49
b) Il clan
Strettamente connessa con l’organizzazione familiare, che in Cina è sempre stata
rivestita dalla massima importanza sul piano sia politico che ideologico, è la
struttura del clan, uno dei fenomeni di aggregazione sociale più caratteristici
della società cinese tardo- imperialista. Il clan, le cui origini, nella
configurazione da esso assunta nell’ultima fase della storia cinese, risalgono
all’epoca Song( 960-1279), con la decadenza dell’aristocrazia del Medioevo, era
un gruppo sociale unito da legami di parentela reali, ma più spesso presunti,
legittimati dalle genealogie familiari e consacrati per lo più dalla presenza di un
tempio ancestrale. Ciascun clan possedeva un proprio regolamento dei terreni
comuni. I membri vivevano generalmente nella stessa area geografica, ma
potevano abitare in località molto distanti tra loro. In taluni casi, il clan veniva a
coincidere con un villaggio, per cui li suo capo era anche il capo del villaggio e
il nome corrispondeva a quello dell’agglomerato. Il clan, nonostante le
differenze economiche esistenti fra i gruppi familiari che ne facevano parte,
garantiva una protezione collettiva e la soluzione delle contraddizioni interne.
Per il mantenimento della coesione, un’importanza rilevante era attribuita alla
compilazione dei registri genealogici, che rappresentavano la storia del clan con
riferimenti ai principali eventi relativi alla sua nascita, al suo sviluppo, alle
migrazioni dei suoi membri, e con ampie descrizioni delle sue proprietà e dei
suoi centri ancestrali. La diffusione dei riti funebri e di quelli ancestrali fra la
popolazione comune diede impulso alla creazione dei nuovi clan. La fama di un
clan era direttamente proporzionale alla fama e all’antichità dei suoi antenati.
Col sostegno dei membri più facoltosi, erano istituite anche scuole comuni
destinate soprattutto all’educazione dei giovani meno abbienti e più capaci, i
quali difficilmente avrebbero potuto godere di opportunità diverse. L’aumento
dei membri dotati di cultura e in grado di accedere alla carriera burocratica era
infatti una condizione essenziale per la crescita del clan sotto il profilo del
prestigio e del potere in seno alla società. Da questo punto di vista il clan
appariva come un’organizzazione estremamente vivace e soggetta a continue
trasformazioni per adattarsi ai mutamenti storici e sociali.
Una funzione importante del clan, nell’ambito della società e dello Stato cinesi,
era connessa con l’esigenza del rispetto della legge e della risoluzione delle
contese. A tal fine, venivano formulati i regolamenti interni, che definivano il
comportamento etico, sociale ed economico del clan, come entità autonoma
politico-religiosa. Tali regolamenti includevano di frequente citazioni dai
Classici confuciani, dai testi neoconfuciani, dagli editti imperiali, ed erano
periodicamente letti e commentati nelle assemblee comuni, svolgendo così la
funzione di canale di diffusione dell’ideologia e della morale ortodosse. Veniva
in tal modo codificato il compromesso tra le esigenze dello Stato e la
salvaguardia dei valori locali. Tutto ciò faceva del clan un fattore di
stabilizzazione sociale e di mediazione politica. Il controllo esercitato sul
50
singolo e su ciascun gruppo familiare all’interno del clan era molto più efficace,
ai fini del mantenimento dell’ordine sociale, di quello compiuto dagli uffici
burocratici, e di gran lunga maggiore era la flessibilità del clan nella soluzione
dei contrasti sociali.
Ciò nonostante, era possibile che sorgessero, a causa di conflitti di interesse,
contraddizioni di diverso tipo, oltre che tra clan e clan, anche tra ciascun clan o
gruppi di clan e lo Stato. Di qui l’esigenza da parte del governo di intervenire in
taluni momenti per limitare e controllare la compilazione delle genealogie e
l’edificazione dei templi. Il governo cercò anche di incanalare meglio le funzioni
sociali del clan, come il baojia, organizzato su base decimale, ma coincidente
per lo più con il villaggio naturale. Strutture come il baojia avevano come
obiettivo quello di garantire l’ordine mediante il mutuo controllo e il criterio
della responsabilità collettiva, e ad esso erano attribuite anche talvolta
responsabilità fiscali. Per lo più, a capo dei baojia venivano posti gli stessi capi
dei clan. Alle aggregazioni legali e “ortodosse”, di cui il clan costituiva senza
dubbio la più importante forma organizzativa, dopo la famiglia, si
contrapponevano altre forme associative di carattere volontario, che venivano
considerate generalmente illegali ed “eterodosse”, in quanto portatrici di idee e
di valori “sediziosi”. I legami interni tra i membri di tali aggregazioni, definite
per lo più sette o società segrete, erano spesso sostitutivi o integrativi di quelli
tradizionali della famiglia e delle relazioni sociali “ortodosse”. Nell’ambito di
tali associazioni, i membri trovavano soccorso e protezione, assistenza
economica, soddisfacimento delle esigenze religiose. Anche se permanevano in
esse strutture di tipo gerarchico, le relazioni fra i membri rappresentavano un
carattere più egualitario che nella società esterna.
c) Il fattore cerimoniale e le società segrete
Il fattore cerimoniale svolgeva una funzione importante anche nelle società
segrete: i riti di iniziazione, soprattutto, avevano il duplice scopo di
rigenerazione religiosa e di creazione di un “legame di sangue” fra il nuovo
adepto e i membri della società. I riti e l’impiego di simboli esoterici
rinforzavano la coesione interna e contribuivano a creare i presupposti per
l’obbedienza e la dedizione verso i dirigenti. Le società segrete si articolavano in
strutture cellulari con base prevalentemente locale. Alcuni dei loro membri
erano privi di una propria famiglia, oppure sradicati dalla società originaria, e
spesso svolgevano professioni particolari( come quella dei minatori o dei
battellieri), oppure attività ai margini della società civile, come nei settori del
gioco d’azzardo o della prostituzione.
Anche le donne facevano parte a pieno titolo di queste società, ed erano
attivamente inserite all’interno della loro organizzazione, godendo spesso del
medesimo trattamento degli uomini. Per lo più i ruoli dirigenti erano svolti da
membri dell’intellighenzia che si erano trovati in una posizione marginale
rispetto alla propria classe, in quanto, pur possedendo gli strumenti culturali, non
51
erano riusciti ad acquisire titoli ufficiali, oppure erano rimasti ai livelli più bassi
della gerarchia, pur avendo ambizioni elevate.
Ispirate talvolta a concezioni millenaristiche di origine buddista, integrate da
elementi dottrinali taoisti e anche confuciani, le società segrete, che in tempi
normali limitavano la propria attività a funzioni di mutua assistenza o a compiti
di propaganda religiosa, anche se spesso per il proprio sostentamento facevano
ricorso ad attività illegali, potevano diventare, nei periodi di maggiore difficoltà
economica e di malessere sociale, un punto di riferimento e in alcuni casi anche
un centro organizzativo per i movimenti di rivolta nati dal malcontento popolare.
La storia cinese, e anche quella dell’ultima dinastia, appare costellata da una
serie di interventi delle società segrete sia a livello sociale che politico, in
qualche caso anche con carattere decisivo, ogni volta che si creassero i
presupposti per lo sviluppo di movimenti antigovernativi.
52
2.3
Gli squilibri strutturali alla fine del secolo XIX
La decadenza delle condizioni delle campagne cinesi assieme alla penetrazione
straniera e alle pressioni esterne fu indubbiamente la causa degli squilibri
strutturali alla fine del secolo XIX. La superficie coltivata era progressivamente
diminuita a causa delle devastazioni avvenute durante le numerose insurrezioni
scoppiate negli ultimi decenni, e la sua produttività continuava ad essere
estremamente bassa a causa della mancanza di capitali. La rovina delle
istituzioni tradizionali ed il conseguente abbandono delle opere pubbliche e di
manutenzione del sistema idrico avevano provocato continue calamità naturali
in zone sempre più estese. Ad aggravare la situazione economica dei contadini
erano intervenuti dei fattori indotti dall’esterno, come lo squilibrio nel rapporto
fra il valore dell’argento e del rame, e la crisi dell’artigianato domestico a causa
delle importazioni di filati e tessuti di cotone dall’estero. Se poi la crescita dei
traffici internazionali aveva accelerato la commercializzazione dell’agricoltura
con il conseguente arricchimento di una parte dei contadini, ciò aveva provocato
la diminuzione della produzione alimentare. Analoghi squilibri si erano
verificati nel settore dei trasporti tradizionali, in seguito allo sviluppo delle
ferrovie e della navigazione a vapore.
L’impoverimento delle campagne e l’eccessiva espansione demografica
trovavano dalla metà del XIX secolo solo un parziale sollievo nel fenomeno
migratorio( oltre un milione di coolies cinesi negli anni compresi tra il 1875 e il
1914), favorito dalla richiesta di manodopera a basso prezzo nelle miniere e
nelle piantagioni cubane e sudamericane, nell’Asia sud-orientale, nel Pacifico e
nel Sudafrica. Questa emigrazione avrebbe portato conseguenze sociali ed
economiche rilevanti in quanto avrebbe contribuito a formare all’estero una
classe mercantile di cinesi d’oltremare, con stretti legami con la madre patria.
Questi avrebbero investito in Cina, favorendo la crescita economica delle
regioni d’origine( spesso aree costiere) ed avrebbero svolto importanti funzioni
di mediazione culturale.
La rottura dell’equilibrio dei rapporti sociali nelle campagne significava, come
per il passato, la fine della dinastia. Alla fine del secolo XIX la dinastia Qing
appariva pertanto destinata a perdere quanto prima il mandato Celeste, né
valsero le tardive e contraddittorie riforme o il tentativo di sfruttare a proprio
vantaggio il malcontento diffuso fra gli strati popolari contro la presenza degli
occidentali.