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Introduzione
Nel biennio 2004 – 2005 l’Europa si è trovata ad affrontare sfide
cruciali tanto per il presente quanto per il futuro dell’Unione europea: la
promulgazione del Trattato costituzionale europeo e la sua bocciatura ad
opera dei referendum svoltisi in Francia ed Olanda; l’allargamento ai dieci
paesi dell’Est più Cipro, avvenuto ufficialmente il 1° maggio 2004; la
decisione presa il 17 dicembre 2004 dai Capi di stato e di governo
dell’Unione durante il Consiglio europeo di Bruxelles di aprire i negoziati per
l’adesione con la Turchia dopo anni di rinvii; infine, l’apertura ufficiale dei
negoziati stessi, approvata il 3 ottobre 2005, non senza ulteriori contrasti tra i
venticinque.
Un evento, quest’ultimo, che non ha mancato di suscitare in tutta
l’Unione, ed in particolare negli stati fondatori, un acceso dibattito che ha
riguardato non solo l’allargamento alla Turchia, ma anche le fondamenta di
quella che è o dovrebbe essere l’Europa; un dibattito che per questo si è
intrecciato con la querelle che ha tenuto banco per diversi mesi, sui
fondamenti spirituali e valoriali da inserire nel preambolo della Costituzione
europea.
I rapporti tra Unione e Turchia non nascono negli ultimi due anni, ma
affondano le radici negli anni cinquanta del secolo scorso, e per questo ho
ritenuto utile tracciarne una breve storia, esplicativa rispetto ai ritardi e ai
rinvii, che hanno preceduto l’apertura ufficiale del processo negoziale che
potrebbe portare all’adesione di Ankara all’Ue.
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Tuttavia l’interesse sul caso turco si è acceso in modo particolare negli
ultimi due anni, il 2004 ed il 2005, quando le decisioni degli organi europei,
sulla scia del Consiglio europeo di Helsinki del 1999 che conferì alla Turchia
lo status di candidato, hanno portato all’apertura dei negoziati ufficiali in vista
dell’adesione.
Una decisione che ha creato spaccature, composte poi con difficoltà, tra
i rappresentanti degli attuali Venticinque dell’Unione; spaccature verificatesi
anche all’interno degli stati, tra le forze politiche e, soprattutto, tra le opinioni
pubbliche del Vecchio continente, fortemente ostili rispetto all’idea di Ankara
pienamente integrata nell’Ue.
Per analizzare i termini del dibattito, ho scelto due paesi i cui governi
hanno appoggiato le richieste del premier turco Erdogan: in modo convinto e
deciso l’Italia, in maniera più ambigua la Francia. Per capire soprattutto se
dietro le motivazioni utilizzate per sostenere o respingere la Turchia, abbiano
pesato maggiormente prese di posizione preconcette, come nel caso dei
pregiudizi nei confronti dell’Islam, o se abbiano invece prevalso le questioni
di merito, riguardanti l’irrisolta vicenda di Cipro ed il mancato rispetto dei
diritti umani.
In Italia i termini del confronto hanno toccato soprattutto le tematiche al
centro dell’attualità politica, come il riconoscimento di Cipro e del genocidio
degli armeni (riconosciuto da una legge del Parlamento italiano), il rispetto
dei diritti umani individuali e delle minoranze in Turchia, e la bontà o meno
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della democrazia turca, sfiorando raramente argomenti come le fondamenta
ed il futuro dell’Unione, nella sua possibile trasformazione da potenza
regionale a globale. Un dibattito che ha toccato le sue punte di maggiore
interesse a ridosso dei vertici che hanno sancito l’apertura dei negoziati, ma
che in generale è risultato poco vivace.
Ad “addormentare” il dibattito italiano ha concorso la quasi unanimità
dei partiti politici di maggioranza come di opposizione –eccezion fatta per la
Lega Nord e alcuni gruppi extra parlamentari — nel sostenere le richieste
turche, la mancanza di un vero dibattito parlamentare, ed il non
coinvolgimento dell’opinione pubblica, che, come nel resto d’Europa, è
contraria all’adesione della Turchia (52% contrari, 33% favorevoli Fonte:
Eurobarometro 63.4 2005). Ciò non ha impedito che sui quotidiani, principale
fonte del presente lavoro unitamente agli atti parlamentari, si sviluppassero
riflessioni più o meno approfondite sui rapporti tra Europa e mondo islamico;
ma il dibattito non ha mai coinvolto profondamente l’opinione pubblica e,
anzi, se non fosse stato per la campagna anti – turca della Lega, forse sarebbe
passato quasi sotto silenzio.
Tuttavia le divisioni tra gli eurodeputati italiani a Strasburgo, nelle
votazioni sull’apertura dei negoziati, lasciano intuire che il dissenso politico
fosse molto più ampio di quello dimostrato a livello pubblico.
Relativamente al dibattito italiano, si è ritenuto opportuno analizzare la
posizione della Chiesa, che da sempre influenza la politica italiana. Il
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Vaticano, con Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi, non ha espresso
una posizione ufficiale sull’ingresso della Turchia nell’Unione, anche se papa
Ratzinger, da cardinale, si era espresso contro l’idea di una Turchia europea,
contribuendo così a “congelare” i rapporti della Santa sede con Ankara dopo
la sua elezione al soglio pontificio. Proprio gli interventi degli ultimi due
pontefici sulle radici cristiane del Vecchio continente in occasione dei lavori
della Convenzione europea, hanno contribuito non poco ad alimentare il
dibattito e le riflessioni sull’“anima” dell’Europa, e su come questa dovrebbe
porsi nei confronti dei paesi culturalmente o religiosamente “altri”.
Analizzando le pubblicazioni più recenti degli ultimi due papi, e i contributi
di saggisti e scrittori riconducibili al mondo cattolico, si è cercato quindi di
delineare il contributo del cristianesimo alla definizione di un’identità
europea, al di là del caso turco.
Il caso più interessante è però quello francese. In Francia, la questione
turca, in tutti i suoi risvolti, ha dominato il dibattito pubblico per mesi, sui
quotidiani, al Parlamento, su riviste di attualità o di approfondimento.
Rispetto all’Italia, oltralpe i partiti più importanti si sono spaccati sulle
richieste di Ankara, dando vita ad un confronto molto più vivace e
approfondito in cui si sono analizzati sì gli aspetti più evidenti e attuali del
caso turco, dalla questione di Cipro al genocidio degli armeni (in Francia sono
circa 300mila i cittadini di origine armena), ma anche le questioni di fondo
che riguardano l’Europa, dalla delimitazione dei confini dell’Unione alla
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definizione della sua identità, dalle questioni riguardanti gli equilibri
istituzionali dell’Ue, alle paure di un’“invasione” di lavoratori stranieri.
Il confronto ha spaccato la maggioranza di governo e ha messo in crisi
anche il presidente della repubblica Chirac, sostenitore dell’apertura dei
negoziati con la Turchia, e contestato per questo in patria dal suo stesso
partito.
Il dibattito si è intrecciato con quello sul Trattato costituzionale europeo
e ha visto fortemente coinvolta l’opinione pubblica. A causa dell’evidente
ostilità dei cittadini francesi rispetto all’idea di una Turchia integrata nell’Ue
(67%contrari - 30%favorevoli, Fonte: “Le Figaro) , e non volendo correre il
rischio che questa ostilità si riversasse sul ‘no’ alla Costituzione, Chirac ed il
parlamento si sono impegnati a modificare la costituzione, istituendo un
referendum popolare obbligatorio su tutti i nuovi allargamenti dell’Unione
successivi a quelli del 2007 di Romania e Bulgaria, praticamente conclusi. Un
provvedimento dal sapore chiaramente antiturco, che non ha mancato di
suscitare reazioni negative ad Ankara, e che pone una seria ipoteca sulle reali
possibilità della Turchia di entrare nell’Unione europea.
I negoziati si sono quindi aperti, ma il dibattito ed il confronto interno
ad ogni singolo paese e tra gli stessi membri dell’Ue, sembra ancora lontano
dal concludersi.
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Parte Prima
Capitolo 1:
Breve storia dei rapporti
Turchia – Unione europea
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1.1 L’accordo di Ankara (1963)
Fin dalla nascita della Comunità Economica Europea ( CEE ) , la
Turchia ha mostrato un vivo interesse per il processo di integrazione europea,
considerando il suo possibile ingresso nella Comunità come una logica
conseguenza dei processi di modernizzazione ed occidentalizzazione in atto
già dai tempi di Kemal Ataturk.
La prima iniziativa turca nella direzione dell’integrazione europea, fu la
domanda di associazione alla CEE presentata il 13 luglio del 1959 dal
governo Menderes. “Per le élites di governo turche, l’adesione alla CEE
costituiva una mossa nella strategia di inserimento nel blocco occidentale
attraverso la partecipazione alle principali organizzazioni internazionali”
1
: la
Turchia era infatti già membro della NATO dal 1952, dell’OCSE e del
Consiglio d’Europa.
Inoltre questa scelta rifletteva la volontà di contrastare la Grecia, che
aveva presentato domanda d’associazione alla CEE due mesi prima,
attraverso la presenza in tutte le sedi internazionali che la vedessero presente,
per controbilanciarne l’influenza
2
.
Nel settembre del 1963 la Turchia ottenne dalla Comunità, grazie alla
sua cruciale posizione geopolitica, un accordo di associazione: l’Accordo (
ricordato come Accordo di Ankara) entrò in vigore nel gennaio del 1964. Gli
accordi di associazione, fondati sull’art.238 del Trattato di Roma , segnalano
1
M.A.Confalonieri: “Trappola di un negoziato senza fine” in “L’Europa e i ruoli della Turchia”, 2001
2
Ibidem, nota n.6 Canan Balkir and Alan Williams, Introduction ( in Canan Balkir and Alan Williams,
Turkey and Europe , London, Pinter, 1993, pp. 26 – 27 )
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una relazione che si vuole particolarmente stretta tra la CEE ed un paese
terzo; l’Accordo di Ankara ne costituisce il secondo esempio, dopo quello
siglato qualche mese prima con la Grecia. Per la Comunità, la sicurezza, unita
a criteri di carattere squisitamente politico, ha spesso orientato la politica
degli accordi di associazione con altri stati più delle motivazioni meramente
economiche, specie in periodo di Guerra Fredda e di definizione, o
ridefinizione dei blocchi. Infatti considerazioni riguardanti la sicurezza
europea hanno giocato un ruolo importante nella stipula degli accordi con
Grecia e Turchia prima, con Malta e Cipro poi. I paesi citati, vedevano nella
firma di Association Agreement prospettive più che interessanti; sul piano
politico interno l’Accordo era uno stimolo ed un ancora importante per lo
sviluppo democratico, oltre a portare notevoli benefici alle economie, grazie
ad aiuti finanziari ed assistenza tecnica, che, insieme alla progressiva apertura
dei mercati, ed all’armonizzazione delle tariffe, incoraggiavano la crescita
economica. Inoltre permetteva di perseguire i propri obiettivi di politica estera
all’interno di un quadro di maggior sicurezza.
Ma soprattutto l’accordo era, nelle speranze dei paesi firmatari, l’
“anticamera” dell’accesso a titolo definitivo nella Comunità.
Nello specifico, i tre anni che avevano preceduto la stipula dell’accordo
tra CEE e Turchia , erano stati necessari per discutere proprio delle
prospettive di ingresso di quest’ultima nella Comunità: il governo turco
spingeva per inserire nel documento un automatismo che garantisse, una volta