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assestamento forestale, principale strumento di pianificazione e gestione forestale
adottato dal Comune.
L’intento è quello di promuovere una maggiore sensibilizzazione sulla conoscenza
delle tipologie forestali, finalizzata ad ottenere un quadro complessivo dell’intero
paesaggio forestale lombardo, in modo tale da approfondire le conoscenze sulle
esigenze climatiche ed ecologiche delle diverse tipologie, le possibili problematiche
gestionali comuni e dunque uniformare la pianificazione forestale lombarda.
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Le Tipologie Forestali
2.1 Generalità
La tipologia forestale è un sistema di classificazione delle aree forestali istituito di
recente dalla Regione Lombardia, nell’ambito del progetto strategico 9.1.6 (Azioni di
salvaguardia e valorizzazione del patrimonio boschivo), su esempio di analoghi
sistemi di classificazione adottati già negli anni novanta dalla Regione Veneto e
successivamente da altre regioni, fra cui il Piemonte, il Friuli-Venezia Giulia, la
Toscana e la Sicilia.
Si basa sul riconoscimento di unità forestali in base alla/alle specie
dominante/dominanti e di altre specie accessorie e minoritarie che denotano
caratteristiche peculiari, le quali consentono di differenziare altrettante unità,
sottounità ed eventuali varianti. Oltre alle specie arboree vengono presi in
considerazione altri parametri descritti in seguito, quali le regioni forestali, i gruppi di
substrato, i distretti geobotanici, le specie erbacee, ecc. che consentono una più
facile individuazione del tipo forestale.
Il fine ultimo che giustifica la realizzazione e l’utilizzo di tale sistema di classificazione
è la creazione di modelli base di gestione forestale standardizzabili e quindi
applicabili in modo analogo alle medesime unità presenti sul territorio, così da
uniformare le diverse realtà forestali lombarde e creare in questo modo un linguaggio
comune di più facile comprensione, nonché applicazione, per gli addetti ai lavori.
Le foreste lombarde sono, nella quasi totalità dei casi, alterate dall’azione antropica e
quindi necessitano di interventi mirati, tesi ad avvicinarsi il più possibile alla
situazione ottimale di ogni singolo bosco, dove per situazione ottimale si intende
l’equilibrio di fattori interagenti in un dato luogo che si compenetrano con le
caratteristiche intrinseche di ogni specie venendo a costituire un insieme omogeneo
(DEL FAVERO e altri, 2002), il quale dovrebbe rimanere stabile nel tempo. Tali modelli
gestionali si basano su principi di selvicoltura naturalistica: tutte le alternative
saranno percorribili dal selvicoltore, ma quanto più esse implicheranno azioni
contrarie o divergenti dal sistema , tanto più comporteranno costi ambientali, siano
essi diretti o indiretti (DEL FAVERO e altri, 2002).
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L’utilizzo delle tipologie forestali, quindi, se da un lato si allontana dai modelli di
studio con finalità di carattere più strettamente scientifico (ad esempio la
classificazione fitosociologica), dall’altro si propone di semplificare la realtà e di
fornire dei modelli applicativi per ogni unità evidenziata per una miglior gestione
futura del patrimonio boschivo.
2.2 Struttura gerarchica
L’unità centrale del sistema di classificazione è il tipo, all’interno del quale, ma non
necessariamente, si possono differenziare dei sottotipi o delle varianti. L’insieme di
più tipi costituisce un’unità d’ordine superiore, la categoria.
La categoria è quindi un’unità di comodo, spesso eterogenea, utile a raggruppare le
unità che hanno in comune la specie dominante o l’area generale di distribuzione.
Alla categoria corrispondono le grandi unità vegetazionali usualmente impiegate in
campo forestale, come le faggete, i castagneti, le peccete, le pinete, ecc. In alcune
categorie si sono distinte delle sottocategorie differenziate in base agli orizzonti
altitudinali o ai gruppi di substrato. Il tipo è l’unità fondamentale caratterizzata da un
elevato grado di omogeneità dal punto di vista floristico e tecnico-colturale. Il tipo può
corrispondere ad un’unità fitosociologica o esserne solo una parte, là dove è
differenziata in relazione di specifiche esigenze colturali, o ancora comprenderne più
di una nel caso in cui le differenze di carattere floristico non si ripercuotano in modo
sostanziale sulle scelte di carattere gestionale.
Il riconoscimento del tipo in campo deve quindi avvenire combinando l’analisi
floristica con quella ecologico-gestionale.
Nel caso il tipo, pur mantenendo una composizione floristica comune, si differenzi
anche nei riguardi degli interventi selvicolturali consigliabili, può essere suddiviso in
sottotipi.
Là dove invece si riscontra una variazione non significativa dell’assetto floristico
rispetto al tipo o al sottotipo ma si evidenziano alcune differenze riguardo allo strato
arboreo o arbustivo, si ricorre alla variante. La creazione di tale unità è resa
necessaria per facilitare il riconoscimento del tipo anche in situazioni leggermente
diverse da quelle canoniche, anche se dal punto di vista tecnico-colturale non
comporta significative modificazioni (DEL FAVERO e altri, 2002).
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2.3 Nomenclatura
Ciascuna unità, in linea teorica, dovrebbe essere denominata attraverso tutti gli
elementi che la caratterizzano. Questo compoterebbe però l’impiego di nomi molto
complessi e difficili da ricordare.
Per questo si ricorre ad una semplificazione nomenclaturale grazie alla quale sono
specificati soltanto quegli elementi che permettono di distinguere un’unità da un’altra.
Per facilitare la scelta delle aggettivazioni adatte a questo scopo si ricorre ad una
scala delle priorità che consente la scelta dell’attributo volta per volta più adatto. La
scala è la seguente:
1) composizione;
2) regione forestale;
3) categoria dei substrati;
4) orizzonte altitudinale;
5) caratteri del suolo;
6) fattore termico;
7) zonalità;
8) dinamismo;
9) influenza antropica.
Quindi, ad esempio, il “castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici, esalpico,
submontano, macrotermo, substrati arenaceo-marnosi, suoli mesici” diventa
semplicemente “castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici”, in quanto
quest’ultima denominazione è sufficiente a differenziare tale unità dalle altre
nell’ambito della categoria dei castagneti.
Successivamente (Tabella 2.1) è riportata la casistica considerata nonché le
spiegazioni del significato attribuito ai termini impiegati.
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Tabella 2.1 - Denominazioni adottate per le unità tipologiche (DEL FAVERO e altri, 2002).
ELEMENTO DIFFERENZIANTE DENOMINAZIONE SPIEGAZIONE
Tipico Formazione che rispecchia la
composizione centrale o tipica
dell’unità
(nome della formazione
tipica seguito da) con
(seguito dal nome di una
specie arborea)
Formazione che rispetto a
quella tipica è caratterizzata per
la presenza significativa anche
di una diversa specie arborea
Composizione
(nome della formazione
tipica seguito da) a (seguito
dal nome di una specie
arbustiva o dalla
denominazione di un gruppo
di specie erbacee:
megaforbie, sfragni, ecc.)
Formazione che risulta ben
differenziata da quella tipica per
la presenza di un arbusto, o di
una specie erbacea o di un
gruppo di specie erbacee
Regione forestale Planiziale
Avanalpica
Esalpica centro-orientale
esterna
Esalpica occidentale interna
Masalpica
Endalpica
Formazioni differenziabili
nell’ambito della stessa
categoria per l’appartenenza ad
una regione forestale (vedere
sottocapitolo 2.4.1)
Categoria di substrati Carbonatici
Silicatici
Sciolti
Formazioni differenziabili perché
si trovano su diverse categorie
di substrati (vedere sottocapitolo
2.4.2)
Orizzonte altitudinale Basale, submontana,
montana, altimontana
Formazioni differenziabili
nell’ambito della stessa
categoria per l’appartenenza a
diversi orizzonti altitudinali
(1)
Reazione Basici
Acidi
Formazioni differenziabili per la
reazione del suolo in
corrispondenza dell’orizzonte A
(2)
Caratteri
del suolo
Disponibilità
idrica
Xerici
Mesoxerici
Mesici
Mesoidrici
Idrici
Formazioni presenti suoli con
diversa disponibilità idrica
(3)
Fattore termico Macroterma Formazione presente in
ambiente caratterizzato da un
clima caldo (soprattutto per
quanto riguarda la termometria)
anche se può mancare una vera
e propria stagione secca
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Mesoterma Formazione presente in
ambiente caratterizzato da un
clima intermedio livellato
soprattutto per quanto riguarda
la termometria
Microterma Formazione presente in
ambiente caratterizzato da un
clima rigido con connotati di
continentalismo
Zonale Formazione caratterizzante un
orizzonte od una zona
Extrazonale Formazione caratteristica di un
certo orizzonte ma che è
presente al di fuori dell’orizzonte
stesso
Zonalità
Azonale Formazione svincolata da
orizzonti o zone
Dinamismo Primitiva Formazione che, in ambienti
ecologicamente estremi (rupi,
forre, falde detritiche) non
mostra alcuna tendenza
evolutiva
Primaria Formazione zonale la cui
composizione è stata solo
limitatamente influenzata
dall’opera dell’uomo
Secondaria Formazione zonale la cui
composizione risente dell’azione
dell’uomo
Di sostituzione Formazione extrazonale la cui
composizione è stata solo
limitatamente influenzata
dall’opera dell’uomo
Influenza antropica
Su (seguito dalla
denominazione del tipo
potenziale)
Formazione extrazonale la cui
composizione è dovuta ad
interventi di rimboschimento
1. circa il significato da attribuire ai diversi orizzonti è bene precisare che non ci si rifà
esclusivamente all’altitudine, ma piuttosto ai meccanismi con cui avvengono determinati fenomeni
o all’aspetto somatico degli alberi, ecc.
1. in linea generale i suoli acidi si formano su substrati silicatici; in questi casi anche l’orizzonte B ha
un pH acido; acidificazioni si hanno però anche su substrati carbonatici, in questo caso, in genere
il pH dell’orizzonte B è neutro.
2. I suoli xerici sono caratterizzati da scarsa disponibilità idrica e sono solitamente presenti su
substrati carbonatici (calcarei e dolomitici massivi) e su substrati silicatici (massivi); quelli mesici
sono caratterizzati da una generale freschezza e sono presenti soprattutto sui substrati arenaceo
marnosi e sui terrigeno scistosi.
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2.4 Le grandi unità di inquadramento
Per rendere più agevole la classificazione delle singole unità tipologiche si sono
istituite delle grandi unità di inquadramento, aventi la funzione di fornire una visione
generale dei vari aspetti del territorio regionale. Tali unità consentono di stabilire se
un determinato ambiente è potenzialmente favorevole alla presenza di una
formazione vegetazionale, in ragione delle esigenze degli individui stessi che la
compongono. Infatti a determinate condizioni ambientali, climatiche, pedologiche,
ecc. è possibile associare la presenza o l’assenza di una determinata specie.
Le unità di inquadramento si propongono quindi come “chiavi” di lettura del
paesaggio forestale. Esse sono: le regioni forestali, i gruppi di substrato e i distretti
geobotanici.
2.4.1 Le regioni forestali
Le regioni forestali consentono una prima grossa suddivisione del territorio lombardo
in zone omogenee sotto l’aspetto fitogeografico, climatico e geo-litologico. La loro
utilità sta nel fatto che consentono di distinguere zone in cui si colloca l’optimum o di
alcune categorie tipologiche o di specie arboree di notevole rilevanza forestale, che
per la loro plasticità sono presenti un po’ ovunque, avendo però significato tipologico
e un comportamento altrettanto vario da una regione forestale all’altra, fatti che si
ripercuotono anche sulle scelte selvicolturali (DEL FAVERO e altri, 2002). È quanto
avviene soprattutto per il faggio, l’abete rosso e l’abete bianco.
La suddivisione del territorio in base alle regioni forestali consente, inoltre, di
evidenziare con maggior dettaglio la composizione degli orizzonti altitudinali della
vegetazione arborea che si modifica, appunto, da regione a regione.
Le regioni forestali in cui è stato suddiviso il territorio della regione Lombardia sono
sei:
ξ APPENNINICA
ξ PLANIZIALE
ξ AVANALPICA
ξ ESALPICA
ξ MESALPICA
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ξ ENDALPICA
La regione appenninica è costituita dai rilievi collinari e montani dell’Oltrepò Pavese.
La regione planiziale comprende il territorio della Pianura Padana, privo o quasi di
rilievi. La regione avanalpica comprende la prima fascia di colline moreniche e limitati
rilievi che si incontrano abbandonando la pianura. La regione esalpica è distinta in
due subregioni, quella occidentale interna e quella centro-orientale esterna: la prima,
poco estesa, comprende l’alta Val Sassina, la Val Varrone, l’alto Lario occidentale, la
media Val Chiavenna e l’alto Varesotto; la seconda ha invece una notevole
estensione, comprende le parti medio-basse della Val Camonica, Val Brembana e
Val Seriana, le zone circostanti il lago di Garda, quello d’Iseo e la parte meridionale
del Lario.
Seguono la regione mesalpica e quella endalpica, la prima considerata una regione
di transizione fra quella esalpica e quella endalpica. Quest’ultima, invece,
caratterizzata da un clima continentale e comprendente le zone più interne della
regione e cioè l’alta Val Chiavenna, la parte alta della Val Malenco, il Bormiese, l’alta
Val Camonica e il gruppo dell’Adamello fino alla Val Saviore.
In questa sede ci limiteremo ad analizzare le principali caratteristiche della sola
regione esalpica centro-orientale esterna, in quanto vi appartiene il territorio del
Comune di Darfo Boari Terme.
La regione comprende i primi rilievi prealpini di una certa rilevanza altitudinale,
costituiti prevalentemente da rocce carbonatiche. In questa regione prevalgono le
latifoglie, ma non mancano boschi di conifere, costituiti prevalentemente da pino
silvestre. Gli abeti, in particolare l’abete rosso, sono stati spesso introdotti dall’uomo
anche se tuttavia dopo si sono diffusi spontaneamente. A differenza delle regioni
mesalpica ed endalpica, dove soprattutto l’abete rosso trova il suo optimum, nella
subregione esalpica centro-orintale esterna, le due conifere presentano crescita
rapida e precoce invecchiamento, tanto che a 70-80 anni, l’abete rosso mostra già
fenomeni di invecchiamento, fatto che ha notevoli ripercussioni selvicolturali (DEL
FAVERO e altri, 2002).
Così, nell’orizzonte submontano sono frequenti i querceti di rovere e di roverella, i
castagneti e gli orno-ostrieti, mentre nelle situazioni più favorevoli dal punto di vista
idrico, ma assai rare, gli aceri-frassineti. Nell’orizzonte montano e in quello
altimontano dominano invece le faggete, che spesso costituiscono le formazioni
altitudinalmente terminali, talvolta ricoprendo la sommità dei rilievi.
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2.4.2 I gruppi di substrato
Nel territorio lombardo vi è la presenza di un elevata varietà di formazioni litologiche.
La regione, infatti, rappresenta un punto di congiunzione fra le formazioni più
rappresentative delle regioni confinanti, da una parte quelle dei cristallini che
prevalgono in Piemonte, dall’altra quelle dei carbonati del Trentino Alto Adige, del
Veneto e del Friuli. Risulta perciò particolarmente utile accorpare in gruppi di
substrato omogenei le diverse formazioni esistenti, in modo da ottenere delle unità di
inquadramento generale di maggior comprensione e praticità, al fine di cogliere le
eventuali interazioni fra rocce e vegetazione. I criteri per l’individuazione di questi
gruppi di substrato sono diversi da quelli impiegati dai geologi, poiché è necessario
valutare soprattutto le caratteristiche pedogenetiche delle rocce che portano alla
formazione di un suolo forestale diverso da un altro.
Tra questi elementi, il fattore della disponibilità idrica è certamente prioritario, in
quanto l’acqua del suolo influenza i processi biologici nello sviluppo, nella
rinnovazione e nell’insediamento della vegetazione arborea. La trattenuta delle
particelle di acqua è condizionata soprattutto dalle caratteristiche fisiche del suolo,
tra cui profilo, tessitura e granulomentria. Per questo, per ogni formazione litologica,
sono state individuate tre proprietà delle rocce che più di altre contribuiscono alla
formazione di suoli dotati di buon bilancio idrico e allo stesso momento sono
relativamente semplici da valutare rispetto ad altre. Esse sono la permeabilità,
l’alterabilità e la stabilità.
Permeabilità. È la proprietà delle rocce a lasciarsi attraversare dall’acqua. Sono
impermeabili, invece, le rocce nelle quali non avvengono movimenti percettibili di
acqua per mancanza di spazi (meati o pori) sufficientemente ampi, attraverso i quali
non possono passare, nelle condizioni normali di pressione, le acque sotterranee
(DEL FAVERO e altri, 2002). Le rocce permeabili sono quelle in cui l’acqua può passare
fra gli spazi esistenti o nelle fessure che ne interrompono la continuità. La
permeabilità e l’impermeabilità dipende quindi dalla continuità e dalle dimensioni dei
pori (comunque mai inferiori a 1 Πm, dimensione per cui si manifesta il fenomeno
della capillarità).