Pescatore
3
”. La terra attende quindi una rinascita, propiziata dai riti di fertilità tratti dall’opera di
Frazer, che però non avverrà (“Ma secco sterile tuono senza pioggia”). Le preghiere silenziose,
sussurrate, resteranno sulla bocca dei fedeli. Aprile, che “è il mese più crudele”, non porterà con sé
alcuna pioggia, ma solo fuoco e fiamme. Ma è proprio in questo modo che avviene la palingenesi,
non con l’acqua, ma con la completa distruzione della terra e il ritorno alle sue vere origini. Non
bisogna far resuscitare la “terra morta” o le “spente radici”, ma occorre un nuovo inizio. In una
sezione finale che rievoca da Le Confessioni di Agostino alle Upanishad induiste, le ultime parole a
risuonare saranno: “Shanti, shanti,shanti”. Solo tramite la pace (idealistica) è possibile eludere il
corso (ciclico) della storia. Il Re Pescatore è Kurtz, la sua terra è sterile per la propria sterilità ,
frutto della storia che il colonnello conosce bene ( l’intervento americano nelle Filippine è il suo
argomento di tesi). La sterilità non è solo metaforica (legata all’interiorità, alla sua anima malata)
ma anche fisica
4
. La differenza con la leggenda, è l’eliminazione del Re Pescatore in vece della sua
guarigione. Coppola riprende Eliot, non la Weston, e la pace che alla fine il poeta si augura nel film
si trasforma nella deposizione di tutte le armi da parte di Willard e degli abitanti del villaggio. Il
capitano infatti abbandona la sua lama fallica: la terra desolata non può essere rifecondata ed è
necessario un battesimo del fuoco, che si concretizza nel bombardamento, per farla rinascere dal
nulla.
All’interno del suo tempio, Kurtz legge alcuni versi:
Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina
Figura senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;
3
Alessandro Serpieri, Introduzione a La terra desolata, Rizzoli, Milano 1982, p.39
4
Il machete che Willard utilizza per uccidere il colonnello assume simbologia fallica. Vedi paragrafo 9, cap.VIII
Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati
5
Il passo è tratto dalla prima sezione di The Hollow Men di T.S.Eliot. La celebre epigrafe dell’opera
è tratta direttamente da Heart of Darkness, ed è la lapidaria frase con la quale Conrad congeda il
suo personaggio: “Mistah Kurtz-morì”. Kurtz (quello cinematografico), in pratica, per un gioco di
riferimenti, legge il suo stesso epitaffio, rendendo ancora più chiara la consapevolezza della sua
fine. Eliot definisce spesso gli uomini contemporanei dei “morti in vita”. La seconda epigrafe, “un
penny per il vecchio Guy”, si riferisce a Guy Fawkes, personaggio che la storia inglese ricorda per
il suo (fallito) tentativo di far esplodere il parlamento. La poesia, pubblicata nel 1925, riprende e
sviluppa i temi de La terra desolata. Eliot, in qualità di esistenza fisica, si pone all’interno della sua
stessa critica all’uomo del Novecento utilizzando il “Noi” (We, non tradotto). Il termine “vuoto”,
condivide la stessa importanza anche nell’opera di Conrad, come aggettivo che definisce i coloni e
le loro azioni. Sertoli ha scritto:
Fin dalle prime pagine del racconto, il mondo e le azioni dei bianchi sono contrassegnati da immagini
di vuoto e svuotamento. Bruxelles, “citta sepolcrale”, “città dei morti”, è una città di strade deserte, di
grandi palazzi dagli androni e scaloni e saloni altrettanto deserti nei quali si amministra il vuoto della
“civiltà” per diffonderlo poi all’esterno, con un gesto che è , precisamente, di svuotamento. L’Europa
esporta il proprio vuoto scavando – annientando – il “pieno” dell’ Africa. Ecco la cannoniera che alla
cieca fa fuoco “su un continente”, ecco i pellegrini che sparano a casaccio contro un ippopotamo,
contro la foresta, contro i “selvaggi”. Il vuoto che essi producono, che la “civiltà” bianca produce,
Marlow se lo vede davanti nella waste land che lo attende appena sbarcato: colline sventrate dalla
dinamite; voragini aperte nel terreno in cui arrugginiscono gli stessi oggetti-segni della (sua) “civiltà”:
caldaie, vagoncini, rotaie…; il battello di cui egli dovrebbe assumere il comando, con la carena
squarciata; e poi i “lavoratori” indigeni dagli “enormi” occhi “vacui” che fissano il nulla, il corpo
macilento e spettrale come a seguito di qualche “massacro o pestilenza” che li abbia svuotati di ogni
energia e vitalità riducendoli a “nere ombre di malattia e di fame”, “forme moribonde”; per finire con
gli stessi agenti della “Compagnia, tutti uomini vuoti (hollow men), dal ragioniere-capo al direttore,
5
T.S.Eliot, poesie, a cura di Roberto Sanesi, Bompiani, Milano 1996, p.291. Tutte le traduzioni delle poesie di Eliot
fanno riferimento a questa edizione.
dal fabbricante di mattoni (“Avevo l’impressione che, se avessi provato a infilarci dentro un dito, non
avrei trovato altro che un mucchietto di sporcizia, forse”) allo stesso Kurtz, “vuoto all’interno
6
”.
La paglia che riempie il vuoto degli uomini è una ripresa del tema della sterilità. L’uomo diventa
una natura morta, un fantoccio la cui voce non ha alcun senso. Anche la voce del poeta ne è priva,
quindi l’arte viene svuotata del suo significato. Eliot descrive ancora una volta una situazione in cui
la secchezza e la sterilità della natura e della storia si riflettono sull’uomo del Novecento, diventato
come uno dei fantocci che si gettano nel fiume negli antichi riti di rigenerazione di cui parla Frazer.
Gli uomini vuoti non sono morti, non hanno ancora traghettato, ma portano dentro di sé tutto la
vacuità delle azioni umane (“Forza paralizzata, gesto privo di moto”) nascoste dalla loro apparenza
(“Figura senza forma”). In teoria la sequenza contiene tutta la composizione, allo stesso modo di
quanto ha fatto per The end, Coppola inserisce la parte iniziale e finale dell’opera, lasciando
intendere che il riferimento è comunque per intero, ma che a causa dei tempi cinematografici, è
impossibile riportare tutto il testo. Il fotoreporter, pronuncierà infatti gli ultimi due versi della
poesia, prima di scomparire definitivamente dalla scena:
E’ questo il modo in cui il mondo finisce
Non con già con uno schianto ma con un piagnisteo
7
.
La rinascita viene ancora rappresentata dal fuoco dello schianto (l’originale “bang” si può tradurre
anche con “colpo”) e non dall’acqua del piagnisteo. La vicenda di Guy Fawkes è ora più chiara: egli
voleva col fuoco della dinamite distruggere la storia per propiziare una vera rinascita. Kurtz è
quindi l’uomo vuoto per autoammissione, la sua è una critica che parte dall’interno. Egli regge il
peso di un contesto storico in cui dominano le contraddizioni (“Fra l’idea / E la realtà / Fra il gesto /
E l’atto / Cade l’Ombra”). L’erba secca che lo riempie potrebbe ricondursi alla wilderness che lo
comanda. Persino le sue parole, su cui tanto insiste, finiscono per perdere il loro senso perché
provenienti dal nulla. Ma Kurtz è anche l’essere capace di riportare l’ordine attraverso il sacrificio
del fuoco, e quindi riveste una grande importanza per l’arrivo di un’imminente Apocalisse.
I riferimenti a Eliot non sono terminati: come già scritto, non appena i soldati approdano al
villaggio, il fotoreporter recita i versi: “Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli / Che corrono
sul fondo di mari silenziosi”, tratti da The love song di J.Alfred Prufrock che di certo avrà ascoltato
da Kurtz. La relazione tra la poesia e il personaggio si risolve in una delle ultime strofe:
6
Giuseppe Sertoli, Introduzione a Cuore di tenebra, Einaudi, Torino 1974, pp.XIV-XV
7
T.S.Eliot, op.cit., p.297
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse ad ingrossare un corteo, a dar l’avvio ad una scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo --
E qualche volta, quasi, il Buffone
8
.
Il fotoreporter, al servizio di Kurtz, è il primo ad ammettere la sua piccolezza di fronte alla
grandezza del colonnello ( “Io sono un omuncolo, un omuncolo. E’ lui il grand’uomo”) ed è colui
che probabilmente avvisa il suo “re” dell’arrivo di Willard. Ottuso, buffone e ridicolo sono aggettivi
che si addicono alla sua persona e, nel film, è perfino il personaggio in apertura di due diverse
sequenze.
Un’altra opera del poeta, anche se non esplicitamente citata, che il testo filmico riprende è
Gerontion. Definito il vero preludio alla terra desolata, il personaggio di Kurtz sembra essere
tratteggiato sulla falsariga del protagonista dell’omonimo componimento. Gerontion è un uomo che
vive isolato nella sua dimora in rovina, oppresso dalla propria sterilità. In un’atmosfera purgatoriale,
attende un segno divino (“I segni sono presi per miracoli. “Vogliamo vedere un segno!”“) in grado
di purificarlo. Cristo si manifesta nelle vesti di una tigre(“Venne Cristo la tigre”), ma la catarsi è
ormai irrealizzabile, “Dopo una tale conoscenza, cos’è mai il perdono?”. Al pari del Kurtz
conradiano non ha radici e il suo passato rivive attraverso le gesta che non ha compiuto (“Non fui
alle gole infuocate / Né combattei nella calda pioggia / Né col ginocchio affondato dentro paludi
salmastre”) alle quali si è sottratto. “Il personaggio, in questa poesia, si è dilatato al punto da
diventare emblema della coscienza del mondo contemporaneo, sotto una fitta rete di riferimenti
storici e leggendari
9
”. Gerontion, come dice la stessa natura etimologica del suo nome, è un vecchio
che si è autoemarginato per essere stato tradito dalla storia, alla quale ha appunto partecipato meno
di quanto avesse desiderato. Egli non è stato una sua vittima proprio perché non ha mai voluto
aderirvi. Ecco le motivazioni:
[…]Ora penso
8
T.S.Eliot, op.cit., p.169
9
Alessandro Serpieri, op.cit., p.7
Che la storia abbia molti passaggi nascosti, e corridoi
Tortuosi
E varchi, e che ci inganni con bisbiglianti ambizioni,
E che ci guidi con le vanità. Ora penso che dia
Quando la nostra attenzione è distratta
E che quando ci dà lo dia con turbamenti
Così lusinghieri che il dato affama ciò che si desidera.
[…]I vizi innaturali
Hanno per padre il nostro eroismo. Le virtù
Ci sono imposte dai nostri impudenti delitti
10
.
I versi della poesia che originariamente si riferiscono alla figura di Dio, Coppola li fa ora coincidere
con quella del suo colonnello, contribuendo quindi alla sua martirizzazione: la tigre infatti nel film
è, come Kurtz, immagine della wilderness e quest’ultimo condivide con la divinità la stessa
sorte:“…per essere mangiato, per essere spartito, per essere bevuto”.
La stessa struttura del film, con le varie tappe del viaggio che non hanno rapporti di causa ed effetto
fra loro, è relazionabile alla struttura tipo di una poesia di Eliot, le cui strofe seguono un metodo
compositivo “non più sequenziale e monologico bensì relazionale e dialogico
11
”. Astrattizzando le
sequenze del film, poste sempre al di fuori di un contesto spaziale e temporale, il regista sembra
seguire il “metodo mitico” che lo stesso Eliot, riprendendolo da Joyce, aveva illustrato:
Nell’usare il mito, nel manipolare un continuo parallelismo tra il mondo contemporaneo e il
mondo antico, Joyce sta seguendo un metodo che altri devono seguire dopo di lui […]. E’
semplicemente un modo di controllare, ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama
di futilità e anarchia che è la storia contemporanea […]. Invece del metodo narrativo, noi
possiamo ora usare il metodo mitico.
In una storia dominata quindi dal caos e dall’illogicità, la narrazione lascia il posto alla
mitizzazione. Apocalypse Now, non è un film narrativo, e qualsiasi altra opera artistica che si avvale
della funzione di documento storico non deve esserlo. La vicenda principale, con il quale si tende a
riassumerlo, occupa solo l’inizio e la fine dell’opera. Tutto il resto è un viaggio attraverso situazioni
10
T.S.Eliot, op.cit., p.213
11
Alessandro Serpieri, op.cit., p.6
mitiche che non hanno alcun concreto rapporto con il plot. Che relazione possono aver altrimenti
uno spettacolo delle conigliette, o una ricerca di manghi, con una missione che impone di uccidere
un colonnello? Sono solo tutti prodotti di una cultura americana che fa da specchio “all’immenso
panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea”.
A questo punto la domanda è lecita: perché Coppola attribuisce tale importanza al poeta di St. Luis?
Eliot si pone come autore della contemporaneità per la sua grande capacità di criticare il caos della
società dall’interno, utilizzando un linguaggio mimetico, che in qualche modo lo riproduce. La crisi
della contemporaneità richiede un ricorso al passato: il testo diviene un collages di elementi ripresi
dalle epoche e dagli stili più disparati. Non a caso la sua poesia è stata paragonata alla musica di
Stravinski (di cui il poeta ha apprezzato Le sacre du Printemps) e alle opere cubiste. Eliot allude,
cita, costruisce su ciò che è stato già scritto ma struttura sul presente: “Ho proposto la concezione
della poesia come una vivente unità di tutte le poesie che sono state scritte
12
“. Tuttavia Eliot fugge
da una banale idealizzazione del passato, ciclicizzando il corso della storia. Il presente è di certo il
periodo più esecrabile della storia, ma è frutto di un passato vuoto e desolato.
La sua Terra Desolata, scritta durante il conflitto mondiale, è la storia di una civiltà che non sarà
mai in grado di risorgere dalle sue stese macerie. Una visione negativa della storia è al centro della
sua poesia che non teme lo scontro con i temi d’attualità. Quando Coppola iniziò a girare (e ancor
prima a scrivere) Apocalypse Now, la guerra del Vietnam era terminata da non più di due anni.
Entrambe sono cronache di un’Apocalisse. La stessa natura delle poesie di Eliot, rimanda all’arte
del cinema. Il mito rivive attraverso la rievocazione di personaggi e cose che fungono da
correllativo oggettivo come gli elementi di una normale inquadratura. Eliot ha inoltre “la tendenza a
definire un concetto attraverso una sovrapposizione di immagini, o a trarre da una sola immagine
tutte le possibili suggestioni
13
”. Le dissolvenze del cinema di Coppola sembrano possedere la stessa
identica funzione.
L’ultima citazione spetta a Kristeva, che, se inquadriamo il testo filmico come testo poetico, riesce a
sintetizzare quanto scritto fin ora:
Il significato poetico rinvia a significati discorsivi “altri”, di modo che nell’enunciato
poetico sono leggibili molti altri discorsi. Si crea, così, intorno al significato poetico uno
spazio testuale multiplo, i cui elementi sono suscettibili d’essere integrati nel testo poetico
concreto. Chiameremo questo spazio intertestuale. Ne risulta un effetto paragrammatico
12
T.S.Eliot, Il bosco sacro, a cura di Luciano Anceschi, Muggiani, Milano, 1946, pp.116-120
13
Roberto Sanesi, introduzione, p.39
che consiste nell’ “assorbimento di una molteplicità di testi (di sensi) nel messaggio
poetico, il quale d’altra parte si presenta accentrato attorno ad un senso
14
”.
14
J.Kristeva, Semeiotikè, Feltrinelli, Milano 1989