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fatta della molteplicità dell’esperienza, immersa nello scorrere del tempo.
Non è sufficiente vivere. Per essere veramente tale la vita di ogni uomo
ha bisogno del pensiero che la comprenda e la chiarisca, ma solo un
pensiero che riconosca la varietà dell’esistenza, il suo disordine, può
farsi guida di vita.
In questo senso la Confessione non è solo un racconto di
memorie ed è qualcosa di più di un genere letterario. È un metodo, ma
un metodo che si fa carico della vita, un linguaggio filosofico che, proprio
perché affonda le sue radici nella concretezza dell’esistenza, di una
singola esistenza, risveglia chi lo pratica ad una nuova nascita. L’uomo,
secondo María Zambrano, è una creatura incompiuta che per vivere
deve desnacer, disfare la sua nascita e nascere molte volte nel contatto
con la verità di idee che per fare sue deve trasformare in convinzioni
necessarie al suo concreto muoversi nel mondo; e questo può accadere
solo su un piano dove il sapere è anche quello dell’esperienza.
In modo altrettanto concreto, la Confessione è una voce reale che
parla a qualcuno, che nella sua unicità si rivolge ad un interlocutore per
offrirgli, attraverso la parola che rischiara e potenzia, l’occasione di
conoscersi e di ricostruirsi a sua volta; è un linguaggio che nasce
dall’attenzione e dall’amore per l’uomo. Questo è un punto centrale nel
pensiero della filosofa spagnola, collegato strettamente all’altro suo
grande tema, quello della ragione poetica. La vita, che è pensiero,
relazione, amore, ha bisogno della parola autentica, della parola
originaria, aurorale, che non si è deteriorata in un vuoto intellettualismo,
che non ha perso il contatto con la realtà e la illumina senza irrigidirla in
definizioni perché la sua è una luce che si insinua nell’oscurità del
sentire. È una luce che rischiara, ma non immobilizza perché nasce da
un ritmo del pensiero che è prima di tutto un ritmo del cuore, nel quale la
parola si accompagna al silenzio e sa accettare il proprio fallimento, la
propria incapacità a dire tutto.
Solo la ragione poetica così difficile da spiegare, che non si può
argomentare ma solo sentire vivendo, che è un sentire la vita, respirarla
con il pensiero e con il corpo, può dare alla parola i toni per illuminare
l’amore, l’odio, la pietà, l’invidia, il rancore, passioni e sentimenti di cui è
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intrecciato il tessuto diverso e analogo di ogni esistenza. La metafora
della luce mostra, più efficacemente di quanto lo possa fare un concetto,
come il chiarore che le parole di ogni Confessione riverberano su una
vita permetta una visione attraverso il cuore che offre all’altro, assieme
ad una nuova, rischiarata capacità di vedere, la possibilità di trasformare
se stesso. Offre una conoscenza poetica che, senza trascurare la
ragione, riconosce anche la sapienza delle emozioni in un intreccio di
sentire e di capire in cui le ragioni del cuore devono precedere quelle
della mente per esserne poi guidate e potersi tradurre in azione, in
alimento per la vita; in una danza nella quale «il sentire risveglia,
ravviva, ed è fuoco rianimato dal capire; il sentire che fa da guida
vegliando da solo in lunghe notti oscure, è in seguito sostenuto,
custodito»
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. Una conoscenza materna, feconda, più ampia e
misericordiosa di quella dell’intelletto che pure include e sorregge,
capace di accogliere l’altro e la sua verità, aperta a tutte le dimensioni
dell’essere, anche a quelle impossibili da catturare e da fissare in
concetti.
La Confessione è una forma di visione: per vedere davvero è
necessario tornare indietro, ricordare, cercare qualcosa che si è perduto
e che esige di essere rivissuto, guardato in modo nuovo. Però è una
visione che si fa metodo, che riproduce le contraddizioni e i paradossi di
un’esistenza per cercare quell’unità tra filosofia e vita che si realizza
quando la ragione, nutrita di realtà, si comprende per poter comprendere
la vita, sa guidarla perché si avvicina ad essa senza assumerne i
caratteri; quando la vita si apre ad una verità che non le è più estranea e
giunge a coincidere con se stessa. È un metodo che ha bisogno della
scrittura per trattenere le parole, salvarle dalla precarietà a cui le
condanna il parlare e renderle capaci di trarre dal silenzio il segreto di
un’esistenza che, svelandosi prima di tutto a chi la scrive, esige di
essere comunicata per stabilire con chi legge una relazione che ha in sé
la possibilità di una trasformazione. Un metodo che si traduce in uno
strano genere letterario che accomuna la Confessione ad altre scritture
filosofiche come la Guida, la Meditazione, il Dialogo, l’Epistola, tutti testi
2
María Zambrano, Los bienaventurados, Siruela, Madrid 1990, tr. it. di Carlo Ferrucci, I Beati,
Feltrinelli, Milano 1992, p. 94.
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che si collocano a metà strada tra la filosofia e la letteratura e, privi dello
splendore e della purezza della sistematicità, sono sempre stati
considerati con una certa sufficienza, ritenuti manifestazioni di un genere
minore.
María Zambrano riabilita con forza questo genere che proprio per
la sua forma mista, per il fatto di esprimere un contenuto filosofico in una
struttura narrativa, ha un ritmo lontano da quello canonico del Sistema e
vicino al ritmo della vita. La presunta inferiorità di queste scritture è
proprio ciò che meglio permette di avvicinare vita e pensiero, entità
separate nei grandi sistemi filosofici che nella loro perfezione sterile non
si relazionano, mancano di qualcosa che è connaturato alla funzione
della Confessione: un destinatario, un uomo concreto a cui indirizzare il
pensiero specifico di cui ha bisogno in un dato momento della sua
esistenza. La Confessione, come la Guida, scrittura filosofica alla quale
più si avvicina, è tipica della cultura occidentale nelle epoche di crisi,
quando tra vita e verità si apre un solco e agli uomini non basta la
conoscenza, quando è più avvertita l’esigenza di essere guidati da un
pensiero operante che si incarni nell’esistenza, che riesca ad innamorare
la vita, umiliata dalla verità pura che non le risponde, e a dare unità alla
sua dispersione rancorosa. Confessione e Guida si possono definire
aspetti complementari di questo pensiero operante, la Confessione
appare come una Guida implicita. Se non le appartengono le figure
innamoranti che tendono irresistibilmente ad essere seguite di cui sono
ricche le guide, il loro ruolo conciliatore tra realtà e verità è comunque
svolto dalla manifestazione di un’esistenza che si offre allo sguardo.
Con questo tipo di scrittura María Zambrano identifica la filosofia
che si è aperta alla vita ed ha smesso di disprezzare altri saperi
sull’uomo, come la poesia e il romanzo. Anche un romanzo, che non
inquadra le cose in un ordine univoco ed è ciò a cui più di ogni altra cosa
la vita assomiglia, rende esplicita la storia di una persona che soffre e
rischia di perdersi, come fa una Confessione. Però in chi si confessa
l’esigenza di esprimersi soppianta quella di inventare; chi si confessa non
partecipa al gioco artistico della creazione, il lusso che Dio ha dato agli
uomini per consolarli del dolore, non finge un tempo diverso dal proprio.
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La Confessione non si limita ad assomigliare alla vita, è vita che
mentre parla in un tempo reale riscatta, attraverso la potenza unificatrice
della memoria, la dispersività del tempo; è l’espressione degli sforzi
d’essere di qualcuno che non dimentica la sua condizione di soggetto e
non si rivela a se stesso per esibirsi, ma con l’intento di superare la sua
confusione perché assieme alla sua stessa vita gli si riveli la verità. Nella
creazione artistica manca questo intento e quindi la possibilità di agire
sulla vita; in un romanzo, sia pure autobiografico, ci si può raccontare ma
non confessare, tutto resta chiuso in un piano virtuale, in una sorta di
autocompiacimento per un gioco narcisistico il cui protagonista non va
oltre il suo orizzonte, non comunica. Chi si confessa, non chi si racconta,
permette ad un altro di ripetere il suo cammino perché «la confessione è
un’azione, l’azione massima che è dato attuare con la parola»
3
.
In questa possibilità di azione sta, secondo María Zambrano, la
compenetrazione di filosofia e di vita nella Confessione: allo stesso modo
in cui fare filosofia significa ripercorrere il cammino di ciò che si vuole
apprendere, confessare vuol dire dare la possibilità ad un altro di
impadronirsi del segreto di una vita per poter agire sul proprio specifico
essere. Nella Confessione la filosofia trasforma la vita, e in questo
consiste il compito di ogni filosofia e la necessità di ogni vita.
La Confessione nasce dall’umiliazione della vita, dalla sua
frammentarietà e dalle sue contraddizioni, dalla disperazione che ne
consegue e che costringe l’uomo ad uscire da sé alla ricerca di una
speranza di completezza. In questo senso la confessione è possibile
anche al di là della consapevolezza di sé, la ritroviamo già nel lamento
puro di Giobbe che maledice il suo giorno. Travolto dagli eventi Giobbe
non può scoprire e rivelare la sua interiorità, non ha motivo di credere nel
proprio essere, può solo esprimere la sofferenza estrema dell’ingiustizia
di cui chiede ragione a Dio. Ed è proprio in questo attendersi una
risposta che sta l’essenza della sua pre-confessione. Giobbe non cerca
la fine delle sue sofferenze, ma chiede, chiede con la forza della
disperazione che è tutt’uno con la speranza di essere ascoltato, vuole
3
María Zambrano, La confesión genèro literario y metodo, Luminar, Mexico 1943,
Mondadori, Madrid 1988, tr. it di Eliana Nobili, La confessione come genere letterario, intr. di
Carlo Ferrucci, Bruno Mondadori, Milano 1997, p. 45.
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ragionare con Dio per avere una rivelazione, ottenere una verità capace
di non umiliare la vita, che possa fargli accettare l’ingiustizia, anche
quella che si nasconde nella nascita e nella morte.
Disperazione di sé e fuga da sé per cambiare la propria vita, darle
completezza; espressione di sé perché, assieme alla propria, anche la
vita degli altri possa trasformarsi; speranza che l’unità che si cerca
trascenda la vita individuale: sono queste, per María Zambrano, le
caratteristiche della Confessione e si dovrà attendere Sant’Agostino,
«uomo concreto nel suo vivere e nel suo esistere»
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, innamorato della vita
e non, come i Greci, dell’universalità dell’idea, perché si manifestino nel
modo più pieno. Anche Sant’Agostino, disperso e confuso tra le creature,
in un momento in cui la realtà gli è nemica, come Giobbe chiede di sé.
Però non chiede ragioni, non dubita, mentre fugge da sé è consapevole
del valore della propria interiorità e vuole ritrovare un’unità tra l’oggetto
della sua mente e la méta del suo amore che già sente di possedere, ma
che si predispone a ricevere di nuovo con un atto di accettazione della
realtà, per mezzo del quale soltanto può ritrovarsi. È «ricorso alla sua
amara memoria e partito per un viaggio così diverso da quello che
solevano intraprendere i filosofi»
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, perché vuole cercare la verità
ricordando il suo cammino di vita, e non attraverso un percorso
speculativo. Per questo ha bisogno di offrirsi senza riserve allo sguardo
divino, in un esporsi che è già un confessare. Ma non è solo a Dio che
confessa: si rivela al suo sguardo senza nascondere nulla per farsi
trasparente ai suoi simili ed è a loro che si apre, a loro mostra le sue
colpe passate e l’uomo nuovo che è diventato, perché possano entrare
nella sua stessa luce eterna di vita e di verità. Confessarsi diventa per
Sant’Agostino un atto di carità verso gli uomini, il dono di una verità che
abita in interiore hominis e deve passare attraverso la scoperta di una
particolare interiorità per imporsi a chi la riceve e rendergli evidente,
rivelargli, ciò che già conosceva ma che ancora non poteva accogliere e
far diventare operante nel suo cammino.
4
Anna Maria Pezzella, María Zambrano. Per un sapere poetico della vita, Edizioni Messaggero
Padova, Padova 2004.
5
María Zambrano, La Confessione come genere letterario, cit., p. 69.
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La possibilità di instaurare un vincolo di fratellanza sancito da
un’Unità superiore; la condivisione di un’evidenza, una verità còlta
accostando l’orecchio al cuore, trovata dalla mente e verificata nella vita,
che riunisce la saldezza delle convinzioni e la chiarezza delle idee e
quindi sa aprire alla fiducia il cuore di chi la avvicina e può farla rinascere
in sé: tutto ciò è per María Zambrano il risultato ultimo di una
Confessione.
Proprio in questa prospettiva la filosofa non considera confessioni,
anche se ne possiedono qualche carattere, quelle di Rousseau e di
Cartesio che, accomunati da un sia pur diverso tipo di chiusura si
assolutizzano, non si aprono agli uomini, non alimentano la loro fiducia.
Nelle sue memorie Rousseau non offre un’evidenza da condividere ma si
compiace dell’assolutezza della propria individualità e dello sguardo altrui
che gli consente di guardarsi a sua volta vivere; si rifugia in un mondo
ideale in cui vita e pensiero non trovano armonia, in cui l’interesse per
l’infanzia, così importante per la sua filosofia, non riesce a tradursi nella
realtà e a diventare amore per i bambini. La sua è una vita letteraria sulla
quale nessun pensiero può agire e che nessun altro potrà accogliere,
che dà origine alla letteratura romantica della semiconfessione
narcisistica e alla poesia pura. Più vicina, quest’ultima, alla Confessione,
soprattutto nel movimento del Surrealismo con il suo tentativo di cercare
un centro di identità dell’uomo in cui i contraddittori possano venir
percepiti nella loro unità originaria, un centro creatore nel quale l’arte non
si sostituisce narcisisticamente alla vita e che si contrappone alla pretesa
cartesiana di ridurre tutto alla coscienza.
Come la Confessione, anche il metodo di Cartesio produce
l’evidenza di una nuova credenza, che però, ben lontana dall’unità di vita,
amore e conoscenza di Sant’Agostino, porta all’assolutizzazione del
pensiero puro che, mentre si libera dagli impicci della vita, condanna
l’uomo alla solitudine come condizione esistenziale. Identificandosi con la
propria coscienza ed ammettendo solo quello che è riducibile ad essa,
l’uomo del cogito non si riconosce più come soggetto, ha ridotto anche
l’anima a una serie di fatti psichici, ha perso la sua interiorità delicata che
è il regno segreto dell’intimità con se stesso e con le cose, nel quale è
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racchiuso il senso della Confessione come espressione e condivisione di
sé. Per María Zambrano la Confessione è quindi, in ultima analisi, un
metodo per ridare uno spazio interiore all’uomo europeo contemporaneo
afflitto da un eccesso di fede nell’Io e nella conoscenza intellettuale,
«dominato dalla vertigine della sua infinitudine, ebbro della possibilità»
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che non sa più riconoscersi nella sua dimensione creaturale e
nell’interezza dell’unità con le viscere.
María Zambrano ha dedicato alla Confessione una monografia, La
Confessione come genere letterario, e due articoli, La violenza europea e
La speranza europea, inseriti in L’agonia dell’Europa. Ma lei stessa,
lungo tutta la sua opera e non solo nel testo più esplicitamente
autobiografico, Delirio e Destino, si confessa, cerca una condivisione con
chi la legge inseguendo quell’equilibrio tra pensiero e vita così
mirabilmente offerto da Sant’Agostino. La presente ricerca si propone di
analizzare, alla luce delle considerazioni qui esposte, - e dando, per
quanto è possibile, direttamente voce alla pensatrice - alcuni nuclei
fondamentali della sua confessione: gli anni dell’infanzia, la scoperta e il
rapporto contrastato con la filosofia, la passione politica, il legame con la
Spagna e con Madrid, l’esperienza drammatica ma irrinunciabile
dell’esilio, la dimensione della sororità e degli affetti.
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Ivi, p. 103.
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Capitolo primo:
I fiori invisibili del lillà.
1. Il sentimento dell’esilio.
Un’esistenza sotto il segno dell’esilio, quella di María Zambrano.
L’esilio reale, quello sofferto e amato che l’ha portata ad una
peregrinazione di quarantacinque anni tra America ed Europa, in seguito
alla fuga dalla Spagna nel gennaio del 1939, quando la fine della
repubblica le aveva reso impossibile rimanere in patria. E la metafora
dell’esilio che traspare dalla sua confessione e svela, rivestendoli di volta
in volta di luce nuova, ogni aspetto ed ogni età della sua vita. A
cominciare dall’infanzia, una condizione che è di per sé un esilio, come la
nostra filosofa scriverà rievocando gli anni passati a Cuba: «A La
Habana ho recuperato i miei sensi di bambina e la prossimità al mistero,
e quel sentire che era insieme dell’esilio e dell’infanzia, perché ogni
bambino si sente esiliato»
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.
1
Jorge Louis Arcos, María Zambrano e la Cuba segreta, in Origenes: la pobreza irradiante,
Lettras C, La Habana 1994, pp 80-93, tr. it. in «Aut Aut » 279 (1997) da p. 135 a p.144, la
citazione è a p. 137.