4
altri puntarono l’indice su strane combinazioni planetarie e
meteorologiche, altri ancora parlarono di avvelenamenti voluti dal
Governo per colpire le masse troppo cresciute numericamente;
nello stesso tempo ci si abbandonava a sfoghi di violenza rabbiosa
e ad esasperate esibizioni di religiosità, e si individuavano dei capri
espiatori additati come untori, generalmente persone ai margini
della società o stranieri, ma molto spesso pure medici e funzionari
pubblici.
Essendo una malattia prevalentemente urbana e che per sua
natura trae dalla sporcizia, dalle acque inquinate, ma in generale
dalle carenze sanitarie la propria linfa vitale, il colera mise inoltre
in luce «da una parte le debolezze dell’organizzazione sanitaria,
dall’altra la povertà, la disuguaglianza di fronte alla morte, la
drammatica arretratezza in fatto di igiene privata e pubblica,
portando alla ribalta il problema della città come veicolo, come
territorio privilegiato del contagio e del disordine»
3
. Furono
soprattutto i ceti economicamente più poveri a venire colpiti, come
ha notato Carlo Maria Cipolla, secondo il quale «le condizioni
economico-sociali contribuiscono prepotentemente a determinare il
quadro della morbilità di una data società» ma allo stesso tempo «il
quadro della morbilità di una data società influenza direttamente ed
indirettamente l’economia della società in questione»
4
; non solo, il
colera condizionò almeno in parte l’andamento demografico e le
decisioni politiche, ponendo il problema del controllo, nella gran
parte dei casi autoritario, delle masse addensate nei grandi centri
urbani.
In quest’analisi, dopo avere riassunto brevemente la
situazione dello stato degli studi sul colera in Italia, con una
sintetica osservazione dei testi di carattere generale da me
consultati, ho trattato la storia della malattia studiandone il
cammino, dall’espansione in India fino all’arrivo in Europa,
ponendo particolare attenzione all’epidemia francese,
3
Ibidem, p. 8.
4
C. M. Cipolla, Miasmi ed umori. Ecologia e condizioni sanitarie in Toscana nel
Seicento, Bologna, il Mulino, 1989, p. 103.
5
particolarmente significativa perché giunta a colpire uno dei più
avanzati stati europei.
Sono quindi passato ad esaminare l’epidemia di colera del
periodo 1835-37 negli stati regionali italiani. Ho approfondito le
reazioni popolari e governative, segnalando le eventuali differenze
tra le singole unità territoriali; ho altresì analizzato l’intervento dei
medici, divisi in molteplici scuole di pensiero, sia nella
comprensione della malattia, sia nelle forme curative da adottare.
Nel III e ultimo capitolo ho deciso di approfondire lo studio
del colera “italiano”, trattando nello specifico l’epidemia del
triennio 1865-1867. In particolare, utilizzando fonti in gran parte
inedite, ho scelto di indagare il caso di Ancona, che nel 1865 fu tra
le città italiane con maggiore tasso di letalità. Dopo un’esposizione
sommaria della situazione politica della città, ho descritto le
condizioni economiche e sociali dell’epoca ed i loro legami con la
situazione igienica-sanitaria, sia a livello pubblico che privato.
Successivamente ho presentato la cronaca dell’epidemia cercando
di stabilire i nessi tra questa e la società che l’ha subita,
evidenziando il ruolo svolto dalla medicina e dagli amministratori
locali per ridurne l’impatto demografico ed economico. Ho ritenuto
opportuno dedicare un paragrafo ai soccorsi, che ad Ancona furono
particolarmente efficaci e sensibili dal punto di vista finanziario, e
rappresentarono non solo un aiuto importante per la popolazione
colpita ma anche un utile mezzo di propaganda e di legittimazione
sociale per coloro che li fornirono, generalmente uomini
appartenenti alla nuova classe dirigente liberale, uscita da
protagonista dalle lotte risorgimentali. Un paragrafo l’ho riservato
anche alla figura di Girolamo Orsi, medico anconetano, principale
protagonista della battaglia contro il colera attraverso un’incessante
attività di salvaguardia dell’igiene comunale e provinciale,
specialmente rivolta alle classi popolari e agli amministratori. Lo
studio del singolo caso di Ancona si è rivelato valido per analizzare
criticamente persistenze e mutamenti rispetto all’epidemia
precedente, sia per quanto riguarda le misure preventive e
limitative stabilite dal nuovo Stato italiano, non più diviso in
6
molteplici unità territoriali, sia per quanto riguarda le reazioni
popolari, le quali sembrarono non mutare sensibilmente, e a cui ho
riservato un’ampia trattazione; al contrario, quelle mediche, pur tra
numerosi scompensi e arretratezze, segnalarono dei progressi,
quantomeno nella comprensione epidemiologica della malattia,
benché i rimedi curativi rimanessero in gran parte gli stessi.
In appendice ho infine inserito alcune fonti utilizzate per lo
studio del colera anconetano, oltre ad un gruppo di tabelle
riassuntive dei dati di mortalità e letalità, al fine di fornire un
quadro complessivo dell’impatto demografico del colera nell’Italia
dell’Ottocento.
7
CAPITOLO I
Lo stato degli studi sul colera in Italia
Fin dalla sua prima comparsa in Italia, nel 1835, il colera
ispirò una grande quantità di studi. Non solo opere a carattere
scientifico e divulgativo di medici e studiosi ma anche una grande
mole di trattati, memorie, diari, relazioni e saggi, a testimonianza
dell’impatto che questo nuovo morbo, sconosciuto e misterioso,
ebbe su ogni categoria e ceto sociale.
Piuttosto ampia è anche l’attenzione che gli storici hanno
dedicato alla malattia, cercando di cogliere le possibili connessioni
tra diffusione della stessa e conseguenze sociali, politiche ed
economiche. Anche negli ultimi decenni si sono segnalate opere
rivelatesi utili allo studio.
Tra i lavori che ritengo di maggiore rilievo e che si sono
rivelati di grande importanza per la mia ricerca vi è Le epidemie
nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX), volume
realizzato da Lorenzo Del Panta nel 1980 che analizza l’influenza e
l’impatto demografico delle gravi epidemie succedutesi sul
territorio italiano a partire dal XIV secolo fino al XIX: un discorso
in cui entra di conseguenza anche la tematica del colera, i cui dati
statistici sono rilevati sulla base degli Annali di Corradi, le opere
del chirurgo toscano Pietro Betti e le indagini compiute dalla
Direzione generale di statistica
1
. Del Panta con approccio statistico-
demografico studia le crisi di mortalità derivanti dalle grandi
epidemie: le molteplici difficoltà causate dalla frequente mancanza
di dati annuali dei decessi e la presenza di altri inattendibili o
contrastanti tra loro, nonché l’ampia schiera di variabili, comporta
inevitabili semplificazioni ma il libro fornisce tuttavia un quadro
complessivo del fenomeno in campo nazionale. L’autore cerca di
legare gli aspetti sociali, politici, economici e biologici compiendo
1
L. Del Panta, Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX),
Torino, Loescher, 1980.
8
comunque una ricerca principalmente quantitativa che permetta la
rilevazione di dati il più possibile veritieri sull’impatto e le
conseguenze delle malattie, influenzate dalle reazioni della gente e
degli amministratori, dall’incidenza della crisi per classi di età,
genere, gruppi di persone e ceti sociali, dalle differenze geografiche
e dalla capacità di recupero dei soggetti sopravvissuti.
Coprono circa un ventennio invece i rilevanti contributi,
specialmente per quanto riguarda l’analisi sociale del fenomeno
colera, di Paolo Sorcinelli
2
. Nuove epidemie antiche paure e
Uomini ed epidemie nel primo Ottocento: comportamenti, reazioni
e paure nello Stato pontificio si concentrano specificatamente sulle
epidemie di colera ottocentesche utilizzando principalmente fonti
di archivi privati e parrocchiali in parte provenienti dalla regione
Marche, soprattutto dalle province di Ancona e Pesaro. Sorcinelli,
storico sociale, pone la propria attenzione in primo luogo sulle
reazioni popolari, sia analizzando gli atteggiamenti emotivi in
presenza della malattia (in rapporto alla religione, alla morte, alle
strategie familiari e ai comportamenti sessuali), sia indagando
sull’ampia gamma di rimedi utilizzati dalle masse, urbane e rurali.
Dai suoi testi emergono i dubbi, le paure, i gesti della gente sovente
incerti tra coraggio e spavento, spesso ingovernabili, irrazionali, ed
associabili «non tanto all’evento in sé ma all’uomo di fronte
all’ignoto, all’inspiegabile, all’incontrollabile»
3
.
Regimi alimentari, condizioni igieniche, epidemie nelle Marche
dell’Ottocento, pur non trattando distintamente il colera ma in
generale tutte le epidemie del XIX secolo marchigiano (febbri
malariche, tubercolosi, difterite, tifo petecchiale, vaiolo, ecc.), si
2
P. Sorcinelli, Miseria e malattie nel XIX secolo. I ceti popolari dell’Italia centrale
fra tifo petecchiale e pellagra, Milano, Franco Angeli, 1979. Nuove epidemie antiche
paure. Uomini e colera nell’Ottocento, Milano, Franco Angeli, 1986. Regimi
alimentari, condizioni igieniche, epidemie nelle Marche dell’Ottocento, Urbino,
Argalia, 1987. Storia sociale dell’acqua. Riti e culture, Milano, Bruno Mondadori,
1998. Uomini ed epidemie nel primo Ottocento: comportamenti, reazioni e paure
nello Stato pontificio, in Storia d’Italia, Annali n. 7, Malattia e medicina, a cura di F.
Della Peruta, Torino, Einaudi, 1984, pp. 495-537. Vita sociale e condizioni igienico-
sanitarie fra Otto e Novecento, in S. Anselmi (a cura di), Nelle Marche centrali.
Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento: l’area esino-misena, t. II,
Jesi, Cassa di risparmio di Jesi, 1979, pp. 1603-1640.
3
Id., Nuove epidemie antiche paure, cit., p. 13.
9
concentra maggiormente sulle cause delle malattie, evidenziando
l’incidenza sulla mortalità complessiva delle masse urbane e rurali,
rispetto ai ceti abbienti del centro città e delle campagne.
Attraverso l’utilizzo di numerosi bollettini sanitari Sorcinelli
dimostra la maggiore rilevanza di alcune malattie epidemiche in
taluni rioni rispetto ad altri, così come la mancanza in tali luoghi di
adeguati impianti di fognatura ed acquedotti e l’insalubrità di cibi
ed abitazioni: in tal modo collega mortalità epidemica e condizioni
di vita, e queste ultime al sistema economico in voga, basato su un
ampio sfruttamento del lavoro operaio e contadino, con
conseguenti gravi carenze per queste classi dal punto di vista
igienico ed alimentare. L’obiettivo è, come dimostra ancora più
chiaramente in Miseria e malattie nel XIX secolo. I ceti popolari
dell’Italia centrale fra tifo petecchiale e pellagra, evidenziare i
danni patiti dalle classi urbane e rurali per effetto dell’aumento
produttivo nell’agricoltura e del decollo industriale, criticando
l’analisi storica precedente che raramente ha studiato le
conseguenze sociali subite dalle masse popolari «slegando così il
momento politico strutturale (studio delle classi dirigenti, dei
rapporti di produzione), e il momento organizzativo ideologico del
proletariato dalle oggettive condizioni di vita»
4
.
Negli anni Ottanta viene pubblicato il libro di Paolo Preto
Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna che, compiendo
un’analisi sociale dei comportamenti in tempo di epidemia ed
utilizzando fonti che spaziano dai romanzi ai giornali, ai pamphlets,
agli scritti, ad atti, processi, archivi privati, giudiziari e
parrocchiali, ecc., intravede nella paura (di complotti, di unzioni, di
avvelenamenti, di morte) il legame conduttore delle invasioni
epidemiche in Italia: Preto così rileva come anche nell’Ottocento,
nonostante l’influsso del pensiero illuminista settecentesco, il
timore popolare del colera non fosse minore e più controllato
rispetto a quello atavico, e assai studiato, della peste
5
. Preto
fornisce un valido contributo non solo allo studio delle reazioni
4
Id., Miseria e malattie nel XIX secolo, cit., pp. 9-10.
5
P. Preto, Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1987.
10
popolari - muovendosi sulla scia dei lavori già compiuti da
Sorcinelli - ma indaga anche sui rapporti tra politica e malattia e su
come durante le lotte risorgimentali prima, e sotto il Regno d’Italia
poi, il terrore popolare per la diffusione del colera fosse
strumentalizzato a fini politici. L’autore porta come testimonianza
una miriade di esempi, citando fatti svoltisi principalmente al sud
(ma non solo) e che videro coinvolte sia le fazioni conservatrici, sia
quelle liberali, senza dimenticare le strumentalizzazioni in funzione
antisavoiarda da parte di resistenti borbonici una volta compiuto il
processo di unificazione. Preto evidenzia la continuità di tali
reazioni lungo tutto il secolo, rilevando una netta discrepanza tra i
progressi nel campo della medicina ed i miglioramenti igienici e
curativi compiuti, pur a lenti passi, nel corso dei decenni, e
l’assenza di sostanziali variazioni nelle reazioni popolari, ancora
dominate da convinzioni e pregiudizi secolari (quali la credenza nel
”colera veleno”, usato secondo alcuni dai ricchi per sterminare le
classi povere troppo accresciute di numero).
L’importante opera di Giorgio Cosmacini Storia della
medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra
mondiale. 1348-1918 concentra invece la propria attenzione non
tanto sulle reazioni popolari, comunque descritte, quanto sul
percorso compiuto dalla medicina italiana e dalle sue strutture, sia
in rapporto al dispiegarsi delle malattie, sia rispetto alle scoperte in
campo internazionale
6
. Benché sia uno storico della medicina,
l’autore non considera salute e malattia come semplici eventi
biologici ma pure sociali. Studiare una malattia non è solo studiare
le scoperte scientifico-biologiche riferite ad essa ma è anche
osservare e spiegare le relazioni che la legano alla società, alla
cultura del popolo, alle mentalità, alle tecnologie, alle istituzioni.
Cosmacini cerca, di conseguenza, di mediare tra opere a suo dire
troppo sbilanciate nell’analisi medico-biologica, col rischio di
disgiungere la medicina dal resto della società come se ne fosse
autonoma, e le interpretazioni che privilegiano esageratamente
6
Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia, cit.
11
l’analisi economico-sociale di un’epidemia. Specialmente nella
sezione del volume riservata al colera, il libro di Cosmacini si è
rivelato utile per lo studio del dibattito nazionale tra scuole
mediche (“epidemisti”-“contagionisti”, “rasoriani”-“brownisti”) e
nella comprensione del processo rivoluzionario, pur lento,
quantomeno in Italia, che nella seconda metà dell’Ottocento
consentì il passaggio da una medicina descrittiva e ancora
influenzata da ingerenze spiritualiste e metafisiche, ad una che
cominciava a sposare con decisione il metodo sperimentale
7
.
Gli ultimi anni hanno fatto registrare l’uscita di un nuovo
importante contributo che si è dimostrato fondamentale per la mia
ricerca ed ha rinverdito gli studi sul colera in campo nazionale. Il
libro di Tognotti Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia
8
fornisce un quadro completo, anche statisticamente, delle sette
pandemie di colera italiane succedutesi nel XIX secolo, inserendosi
nel filone di inchiesta compiuto precedentemente da storici come
Anna Lucia Forti Messina
9
. Attraverso l’analisi di un’ampia
quantità di fonti (memorie, atti parlamentari, quadri statistici,
documenti di sanità pubblica e ministeriali, trattati medici, ecc.) e
con attenzione particolare alla grave epidemia di Sassari del 1855,
Tognotti riassume minuziosamente cento anni di infezioni
coleriche sul suolo nazionale, richiamando alla memoria il lungo
viaggio compiuto dalla malattia dalla fuoriuscita dalle regioni
indiane, nel 1817, fino all’epidemia del 1893 che “chiuse” il secolo
italiano. Inoltre si sofferma sia sul lungo dibattito medico-politico
tra “epidemisti” e “contagionisti”, che divise il mondo medico alla
prima comparsa del morbo, sia sui rimedi curativi utilizzati dalle
due scuole, spesso in forte contrasto tra loro. In più Tognotti
analizza le conseguenze economiche e sociali delle epidemie
coleriche, tracciando una relazione tra le politiche commerciali e
amministrative degli stati preunitari prima, e dell’Italia poi, e le
7
Ibidem, pp. 311-331.
8
Tognotti, Il mostro asiatico, cit.
9
A. L. Forti Messina, L’Italia dell’Ottocento di fronte al colera, in Storia d’Italia,
cit., pp. 429-494. Società ed epidemia. Il colera a Napoli nel 1836, Milano, Franco
Angeli, 1979.
12
precauzioni prese in tempo di contagio; allo stesso tempo indaga,
sulla scia dei lavori di Preto e Sorcinelli, sulla molteplicità di
reazioni e comportamenti di massa. Tognotti intravede nei primi
anni del secondo Ottocento una timida svolta nella comprensione
della malattia, sia da parte del mondo medico, sia da parte dello
Stato, che una volta unificato cercò, senza troppa convinzione, di
arrestare con misure cautelative la continua diffusione delle più
svariate malattie epidemiche che avevano caratterizzato la penisola
fino a quel momento. Su questo punto insiste molto l’autrice,
mettendo in risalto il ruolo di stimolo svolto dal colera ai fini di un
dibattito sull’arretratezza igienica-sanitaria del paese, confronto da
cui sarebbero emersi, soprattutto negli ultimi anni del secolo,
importanti cambiamenti nell’organizzazione sanitaria nazionale.
Mi sento di citare l’importanza al fine della mia ricerca di
altri testi di carattere generale, non pubblicati in Italia, ma assai
validi per un’analisi della storia del colera anche nel nostro paese.
Il testo di William McNeill La peste nella storia. Epidemie, morbi
e contagio dall’antichità all’età contemporanea si propone di
studiare ed approfondire l’influenza delle grandi epidemie sui più
importanti eventi storici, mostrandone la capacità di deformarli ed
incanalarli su binari imprevedibili
10
. Criticando con fermezza la
carenza di attenzioni che gli storici hanno dedicato a tali tematiche,
specialmente prima dell’Ottocento, McNeill inserisce il succedersi
delle epidemie infettive nell’ambito dell’interpretazione dei fatti
storici, spiegando col loro intervento (specie quando queste
agivano su popolazioni prive di immunità e conseguentemente
colpite da una mortalità più elevata) eventi del passato
apparentemente non giustificabili. Quella di McNiell sembra, come
gli è stato più volte rimproverato, una storia del «microbo senza
l’uomo»
11
, in cui i flagelli epidemici appaiono determinare fin
troppo eventi storici antichi e recenti, senza che l’autore riesca poi
a fornire prove che vadano oltre semplici congetture.
10
W. H. McNeill, La peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dall’antichità
all’età contemporanea, Torino, Einaudi, 1981 (ed. or. 1976).
11
J. Ruffié, J.-C. Sournia, Le epidemie nella storia, Roma, Editori riuniti, 1985 (ed.
or. 1984), Introduzione di A. Foa, p. 8.
13
Con un approccio diverso da quello di McNeill, che tende ad
evidenziare il ruolo del microbo sulle vicende umane, Jacques
Ruffié e Jean-Charles Sournia in Le epidemie nella storia si
pongono più vicini alla tradizione storica, studiando la diffusione
delle malattie non tanto dal punto di vista biologico quanto
antropologico, esaminando come l’uomo si rapporta e si adatta ad
esse dal punto di vista culturale, emozionale, psicologico
12
.
All’interno di tale discorso si inserisce la problematica del colera,
trattata sia attraverso un’analisi biologica-medica, sia
approfondendo le reazioni popolari e governative, in particolar
modo riguardo alla grave epidemia che colpì la Francia, e Parigi,
nel 1832.
In definitiva si può ritenere che il colera, pur essendo una
malattia ormai scomparsa da decenni nei paesi europei ed in Italia,
ancora negli ultimi anni continui a raccogliere interesse fra storici e
studiosi di varia formazione, con pubblicazioni che analizzano il
fenomeno dando rilievo di volta in volta ad aspetti diversi, o
cercando, come nel caso del lavoro di Tognotti, il più importante
tra i recenti studi compiuti in Italia, di fornire un’interpretazione il
più possibile completa ed approfondita, anche a livello statistico.
In questo quadro si inserisce il mio contributo, che ha
l’obiettivo di studiare, specificatamente per il caso di Ancona, i
vari aspetti della malattia, con una netta rilevanza comunque,
rispetto a quelli biologici, per quelli economici, comportamentali,
emotivi, in modo da comprendere attraverso la conoscenza
dell’epidemia anconetana alcune caratteristiche della società
cittadina dell’epoca.
12
Ibidem. Pur non trattando specificatamente il tema del colera, vanno menzionati per
il contributo offerto allo studio dell’epidemia francese anche due testi di storia sociale
di G. Vigarello: Il sano e il malato. Storia della cura del corpo dal Medioevo a oggi,
Venezia, Marsilio, 1996 (ed. or. 1993) e Lo sporco e il pulito. L’igiene del corpo dal
Medioevo ad oggi, Venezia, Marsilio, 1987 (ed. or. 1985).
14
CAPITOLO II
Il colera nell’Italia preunitaria
II. 1. Dal Gange all’Europa
Anche se già i navigatori arabi ed europei ne conoscevano da
tempo l’esistenza, è solo nel 1817 che il colera uscì dai suoi storici
confini, l’India e la regione del Bengala in particolare, per dirigersi
rapidamente verso il resto del globo terrestre, dove avrebbe causato
nello spazio di pochi decenni ben 40 milioni di morti, senza
operare alcuna sensibile distinzione tra paesi in via di
industrializzazione o legati ad un’economia arretrata ed ancora
prevalentemente agricola.
Nonostante questa data sia ormai da tempo accettata dagli
storici, è difficile segnalare con certezza le circostanze precise di
diffusione della malattia fuori dal suo territorio di origine ma è
certo che la rivoluzione commerciale e quella dei trasporti
favorirono la diffusione del morbo, libero di viaggiare via terra
attraverso le ferrovie e via mare attraverso la navigazione a
vapore
1
. Le nuove scoperte permisero una circolazione sempre più
rapida di persone e con esse dei microrganismi infettivi
responsabili della trasmissione della malattia, in grado di spostarsi
come mai era stato possibile in precedenza. Non è quindi azzardato
parlare, come ha fatto Tognotti, di «malattia della rivoluzione
commerciale»
2
, mettendo così in evidenza il ruolo assunto nel
dilagare del male dal crescente movimento di uomini, a sua volta
favorito dal continuo aumento degli scambi commerciali tra i
continenti.
A differenza di quanto era accaduto per la peste e per altre
malattie, l’uomo è l’unico possibile ospite per il vibrione che può
1
Tognotti, Il mostro asiatico, cit., p. 18.
2
Ibidem, p. 19.
15
però diffondersi attraverso il contatto tra portatori sani, cioè senza
disturbi clinici palesi, e soggetti particolarmente sensibili.
L’agente eziologico del colera, malattia infettiva oggi generalmente
curabile, è un bacillo vivente nell’acqua, il vibrio cholerae, che
penetra e si moltiplica rapidamente nell’apparato digerente
dell’uomo. In totale benessere l’individuo viene investito da diarrea
(che i medici dell’epoca chiamavano “premonitoria” perché
metteva “in avvertenza”), accompagnata da abbattimento delle
forze, sensazioni di svogliatezza, vomito; quindi inizia lo “stato
algido” con oppressioni al cuore, cessazione dell’emissione di
urine, respirazione sempre più affannosa, scarico di feci di volta in
volta più acquose, progressivo arresto della circolazione sanguigna
e una sete sempre più insaziabile che provoca la morte per
disidratazione nello spazio generalmente di pochi giorni, ma a volte
in maniera ancora più repentina, addirittura in poche ore
3
. Non
sempre l’ingresso del bacillo è letale, ma dipende dal grado di
immunità dell’individuo. Per diffondersi all’interno dell’uomo il
vibrione, penetrato nello stomaco, deve raggiungere l’ambiente
alcalino dell’intestino: quindi per rivelarsi mortale è necessario un
individuo debole fisicamente e non in buona salute, incapace di
sopportare dosi imponenti di microbi.
Un’alimentazione insufficiente sia dal punto di vista
qualitativo che quantitativo e condizioni igieniche-sanitarie
precarie influirono certamente in maniera decisiva nell’espansione
della malattia, considerato che il bacillo, ancora adesso presente in
quei paesi dove abbondano sporcizia, rifiuti e scarsa pulizia
pubblica e privata, si diffondeva principalmente attraverso
l’ingestione di acque ed alimenti contaminati: tali furono forse le
motivazioni per cui la malattia si tramutò improvvisamente in
epidemica nei territori della Compagnia delle Indie soggetti al
dominio coloniale inglese, dove la popolazione indigena aveva
subito una grave riduzione delle barriere immunitarie in seguito ad
una gravissima carestia
4
.
3
Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia, cit., p. 283.
4
Tognotti, Il mostro asiatico, cit., p. 20.
16
L’epidemia si espanse da Calcutta muovendosi con relativa
rapidità in tutte le direzioni: a sud furono infettate la Thailandia e le
isole di Sumatra e Giava mentre a nord si spostò all’interno
invadendo Dehli. Attraversato il mar Arabico toccò le coste
dell’Arabia Saudita e la parte orientale dell’Africa. Nel 1823
furono raggiunte Siria ed Anatolia e quindi il Libano da cui il
contagio si affacciò per la prima volta sul mar Mediterraneo. Nel
frattempo anche Giappone e Cina erano state colpite ma una volta
raggiunte le freddissime coste del mar Caspio il colera si arrestò
temporaneamente, «cosa che autorizzò i governi dei Paesi europei a
cullare la speranza che quell’esotica malattia, venuta dai Paesi caldi
del lontano Oriente, arretrasse di fronte alle temperature del mondo
occidentale»
5
. Un errore fatale, ma purtroppo solo il primo di una
lunga serie che avrebbe caratterizzato le politiche sanitarie e di
pubblica sicurezza dei governi nonché i provvedimenti difensivi e
limitativi degli apparati medico-scientifici nazionali. Fin dal
principio rimasero inascoltate le opinioni di medici, osservatori e
viaggiatori internazionali, che, venuti a contatto con la malattia,
tentarono invano di mettere al riparo i governi dal rischio della
diffusione dell’infezione anche nel vecchio continente. Intanto la
marcia del colera riprendeva, trovando ripetutamente nuove
occasioni di espansione: penetrato in Europa tramite la città di
Orenburg, nella Russia orientale, dove infierì a temperature
bassissime (circa 20 gradi sotto lo zero)
6
- quasi a voler punire
l’imprudenza di coloro i quali si erano sentiti rassicurati dal netto
dislivello di temperatura tra i luoghi originari del male e i più
temperati paesi occidentali - si diresse verso le grandi città
centroeuropee; nel frattempo, alcuni pellegrini musulmani reduci
da una visita alla Mecca portavano di nuovo la malattia sul mar
Mediterraneo, nella città di Alessandria d’Egitto. Quando nel 1832,
a distanza di quindici anni dall’inizio del suo viaggio nella regione
del Bengala, il colera toccò anche l’industrializzata e
tecnologicamente avanzata Inghilterra, fu ormai chiaro,
5
Ibidem, p. 22.
6
Ibid., p. 23.
17
quantomeno agli occhi degli osservatori più acuti, che nemmeno
l’Europa occidentale sarebbe stata risparmiata.
II. 2. Il colera in Francia
Nonostante avesse già invaso gran parte dell’Europa, nel
momento in cui il colera apparve a Parigi, nel marzo del 1832, lo
shock fu ugualmente grande. Parigi, e la Francia intera, si
risvegliarono dall’illusione di non venir colpite dall’epidemia e
furono costrette ad attrezzarsi al fine di prendere i necessari
provvedimenti per limitarla ed allontanarla. Prima di ammettere la
presenza del contagio tuttavia, si temporeggiò per diversi giorni, un
atteggiamento che si sarebbe ripetuto in seguito anche altrove,
specialmente in paesi meno accentrati della Francia e dove quindi
era ancora più difficile predisporre misure comuni data la
molteplicità degli apparati amministrativi centrali e regionali che li
formavano. Durante le epidemie di colera dell’Ottocento si arrivò
anche a nascondere e negare i rischi e le conseguenze dei contagi,
rinforzando i richiami alla serenità d’animo ed alla calma:
l’obiettivo era ovviamente quello di limitare i danni prodotti
dall’emotività e dalla situazione di anormalità, evitando
assembramenti dettati dal panico pericolosi per l’ordine pubblico e
l’incolumità, specie di possidenti e funzionari. Più che la malattia
in sé preoccupava la suggestione che essa apportava e si cercava
quindi per quanto possibile di ridurre la vista del malato e dei
cadaveri, stabilendo orari e strade per i funerali, in modo da
limitare al massimo la presenza di curiosi e agitatori
7
.
La folla parigina non fu affatto scossa dalle voci che si
rincorrevano sui primi casi di ammalati tanto che si concedeva
spesso scherzi di natura goliardico-carnevalesca aventi come
oggetto le stesse vittime, come quello che vide protagonista il
cuoco del maresciallo Lobau: «il 26 marzo, la morte del cuoco del
7
Sorcinelli, Nuove epidemie antiche paure, cit., pp. 98-99.