2
informazione non può valere come spiegazione univoca in tutti i Paesi, non è
sempre vero cioè che chi rifiuta questa Europa vuol dire che non l’ha capita. Il
dato aggregato degli Stati membri
1
nasconde infatti una realtà molto variegata.
In alcuni casi non è la poca conoscenza a generare il rifiuto, semmai il contrario,
ovvero pur essendo stato informato in modo corretto, semplicemente quel
pubblico non condivide il disegno. In Svezia, per esempio, il livello di conoscenza
rispetto alle tematiche europee è risultato il più alto di tutti, ma anche il livello di
avversione all’Ue: dell’80% degli svedesi che si è recato alle urne per votare sulla
moneta unica (percentuale altissima per una consultazione elettorale europea)
ben il 65% ha votato contro.
La sensazione di non essere parte attiva del processo di costruzione dell’Unione e
il conseguente basso senso di appartenenza è un fatto che riguarda, in modo più
o meno marcato, tutti gli Stati membri. Un fatto di cui le istituzioni sono ormai
ampiamente consapevoli. Dalle campagne di comunicazione sull’euro,
all’allargamento a est fino alla copertura mediatica dei lavori per la Costituzione
europea, le iniziative di informazione e comunicazione verso i cittadini si sono
intensificate nel tempo, testimoni di una volontà di apertura alla società civile e al
coinvolgimento delle organizzazioni e della popolazione nel dialogo sull’Europa,
per promuovere la conoscenza e la partecipazione alla costruzione comune
2
.
Volontà di apertura testimoniata anche dai notevoli sforzi fatti dalla Commissione
europea, dal 2000 a oggi, per definire una politica comune di informazione e
comunicazione dell’Unione: dalle norme quadro in materia all’Action Plan, al Libro
Bianco sulla Comunicazione europea, al Piano D
3
, fino al rinnovamento del
portale www.europa.eu.int e all’apertura del blog di Margot Wällstrom
4
, vice
presidente della Commissione europea con delega ai rapporti istituzionali e alla
comunicazione. Nonostante i programmi e gli impegni, però, la gente continua a
sentirsi distante e, dopo un’ondata di generale affezione all’Europa registrata nei
periodi che hanno preceduto l’introduzione della moneta unica (2002) e l’ingresso
dei nuovi dieci Stati membri (2004), sembra tornato a prevalere un
atteggiamento più pessimistico, sintetizzato nel termine ricorrente su tutta la
stampa europea di euroscetticismo. E sempre più europei, stando all’ultimo
sondaggio Eurobarometro
5
(rilevazione ottobre-novembre 2005), pur non
mettendola in discussione, ritengono che l’appartenenza del proprio Paese
all’Unione non porti poi grandi vantaggi.
1
Al momento della Conferenza, l’Unione europea era ancora formata da 15 Stati membri (Austria, Belgio,
Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Regno Unito,
Spagna, Svezia); i nuovi dieci Paesi sono entrati il 1° maggio 2004 (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta,
Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria).
2
Cfr. Raffaella De Marte, “Communicating Europe”. L’iniziativa irlandese per la comunicazione sull’Europa, in
Rivista Italiana di Comunicazione Pubblica, n. 19/2004, FrancoAngeli, Milano, pag. 65
3
In particolare si fa riferimento alle Comunicazioni della Commissione europea COM(2001)354 e COM(2001)428
del 2001; COM(2002)350 del 2002; COM(2004)196 del 2004; all’Action Plan to improve communicating Europe by
the Commission del 20/07/2005; al White Paper on a european communication policy del 1/02/2006
(COM(2006)35 def) e COM(2005)494 def del 2005.
4
Attivato a febbraio 2006, il blog sarà online per sei mesi insieme a un portale multilingue che ospita un forum
aperto a cittadini, Ong, organizzazioni industriali, governi e istituzioni locali per presentare proposte, idee,
suggerimenti e osservazioni, contribuendo così alla definizione della futura politica di comunicazione dell’Unione
europea. Indirizzi web: http://jrc.cec.eu.int/page/wallstrom (blog)
http://europa.eu.int/comm/communication_white_paper/index_en.htm (portale multilingue).
5
Cfr. Standard Eurobarometer n. 64, rilevazione ottobre-novembre 2005, pubblicazione dicembre 2005.
Disponibile in lingua inglese e francese sul sito della DG-Press (Direzione generale stampa e comunicazione della
Commissione europea), all’indirizzo http://europa.eu.int/comm/public_opinion/index_en.htm e in traduzione
italiana a cura di chi scrive (limitatamente alle parti di interesse per la presente indagine) al cap. 4, del presente
lavoro.
3
Il livello di conoscenza delle tematiche e l’affezione all’Europa migliorano
sensibilmente quando in gioco c’è la comunicazione di servizio, ovvero il
trasferimento e lo scambio di informazioni pratiche, amministrative, gestionali, di
diretto impatto sui cittadini europei, considerati sia come utenti/beneficiari finali
delle misure, sia come operatori pubblici/gestori intermedi delle risorse. Si tratta
per lo più delle informazioni legate alle politiche di sostegno finanziario, come i
Fondi strutturali, e alle Iniziative e Programmi comunitari come il Leonardo,
l’Erasmus e il Socrates, relativi alla mobilità di studio e ricerca in Europa. In
questi casi la comunicazione è molto più efficace, in termini di identificazione dei
target e dei canali/strumenti migliori per raggiungerli e quindi anche di messa a
punto di messaggi e linguaggi adatti, comprensibili e condivisibili. Si tratta, è
vero, di materie di più immediata comprensione e che permettono al singolo
cittadino di toccare con mano le opportunità offerte dall’appartenenza a una
istituzione come quella Europea. “L’Europa può farci grandi” è, non a caso, lo
slogan scelto dal Ministero dell’economia e delle finanze per la campagna di
comunicazione sui fondi comunitari per il periodo 2000-2006, ovvero “soldi” a
disposizione delle regioni del sud per avviare, sviluppare o rinnovare iniziative
socio-economiche nei settori della formazione, occupazione, turismo, commercio,
industria, agricoltura, ambiente, infrastrutture e sicurezza
6
. Quando si passa
invece dalla comunicazione di servizio a quella valoriale, le difficoltà aumentano
notevolmente, fino a generare in alcuni casi un vero e proprio rifiuto. Ed ecco
che, per esempio, nonostante gli articoli sulla stampa, i servizi in televisione, i
dibattiti pubblici e i siti web dedicati, la nuova Costituzione europea non è riuscita
a passare nell’opinione pubblica in alcuni Stati in cui c’era comunque stata una
comunicazione preparatoria. Ma perché? Al di là dei particolarismi, è possibile
individuare un filo comune che lega i cattivi risultati – se non quando veri e propri
fallimenti – della politica e delle azioni di comunicazione dell’Unione europea? È
possibile, in sostanza, identificare il nodo Eu-caristico, trovare le parole e i
concetti giusti per attivare o stimolare la partecipazione, la condivisione, la
riduzione delle distanze tra cittadini e istituzioni europee? Il progetto del presente
lavoro nasce proprio dall’idea di studiare possibili risposte a questa domanda.
Uno dei punti critici, secondo l’ipotesi alla base dell’indagine che segue, risiede
nell’organizzazione del sistema informativo, intendendo con questo termine il
modello di accesso alle informazioni. Rispetto a determinate politiche, le
istituzioni dell’Unione europea sono responsabili solo dell’elaborazione delle linee
guida e dei criteri di orientamento, ma l’attuazione e le azioni di disseminazione
delle informazioni restano di competenza dei singoli Stati membri. Il che significa
che poi è difficile seguire l’azione progettata lungo tutta la filiera comunicativa,
azione che incontrando ostacoli (tecnici, politici, finanziari) spesso perde di
efficacia prima ancora di arrivare al target. Questo tipo di problema, per esempio,
è particolarmente accentuato in Italia, dove il sistema informativo sull’Ue è sì
molto ricco, ma anche molto frammentato, poco “pubblicizzato” presso l’opinione
pubblica generale, soprattutto per quanto riguarda i canali e le agenzie
informative tradizionali come la televisione, e affidato a personale non sempre
qualificato e/o adeguatamente formato per l’incarico. Almeno questo è lo
6
Per un’analisi dettagliata della campagna di comunicazione sui Fondi strutturali comunitari e il Quadro
comunitario di sostegno 2000-2006 per le regioni italiane dell’obiettivo 1, cfr. cap. 2 del presente lavoro.
4
scenario che emerge da un’analisi effettuata nel 2000
7
da un gruppo di studiosi
delle facoltà italiane di Scienze della Comunicazione e dal quale chi scrive è
partita per verificare lo stato attuale delle cose.
Un secondo elemento di criticità risiede nel mancato coinvolgimento dei
destinatari finali (i cittadini europei) della comunicazione anche nel processo di
definizione della politica: la nuova Europa ha finito per essere recepita più come
l’Europa dei burocrati che non come l’Europa dei popoli. Non è un caso se, al
momento della sua prima pubblicazione online, il sito della Vice presidente della
Commissione europea Margot Wallström si apriva con la seguente frase: “I
believe that it is essential to speak with people, rather than talk at them. What
matters is to engage in a dialogue. Communication can never be one-way”
8
e se
nel suo comunicato stampa di lancio del Piano d’azione della Commissione per il
miglioramento della comunicazione sull’Unione europea si legge il seguente
slogan: “Listen, Communicate, Go local”
9
. La direzione presa dalle istituzioni è
una buona direzione, almeno nelle intenzioni. Per certi versi però è ancora un
ambito di intervento limitato, che funziona bene con gli esperti, con chi sa già
cosa chiedere e a chi chiederlo. Per superare il problema della scarsa
partecipazione occorre suscitare forse un maggiore interesse nei cittadini,
soprattutto a livello locale. Occorre un lavoro di cultura della comunicazione e di
comunicazione interculturale
10
che tenga conto delle differenze, che aiuti i
cittadini a superare la congenita diffidenza nei confronti delle istituzioni
pubbliche, a maggior ragione se lontane e virtuali come sono le istituzioni di
Bruxelles per la maggior parte dei cittadini europei. Lavorare di più sulla
comunicazione a due vie, lavorare sulle ragioni del basso tasso di partecipazione
alle votazioni che riguardano l’Europa, coinvolgere l’opinione pubblica non solo in
occasione dei grandi eventi ma anche nelle attività quotidiane. La questione
centrale è la debolezza dell’opinione pubblica europea, se considerata come un
unicum. Esistono opinioni pubbliche europee nazionali, locali, settoriali, in alcuni
contesti/momenti storici anche trasversali e spontanee (come la mobilitazione
generale contro l’intervento in Iraq) ma molto poco è stato fatto per dare vita e
alimentare il dibattito pubblico nel lavoro di tutti i giorni, che si parli delle quote
latte o della Bolkestein
11
. Se non si identifica il target e non lo si profila in modo
dettagliato, diventa difficile anche la mise en scène, la rappresentazione sociale
delle istituzioni e dei valori di cui sono portatrici. Diventa difficile cioè trovare il
linguaggio giusto, riconoscere e accogliere le risposte della gente e gli eventuali
tentativi di partecipazione alla cosa pubblica, in particolare a quella europea.
Un terzo elemento di criticità risiede nell’oggetto della comunicazione: valori
come quelli dell’identità, delle radici culturali, della sicurezza, della pubblica
utilità, della sovranità nazionale e comunitaria, sono difficili da armonizzare (e
7
Cfr. M.R. Allegri “Il sistema informativo sull’Unione europea in Italia”, in Rivista italiana di comunicazione
pubblica, FrancoAngeli, Milano, n. 4/2000, pagg. 46-50.
8
“Credo sia essenziale parlare con le persone piuttosto che alle persone. Quello che conta è dare vita a un dialogo.
La comunicazione non può mai essere a una via”. Traduzione a cura di chi scrive.
9
“Ascoltare, Comunicare, Scendere tra la gente” (n.d.t. l’ultima espressione è una traduzione in senso lato del
concetto espresso con il termine Go local, che tradotto letteralmente significa “andare al livello locale”). Traduzione
a cura di chi scrive.
10
Cfr. I. Castiglioni, “La comunicazione interculturale: competenze e pratiche”, Carocci, Roma, 2005
11
Si fa riferimento alla Direttiva europea sulla liberalizzazione del mercato dei servizi, conosciuta appunto come
Direttiva Bolkestein, dal nome del deputato olandese Frits Bolkestein, che ha ideato il testo originario; la Direttiva
è stata ripresentata per l’approvazione in versione modificata il 4 aprile 2006 dalla Commissione europea.
5
quindi da comunicare in maniera omogenea) perché si instaurano su basi
differenti per esperienza, vissuto e grado di sviluppo. E non è detto che debbano
essere comunicate ovunque nello stesso modo. Forse una personalizzazione del
messaggio, almeno nel senso di una declinazione in forme e sostanze consone a
ciascuna cultura coinvolta, sarebbe più efficace. Conoscere le differenze per
comunicare a tutti diventa dunque essenziale. Una comunicazione che vuole – e
che deve - rivolgersi a una molteplicità di cittadini deve anche prevedere le
competenze tecniche e l’abitudine alle pratiche della comunicazione
interculturale
12
. Il concetto di cultura si è evoluto nel tempo, passando dall’essere
un sinonimo di erudizione personale o di una civiltà all’includere anche modelli di
comportamento, di comunicazione e di valori di diversi gruppi di riferimento. E
quella che è una buona prassi di comunicazione in una cultura può non esserlo
affatto in un’altra. Oggi si parla di cultura nazionale (italiana, spagnola etc.),
etnica (ladina, catalana etc.), panetnica (europea), regionale (lombarda,
castigliana), di genere (maschile, femminile, transgender), di orientamento
sessuale (etero, omo, bisex), generazionale (adolescenziale, della terza età), di
abilità fisica (diversamente abili), di classe socio-economica, di professionalità e
così via, fino a dare vita a una identità culturale simile a un mosaico, a un flusso
in continua trasformazione. Una identità di gruppo
13
che implica da un lato il
senso individuale di associazione o di identificazione con determinate categorie di
persone e dall’altro la tendenza dei membri di un gruppo specifico a condividere il
criterio di ciò che hanno in comune e di ciò che li distingue dagli altri. E in questo
senso l’identità “europea” di gruppo non è affatto pacifica. Una delle difficoltà
risiede nella nozione stessa di Europa
14
, dei suoi confini geografici, delle sue
tradizioni storiche e culturali. È una nozione che non ha una interpretazione
univoca e se ne è avuta una prova in occasione del dibattito sull’opportunità di
inserire un riferimento esplicito alle radici giudaico-cristiane nel preambolo del
Trattato per la Costituzione europea. Se ne discute anche a proposito
dell’ingresso avversato da molte “opinioni pubbliche europee” della Turchia nella
Ue. È una storia che cambia con il cambiare del punto di osservazione: l’Europa
nel mondo antico si identificava nel mediterraneo, progressivamente si è spostata
verso nord con la nascita del papato e dell’impero romano e poi con la
formazione dei grandi Stati nazionali. Al momento della rivoluzione industriale e
della nascita dell’industria culturale, il cuore d’Europa era rappresentato da una
dialettica continentale franco-tedesca, con la Francia nettamente prevalente -
Parigi “capitale d’Europa” del XIX secolo - e la Germania ricca e potente. Poi c’è
stato il secolo delle grandi guerre, dell’olocausto, delle dittature. Su quelle ceneri,
perché non si ricreassero mai più, i padri fondatori della nuova Europa hanno
deciso di disegnare un futuro di pace, prosperità economica, eguaglianza sociale.
E poi si sono aggiunti, tra gli altri, i concetti di sviluppo sostenibile, di attenzione
all’ambiente naturale che ci ospita, di globalizzazione, di fine della guerra fredda
e delle ideologie che l’avevano generata. L’Europa di oggi ha molte facce, molte
identità e molte culture: dal pragmatismo anglosassone alla democrazia
informale scandinava, dal socialismo francese, alla voglia di sviluppo dei paesi
dell’Est, alla difesa dei valori cattolici italiani. Forse è meglio tenerne a mente il
12
I. Castiglioni, idem
13
J. Meyrowitz, “Oltre il senso del luogo. Come i media elettronici influenzano il comportamento sociale”,
Baskerville, Bologna, 1995, pag. 555
14
M. Morcellini (a cura di) “Il Mediaevo. Tv e industria culturale nell’Italia del XX secolo”, Carocci, Roma, 2000,
pag. 170
6
maggior numero possibile (se non tutte) per arrivare a tutti i cittadini europei,
per fare sì che ciascuno di questi si senta rappresentato dalle istituzioni e si
riconosca nei valori che esprimono e che comunicano.
Infine, il canale preferenziale della comunicazione istituzionale europea (il web)
forse non è il più adatto a raggiungere, in questo momento, il target di
riferimento e quindi l’obiettivo generale delle politiche di comunicazione
dell’Unione europea. Questo problema è strettamente correlato con quello del
mancato coinvolgimento dei destinatari della comunicazione. Il blog va bene, il
portale anche, le newsletter, Euronews e tutti gli strumenti a disposizione. Ma la
massa dei cittadini europei non accede a queste fonti, per mancanza di risorse
economiche, culturali e cognitive, e anche quando vi accede, non sempre questo
implica una familiarità con il loro uso in termini di efficacia, ovvero di ottenimento
del risultato atteso. Meyrowitz, citando Innis, sostiene che “un medium
scarsamente disponibile, o la cui codificazione e decodificazione richieda un’abilità
molto particolare, verrà più probabilmente sfruttato da una ristretta élite che
abbia le risorse e il tempo per accedervi. Viceversa, un medium molto accessibile
alla gente comune tenderà a rendere democratica una cultura”
15
. Il mezzo
miliardo di europei di oggi non è unanimemente informato su cosa è un blog, né
tanto meno lo sa usare in maniera attiva. Ammesso che abbia entrambi i
requisiti, poi, non è detto che conosca la sua esistenza e, a meno di non avere un
interesse oggettivo, non è detto che sappia cosa chiedere. Il problema è a
monte: per raggiungere davvero tutti bisogna passare dai canali e per gli
strumenti che questi tutti usano. Come la televisione nazionale, quella pubblica in
primo luogo, che dovrebbe iniziare a includere in maniera più intensa e più
adeguata il tema “Europa” nei suoi palinsesti. Ma anche il cinema, gli spettacoli,
le piazze, gli eventi e le manifestazioni… Come ha affermato Mario Morcellini,
commentando l’adozione del Libro Bianco sulla comunicazione europea, “alla
mitologia del progresso (ossia del punto di vista tecnocentrico, basato sulla
percezione delle tecnologie comunicative come driver del cambiamento culturale
delle amministrazioni) deve sostituirsi una sorta di rinascita dello spirito, fondata
sulla riconsiderazione del punto di vista umanistico e comunicativo. Una rinascita
capace di alimentare le reti di relazioni interpersonali, nell’ottica di produrre una
trasformazione delle forme del capitale sociale, generando un vero e proprio
network culturale e mediale in grado di connettere i soggetti coinvolti, ad ogni
livello. Potrebbe iniziare così una nuova fase nella vita della comunità europea,
più attenta alla valorizzazione dei cittadini e degli ambiti locali e più consapevole
che i tempi sono maturi per dare un volto all’Europa senza rischiare – come la
vecchia letteratura statalista c’insegnava – l’anarchia. Erigere non muri quindi,
ma reti di conoscenza e competenza. Bisogna puntare su parole e concetti
(condivisione, partecipazione, riduzione delle distanze, cooperazione) che
appaiono ai cittadini come impegni per il futuro, facendo della comunicazione una
componente indispensabile dell’accesso universalistico alla modernità. (…) deve
attivarsi una volontà comune, dalla Comunità agli Stati, alle regioni e a ogni
singolo cittadino, di sentire l’Europa come una grande risorsa”
16
.
15
J. Meyrowitz, op. cit., pag. 25
16
M. Morcellini, “Più comunicazione, partecipazione e coinvolgimento per un’Europa dei cittadini”, in
ComunicatoriPubblici Newsletter – Anno IV 195 del 24/03/2006 (http://www.comunicatoripubblici.it/)
7
Partendo da queste premesse, nel tentativo di verificare la veridicità delle ipotesi
sui nodi critici che impediscono – se impediscono - all’Europa una efficace
comunicazione di se stessa, la presente indagine si prefigge anzitutto di mappare
il sistema informativo esistente e quindi di analizzare un caso di comunicazione di
servizio (le politiche comunitarie dei fondi strutturali) e un caso di comunicazione
valoriale (l’immagine dell’Ue veicolata dalla stampa italiana) per arrivare infine a
una analisi di secondo livello dell’opinione pubblica europea (attraverso il
confronto dei sondaggi di Eurobarometro). Il lavoro è suddiviso in quattro capitoli
e un’appendice: il primo mappa l’evoluzione del quadro istituzionale della
comunicazione pubblica europea e della struttura del sistema informativo sulla Ue
a livello centrale (Bruxelles) e a livello italiano; il secondo è dedicato all’analisi
della campagna di comunicazione del Ministero dell’economia e delle finanze sui
Fondi strutturali 2000-2006 e in particolare sul Quadro comunitario di sostegno
per le regioni italiane dell’Obiettivo 1; nel terzo si affronta, attraverso l’analisi del
contenuto di circa 150 articoli pubblicati sui giornali italiani tra il 2002 e il 2005,
l’immagine veicolata presso i lettori dal discorso mediatico sulla Unione europea e
in particolare sul Trattato per la Costituzione; nel quarto infine si affronta la
comparazione tra i risultati di sei sondaggi condotti nel 2005 dalla Commissione
europea con l’obiettivo di misurare l’opinione pubblica rispetto ai grandi temi in
agenda, dalla Costituzione al senso di appartenenza fino al futuro dell’Unione,
compresi gli ulteriori allargamenti: si tratta nello specifico dei quattro sondaggi
post-referendum in Francia, Olanda, Spagna e Lussemburgo, della rilevazione
Standard che viene effettuata ogni sei mesi presso l’opinione pubblica di tutti gli
Stati membri e dell’ultimo sondaggio francese sul futuro della costruzione
europea. L’appendice comprende le trascrizioni complete delle interviste
realizzate con quattro personaggi autorevoli e competenti in materie europee da
diversi punti di vista: l’eurodeputato italiano Enrico Letta, l’addetto stampa della
Rappresentanza della Commissione europea in Italia Carlo Corazza, la dottoressa
Maria Romana Allegri docente di “Istituzioni e politiche di intervento dell’Unione
europea” e il professor Gian Piero Orsello della cattedra di “Diritto dell’Unione
europea” dell’Università di Roma “La Sapienza”. Le risposte fornite dagli
intervistati sono state utilizzate, incrociandone le sintesi, per rafforzare le
conclusioni generali del presente lavoro.
Infine una nota sulla titolazione di capitoli e paragrafi. Il percorso iniziato con
L’Europa Scomunicata ha evocato una prosecuzione nello stesso stile anche nelle
parti interne. La preferenza accordata alla metafora religiosa - rispetto alle
interpretazioni di scomunicata in quanto comunicata male e scomunicata in
quanto scollegata tra le sue parti – può anche essere letta in funzione del
carattere principale della scomunica valoriale emerso dall’analisi del contenuto,
ovvero la questione delle radici giudaico-cristiane dell’Europa.
9
CAPITOLO 1
La liturgia della parola Europa
1.1 Il canone europeo
La comunicazione istituzionale è da almeno un decennio al centro delle politiche
pubbliche sia nazionali, sia comunitarie. In Italia, dopo una lunga gestazione, è
stata varata nel 2000 la legge che regola la materia (legge 150) e che definisce
la cornice giuridico-istituzionale entro la quale dovrà svilupparsi il sistema della
comunicazione pubblica: un’articolazione complessa di soggetti, competenze,
attività, strumenti e relazioni che dovrebbe aiutare la pubblica amministrazione
italiana (centrale e locale) a traghettare verso un modello organizzativo adeguato
a garantire una maggiore trasparenza verso i cittadini-utenti e una migliore
efficienza di gestione interna e interistituzionale. Così come avviene a livello
nazionale con la legge 150, anche la comunicazione pubblica dell’Unione europea
è regolata da un sistema quadro
1
che ne definisce obiettivi, strutture e
funzionamento e deve quindi essere analizzata lungo due direttrici:
l’evoluzione del quadro istituzionale, con particolare riferimento alle fonti
normative e all’organizzazione delle strutture di comunicazione competenti
lo studio degli strumenti utilizzati per dare attuazione alla strategia di
comunicazione
Il ricorso alla comunicazione pubblica quale strumento di trasparenza sta
incontrando però a livello comunitario notevoli difficoltà, legate a fattori
contingenti, come l’articolazione complessa del sistema e la sua non omogeneità
ai vari livelli, ma anche a fattori culturali di non facile soluzione, come le
questioni dell’identità e dell’opinione pubblica europee. O meglio, della loro
assenza. “Affinché un messaggio sia compreso e condiviso, infatti, è
indispensabile che promani da un soggetto riconosciuto e considerato affidabile.
Ora, per quanto disaggregata e disomogenea, la popolazione di uno Stato
condivide senza dubbio forti legami di carattere storico, politico, culturale,
religioso, che la rendono un insieme nel complesso coeso e riconoscibile, incline a
riconoscere un’unica autorità politica che esercita legittimamente il suo operato
attraverso un’azione omogenea sul territorio. È evidente, quindi, che, in queste
condizioni la comunicazione istituzionale ha buon gioco nel diffondersi con
relativa facilità essendo ben delineati tanto il soggetto emittente (le istituzioni)
quanto il destinatario del messaggio (il cittadino). Tutto questo viene meno se si
sposta il discorso a livello europeo…”
2
Il processo di integrazione dell’Unione europea ha infatti compiuto notevoli passi
avanti dalla costituzione del suo primo nucleo (1957, Trattato di Roma), ma il
senso di appartenenza dei cittadini comunitari (oltre 450 milioni di persone
1
In particolare, si fa riferimento ai quattro documenti fondamentali, che regolano la materia: le Comunicazioni
della Commissione europea COM(2001) 354; COM(2001) 428; COM(2002) 350; COM(2004) 196
2
G. De Marco, “La comunicazione pubblica nelle istituzioni comunitarie”, in Rivista italiana di comunicazione
pubblica, n. 24/2004, FrancoAngeli, Milano, pag. 26
10
nell’Europa a 25) a questa Istituzione a carattere sovranazionale è ancora molto
debole e comunque decisamente inferiore a quello rivolto alla propria nazione. Se
si prendono a riferimento i sondaggi effettuati da Eurobarometro
3
negli ultimi
anni, sia che si riferiscano a politiche settoriali (come la Politica agricola,
l’ambiente, l’innovazione tecnologica) sia che riguardino le questioni generali di
conoscenza e senso di appartenenza alle istituzioni comunitarie, il numero di
risposte positive è sempre più basso, così come in costante calo risulta l’affluenza
alle urne in occasione delle elezioni del Parlamento europeo (45,5% degli aventi
diritto nelle ultime elezioni del 2004). Sembra quindi che l’Unione europea faccia
fatica ad accreditarsi presso l’opinione pubblica come soggetto politico e
istituzionale affidabile e dotato di poteri riconosciuti. E più fatica in questo
processo, più difficile risulta essere il cammino di attuazione delle strategie di
comunicazione: obiettivi, obblighi, azioni, canali, strumenti e impegni finanziari e
di risorse umane che i Governi nazionali in prima battuta e quindi il pubblico dei
cittadini non sembrano ritenere vincolanti.
Il gap comunicativo tra cittadini e istituzioni europee è ormai noto da tempo ed è
argomento di riflessione almeno dal referendum che ha preceduto l’entrata in
vigore del trattato di Maastricht, nel 1992. Negli ultimi anni le istituzioni europee
hanno dato un notevole impulso alle attività di comunicazione ma la sensazione
diffusa è che molto debba ancora essere fatto, soprattutto perché la
comunicazione continua a restare sostanzialmente un “affare” di Bruxelles. Le
azioni si sono infatti concentrate soprattutto su “cosa ha fatto” l’Unione europea e
molto meno sull’attenzione alla voce dei cittadini e all’ascolto del loro punto di
vista. Per questo la nuova Commissione europea presieduta da Barroso,
nominata nel 2004, ha messo a punto un nuovo programma di comunicazione
basato su approccio a due vie: dalle istituzioni ai cittadini e viceversa. La nuova
strategia, lanciata dalla vice presidente Margot Wallström, responsabile per la
Comunicazione e le Relazioni istituzionali, si basa su due documenti quadro
(Action Plan e Libro Bianco)
4
e su una serie di iniziative che coinvolgono gli
stakeolder e i cittadini (Forum, incontri tematici, piattaforma web multilingue e
Blog).
Il Libro Bianco, presentato dalla Wallström il 1 febbraio 2006, è suddiviso in due
parti: nella prima si descrive il quadro di partenza, dall’analisi della situazione di
deficit di comunicazione – che si traduce poi in un deficit di partecipazione e
dunque di democrazia – alla definizione degli obiettivi da raggiungere, in primo
luogo l’urgenza di dare impulso al dibattito pubblico e di sviluppare la “sfera
pubblica europea”; nella seconda parte il documento affronta i modi e i canali
attraverso cui realizzare l’agenda, dalla definizione delle cinque aree prioritarie di
intervento (definizione dei principi comuni, più potere ai cittadini, utilizzo dei
mass-media e delle nuove tecnologie, analisi dell’opinione pubblica europea,
lavorare insieme con i livelli nazionali, regionali e locali) alle conclusioni.
3
Istituto che effettua monitoraggi sulla opinione pubblica europea su richiesta della Commissione (sondaggi
Standard annuali) e delle Direzioni Generali (sondaggi settoriali e tematici: Innovazione, Pac, Pesc, Ambiente,
Strategia di Lisbona etc.).
4
Action plan: SEC(2005)985 def del 20 luglio 2005, documento di dettaglio della Strategia di comunicazione verso
i cittadini, con l’indicazione delle misure specifiche da adottare; Libro Bianco: COM(2006)35 def del 1 febbraio
2006, Comunicazione della Commissione europea sulla Politica di comunicazione, definisce le aree tematiche su cui
focalizzare gli interventi e gli strumenti/canali attraverso cui veicolare i messaggi e sviluppare il dialogo con la
società civile.
11
“Coinvolgere la gente” è il titolo dell’introduzione del Libro Bianco, che riprende
anche il testo pubblicato nell’home page della vicepresidente all’inizio del suo
mandato “I believe that it is essential to speak with people, rather than talk at
them. What matters is to engage in a dialogue. Communication can never be
one-way”
5
e il testo del comunicato stampa di lancio del Piano d’azione della
Commissione per il miglioramento della comunicazione sull’Unione europea
“Listen, Communicate, Go local”
6
. Altri due concetti centrali del Libro Bianco sono
l’urgenza di sviluppare il dibattito pubblico e dar vita a quella sfera pubblica
europea ancora troppo debole e la necessità di coinvolgere tutti gli attori della
filiera comunicativa: le istituzioni europee (Commissione, Parlamento, Consiglio
in primo luogo), i governi e le amministrazioni centrali, regionali e locali degli
Stati membri, le Ong, i partiti politici europei, le associazioni di categoria, la
società civile. Obiettivo centrale del Libro Bianco è proprio quello di invitare tutti
gli attori chiave a contribuire con idee, suggerimenti, proposte per colmare il gap
di partenza e mettere a punto l’agenda futura per una migliore comunicazione
pubblica europea.
1.2. Pani e pesci: da Maastricht all’allargamento
Sebbene il vero impulso alla comunicazione delle politiche comunitarie abbia
inizio con il Trattato di Maastricht del 1992 e si sviluppi in modo sostanziale nel
decennio successivo (fino all’introduzione della moneta unica nel 2002) la
questione della comunicazione ai cittadini di valori fondanti, come quelli di pace e
sicurezza, e di obiettivi socio-economici comuni, come la coesione sociale e lo
sviluppo, è stata in agenda delle Istituzioni comunitarie fin dalla nascita della
Comunità economica europea, nel 1957.
Fu in quel momento storico che si manifestò l’esigenza di dare massima visibilità
ai processi in atto perché, per la prima volta dopo secoli di sanguinosi conflitti,
l’Europa si era posta una serie di obiettivi comuni che tendevano all’unione
piuttosto che alla divisione e questo costituiva una vera novità sul piano politico,
novità che doveva essere comunicata all’opinione pubblica allargata. Tuttavia, il
processo di integrazione europea rimase fondamentalmente un tema di interesse
degli addetti ai lavori per circa un decennio, fino a quando nel 1967 si fusero le
istituzioni delle tre Comunità europee: Ceca, Cee e Ceea (Euratom)
7
. Un ulteriore
impulso alla partecipazione pubblica e al coinvolgimento dei cittadini europei nel
processo di integrazione comunitaria si ebbe nel 1979, con le prime elezioni
dirette del Parlamento europeo. Il punto di svolta verso una politica di
comunicazione coordinata si è avuto però nel 1992 con il passaggio dalla
Comunità all’Unione: il Trattato di Maastricht ha introdotto un nucleo centrale di
diritti di cittadinanza e ha imposto l’esigenza di renderli noti ai cittadini e
comunicarne l’importanza. Sebbene gli atti normativi e i documenti ufficiali
5
Traduzione a cura dell’autore: “Credo che sia essenziale parlare con le persone, piuttosto che alle persone. Quello
che conta è avviare un dialogo. La comunicazione non può mai essere a senso unico”.
6
Traduzione a cura dell’autore: “Ascoltare. Comunicare. Andare sul territorio” – ndt: l’ultima espressione è una
traduzione letterale di un concetto più ampio che comprende il coinvolgimento delle persone anche a livello locale,
nel senso di “scendere tra la gente”.
7
Comunità europea del carbone e dell’acciaio (1951); Comunità economica europea e Comunità europea per
l’energia atomica (1957).
12
abbiano sottolineato sempre di più il valore strategico della comunicazione,
questa continua a non essere considerata una politica paritaria rispetto a quelle
di altri settori di intervento, come per esempio la Politica agricola comune (PAC)
o le politiche monetarie e quindi non figura tra le priorità di governo dell’Unione,
neppure in termini di finanziamento.
Un primo tentativo per dare autonomia ed evidenza alle politiche di
comunicazione e informazione delle istituzioni comunitarie si è avuto nel 1995
con l’avvio di Prince, il “Programma di informazioni prioritarie per il cittadino
europeo”, promosso dalla Commissione e dal Parlamento con l’obiettivo di
pubblicizzare le strategie di comunicazione dell’Unione e di definire, anno per
anno, i temi ritenuti prioritari e sui quali le istituzioni dell’Unione sono chiamate a
concentrare e coordinare gli interventi. La prima campagna realizzata nell’ambito
del Programma è stata quella di “Citizen First”, conclusa nel 1998 e volta a
sensibilizzare i cittadini europei sulle opportunità legate al funzionamento del
mercato interno. La comunicazione è stata declinata attraverso l’attivazione di un
numero verde informativo a disposizione di tutti i cittadini europei, la
distribuzione di pubblicazioni tematiche e la realizzazione di un sito internet
8
.
L’insieme di questi elementi costituirà poi la base per la creazione della rete di
informazione su tutto il territorio dell’Unione denominata Europe Direct
9
e tuttora
funzionante. Il sito, in particolare, fornisce informazioni sulle possibilità offerte
dall’Unione e dal mercato, su come esercitare i relativi diritti ed è articolato in
due canali differenziati: cittadini e imprese. Vi si trovano informazioni pratiche su
condizioni di vita, lavoro o studio in un altro Paese membro, guide generali
tematiche, schede informative, link, indirizzi e servizi di orientamento online.
Nel 1999 è stata avviata la seconda campagna del programma Prince, dal titolo
“Costruiamo insieme l’Europa”, con l’obiettivo di divulgare presso i cittadini i
contenuti del nuovo Trattato di Amsterdam. In questo caso, oltre al numero
verde, è stata sperimentata anche una modalità di informazione itinerante, con
l’organizzazione di seminari e incontri tematici sulle questioni di maggior
interesse per l’opinione pubblica, emerse come tali dai sondaggi effettuati fino a
quel momento. Forse però fino a oggi il maggior sforzo comunicativo, anche in
termini di coordinamento e stanziamento finanziario, si è avuto in occasione della
campagna informativa sull’introduzione della moneta unica, nel corso del 2001.
A titolo di esempio, tra le iniziative di comunicazione sull’euro a livello
istituzionale europeo, quella realizzata dalla Banca centrale europea (Bce), in
collaborazione con la Commissione europea e gli Stati membri dell’area dell’Euro.
Il 12 febbraio 1999 il Consiglio di amministrazione della Bce ha bandito una gara
(pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea) per assegnare la
Campagna di comunicazione sull’introduzione dell’euro. Delle 40 offerte
presentate, 9 sono state selezionate per la fase finale, per la quale è risultata
vincitrice la “Publicis”
10
. Tre gli obiettivi di comunicazione della campagna:
preparare gradualmente il pubblico all’introduzione delle banconote e delle
monete
8
Cfr.: http://europa.eu.int/youreurope
9
Cfr. par. 1.3
10
Si tratta del quarto gruppo mondiale di comunicazione, che comprende media agency quali Leo Burnett
Worldwide e Saatchi & Saatchi.
13
aiutare i cittadini a riconoscere le banconote e le monete dell’euro
mostrare al personale di cassa delle banche e degli esercizi commerciali come
esaminare velocemente le banconote in modo da riconoscere eventuali truffe.
Principale strumento di divulgazione della campagna è stato il sito internet
dedicato, realizzato nelle 11 lingue dell’area “Euro”
11
. Dalla homepage, che
presenta un messaggio di benvenuto alla nuova moneta, indicandone la data
ufficiale di decorrenza, si accede al menù degli argomenti, strutturato in 7 voci:
banconote e monete; vivere con l’euro; informazioni per le organizzazioni;
dedicato ai bambini; le origini dell’euro; notizie ed eventi; area dei partner.
All’interno delle pagine, con un linguaggio chiaro e sintetico, si trovano le
informazioni su tagli di banconote e monete, storia e progettazione, tassi di
conversione, calendario per l’entrata in vigore e l’uscita dal sistema delle monete
nazionali, novità nel mercato interno, piano di transizione, formazione del
personale addetto, paesi che partecipano, sistema delle banche centrali.
Conformemente agli obiettivi della campagna, sono state realizzate pagine
dedicate anche a target particolari di utenti: dagli ipovedenti ai bambini, dagli
operatori dei media ai cassieri, fino alla rete degli Europartner per i quali è stata
realizzata un’area riservata del sito per lo scambio di conoscenze e buone prassi
nei settori bancario, commercio al dettaglio e viaggi e turismo.
Per tornare al quadro delineato dal programma Prince, le Comunicazioni della
Commissione COM(2001)354 e COM(2002)350, tendono a definire i principi
necessari per elaborare e attuare una strategia di informazione e comunicazione
globale e coerente dell’Unione europea, da svilupparsi in modo graduale ed
empirico, consentendo ai cittadini di percepire meglio l’esistenza stessa dell’UE e
il ruolo delle sue istituzioni. Nella convinzione che un’autentica politica di
informazione e comunicazione è il primo elemento strategico necessario per
l’attuazione della Governance, le due comunicazioni puntano a stabilire le basi
per lo sviluppo di una politica di comunicazione comune delle istituzioni, nel
rispetto del ruolo e delle specificità di ciascuna ed entro i limiti istituzionali e
politici dell’Unione.
Le comunicazioni COM(2001)354 e COM(2002)350 hanno stabilito per il biennio
2003-2004 quattro aree di intervento prioritarie per le campagne di informazione
europea:
l’allargamento a est (10 nuovi stati membri a maggio 2004)
il futuro dell’Unione europea (trattato, costituzione, ulteriori allargamenti)
lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (emergenza terrorismo)
il ruolo dell’UE nel mondo (politica estera comune)
L’Allargamento, in particolare, è stato il tema più importante del biennio 2003-
2004, sia dal punto di vista operativo, sia da quello comunicativo. L’ingresso dei
dieci Paesi provenienti dall’ex blocco sovietico non è stato infatti un processo
immediato e immediatamente condiviso dall’opinione pubblica europea, sebbene
l’Ue, per sua vocazione, si sia sempre presentata aperta a nuove adesioni. Il
11
Le lingue sono: danese, tedesco, greco, inglese, italiano, spagnolo, suomi, francese, olandese, portoghese e
svedese. Sebbene non più aggiornato dal 2002, il sito è ancora ondine, all’indirizzo http://www.euro.ecb.int/it.html
(home page italiana).
14
richiamo è presente anche nel preambolo del Trattato istitutivo della Comunità
europea, quello di Roma del 1957, laddove si fa riferimento “agli altri popoli
d’Europa, animati dallo stesso ideale, perché si associno” allo sforzo dei sei Paesi
fondatori
12
. E quello del 1° maggio 2004 non è stato neppure il primo
allargamento nella storia dell’Ue: nel 1973 entrarono Regno Unito, Irlanda e
Danimarca, nel 1981 la Grecia e nel 1995 Austria, Finlandia e Svezia. Sebbene la
Commissione europea e i governi nazionali abbiano realizzato diverse campagne
di comunicazione sull’Europa a 25 (da documentari a trasmissioni televisive, da
pubblicazioni tematiche a convegni e seminari) l’argomento suscita ancora delle
resistenze a livello di opinione pubblica, segno che la comunicazione è passata
con fatica e che, comunque, i messaggi si vanno a innestare su meccanismi
difficili da controllare, che implicano i valori, le identità nazionali e le paure di
persone che da sempre si sentono poco coinvolte nel processo di costruzione
della nuova Europa. Lo dimostrano per esempio i dati dell’ultima rilevazione di
Eurobarometro tra i francesi
13
: secondo il 49% degli intervistati l’allargamento
del 2004 è stata una cosa negativa (i favorevoli sono il 47%), l’ingresso della
Bulgaria e della Romania, previsto per il 1° gennaio 2007 dovrebbe essere
posticipato (circa il 70% delle risposte), forti resistenze sono state dichiarate
anche nei confronti degli ingressi di Croazia e, soprattutto, Turchia (intorno al
70%) e in generale quasi un francese su due (47%) dichiara che sarebbe
preferibile definire con chiarezza i confini dell’Ue prima di avviare nuovi
allargamenti.
Le campagne di comunicazione sin qui illustrate sono centrate su temi diversi tra
loro per impatto, caratteristiche e durata della “copertura”: alcune sono di natura
prettamente informativa e pratica (come quelle sul Trattato di Amsterdam e
sull’euro), altre mirano soprattutto a stimolare il dibattito nell’opinione pubblica
(come quella sul futuro dell’Unione) altre ancora uniscono i due obiettivi (come
quelle sull’allargamento).
Il problema principale di questo tipo di comunicazioni (alle quali si aggiungerà
due anni dopo la COM(2004)196 che dettaglierà ancora di più le modalità di
attuazione) è che non costituiscono atti vincolanti né sul piano normativo, né su
quello operativo: possono essere considerati a tutti gli effetti “Piani di
comunicazione” a livello comunitario, ma nessun provvedimento effettivo è stato
adottato dall’Unione per dar corso a quanto definito come quadro di indirizzo
generale e strategico.
1.3 Gli officianti: evoluzione delle fonti
Dalle prime esperienze e fino a tutti gli anni ‘90, il soggetto principale e
praticamente unico della comunicazione istituzionale comunitaria è stata la
Commissione europea, che operava coinvolgendo di volta in volta le Direzioni
generali competenti sulla materia oggetto della specifica campagna. Oltre alla
Commissione, un ruolo centrale (in quanto soggetto decisore per il
12
Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
13
Cfr. Flash Eurobaromêtre 178, sondaggio condotto dalla Rappresentanza della Commissione europea in Francia
tra il 16 e il 23 gennaio 2006 e pubblicato a marzo 2006; il rapporto completo è disponibile in francese sulla pagina
del sito della Commissione europea/Opinione pubblica:
http://europa.eu.int/comm/public_opinion/archives/flash_arch_en.htm
15
finanziamento) spettava anche al Parlamento europeo il cui Presidente, alla fine
di ogni anno solare, firma per approvazione il bilancio dell’Unione
14
. Fu proprio il
Parlamento europeo, nel 1998, a invitare la Commissione a definire una strategia
comune nel settore dell’informazione e della comunicazione, seguito l’anno dopo
dal Consiglio europeo che nella riunione di Helsinki (dicembre 1999) ha
ufficialmente esortato Commissione e Parlamento a coordinare e ottimizzare gli
sforzi per la definizione e l’attuazione di una politica comune dell’informazione:
“I. POLITICA DELL’INFORMAZIONE
30. Si esortano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione ad adottare
le misure necessarie per unificare, per quanto possibile, gli sforzi prodigati per
fornire informazioni generali coordinate sull’Unione, in particolare ottimizzando il
ricorso alle risorse già esistenti; in tale contesto, potrebbe essere utile esaminare
la fattibilità dell’istituzione a Bruxelles di un centro comune d’informazione del
Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione destinato ad accogliere i
visitatori delle istituzioni e a coordinare le pubblicazioni riguardanti le questioni
dell’UE rivolte al grande pubblico.
31. Si invita la Commissione a vagliare la questione generale della politica
dell’informazione dell’Unione, incluso il miglioramento del coordinamento con gli
uffici di informazione nazionali.”
15
L’anno della svolta può essere però individuato nel 2001, attraverso tre momenti
fondamentali:
la campagna informativa sull’introduzione dell’euro
la definizione del primo documento programmatico in materia di politiche di
informazione e comunicazione dell’Unione europea COM(2001)354 def
la pubblicazione del Libro Bianco sulla Governance COM(2001)428
Nel primo caso, data l’importanza storica e la rilevanza anche operativa
dell’introduzione di una moneta unica, l’esigenza di dare vita a una grande
campagna di informazione e di coordinare gli interventi in tutto il territorio
dell’Unione ha necessariamente spinto le Istituzioni comunitarie a cercare la
strada del coinvolgimento di tutti i soggetti interessati allo sviluppo e
all’attuazione del processo. Il che ha significato la ricerca di un maggiore
raccordo tra le istituzioni europee ma anche l’ascolto “di” e il coordinamento
“con” i governi degli Stati membri. Pianificazione e coordinamento che sono
anche al centro degli obiettivi e delle azioni previste dal documento
programmatico sulle politiche di informazione e comunicazione dell’Unione
europea, ufficializzato dalla Comunicazione della Commissione COM(2001) 354
def del 2001.
Come scritto da De Marco, “si tratta del documento Un nuovo quadro di
cooperazione per le attività di politica dell’informazione e della comunicazione
nell’Unione europea.
14
I poteri di bilancio sono condivisi da Parlamento e Consiglio europei: mentre il primo ha potere decisionale finale
per quanto riguarda le spese relative alla politica regionale, alla lotta alla disoccupazione, ai programmi culturali,
umanitari e di istruzione, al secondo spetta l’ultima parola sulle spese della politica agricola.
15
Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Helsinki, 10-11 novembre 1999, allegato III “Un Consiglio
efficiente per l’Unione allargata. Linee direttrici per una riforma e raccomandazioni operative”, articoli I 30-31.
16
Le principali novità sono tre:
1. il ricorso ad un documento, anzitutto. Per la prima volta – pur se in una
forma giuridicamente non vincolante e quindi non ascrivibile a fonte
primaria di diritto comunitario – si formalizza in un testo il quadro di
riferimento, le problematiche da affrontare e le soluzioni proposte, creando
in questo modo un procedente importante;
2. la volontà di dare vita a una politica strutturata in materia di
comunicazione: non più quindi una materia frammentata, da affrontare di
volta in volta in modo diverso a seconda delle strutture coinvolte e delle
intenzioni dei promotori ma una piattaforma definita;
3. gli strumenti attraverso i quali si intende fare fronte alle sfide della nuova
politica di comunicazione: non più una gestione imperniata esclusivamente
sull’iniziativa della Commissione ma un processo che coinvolga il
Parlamento e gli altri organi dell’Unione, anzitutto, e soprattutto comprenda
anche e sempre più gli stati membri.”
16
Il documento, pur avendo dato l’avvio al processo di integrazione programmatica
delle istituzioni comunitarie a vario titolo coinvolte nelle politiche di informazione
e comunicazione, continua però ad avere una valenza esclusivamente d’indirizzo
e soprattutto “interna”, non essendo stata seguita da alcuna Direttiva o
Regolamento: i tipici strumenti normativi (e quindi con potere di vincolo)
dell’Unione europea. Il dato denota la persistente difficoltà a considerare la
comunicazione parte integrante delle politiche comunitarie
17
.
Tuttavia il documento rappresenta un passo molto importante nel processo di
definizione di una politica comunitaria dell’informazione e della comunicazione
perché per la prima volta le istituzioni prendono coscienza della necessità di una
strategia unitaria e condivisa per rafforzare l’esito del processo di integrazione
europea. È anche per questo che nel testo si fa esplicito riferimento ai cittadini e
in particolare alla loro disaffezione e ignoranza verso le istituzioni comunitarie, il
loro funzionamento, i loro obiettivi e, in sostanza, verso lo stesso senso di
appartenenza e identità europee. Temi ripresi e ampliati anche nelle due
successive Comunicazioni in materia: quella del 2002, la COM(2002)350 Una
strategia di informazione e comunicazione per l’Unione europea e quella del
2004, la COM(2004)196 Attuazione della strategia di informazione e di
comunicazione dell’Unione europea.
Con l’insediamento della nuova Commissione Barroso, nel 2004, la politica di
comunicazione viene ripresa, rafforzata e rilanciata, nel tentativo di rendere più
efficiente l’organizzazione, di ottimizzare le risorse e, soprattutto, di coinvolgere
maggiormente i cittadini nel processo: viene data priorità all’ascolto e alla
partecipazione diretta, attraverso la trasparenza delle azioni e una maggiore
comunicazione a livello comunitario. Oltre ai già citati Action Plan e Libro
Bianco
18
, la Vice presidente Wallström ha attivato un blog sperimentale, in cui
chiunque può postare un messaggio e partecipare al dibattito pubblico sul futuro
16
G. De Marco, op. cit. pagg. 31-32
17
G. De Marco, ibidem
18
Cfr. par. 1.1