III
In psichiatria il termine "narcisismo" viene usato, per la prima volta, alla fine dell’
‛800 in alcuni studi sull'autoerotismo, grazie ai quali si iniziano ad intravedere
latenti motivi sessuali in comportamenti non esplicitamente sessuali. Questa
intuizione rappresenta una delle grandi scoperte della psicoanalisi. Bisognerà,
comunque, aspettare gli inizi del XX secolo per far entrare la parola “narcisismo”
nella terminologia psicoanalitica e, solo in seguito, alcuni psicologi la
collegheranno non implicitamente bensì esplicitamente, a fenomeni non sessuali,
come la vanità e l'auto-ammirazione e scorgeranno anche una possibile natura
difensiva del narcisismo, cioè il chiudersi in se stessi per frustrazioni nei rapporti
interpersonali. Questa tematica verrà ripresa e meglio teorizzata da Freud.
E’, appunto, l’importante lavoro di Freud
2
del 1914 “Introduzione al narcisismo”,
quello che segna la nascita ufficiale di questo concetto in psicoanalisi. Da allora in
poi, la storia del narcisismo appartiene prevalentemente al movimento
psicoanalitico, e solo negli anni recenti, precisamente dal 1980, la personalità
narcisista è entrata a far parte ufficialmente della diagnostica psichiatrica.
Sigmund Freud affronta il tema del narcisismo definendolo un investimento
libidinale dell’Io. Infatti, la libido ritirata dal mondo esterno è indirizzata verso l’Io,
dando così luogo a quell’atteggiamento che Freud definisce “narcisismo secondario
o patologico”, diverso dal “narcisismo primario”. Con narcisismo primario egli
intende quello stato precoce in cui il bambino investe tutta la sua libido in se stesso
prima di scegliere degli oggetti esterni. Invece, il narcisismo secondario, cerca di
alleviare il dolore causato dalla frustrazione derivante dall’amore oggettuale e di
annullare il risentimento del bambino verso coloro che non soddisfano più i suoi
2
S.Freud, Introduzione al narcisismo(1914),in Psicologia e metapsicologia,Grandi tascabili economici Newton,
Roma,1992.
IV
bisogni e dai quali, perciò, si sente abbandonato. E’ proprio in questa fase che,
secondo Freud, il soggetto ritira la libido dall’investimento oggettuale per ripiegarla
sull’Io, generando, addirittura, delle psicosi schizofreniche, chiamate, appunto,
“nevrosi narcisistiche”.
Heinz Kohut
3
si allontana dall'ortodossia freudiana e afferma che esiste una libido
"narcisistica", che grazie a rapporti empatici con le figure genitoriali (definiti
"oggetti-Sé"), trasforma il Sé in forme meno arcaiche e via via più mature. Dunque,
secondo Kohut, la genesi dei disturbi narcisistici va ricercata in un atteggiamento
"poco empatico" da parte dei genitori che provoca l'arresto dello sviluppo di un "Sé
grandioso arcaico". Kohut concepisce il Sé come qualcosa che dipende
dall'ambiente, che può farlo crescere o arrestare a seconda di determinate proprie
caratteristiche (come l'empatia dei genitori). Il conflitto è, quindi, tra il Sé e gli
oggetti, e non è intrapsichico, come vuole la teoria classica che postula una
conflittualità tra Es, Io e Super-Io. Il Sé di Kohut è un'entità priva di conflitto in se
stessa, è un concetto esperienziale contrapposto all’Io, più impersonale ed astratto.
Ecco perché si può affermare che Kohut ha ispirato un grosso movimento
all’interno della psicoanalisi definito “Psicologia del Sé”, in contrasto con la
corrente psicoanalitica tradizionale nota come “Psicologia dell’Io”.
Otto Kernberg
4
concepisce, invece, la personalità narcisista in modo più
tradizionale. Egli, anche se è d'accordo nel ritenere che la patologia si incentri
attorno ad un disturbo della regolazione dell'autostima ed alla persistenza di un Sé
grandioso, non ritiene che questo sia la riattivazione di una fase dello sviluppo
infantile normale, ma patologico. Infatti, dove Kohut parla di "Sé grandioso
3
H.Kohut, La guarigione del sé, Boringhieri, Torino, 1977.
4
O.Kernberg, Sindromi marginali e narcisismo patologico, Boringhieri, Torino, 1975.
V
arcaico", Kernberg non a caso parla di "Sé grandioso patologico”. Egli concepisce
il Sé come "rappresentazione del Sé", cioè come una funzione dell'Io, e non come
una entità sovraordinata e autonoma. Il futuro narcisista, attorno ai 3-5 anni, invece
di integrare realisticamente le immagini buone e cattive del Sé e dell'oggetto in
rappresentazioni coerenti e stabili, mette insieme le rappresentazioni positive ed
idealizzate (sia del Sé che dell'oggetto) formando conseguentemente un Sé
grandioso patologico, cioè un'idea irrealistica e idealizzata di sé, la quale è
fragilmente mantenuta, per cui ha sempre bisogno di rinforzi esterni per la sua
autostima ed è soggetta a continue disillusioni. Una possibile causa della
formazione di questo Sé grandioso patologico è, secondo Kernberg, una eccessiva
pulsione aggressiva, che impedirebbe alle rappresentazioni positive di integrarsi
normalmente con quelle negative, portando così alla formazione di immagini scisse,
eccessivamente idealizzate e grandiose, o eccessivamente negative.
Partendo dal quadro psico-analitico del narcisismo, ma attribuendo a questo
concetto una valenza sociale, molti sociologi hanno cercato di comprendere e
spiegare i grossi cambiamenti intervenuti nella società moderna, i quali hanno
contribuito a sviluppare nuove forme di socializzazione, nuovi modi di
organizzazione dell’esperienza e nuovi tipi di personalità. Una volta uscito dai
ristretti confini della psiche individuale, infatti, il narcisismo ha iniziato a permeare
di sé tutti i rapporti interpersonali. Non più analizzato come una patologia, esso ha
trovato ampio spazio in campo sociologico. In particolare, un grande merito va
attribuito a Christopher Lasch
5
che, nel 1981 pubblica “La cultura del narcisismo”,
la quale, secondo l’autore, caratterizzerebbe l’era del benessere delle società
5
C.Lasch, La cultura del narcisismo, Milano, Bompiani, 1981.
VI
avanzate, in cui la crisi dei valori ed altre trasformazioni sociali avrebbero
letteralmente stravolto il significato dell’esistenza dell’uomo facendolo, per così
dire, “ripiegare su stesso”ed è per questo motivo che la figura mitologica di Narciso
è considerata, da Lasch, il simbolo del tempo presente.
Il lavoro presentato affronta, appunto, il tema del narcisismo inquadrandolo
nell’orbita della complessa società attuale. Percorrendo l’evoluzione socio-storica
che ha visto il succedersi della post-modernità alla modernità, viene analizzato in
modo esaustivo il tema del “processo di personalizzazione” in cui è stato coinvolto
l’individuo contemporaneo e sono illustrati alcuni aspetti-chiave
dell’individualismo narcisistico, all’interno della cornice della società dello
spettacolo e del consumo di massa.
Nel corso dell’esposizione si fa riferimento ad alcune personalità di spicco nel
campo della filosofia, della sociologia, della psicologia, accomunate da un’intensa
volontà di comprensione e d’analisi dei radicali cambiamenti avviatisi fin dal XIX
secolo. In particolar modo, il punto focale della discussione riguarda gli studi e gli
approfondimenti di Gilles Lipovetsky, sociologo e filosofo francese, del quale si
riconosce la significatività e l’originalità di alcuni saggi e scritti inerenti al tema
sopra citato, che hanno profondamente segnato l’interpretazione della modernità
6
.
Lipovetsky si sofferma sull’analisi del processo di individualizzazione, che porta
all’emergere di un uomo libero, cosciente del proprio sé e responsabile del proprio
comportamento, svincolato da qualunque tipo di tutela, in particolare quella
6
A proposito della distinzione tra società moderne e pre-moderne, cfr. P.L.-Landsberg, Teoria sociologica della
conoscenza, Napoli, Ipermedium libri, 2002. L’autore sostiene che la società moderna è dominata da una visione
nominalistica, tale per cui la società esiste solo in quanto risultante dall’aggregazione di singoli individui, atomi isolati,
che si trovano ad agire insieme per uno scopo comune. Al contrario, la società pre-moderna era basata su forme di vita
sociale precostituite, che garantivano all’individuo protezione, partecipazione, senso d’appartenenza e per questo, erano
caratterizzate, secondo Landsberg, da una visione realistica.
VII
religiosa, dotato di autonomia e di un orgoglio narcisistico che lo spinge a mettere
in discussione i tradizionali punti di riferimento. Tale processo,
contemporaneamente alla dissoluzione delle forme di vita sociale precostituite, che
garantivano all’individuo protezione e senso d’appartenenza all’interno delle società
pre-moderne, ha fatto sì che l’uomo dovesse costruire personalmente il proprio
spazio sociale.
A partire dal XIX secolo, sono state elaborate diverse interpretazioni della
modernità, in particolare si sono contrapposti due modelli: uno nichilista, pessimista
e catastrofico, che insiste sulla decadenza dei valori e sull’apatia di massa; l’altro,
ottimista, provvidenzialista, convinto che la modernità può sempre trovare in se
stessa i rimedi ai propri mali. Gilles Lipovetsky non abbraccia nessuno dei due
schemi interpretativi, dal momento che ritiene impossibile una lettura univoca della
modernità ed, in particolare, della seconda rivoluzione moderna o iper-modernità,
nella quale siamo, oggi, coinvolti. Una volta indagati e valutati i tratti salienti di
quella che egli definisce l’«era del vuoto», fruendo contemporaneamente di notevoli
contributi, tra i quali desidero porre l’accento su quello di Christopher Lasch, già
citato, viene proposta una disamina del sistema della moda nelle moderne società
occidentali, sempre mantenendo come punto di riferimento il pensiero di
Lipovetsky.
L’autore, essendo stato capace di scorgere una caratteristica prioritaria della moda,
ossia l’astuzia dell’irragionevolezza di moda, confuta l’idea dell’antitesi scontata
tra artificiale e reale, tra ciò che è superficiale e ciò che è guidato dalla ragione, tra
seduzione e logica razionale.“L’astuzia dell’irragionevolezza di moda non esclude
VIII
intelligenza, libera iniziativa, responsabilità della società nella costruzione del suo
futuro”(Lipovetsky,1989:17).
Nell’ultima parte della trattazione, tenendo in considerazione la condizione
dell’individuo nelle società democratiche contemporanee, ormai affrancatesi
dall’epoca della soggezione alle grandi ideologie politiche, religiose e morali dei
secoli precedenti, viene esaminata la questione riguardante la facoltà dell’homo
democraticus di salvaguardare un valore solido e costante qual è l’uguaglianza in
una società iper-individualistica. Lipovetsky afferma, infatti, che, nonostante la
coesistenza d’orientamenti vacillanti, contrapposti, destabilizzanti e soggetti ad
obsolescenza accelerata da quando il processo-moda ha conquistato il primato
anche nella scelta delle idee cui conformarsi, permane un “attaccamento forte
generale e duraturo nei confronti dei valori fondamentali dell’ideologia moderna:
uguaglianza, libertà, diritti dell’uomo” (Lipovetsky,1989:248)-
L’autore ritiene che l’iper-consumismo sia compatibile con un reinvestimento in
alcuni sentimenti e valori tradizionali, così come la totale autonomia dell’individuo
si accompagna ad una sua maggiore fragilità.
Insomma, nelle società iper-moderne convivono enormi paradossi. L’intento finale,
però, è quello di tracciare i contorni di una possibile ed auspicabile società in cui,
nel rispetto della libertà e dell’indipendenza degli individui, si consolidino rapporti
di vicinanza, di scambio reciproco, di solidarietà, di collaborazione, d’associazione,
d’integrazione, ancora realizzabili nelle società altamente individualizzate. Reputo
reale e non utopica la concretizzazione di tale processo evolutivo dal momento che
l’incomunicabilità vigente rende gli uomini tanto liberi ed autonomi quanto soli ed
anonimi e, dunque, non potrà che comportare una rivalutazione dell’Altro, pur
IX
rinunciando in parte all’insaziabile brama d’auto-realizzazione privata, alla ricerca
di una terapia per l’angoscia esistenziale.
Nel I capitolo viene spiegato il passaggio dalla società moderna a quella post-
moderna, considerando i profondi cambiamenti che tale evoluzione a livello sociale
ha comportato nella vita dei singoli individui. In particolare, viene analizzato il
processo di personalizzazione e l’individualismo narcisistico, secondo
l’interpretazione del sociologo e filosofo Gilles Lipovetsky.
Il II capitolo riprende il pensiero del sociologo francese, il quale, in alcuni studi, ha
cercato di comprendere la logica della seduzione che, oggi, è alla base di molti
meccanismi sociali. Nello specifico, viene proposta un’analisi della moda e della
storia del lusso.
Nel III capitolo viene descritta un’ulteriore svolta avvenuta nella società, a partire
dagli anni ‛70-‛80 e definita da Lipovetsky “iper-modernità”. Dopo aver evidenziato
alcune caratteristiche prioritarie della società iper-moderna ed iper-individualistica,
viene presa in considerazione la spinosa questione riguardante l’etica. Lipovetsky
parla di età “post-moralista”, entrando in conflitto con alcuni studiosi di diverse
correnti di pensiero. Di qui, l’esigenza di una riflessione sull’individualismo.
Nelle conclusioni, riprendendo la descrizione della società iper-individualistica, si
delinea una possibile trasformazione della stessa, in termini di rivalutazione
dell’alterità e di costruzione di nuove reti di solidarietà e di rapporti interpersonali,
in grado di alleviare le sofferenze del nostro Narciso contemporaneo.
1
Capitolo I
Cultura del narcisismo nella società contemporanea
“Perché secondo me la storia dell’uomo
ha inizio solo adesso, con i suoi pericoli, le sue
tragedie. Fino a oggi, alle sue spalle c’erano
ancora gli altari dei santi, le ali degli arcangeli,
e tutto questo scorreva sulle debolezze e sulle
piaghe dell’uomo dalle chiese, dalle fonti
battesimali. Adesso incomincia per lui la serie
delle grandi sciagure insolubili,di cui Nietzsche
sarà stato solo il prologo”.
Gottfried Benn
7
1.1. La società post-moderna
Le moderne società capitalistiche, nel corso del XX secolo, hanno assistito al
rovesciamento della logica su cui erano fondate. Infatti, dal loro stesso seno e dal
loro prolungamento, si è passati, molto lentamente, ad un nuovo tipo di società, di
cultura e di individuo, una sorta di "seconda modernità" o “post-modernità”.
Daniel Bell
8
, nel suo libro "Le contraddizioni culturali del capitalismo", cerca di
spiegare il funzionamento del capitalismo collegandolo al modernismo ed al
periodo successivo, il post-modernismo, riconoscendo l'importanza della cultura
rispetto all'economia ed alla democrazia. Egli si rende conto di come, a partire dal
XIX secolo, il modernismo, come nuova logica artistica basata sul rifiuto della
tradizione e sulla voglia di rinnovamento, abbia inciso sulla società capitalistica,
generando una profonda crisi culturale. Una continua fuga in avanti, sotto la guida
della sola libertà creativa, senza costrizioni, a tal punto che, le opere d'avanguardia,
nel momento in cui nascevano, già divenivano obsolete, negando, così, se stesse.
7
G.Benn, Essays und Reden, Frankfurt a.M.,1979, in Beck U., I rischi della libertà, Bologna, Il Mulino, 2000, p.11.
8
D.Bell, Le contraddizioni culturali del capitalismo,Torino, BDL,1978.
2
Però, quando il carattere creativo di questa negazione inizia a venir meno, gli artisti
non fanno altro che riprodurre le opere del passato.
E’ allora che inizia il post-modernismo
9
. Esso spinge la logica del modernismo fino
all'estremo, al punto in cui le avanguardie non appaiono più provocatorie. Si assiste
alla democratizzazione dell'edonismo, alla generalizzazione della ricerca del piacere
e della novità. Gli anni Sessanta sono considerati da Bell la fine di un'epoca e
l'inizio di un'altra. Il Maggio del ’68, in particolare, rappresenta l'ultima rivolta
culturale contro i valori utilitaristici e consumistici, segnando la fine del
modernismo, e, contemporaneamente, l'emergere di una cultura post-moderna che,
pur sottolineando la centralità dell'edonismo e del consumismo, è soggetta ad un
“processo di personalizzazione” (vedi paragrafo 1.2.).
Il post-modernismo non ambisce più ad innovare a tutti i costi, a rivoluzionare, a
rimuovere. Al contrario, rivaluta la tradizione, svilisce l'antitesi tra passato e
presente, legittima tutti gli stili, permette nuove combinazioni, aumenta le
possibilità individuali di scelta e l'eclettismo. Si percorre, dunque, la strada
dell'eguaglianza e dello sviluppo democratico dell'arte per cui ognuno può e deve
essere se stesso, l'Io è libero di esprimersi. Infatti, il valore fondamentale del
processo di personalizzazione è la realizzazione personale, all'interno della cornice
della società dei consumi. Il consumismo, come struttura aperta e flessibile,
svincola l'individuo dai legami di dipendenza sociale, rendendolo fluttuante.
Così Bell afferma che la fase moderna delle nostre società, a partire dalla fine del
XIX secolo e dall'era del consumismo, è stata caratterizzata dalla coesistenza di due
logiche diverse ed opposte: una rigida, coercitiva, disciplinare ed autoritaria; l'altra,
9
D.Bell, Vers la société post-industrielle, trad. P.Andler, Laffont,1976.
3
subentrata intorno agli anni Cinquanta e Sessanta, divenuta, poi, predominante, che
si presenta più flessibile, seducente, personalizzata. Si parla, appunto, della fase
post-moderna, ossia la fase cool del modernismo, che non è in contrasto con
quest’ultimo, ma ne è il prolungamento e porta all'estensione della libertà
individuale.
Terminata l'età delle rivoluzioni, della fiducia nella scienza e nella tecnica, nelle
società post-moderne ciò che interessa è vivere nel presente, qui ed ora,
personalizzare la propria esistenza, anche grazie all'aiuto del consumismo. Uscendo
da un tipo di organizzazione uniforme, centralizzata, orientata al futuro, la cultura
post-moderna si presenta, invece, decentrata, spontanea, creativa, essa rivaluta il
passato, permette l'emancipazione dell'individuo e la dissoluzione dei tradizionali
punti di riferimento, anche se ciò non significa che non esistono più valori in cui
credere. Infatti, se da un lato c'è discontinuità storica rispetto alla cultura moderna,
dall'altro persiste una continuità della tradizione democratica- individualistica tipica
della modernità.
Riguardo a questa importante svolta culturale, voglio soffermarmi su “L’era del
vuoto” di Gilles Lipovetsky
10
, in cui l’autore annuncia che, a partire dalla fine degli
anni ‛70, siamo entrati a far parte di una “società post-disciplinare”, appunto quella
post-moderna, che deve essere analizzata a partire dal dominio dell’effimero per
eccellenza, ossia la moda. Grazie ad essa, è stato possibile uscire dall’ordine
immobile della tradizione, per rivolgersi a nuove finalità, nuovi valori culturali e
rappresentazioni individuali, che celebrano le frivolezze e l’amore per il proprio Sé.
Lipovetsky parla di un aggiornamento storico all’interno del meccanismo di
10
G.Lipovetsky, L’era del vuoto,Luni Editrice, Milano,1995.
4
funzionamento delle società moderne. L’affermazione dell’autonomia nella società
post-moderna conduce ad un adattamento dei sistemi di controllo sociale al nuovo
clima, meno direttivo e dirigistico e più comunicativo.
«Così il processo di personalizzazione, nuovo modo per la società di organizzarsi,
di orientarsi, nuovo modo di gestire i comportamenti, può agire senza far ricorso
ulteriormente alla tirannia dei dettagli, ma operando con il minimo di costrizione e
il massimo numero possibile di scelte private, con il minimo di austerità e il
massimo di desiderio possibile, con il minimo di coercizione e il massimo di
comprensione possibile» (Lipovetsky, 1983:9).
L’autore francese ci tiene a sottolineare l’aspetto bidimensionale e paradossale
della post-modernità, nella quale coesistono due logiche antinomiche: una favorisce
l’autonomia, l’altra accresce la dipendenza. L’importante è sapere che è la stessa
logica dell’individualismo e della disgregazione delle strutture tradizionali che
produce fenomeni tanto opposti, quali una maggiore responsabilizzazione, da un
lato, e più sregolatezza dall’altro, più spinta individuale, ma anche mancanza totale
di volontà.
Di fronte alla destrutturazione dei controlli sociali, gli individui, nel contesto post-
disciplinare, possono scegliere se auto-controllarsi o lasciarsi andare. L’edonismo
post-moderno è irresponsabile per alcuni, prudente per la maggioranza. Per questo
motivo, nel pensiero di Lipovetsky, il termine post-moderno implica discontinuità e
continuità, uno stadio certamente post-rivoluzionario, post-autoritario, ma anche un
prolungamento della logica secolare democratica ed individualistica: di qui l’idea di
«seconda rivoluzione individualistica», che sarà spiegata meglio nel paragrafo
successivo.
5
1.2. Processo di personalizzazione e individualismo narcisistico
Nel volume “La cultura del narcisismo”, Christopher Lasch ha messo in rilievo
come, negli anni ‘80, si vivesse in un’epoca di “aspettative decrescenti”, dove
l’inflazione provocava l’erosione degli investimenti e dei risparmi, il futuro si
faceva incerto e minaccioso, e nessuno era disposto a rinunciare al divertimento.
In questo clima, emerge la tendenza all’auto-conservazione ed alla sopravvivenza,
come emancipazione dalle condizioni repressive del passato e la cultura del
narcisismo diviene una modalità per massimizzare i vantaggi a breve termine.
I giovani imparano ad abbandonare il mito del “self- made man” severo, ascetico e
laborioso, modello di operosità, moderazione e, soprattutto, autodisciplina, per
sostituirlo con uno di massimizzazione degli interessi personali immediati.
Il narcisismo, nei suoi aspetti positivi, quali la ricerca dell’eccellenza personale,
il miglioramento del proprio aspetto in relazione agli altri, ed in quelli negativi,
quali l’ansia, la depressione e la continua richiesta di approvazione, costituisce un
carattere della cultura contemporanea e conduce, secondo Lasch, ad una
svalutazione culturale del passato, che non riflette solamente la mancanza di
ideologie prevalenti, ma anche la miseria della vita interiore del narcisista.
Egli, mostrandosi indifferente nei confronti del passato, se non addirittura ostile
verso i nostalgici, è la manifestazione del fallimento della nostra cultura.
Apparentemente audace e progressista, in realtà, l’uomo contemporaneo è incapace
di prendere decisioni e di affrontare il futuro.
6
Alla fine del XX secolo, si avverte il “senso della fine”, gli uomini hanno perso
fiducia nel domani, per cui preferiscono vivere l’oggi, occuparsi di se stessi,
attuando una ritirata emotiva di fronte agli impegni a lungo termine.
Nelle difficoltà della vita quotidiana, l’individuo si contrae, ritorcendosi in un Io
minimo
11
, come lo definisce Lasch, un nucleo difensivo contro le avversità, alla
ricerca di una “strategia della sopravvivenza”, come può essere il disimpegno
emotivo, la riluttanza a legami affettivi duraturi, il senso di impotenza,
l’atteggiamento vittimistico, il fascino delle situazioni estreme ed il desiderio di
viverle ogni giorno. L’io minimo narcisistico è incerto e privo di un’identità
definita, è un io in continua trasformazione, anche a causa della sostituzione di un
mondo affidabile e sicuro, con un altro flessibile ed imprevedibile.
Concordando con Lasch riguardo alla perdita del senso di continuità storica che
caratterizza l’uomo post-moderno, Gilles Lipovetsky
12
sostiene che la svalutazione
del passato e l’abbandono delle tradizioni hanno condotto, effettivamente ad un
ripiegamento sul presente, generando così una società narcisistica, caratterizzata dal
processo di personalizzazione.
Sorto nella fase disciplinare dell'era moderna, questo processo ha conquistato
sempre più spazio all'interno della sfera sociale, legittimando l'individualismo
edonistico, legato al consumismo. La differenza con la prima fase della società dei
consumi è che, oggi, si ricerca la qualità dei prodotti, si è attenti alla propria
persona, alla salute e si sostituiscono le merci più velocemente di prima, rendendo
gli oggetti, e non solo, inclini ad obsolescenza accelerata.
11
C.Lasch, L’io minimo,Milano, Feltrinelli Editore,1985.
12
G.Lipovetsky, L’era del vuoto, op.cit.