5
da tempo in un’attività di fronda nella promozione letteraria, nella critica
cinematografica e nella prassi politica clandestina, e tuttavia cominciavano
a sentire l’esigenza di intensificare, di rendere più concreto il loro impegno,
per portarlo su un piano costruttivo e soprattutto per poter parlare a più
persone. Ed in questo senso, l’incontro con Luchino Visconti di Modrone fu
decisivo: aristocratico milanese dal cognome altisonante, intriso di una
vastissima cultura umanistica e di quel ribellismo che lo aveva condotto
attraverso tappe successive all’entourage parigino di Jean Renoir, Visconti
portava in dote soprattutto il suo carisma e la sua educazione al lavoro.
Capacità tecnica, mezzi economici e soprattutto un po’ di piglio
organizzativo permetterà loro di realizzare il sogno di un film diverso dai
prodotti diretti o indiretti della propaganda di regime. Massimo Mida
Puccini, fratello di Gianni Puccini, anche lui una firma di “Cinema”, arriva ad
affermare che «senza il suo impegno pratico [di Visconti], noi saremmo
rimasti dei critici, dei filologi, dei giornalisti mentre Luchino aveva maturato
nel periodo trascorso in Francia, un obiettivo molto preciso: entrare nel
mondo del cinema come autore e regista»
3
. Ma la strada è tutt’altro che
semplice.
In questo lavoro si tenterà di ricostruire questo periodo precedente ad
Ossessione, con tutti gli scritti corsari sui numeri di Cinema, i progetti non
terminati, le difficoltà coi fascisti, per arrivare alla lavorazione del film, con il
coraggio e le liti, e anche con le delusioni e gli allontanamenti. Un inchiesta
sui fatti e sulle testimonianze, legate alla formazione di Visconti, all’
esperienza francese e al suo percorso nel gruppo di Cinema, per capire a
distanza di più di mezzo secolo come si è sviluppato e secondo quali
energie è cresciuto quel piccolo gruppo di giovani, che con le loro idee – e
3
M.Mida, cit., p.
6
con il loro film – costituiscono il fondo indispensabile, il lievito ideologico
senza il quale non si spiegherebbe l’esplosione del neorealismo alla fine
della guerra. Massimo Mida, parlando di quel periodo, ebbe a dire:
«Eravamo giovani carbonari di un nuovo Risorgimento» e ancora
«sapevamo di essere uno spillo nella corazza del regime»
4
.
Per questo lavoro che vuole essere soprattutto uno sguardo sintetico sul un
percorso individuale di Visconti, prima ancora che collettivo del gruppo, ci si
avvarrà soprattutto della preziosa risorsa biografica che è il testo di Gianni
Rondolino, Luchino Visconti, ad oggi la più documentata biografia sul
regista. Si farà poi tesoro di una serie di testimonianze, dei ricordi
personali, sia di Visconti che dei suoi compagni, cercando di disegnare un
quadro d’insieme delle diverse personalità che, in diversa misura, hanno
contribuito alla formazione del Nostro. Tali testimonianze sono state
reperite sia nelle memorie, come quelle di Massimo Mida, e sia nelle
rievocazioni storiche e personali presenti nel volume curato da Giorgio
Tinazzi Il cinema italiano dal fascismo all’antifascismo, di Alicata, Scagnetti,
Puccini, e di altri testimoni. E poi ancora in numerose interviste rilasciate da
Visconti nel corso dei decenni sulla sua formazione nel gruppo “Cinema”,
reperite sia dalla consultazione dei giornali stessi, e sia dal prezioso
volume Leggere Visconti, a cura di Giuliana Callegari e Nuccio Lodato. A
questo proposito va menzionato il ricorso agli archivi della Biblioteca
Sormani per la consultazione delle riviste, soprattutto delle annate 1939-
1943 della rivista “Cinema”. Un indirizzo prezioso per la gestione di una tale
mole è venuto dal volume di Orio Caldiron, che antologizza i numeri di
“Cinema” dal ‘36 al ‘43. Si è potuto anche usufruire della consultazione del
Fondo Visconti, presso la Fondazione Gramsci a Roma
4
M. Mida, cit., p. II
7
1
LA FORMAZIONE
1 .1 Tra rigore e ribellismo
Spesso risulta semplice affidarsi a schematismi generalizzanti, che
facciano diventare esemplari o, per qualche ragione, particolari, le vicende
e le persone di cui si sta parlando. Oppure spesso alcuni avvenimenti, pur
non essendo né straordinari né unici, balzano comunque all’attenzione,
perché sono corollario di altre vicende davvero straordinarie o uniche.
Facendo salva la volontà di non cadere nei tranelli del luogo comune, nel
caso della nostra analisi, teniamo valida la seconda opzione della nostra
casistica e diciamo che la formazione di Luchino Visconti, rampollo
dell’aristocrazia milanese, cresciuto tra cultura e mondanità, privo fino alla
soglia dei trent’anni di un preciso progetto esistenziale, non ha in sé niente
di particolare. Ciò che però è particolare è che questi primi decenni
saranno il terreno su cui verrà nutrita e su cui crescerà la singolare
personalità di uno dei registi più significativi del secolo scorso, sia per il
teatro che per il cinema. E’ in questi anni infatti che si ritroverà l’origine del
gusto tutto viscontiano per le cose belle, il culto vero e proprio dell’oggetto,
la prima passione del collezionista e dell’antiquario, tutti elementi che si
realizzeranno nelle straordinarie ricostruzioni d’ambiente; ma si
ritroveranno soprattutto l’educazione al lavoro e alla continua sfida con sé
stessi e la profondissima cultura umanistica. Elementi di cui non si può
trascurare l’importanza nell’analisi soprattutto del primo periodo dell’attività
8
artistica del regista, quello appunto precedente ad Ossessione, quando
ancora l’influenza familiare era viva.
Luchino Visconti di Modrone nasce a Milano, nella casa della nonna
materna, il 2 novembre 1906. E’ il quarto di sette figli. Il periodo di via
Cerva, dove i suoi genitori Giovanni Visconti di Modrone e Carla Erba
risiedevano, sarà sempre un ricordo affettuoso. « Ho avuto un infanzia
molto bella, felice » dirà Visconti in un intervista nel 1975.
5
Ed in effetti,
stando alla ricostruzione che ne offre la più documentata biografia del
regista ci si può rendere conto di quale clima si respirasse in casa Visconti
nei primi due decenni del Novecento.
La madre appassionata di musica, il padre di pittura e letteratura,
impostarono per i loro figli, soprattutto per i maschi, un vero e proprio
progetto educativo, che forgiasse i loro spiriti fin dall’ infanzia. Ed è proprio
Gianni Rondolino a darci un quadro esaustivo della vita in casa Visconti:
A quanto pare donna Carla, all’inizio di ogni anno, compilava
l’orario delle lezioni private e degli impegni
extrascolastici, giorno per giorno, per ciascun figlio.
6
La sveglia era alle cinque e mezza per tutti. Durante la giornata si
susseguivano le attività, dalla scuola alla musica, dall’attività fisica agli
appuntamenti mondani, secondo un orario serrato. Tutti questi impegni,
lungi dal mortificare le singole personalità dei ragazzi al contrario le
stimolavano: ognuno aveva il proprio strumento (Luchino suonava il
violoncello), e a ciascuno veniva lasciato libero spazio alle proprie
inclinazioni.
5
Ronchetti Pierluigi, Alla ricerca della madre chioccia, “Il Tempo”, 10 gennaio 1975, p. 43
6
Rondolino Gianni, Luchino Visconti, UTET, Torino, 2003, p. 6
9
Sempre citando Rondolino:
[…] Senza mitizzare a posteriori una situazione familiare e
sociale indubbiamente serena e compatta e dominata da un alto
senso del dovere, non v’è dubbio che nella famiglia Visconti
si respirava un aria di forte tensione morale e intellettuale
che in un certo senso galvanizzava i singoli componenti
attorno a una sorta di progetto esistenziale che doveva, più
o meno consciamente, riscattare i privilegi di sangue e di
censo sul piano di un totale sfruttamento delle risorse
intellettuali di ciascuno.
7
Il terreno su cui maggiormente i fratelli Visconti potevano mostrare la loro
creatività e sfogare la loro esuberanza – oltre alle corse in bici per le vie di
Milano istigate dall’istruttore italo inglese, momenti di cui abbiamo resoconti
assai gustosi
8
– era il teatro: venivano organizzate messinscene familiari
nel teatro che il conte Giovanni aveva fatto costruire nel palazzo, e
venivano allestiti pezzi di teatro del conte stesso o di vari autori (il prediletto
era Shakespeare, che lo stesso Visconti si divertiva a elaborare). A questo
proposito è significativo dire della precocità del regista nella passione della
lettura, ereditata dal padre: in una delle ultime interviste Visconti racconta
che a quattordici anni aveva letto tutto Shakespeare
9
:
Passavo intere notti leggendo e la mia camera era un ammasso
di libri, soprattutto classici francesi.
7
G. Rondolino, cit., p. 7
8
G. Rondolino, cit., pg. 9 e ancora più diffusamente in G. Prosperi, Vita irrequieta di Luchino
Visconti, I, Nel quartetto di famiglia Luchino suonava il violoncello, in “La settimana Incom
illustrata”, VII, n 13, 1951, p. 18-19
9
A. Di Sovico, Io, Luchino Visconti, “Il mondo”, n 1-2, 8 gennaio 1976, poi in calce a
Luchino Visconti: Quarant’anni di cinema, a cura di G. Callegari e N. Lodato,
Amministrazione Provinciale di Pavia, Pavia, 1976.
10
Attorno ai quindici scoprì Proust e si appassionò al romanzo dell’ottocento;
più tardi si accostò alla letteratura italiana e amò in pari misura Pirandello e
D’Annunzio
10
. Di quel periodo Visconti dirà:
Avevo un conto lungo due chilometri dal libraio Baldini e
Castoldi. Mio padre pagava senza battere ciglio: erano libri
11
Ma durante il periodo giovanile, era certamente la musica il tassello
principale dell’educazione di Visconti: sia le lezioni e le esibizioni con il
violoncello, che a quanto pare erano prove di un giovane che «dà
affidamento di riuscire in arte assai più che un dilettante»
12
, e sia e
soprattutto la frequentazione abituale e assidua del Teatro alla Scala: prima
suo nonno e poi suo zio avevano contribuito alla gestione del leggendario
teatro con importanti elargizioni, la famiglia possedeva un palco nel primo
ordine, sopra l’orchestra, e il giovane Visconti da lì poté vivere gli anni di
Arturo Toscanini, amico personale del conte Giovanni, e assistere all’intero
repertorio scaligero
13
.
Tuttavia man mano che il giovane Visconti assumeva autonomia d’analisi,
furono il teatro di prosa e la letteratura a catalizzare la sua attenzione.
Caterina D’Amico de Carvalho dà un quadro degli esperimenti giovanili, da
cui si evince la precoce vocazione letteraria del futuro regista: si sa infatti di
una prima pubblicazione, in pochi esemplari, di una raccolta di sette atti
unici dal titolo Battute, e del grottesco in un atto Il gioco delle verità, scritto
a quattro mani con l’amico Livio dell’Anna, attorno al 1930
14
.
10
G. Rondolino, cit..p. 10
11
P. Ronchetti, cit., p. 44
12
Anonimo, “La Sera”, 8-9 giugno 1920
13
P. Rocchetti, cit., p. 44
14
G. Rondolino, cit., p. 33
11
Quindi, sintetizzando, i capisaldi sui quali si reggeva il progetto educativo di
donna Carla erano l’ arte, nelle sue molteplici manifestazioni, e la
disciplina, la dedizione allo studio e la valorizzazione di sé e delle proprie
inclinazioni.
Educazione all’arte innanzi tutto, all’inizio un po’ subita, ma poi sempre più
assunta, in modo naturale, come vero e proprio stile di vita: «E’ l’arte che
nutre lo spirito umano, la sua funzione non sarà mai assunta dalla scienza»
dirà Visconti in un intervista del 1965
15
.
Altro punto focale è la disciplina, che negli anni della maturità sarà alla
base di quell’ autodisciplina e di quel rigore intellettuale, che sono gli
elementi del carattere che maggiormente ritornano nei ricordi degli amici e
dei collaboratori. E’ cosa nota però l’intolleranza che il giovane Visconti
manifesta fin dalla prima adolescenza verso qualsiasi regola imposta,
avversione che trova lo sfogo in diverse fughe, sia d’ amore (più di una
volta) e sia per un chiarimento interiore, nei silenzi di Montecassino. In
generale Visconti da un lato mal tollerava la disciplina scolastica che lo
costringeva allo studio delle scienze esatte, per le quali nutriva una vera e
propria avversione; dall’altro sentiva il bisogno di uscire dal chiuso mondo
aristocratico che, seppur dorato e pieno di stimoli, costituiva un freno alla
sua libertà di vivere la vita. Tutto ciò servì al giovane Visconti a forgiarsi fin
da giovane una ferrea volontà e una profonda cultura, attraverso quella già
citata voracità letteraria, che era un altro tassello del suo bisogno di
affermare sé stesso.
Ed è proprio la valorizzazione di sé e della forza delle proprie azioni che
costituisce un altro elemento dell’educazione e poi della personalità
dell’artista: soprattutto la madre, donna carismatica e bellissima (ci dice
15
G. Grazzini, Visconti, una carriera da artigiano, Corriere della Sera, 23 dicembre 1965, p.3