5
portatore di una cultura differente che può essere solo ricchezza
e possibilità per imparare.
Il mio sguardo non è stato presuntuoso perché non si è
accontentato di conoscere questa nuova realtà osservandola da
un punto fisso, senza addentrarsi in essa, ma ho voluto
decostruire le mie convinzioni e ricostruirne delle altre
servendomi dei racconti dei migranti, convinta che l’unico
modo per imparare è dialogare. I miei interlocutori non sono
stati migranti qualsiasi ma giovani della mia stessa età. Sono
loro i protagonisti della ricerca. Giovani delle “terre di mezzo”,
“funamboli” in biblico costante tra realtà e identità differenti e
a volte contrastanti.
Il paese da cui provengono, le radici culturali a cui fanno
riferimento, sono parte fondamentale del loro essere,
soprattutto quando si parla di religione.
Infatti, durante la ricerca, dopo un primo e generale approccio
all’identificazione religiosa e al pluralismo, l’interesse si è
concentrato sul rapporto tra giovani migranti e religione
musulmana.
Ho deciso di riferirmi all’islam perché convinta che sia un forte
polo di identificazione e di socializzazione per tutti quei
ragazzi musulmani che sono nati o che giungono in un contesto
in cui manca l’evidenza sociale e punti di riferimento
6
riconoscibili in cui collocarsi. Essere un giovane musulmano in
Italia significa riformulare il proprio credo, ripensare alla
propria religiosità non perdendo mai di vista l’esperienza della
migrazione.
Dalle narrazioni raccolte nel corso della ricerca, gli intervistati
raccontano le loro difficoltà, le loro convinzioni, il rifiuto della
religione dei loro padri, quella della tradizione, e soprattutto
parlano della ricerca di un islam nuovo, che sappia adattarsi al
contesto in cui vivono, senza costruire un ostacolo
all’integrazione.
Durante questo percorso ho registrato diverse esperienze
“islamiche” e una pluralità di opinioni fuori e dentro la
moschea. Attraverso le parole di ogni ragazzo si è compreso
che neanche l’islam, da sempre accusato di essere sinonimo di
tradizione, è immune alla modernità come alla
secolarizzazione. Con o senza velo, dentro o fuori dalla
moschea, tutti i giovani intervistati parlano di un islam dalle
mille facce ed espressioni.
Allora, è utile abbandonare ogni pregiudizio e fermarci ad
ascoltare questi giovani musulmani che ci raccontano non solo
di terre lontane, ma anche di un islam “altro”, aperto e pronto a
farsi conoscere in tutte le sue molteplici manifestazioni.
7
CAPITOLO 1
IL FENOMENO IMMIGRAZIONE
“Volge alla fine, ormai anche in Italia, un’epoca in cui l’ordine
sociale poteva basarsi
sull’idea di una sostanziale uniformità etnica, linguistica e
religiosa della popolazione (…).
Le mitiche unità di terra, lingua, razza e religione, che hanno
alimentato tra ‘700 e ‘900
l’idea di nazione, sono destinate a conoscere una profonda
ridefinizione, se non una crisi
irreversibile”
(Ambrosini, 2003)
1.1. Linee generali
Sul tema dell’immigrazione sono tanti i validi contributi
apportati da diversi studiosi con l’obiettivo di fotografare una
situazione internazionale nuova e pervasa da questa realtà. Tra
gli interventi più lucidi e interessanti troviamo quello di
Stephen Castles e Mark J. Miller che, nel loro “The Age of
8
Migration”
1
, parlano della nostra come di un’“età delle
migrazioni”, per l’elevata portata degli spostamenti, ma
soprattutto per la rilevanza che tale questione ha avuto sia nei
paesi d’origine che in quelli di arrivo. Il fenomeno migratorio
ha assunto nel corso del tempo una diversa portata, con sempre
nuovi protagonisti e la stessa Europa ha cambiato
progressivamente il suo ruolo: da paese di emigranti a paese di
immigranti. Grecia, Italia, Portogallo e Spagna sono oggi tra le
mete dei nuovi flussi migratori provenienti principalmente dai
paesi dell’Europa dell’Est e dai paesi della sponda sud del
Mediterraneo.
È difficile individuare una linea comune, un modello
interpretativo unico che permetta di rilevare i motivi della
scelta migratoria. Le motivazioni cambiano nel tempo e
diventano sempre più complesse a seconda della condizione
politica ed economica del paese di partenza e delle speranze
all’arrivo nel paese ospitante. Stephen Castles ha fornito un
attento studio sulle cause essenziali alla base delle
intensificazioni delle migrazioni Sud-Nord e delle nuove
connotazioni che esse hanno assunto. Egli inizia la sua analisi
1
S. Castles, M.J. Miller, The Age of Migration. International Population
Movements in the Modern World. Second edition, The Guilford Press, New
York 1998 citato in M. I. Macioti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria.
Immigrati e rifugiati in Italia. Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 3
9
con un’affermazione molto forte ma allo stesso tempo
estremamente esplicativa: “Il processo di sviluppo – cioè
l’inserimento nel mercato dell’economia dei paesi poveri – ha
tali effetti di sconvolgimento delle strutture preesistenti, che il
modo di vivere precedente diventa impraticabile e le
migrazioni appaiono come l’unica soluzione”
2
. In questa
prospettiva, la globalizzazione, è una “medaglia” a due facce:
da una parte è causa principale dell’emigrazione e dall’altra è
espressione del fenomeno migratorio. Questa è una delle tante
forme di “globalizzazione dal basso”
3
, talvolta contrapposta e
talvolta complementare a quella promossa dalle istituzioni
politiche. Non sono più le merci o i fattori produttivi ad essere
protagonisti di un flusso globale, ma schiere di uomini pronti a
lasciare il proprio paese per una scelta di vita imperniata di
speranza.
Tra i fattori che hanno condizionato la scelta migratoria vanno
menzionati, in primo luogo, i processi di modernizzazione
ineguale dell’agricoltura generati dalla “rivoluzione verde”, che
ha portato all’espulsione dei contadini più poveri e alle
immigrazioni di massa nelle grandi città del Terzo Mondo. Per
2
S. Castles, Ethnicity and Globalization, Sage, London 2000, p. 83 citato in
M. I. Macioti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in
Italia. Editori Laterza, Roma-Bari 2003, pag. 7
3
Caritas – Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2005, XV rapporto,
Immigrazione è globalizzazione, Centro studi e ricerche IDOS, Roma 2005
10
“rivoluzione verde” si intende la diffusione su vasta scala di
nuove varietà agricole ad alta produttività, per ettaro, basata su
sementi ibride selezionate. Il problema è che produzioni di
questo tipo hanno bisogno non solo di terreni irrigui ma anche
di pesticidi e fertilizzanti che i contadini poveri dei paesi in via
di sviluppo non possono permettersi, se non grazie all’aiuto
delle grandi imprese capitalistiche, con un aumento della
dipendenza dai paesi più ricchi. La “rivoluzione verde” ha
perciò generato una sorta di catena di eventi: le grandi città del
Terzo Mondo sono diventate sempre più popolate e
caratterizzate da una scarsità di risorse e occupazione; in
secondo luogo si è verificato un aumento del tasso di
scolarizzazione e un desiderio di applicare le proprie
conoscenze in quei paesi presentati dai media come terra di
realizzazione di ogni desiderio e già “patria” per le prime
comunità di immigrati.
Perciò la causa principale dell’emigrazione verso paesi più
sviluppati, rimane una motivazione di tipo economico, ovvero
la cosiddetta “emigrazione da lavoro”. Basti pensare che in
Italia gli immigrati titolari di un permesso di soggiorno per
questo motivo sono quasi il 62% del totale, e la cifra sale al
67% per coloro i quali provengono da paesi a forte pressione
11
migratoria
4
. Protagonisti nell’accesso al lavoro sono
innanzitutto la Romania (40% dei visti) e quindi, molto
distanziati, Albania, Marocco e Polonia, ciascuno con quote tra
il 15% e il 10%
5
.
Anche se il lavoro rimane tra le prime cause della scelta
migratoria, ci sono tanti altri motivi che spingono
all’abbandono del proprio paese. Tra questi c’è sicuramente la
volontà di fuggire da situazioni politiche disperate, guerre o
persecuzioni etniche e religiose. I rifugiati sono tutelati dalla
Convenzione di Ginevra (1951) che ha permesso a numerose
persone di salvarsi e di avere aiuto nel caso di persecuzione nel
proprio paese per motivi politici, di razza, di religione e di
appartenenza ad un gruppo sociale. La convenzione protegge
anche tutti coloro che sono stati condannati al carcere senza
processo, o con processi farsa, o peggio, condannati alle
torture. Perciò i 140 paesi che hanno firmato tale trattato
assicurano ai rifugiati asilo nel proprio paese. Naturalmente il
richiedente asilo o rifugiato deve seguire una regolamentazione
legislativa molto diversa da quella dell’immigrato che arriva in
Italia per lavorare, proprio perché le due figure sono dissimili.
4
M. I. Macioti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati
in Italia. Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 23
5
Caritas – Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2005, XV rapporto,
Immigrazione è globalizzazione, Centro studi e ricerche IDOS, Roma 2005,
pag. 79
12
Il rifugiato ha uno status differente che gli viene certificato e
riconosciuto da un’apposita commissione dello Stato. Nel
momento in cui gli si garantisce l’asilo nel nostro paese, si
mettono in moto una serie di politiche di assistenza e di
accoglienza diverse da quelle del “semplice” immigrato. Però
negli ultimi anni in Italia, come in altri paesi europei, si assiste
a una volontà di limitare sempre più questo tipo di “permesso”
perché condizionati da un dibattito internazionale sul
terrorismo che suggerisce la volontà di una sicurezza interna.
Oltre ai rifugiati, ci sono anche gli immigrati che raggiungono
il nostro come altri paesi per motivi di famiglia. I visti per
famiglia vengono rilasciati o per famigliari al seguito, concessi
cioè a cittadini stranieri che seguono nel suo trasferimento un
loro famigliare, o nel caso di ricongiungimenti famigliari.
Stime della Caritas mettono in evidenza che in Italia i
ricongiungimenti famigliari vedono saldamente in testa il
Marocco e l’Albania (ciascun paese con 13.000 visti), seguiti
da Romania (8.000), Cina (7.000) e, con 3.000 visti, India,
Ucraina, Serbia Montenegro, Bangladesh e Macedonia
6
. Sarà la
riunificazione famigliare uno dei motori più potenti di flussi in
entrata nei prossimi anni.
6
Op. Cit. , pag. 80-81
13
Un dato di rilievo è rappresentato dalla presenza per motivi
religiosi, che è significativa in generale, ma lo è meno tra gli
immigrati provenienti dai paesi poveri. Basti pensare che nel
2004 sono stati rilasciati 6.599 visti per motivi religiosi a
ministri di culto appartenenti a organizzazioni religiose per la
volontà di partecipare a manifestazioni di culto o esercitare
attività religiose. I religiosi vengono in prevalenza dall’Africa e
dall’Asia. In Italia il numero di questi visti non supera mai i
7.000, un numero modesto rispetto agli 80.000 visti rilasciati
per motivi famigliari. Però è anche vero che il numero di questi
visti in Italia è più alto che altrove per via della presenza del
Vaticano che raccoglie tutti quei religiosi o religiose cattoliche
provenienti dall’America Latina, Africa e Asia.
1.2. La situazione italiana
Non è necessario vivere in una grande città come Roma o
Milano per capire la portata e la consistenza che ha
l’immigrazione nel nostro paese. Basta anche camminare nei
piccoli paesi per rendersi conto che i colori della pelle e le
fattezze fisiche cambiano. Nel corso di 35 anni gli immigrati in
Italia sono cresciuti in numero davvero consistente; dai
144.000 del 1970 ai 2 milioni e 800 mila stranieri regolari. A
14
questa cifra bisogna aggiungere tutti gli immigrati clandestini e
irregolari, difficilmente quantificabili. Perciò l’Italia, insieme
alla Spagna, è oggi tra i paesi in Europa con i più alti ritmi di
crescita ed evoluzione della popolazione straniera. Infatti,
l’incidenza media sulla popolazione è del 4,8% e i motivi del
soggiorno confermano una volontà di inserimento stabile. Per
questo il Dossier Caritas 2005 prevede che “il futuro dell’Italia
sarà simile a quello attuale del Canada, dove un sesto della
popolazione è nata all’estero, anche se non si conosce con
precisione il tempo richiesto per questo cambiamento”
7
.
Ad influire sull’incremento della presenza immigrata in Italia
sono stati tre fattori strettamente collegati:
1) La collocazione geografica dell’Italia. I suoi confini estesi
in un’area a forte pressione migratoria. La vicinanza al
continente africano e asiatico e la prossimità dei paesi
dell’Est Europeo.
2) Una programmazione dei flussi quantitativamente debole e
operativamente inefficace.
3) Il recupero, attraverso le regolarizzazioni, degli immigrati
sprovvisti di permesso di soggiorno ma già inseriti nell’area
del lavoro nero.
7
www.dossierimmigrazione.it, estratto del Dossier Statistico on-line, p. 2
15
Anche se l’Italia può essere considerato a tutti gli effetti come
un grande paese d’immigrazione, sono tanti gli aspetti poco
conosciti di questo fenomeno. I deficit conoscitivi vengono
spesso colmati con luoghi comuni, ormai troppo poco
esplicativi. Un esempio su tutti: si pensa che gli immigrati
siano poco scolarizzati e con un tasso di analfabetismo molto
alto. In realtà i dati mostrano che gli immigrati sono
mediamente più istruiti degli italiani: sulla base dell’ultimo
censimento, tra i residenti stranieri i laureati sono 12,1%
mentre tra gli italiani sono solo il 7,5%; i diplomati il 27,8%
contro il 25,9% e quelli con la licenza media il 32,9% contro il
30,1%. Tra le sole donne immigrate, poi, il livello d’istruzione
è ancora più alto. Nonostante ciò, alcune importanti ricerche,
sottolineano che sono tanti gli immigrati che lamentano una
situazione lavorativa poco vicina alle loro aspettative
professionali perché relegati solo ad alcuni lavori scarsamente
soddisfacenti e pesanti. In altri casi, grazie al numero alto degli
immigrati scolarizzati, in Italia si riesce a garantire un buon
ricambio per tutte quelle professioni, come quella
infermieristica, dove i neo laureati italiani non riescono a
soddisfare una così alta domanda.
Un’altra manifestazione del fenomeno migratorio in Italia è
legato al caso della “migrazione nella migrazione”; in altre
16
parole ciò significa che la mobilità territoriale degli immigrati
nel nostro paese è molto alta e sono in tanti che lasciano il Sud
per il Nord Italia. Naturalmente tra le ragioni di questa scelta
c’è sicuramente l’intensa richiesta di lavoro nelle aree
industrializzate del Nord. Maggiormente coinvolti nei cambi di
residenza sono i residenti originari dell’Africa occidentale e
dell’Asia centro meridionale, mentre in generale le donne sono
meno propense allo spostamento.
Uno dei motivi di questa minore mobilità delle donne può
essere la difficoltà di dover trasferire i propri figli in altre
regioni, costringendoli a un processo d’inserimento nelle
scuole instabile e difficile, soprattutto per la fase di
socializzazione con i coetanei.
A tal proposito, l’èquipe del Dossier Statistico Caritas ha
stimato che all’inizio del 2005 i minori stranieri in Italia siano
stati circa 491.000. Di questi, alcuni vengono nel nostro paese
non accompagnati, mentre altri sono figli di genitori stranieri.
Infatti, a differenza degli italiani che non sono propensi a far
nascere molti figli, gli immigrati vivono ancora, come
succedeva per noi tempo fa, la volontà di costituire famiglie
allargate, ampie, in cui i figli o nipoti sono una potenziale
ricchezza.
17
Questi dati forniscono una fotografia generale della struttura
della popolazione immigrata per classi d’età. Il quadro è
tutt’altro che equilibrato. Infatti elaborando sia i dati Istat che
quelli del Dossier Caritas, gli stranieri sono sovrappresenti
nelle classi corrispondenti all’età lavorativa, ovvero le persone
comprese tra i 25 e i 44 anni hanno un’incidenza di gran lunga
superiore che non tra gli italiani; al contrario, l’incidenza delle
classi anziane tra gli immigrati è ancora modestissima. Tutto
ciò è facilmente spiegabile: una delle collocazioni più frequenti
degli immigrati è proprio la cura degli anziani.
Più complesso è il discorso che riguarda la classe di età dei
ragazzi inferiori ai 18 anni: i minori sono molti di più rispetto
agli italiani della stessa classe d’età ma l’elemento di rilievo è
l’incremento sistematico dei bambini e dei ragazzi appartenenti
alle famiglie immigrate.
Essi vengono definiti come “seconda generazione”. La loro è
una presenza che merita molta attenzione, sia per una questione
di “costruzione di identità” in cui sono impegnati, e sia perché
possono rendere evidente la volontà di stabilità dei loro padri.
È come dire che se gli stranieri fanno figli nel nostro paese, ciò
indica un desiderio di stanziarsi sul nostro territorio. L’Italia
diventa una scelta di vita, luogo di crescita per i figli, il solo
paese che essi conosceranno e che difficilmente lasceranno per
18
raggiungere la patria dei loro padri. Nei capitoli successivi
verranno riprese e trattate approfonditamente le caratteristiche
specifiche dei giovani migranti o dei figli dei migranti nati e
cresciuti in Italia.
Quello che abbiamo detto finora permette un’ulteriore
notazione che farà da chiosa a questa premessa sulla realtà
dell’immigrazione in Italia.
Nel corso di trentacinque anni è cambiata progressivamente la
portata e la rilevanza che l’immigrazione ha avuto per il nostro
paese. Negli anni settanta e ottanta i primi flussi di stranieri
erano davvero poco rilevanti; si trattava di lavoratrici
domestiche o di richiedenti asilo che spesso si fermavano poco
tempo in Italia perché diretti verso i paesi d’oltreoceano.
Proprio per questo motivo, la visibilità e l’interesse della
società italiana intorno a questo fenomeno era scarso. Già negli
ultimi anni del decennio ottanta ma, soprattutto, all’inizio degli
anni novanta la situazione cambia impetuosamente. Il
fenomeno dell’immigrazione inizia ad assumere una
dimensione quantitativa notevole e gli sbarchi nel nostro paese
diventano argomento d’interesse giornaliero per i media e per
l’agenda politica. I paesi protagonisti dello scenario migratorio
italiano sono per lo più quelli della penisola balcanica, a causa
dello scoppio di conflitti legati all’assestamento dell’ex