quanto riguarda quelli fra Stato e Regioni (poiché statisticamente
più numerosi), con riferimento ai conflitti fra poteri questa impostazione trova senza dubbio
conferma e ha portato una parte della dottrina a definire le norme che li disciplinano come
«generose utopie», visto che si tratta di contrasti che sono risolti «nella concreta dinamica delle
forze politiche attive»
10
, e non "raggiungono" la cognizione della Corte.
Proprio l'entrata in vigore dell'articolo 37 della legge 87, con aggiunta di ulteriori disposizioni,
riusciva peraltro ad aggravare i dubbi dottrinali, anziché scioglierli. Tale disposizione, infatti, che
sembra ancora muoversi nella prospettiva del principio di separazione dei poteri, non riesce a
risolvere due categorie di problemi: anzitutto l'esistenza (eventuale) e l'individuazione di poteri che
sfuggono alla tradizionale tripartizione; e, in secondo luogo, quello legato all'esistenza di «organi
competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono».
Il primo di questi problemi è strettamente connesso al concetto di "potere", cui occorre ancora fare
riferimento, pur nella consapevolezza di una dottrina in materia vasta e complessa, fatto che rende
impossibile dar conto di tutti i contributi.
Da un punto di vista delle diverse modalità di articolazione dei poteri si possono anzitutto
individuare due significati limite del termine, che variano a seconda che si accolga la tesi della
separazione dei poteri, di tradizione liberale; ovvero quella della dimensione del potere, che sfocia
nel principio di competenza, e che, nelle sue accezioni più estreme, è stata fatta propria dagli Stati
seguaci dell'ideologia marxista.
In senso proprio, invece, la nozione che si cerca di definire può cambiare in relazione allo strumento
di analisi preso in considerazione. In base ad un'impostazione logico-formale, prima di tutto, i
"poteri" sono stati individuati o in quanto elementi del sistema dei checks and balances (pesi e
contrappesi) così come stabiliti dalla Costituzione
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; oppure si è cercata di elaborare una definizione
del termine che facesse riferimento al principio di separazione, il quale prevede un rapporto tra
potere e funzione; o, infine si è tentato di scindere la funzione da ogni elemento formale.
In quest'ultima direzione si è fatta strada quella dottrina
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che ha introdotto il concetto di «cicli
funzionali», e ha fatto dipendere la qualifica di " potere" dalla partecipazione o meno a tale "ciclo".
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Il discorso sulla natura politica e sulla possibile "giuridicizzazione" dei conflitti verrà affrontato nella restante parte del
lavoro.
10
Crisafulli. Scritti per V. Crisafulli, vol. I, Padova, 1985. In Cuocolo F., Istituzioni di Diritto Pubblico, Milano, 1998,
p. 900.
11
Mazziotti di Celso, Manlio, I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, Milano, 1972, pp. 149 ss.
12
Silvestri, voce Potere dello Stato, cit. 707, in Pisaneschi A., I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, cit., p.
35, nota 61.
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