5
sottoforma di caramelle dure, gommose, torroncini, grappe, liquori, gelati, decotti,
profumi, docciaschiuma, ecc… Inoltre, negli ultimi anni, questo estratto sta trovando
impiego anche in altri settori, ad esempio viene utilizzato per la creazione dei pannelli
isolanti e per l’estrazione di schiumogeni antincendio. Per tali motivi, definire i confini e le
dimensioni del mercato dei prodotti a base di liquirizia risulta essere un’impresa alquanto
difficile. Tali difficoltà sono ulteriormente aggravate dalla presenza di un quadro
normativo carente e marginale, e dalla mancanza di informazioni e di dati precisi inerenti
al settore. Nonostante ciò, in questo capitolo, si è tentato di analizzare in maniera
esauriente il mercato di questo prodotto a livello nazionale, individuando le principali
aziende, esaminando l’andamento degli scambi con il commercio estero ed i principali
mercati di destinazione della liquirizia, ecc…. Da questa analisi é emerso che circa il 75%
della produzione nazionale si ottiene in Calabria, in particolare lungo le coste del litorale
jonico, dove ha sede la Piana di Sibari e dove, le caratteristiche del suolo e del clima
consentono la crescita spontanea della migliore qualità di liquirizia del mondo.
A questo riguardo, nasce l’esigenza di voler esaminare in maniera più specifica il mercato
di questo prodotto all’interno di questa Regione, evidenziando come esso sia caratterizzato
soprattutto da aziende con carattere artigianale, a conduzione familiare e con una storia, in
alcuni casi, bicentenaria. Tra di esse spicca ed esiste ancora oggi, l’antica Fabbrica della
Liquirizia Amarelli, fondata nel 1731 e che, rappresenta, grazie ai successi ottenuti nel
corso degli anni, la più importante impresa operante nel mercato, non solo nel contesto
locale ma anche in ambito nazionale. Proprio su di essa è stato incentrato il terzo capitolo,
dove attraverso il racconto della sua storia e delle vicende familiari che hanno
caratterizzato il lungo percorso imprenditoriale dell’Amarelli, risalente appunto al 1700,
abbiamo cercato di comprendere l’importanza che ancora oggi assume questa azienda,
soprattutto per la Calabria. Grazie ai dati messi a disposizione dall’impresa, abbiamo
analizzato il suo marketing mix e dunque, le diverse politiche inerenti al prodotto, al
packaging, al pricing, alla distribuzione e alla comunicazione.
Dall’analisi delle diverse strategie abbiamo evidenziato come l’obiettivo primario
dell’azienda sia quello di offrire un prodotto di elevata qualità, ottenuto ancora oggi
mediante metodiche artigianali, e trasmettere i propri valori attraverso l’investimento
culturale. L’Amarelli, infatti, rappresenta a tutt’oggi uno dei pochi esempi in Italia che ha
fatto della cultura una chiave di successo determinante per lo sviluppo, la visibilità e la
crescita dell’impresa stessa.
6
Tale orientamento giustifica l’argomento trattato nel quarto capitolo, dove vengono
spiegati i fattori determinanti che possono spingere un’impresa nel voler investire nel
settore culturale, attraverso la realizzazione dei musei d’impresa, i quali consentono di
acquisire maggiore visibilità e prestigio, di ottenere legittimazione sociale, di migliorare le
relazioni esterne e, allo stesso tempo, di ottenere importanti risultati all’interno del mercato
di riferimento. Quando un’azienda decide di creare una struttura del genere, in grado di
testimoniare la propria memoria attraverso la conservazione e la valorizzazione del
patrimonio industriale, dimostra una precisa volontà di utilizzare, verso l’esterno, una
forma di comunicazione diversa da quelle solitamente utilizzate e proposte dal marketing
tradizionale (ad esempio pubblicità attraverso radio, tv, ecc…). In quest’ottica s’inserisce,
infine, anche il Museo della Liquirizia “Giorgio Amarelli”, inaugurato nell’estate del 2001,
in un edificio adiacente all’azienda stessa, e sul quale si focalizza l’ultimo capitolo. In esso
abbiamo descritto in maniera dettagliata le risorse, l’allestimento e l’intero percorso
espositivo della struttura, al fine di compredere la sua importanza soprattutto nell’ambito
della politica comunicativa e promozionale dell’impresa. La realizzazione di un progetto
così ambizioso, come il museo, ha rappresentato per l’Amarelli il coronamento di una vera
ed importante svolta imprenditoriale, ma anche la massima espressione di quel binomio, a
tutt’oggi inscindibile e vincente, tra impresa e cultura.
7
CAPITOLO 1 - I prodotti agroalimentari tipici: qualità, tutela e valorizzazione.
1. Il nuovo scenario competitivo delle produzioni agroalimentari tipiche.
La cultura enogastronomica ed il panorama ricchissimo di biodiversità agroalimentari
costituiscono due fra le cose di cui il nostro Paese può vantare un primato assoluto.
Attualmente, siamo di fronte ad un fenomeno sociale significativo, rappresentato dallo
sviluppo e dalla riscoperta del prodotto tipico; ciò è testimoniato anche dallo spazio sempre
maggiore che i diversi mass media (giornali, riviste, quotidiani, network televisivi, ecc…)
hanno dedicato e dedicano all’argomento. L’agroalimentare italiano può, infatti, essere
considerato il sistema di alta qualità più importante al mondo, sia per i prodotti tipici
nazionali che per la ricchezza di varietà offerta sul mercato e la tradizione culinaria
1
.
Lo scenario odierno di questo settore è caratterizzato da diversi fattori, quali:
globalizzazione dei mercati; crescente liberalizzazione degli scambi di beni primari,
intermedi e finiti; standardizzazione ed omologazione dei consumi; nuove opportunità per
la filiera agroalimentare nazionale
2
. Più ci si apre ai mercati globali, più si sente il bisogno
di radicamento nel territorio al fine di valorizzare la tradizione che, nel caso del nostro
Paese, è sinonimo di qualità unica e sicurezza. Dunque, siamo di fronte ad una fase
caratterizzata da profonde trasformazioni e dall’apertura del nostro mercato agroalimentare
verso una nuova ridefinizione
3
.
Le recenti tendenze evolutive ed il dibattito in corso sui temi connessi ai processi di
globalizzazione, ed alle modalità di riorganizzazione dei sistemi produttivi su base locale,
ci forniscono diversi spunti su cui poter riflettere. Innanzitutto, possiamo evidenziare
l’evoluzione delle caratteristiche dell’offerta e della domanda dei prodotti agroalimentari
4
.
La domanda è caratterizzata da: maggiore richiesta di salubrità, naturalità e sicurezza
alimentare da parte dei consumatori (essi richiedono garanzie sanitarie e certificate);
crescente disponibilità all’acquisto di prodotti time seaving, ad alto contenuto di servizi
incorporati nello spazio e nel tempo; ricerca di valori non solo nutritivi, ma anche
simbolici, e contenuti edonistici che conferiscono al prodotto una valenza sociale e
culturale.
1
www.labitalia.online.it “Il tipico? Questione di etichetta” articolo di Alberto Ferrigolo (gennaio 2005)
2
Augusto D’Amico “Le strategie di marketing per la valorizzazione dei prodotti tipici” Giappichelli Editore,
Torino (2002).
3
Rivista di Economia Agraria “La competitività dei prodotti agroalimentari tipici italiani fra localismo e
globalizzazione” Carlo Magni & Federica Santuccio giugno 2/1999.
4
Ibidem.
8
L’offerta da: aumento della gamma di servizi offerti dal mercato agroalimentare, in termini
di reperibilità, conservabilità, facilità d’uso e sicurezza alimentare; continua ricerca di
miglioramento dell’efficienza aziendale sul piano dell’organizzazione, della produzione e
della logistica, prestando maggiore attenzione alle esigenze dei consumatori;
riposizionamento competitivo di alcune produzioni all’interno del mercato.
L’agroalimentare italiano è inserito in questo nuovo contesto potendo contare su un
modello produttivo contraddistinto da una duplice vocazione
5
: da un lato quella delle
produzioni di tipo “commodity”, dall’altra una grande produzione di “specialty”, la cui
elevata qualità, legata alle zone di provenienza e alle tecniche produttive, è riconosciuta da
ampie fasce di consumatori, sia a livello nazionale che internazionale. Il Ministero delle
Politiche agricole e forestali ha intrapreso già da diverso tempo la strada della qualità,
orientando la sua azione verso la tutela, la valorizzazione e la promozione delle produzioni
tipiche nazionali
6
. Oggi, sia da parte del legislatore nazionale che di quello comunitario,
attraverso una serie di norme che disciplinano i processi produttivi, distributivi e di
consumo, vi è l’interesse di garantire la possibilità di poter scegliere prodotti sani e che
abbiano, allo stesso tempo, legami con la storia e le tradizioni del territorio da cui traggono
origine. Dunque, in questo nuovo scenario nazionale ed internazionale, il mercato
agroalimentare, e soprattutto le produzioni tipiche, possono rappresentare per l’Italia una
strategica fonte di ricchezza e diventare sempre di più un motore trainante per l’economia
nazionale, introducendo nuovi percorsi produttivi, in grado di valorizzare la dimensione
locale ed artigianale della produzione, ed infine favorire maggiori possibilità di crescita
occupazionale.
2. I prodotti tipici e il concetto di tipicità.
Con il termine “tipico”
7
si indicano, generalmente, quei prodotti che presentano un forte
ed intrinseco legame con il territorio di origine, il quale conferisce loro caratteristiche e
peculiarità uniche, non replicabili altrove
8
. Essi rispecchiano la produzione agricola, la
cultura, la storia, la tecnica tradizionale e l’abilità dei produttori. Solitamente, sono prodotti
5
Nomisma “VIII Rapporto Nomisma sull’agricoltura italiana: prodotti tipici e sviluppo locale. Il ruolo delle
produzioni di qualità nel futuro dell’agricoltura italiana” Il Sole 24 Ore, Milano (2001).
6
www.labitalia.online.it “ Il tipico? Questione di etichetta” articolo di Alberto Ferrigolo (gennaio 2005).
7
L’etimologia della parola “tipico” deriva dal latino “typicum” e dal greco “typtein”, che significano
modello, carattere.
8
Augusto D’Amico “Le strategie di marketing per la valorizzazione dei prodotti tipici” Giappichelli Editore,
Torino (2002).
9
da piccole e medie imprese specializzate, a capitale familiare, o da cooperative agricole,
spesso monoproduttrici
9
. L’espressione “prodotto tipico” viene impiegata con valenze
diverse e talvolta in modo ambiguo. Nell’accezione più diffusa questo concetto viene
utilizzato per riferirsi esclusivamente ad alcuni prodotti che appartengono al settore
agroalimentare; in campo economico, invece, tale aggettivo definisce una particolare
categoria di beni per i quali esiste una stretta relazione con un determinato territorio
10
.
Da un punto di vista formale, possiamo suddividere le produzioni tipiche in due grandi
categorie
11
:
1. quelle tutelate da una denominazione d’origine, definita dai regolamenti comunitari
in materia (prodotti tipici certificati);
2. quelle legate ad un particolare territorio, a precise modalità di produzione, alla
tradizione di alcune aree e che, tuttavia, oltre al riconoscimento di fatto non
presentano credenziali ben definite di tipo formale (prodotti tipici non certificati).
Diversi sono i requisiti, spesso combinati tra loro, che ci aiutano ad identificare una
produzione tipica, quali
12
:
¾ Caratteristiche di origine, esse si riferiscono a tutti quegli elementi geografici e
territoriali in grado di conferire al prodotto una sua specificità. Affinché questa
peculiarità abbia successo ed effetti sul mercato, il territorio dev’essere chiaramente
identificabile e noto al potenziale consumatore.
¾ Caratteristiche di processo produttivo, esse identificano una determinata produzione e
devono essere largamente conosciute e diffuse fra i produttori; di norma, i metodi
rispecchiano tradizioni produttive, spesso tramandate da generazione in generazione.
L’innovazione di processo è contenuta ed ammessa solo se trasferita ed accettata dalla
maggioranza dei produttori. Il processo non deve essere necessariamente realizzato per
intero in un unico territorio (ciò, invece, è previsto per i DOP che esamineremo più
avanti nel corso del nostro lavoro). Come nel caso precedente, la tipicità di processo ha
valore di mercato quando è riconosciuta dal consumatore.
¾ Caratteristiche di prodotto, esse si riferiscono alle materie prime impiegate, alle
proprietà organolettiche, alle caratteristiche intrinseche, l’aspetto, il gusto, ecc…. Sono
9
Economia Agroalimentare “Alimenti tipici e tradizione” SIEA, Anno VIII 3/2003, Franco Angeli.
10
D’Amico Augusto “Le strategie di marketing per la valorizzazione dei prodotti tipici” Giappichelli
Editore,Torino (2002).
11
Nomisma “VIII Rapporto Nomisma sull’agricoltura italiana: prodotti tipici e sviluppo locale. Il ruolo delle
produzioni di qualità nel futuro dell’agricoltura italiana” Il Sole 24 Ore, Milano (2001).
12
Rivista di Economia Agraria “La competitività dei prodotti agroalimentari tipici italiani fra localismo e
globalizzazione” C.Magni & F.Santuccio giugno 2/1999.
10
considerati requisiti di tipicità quando sono identificabili in maniera chiara dal
consumatore e rispondono ai tradizionali attributi che lo caratterizzano. Anche in questo
caso la contemporanea presenza delle altre due forme di tipicità, spiegate in precedenza,
è assai frequente ma non necessaria e tale da attribuirne l’esclusività.
¾ Infine, caratteristiche di mercato. Esse concernono la vendita, le quantità prodotte, la
lunghezza della filiera produttiva, la distribuzione, l’uso. Vi sono prodotti che hanno un
consumo prevalentemente locale, con un volume di produzione insufficiente tale da
garantire una distribuzione maggiore. In questi casi, spesso il produttore coincide con il
consumatore stesso.
I primi tre requisiti menzionati possiamo considerarli oggettivi; essi infatti, vengono
utilizzati anche come criteri dalla Comunità Europea nella valutazione del potenziale di
tipicità dei prodotti, al fine di identificare le denominazioni d’origine protetta e le
indicazioni geografiche protette (DOP, IGP, ecc…). Tutti gli altri, invece, li
riteniamo“meno oggettivi”, e quindi non certificabili e disciplinabili da apposite norme.
Ciò, ovviamente, non deve rappresentare una giustificazione per cui alcune produzioni, pur
avendo uno stretto legame con il territorio di origine, e pur raccontando e testimoniando la
storia e la tradizione di una comunità locale, debbano scomparire o non essere considerate
produzioni tipiche di una specifica area geografica
13
. Quest’ultima categoria rappresenta,
in un certo senso, la “zona grigia” del nostro sistema agroalimentare; per tale motivo, è
necessario intervenire mediante politiche che consentano uno sviluppo ed un loro
riposizionamento competitivo nel mercato, dominato soprattutto dalla piccole imprese,
presenti maggiormente nel Sud Italia. Sulla base di queste considerazioni possiamo
definire la tipicità di un prodotto come la risultante di tre dimensioni
14
: storica, culturale,
geografica. Esse presentano un differente grado di intensità, sono correlate tra loro e
risultano essere indispensabili per identificare il potenziale di tipicità di un bene
agroalimentare.
La dimensione storica si riferisce agli usi, alle modalità di produzione e di consumo del
prodotto, al contenuto simbolico ed al know-how che si sono consolidati e radicati, nel
corso del tempo, in un determinato territorio. In questa prospettiva, possiamo affermare
che il prodotto tipico s’inscrive nella memoria locale e contribuisce alla storia del luogo. I
13
Rivista di Economia Agraria “La competitività dei prodotti agroalimentari tipici italiani fra localismo e
globalizzazione” C. Magni & F. Santuccio giugno 2/1999
14
D’Amico Augusto “Le strategie di marketing per la valorizzazione dei prodotti tipici” Giappichelli Editore,
Torino (2002).