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contesto (Gelman e Raman, In corso di stampa. In Hollander, Gelman e Star,
2002). Ad esempio mostrando un’immagine con due pinguini e chiedendo: “Gli
uccelli volano?” (generico) i bambini affermano che questo è vero anche se, in
effetti, il tipo di uccelli che stanno guardando in quel momento, non vola. In altre
parole essi interpretano l’espressione generica come riferita agli uccelli in
generale.
Al contrario, se si fa vedere un’immagine di due pinguini e si chiede
“Questi uccelli volano?” (non generico) i bambini rispondono “no”, mostrando di
comprendere che il soggetto della frase si riferisce agli uccelli che vedono nella
figura. Questo esempio indica che non occorre essere un adulto per scegliere se
interpretare una frase in modo generico o in modo non generico, però non
verifica se i bambini distinguano la sottile differenza tra i quantificatori
universali (tutti, ogni) e le espressioni generiche.
Di questo si sono occupati Hollander, Gelman e Star (2002) i quali hanno
effettuato due ricerche con lo scopo di scoprire se i bambini riconoscano la
differenza tra le frasi generiche e quelle contenenti “tutti” o “ogni”.
La prima ricerca ha utilizzato un compito di comprensione con adulti e
bambini di 3 e di 4 anni che dovevano dichiarare se le frasi presentate erano vere
per tutti i membri della categoria, per alcuni o per nessuno. La previsione,
avveratasi, era che gli adulti rispondessero che l’espressione generica era vera a
volte per tutti i membri (ad esempio “I cani sono mammiferi”) e a volte per
alcuni (“I cani hanno quattro zampe”). Allo stesso modo hanno risposto i
bambini di 4 anni, manifestando così di aver compreso la differenza tra “tutti”,
“alcuni” e l’espressione generica.
A questa età inoltre i bambini hanno mostrato di considerare gli enunciati
generici più appropriati per generalizzazioni di aspetti essenziali come “Il fuoco è
caldo” (in inglese al plurale: “Fires are hot”) piuttosto che per proprietà meno
diffuse (“Le ragazze hanno i capelli ricci”).
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Invece i bambini di 3 anni non hanno saputo fare questa distinzione pur
dimostrando, nel post test in cui sono stati utilizzati oggetti reali e concreti, di
distinguere molto bene il significato delle parole “tutti” e “alcuni”.
La seconda ricerca era rivolta solo a bambini di 4 anni e adulti e aveva lo
scopo di scoprire quali caratteristiche erano maggiormente attribuite a tutti i
membri della categoria, quali solo a certi e quali erano considerate generiche. Ai
bambini veniva chiesto di produrre degli enunciati con lo scopo di dare
informazioni a Zorg, piccolo extraterrestre ignaro del nostro mondo. Le domande
venivano poste in tre modi diversi secondo il tipo di quantificatore che si voleva
studiare: per l’espressione generica (ad esempio “Cosa puoi dire a Zorg sui
cani?”), per “tutti” (“Cosa puoi dire a Zorg su tutti i cani?”) e per “alcuni” (“Cosa
puoi dire a Zorg su certi cani?”). Per gli adulti il compito era analogo ma svolto
in forma scritta.
Le categorie considerate comprendevano animali, persone e artefatti e per
ogni frase prodotta si aveva un punteggio relativo alla frequenza con cui la
caratteristica affermata era presente nella categoria.
I risultati hanno mostrato che anche nei bambini il termine “alcuni” richiama
proprietà meno diffuse di quelle sollecitate da “tutti” o dall’espressione generica.
Inoltre sia nei bambini sia negli adulti si sono riscontrate differenze anche nel
contenuto delle frasi: quelle sollecitate dalle espressioni generiche avevano una
minor proporzione di proprietà fisiche e una maggior proporzione di azioni o
stati mentali rispetto alle frasi contenenti “tutti” o “alcuni”. Questo si deve al
fatto che le espressioni generiche si riferiscono a proprietà essenziali e tra queste
rientrano stati mentali e azioni più che proprietà fisiche.
Un’altra serie di ricerche è stata condotta da Gelman e Tardif (1998). In esse si
afferma che, benché il concetto di categoria sia spesso assunto come universale,
le espressioni generiche variano in modo considerevole da linguaggio a
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linguaggio. I loro studi hanno esaminato gli enunciati generici in due lingue che
li esprimono in modo differente: l’Inglese e il Cinese Mandarino. Quello che si
sono chiesti è se e in che modo queste differenze linguistiche influenzino la
maniera in cui sono intesi questi enunciati. Infatti l’Inglese li esprime con
l’articolo singolare determinativo o indeterminativo o il plurale senza articolo
mentre il Cinese Mandarino non adotta queste distinzioni grammaticali. A questo
proposito era riportato un esempio di una singola frase cinese che può essere
tradotta in Inglese in tre modi diversi, dei quali solo uno ha una caratterizzazione
generica. Questo non significa che nel Mandarino manchino le espressioni
generiche ma che l’indicatore della genericità di un enunciato non si distingue
per caratteristiche grammaticali come in Inglese o in Italiano ma semantiche e
pragmatiche; possono essere per esempio l’assenza di un numero specifico, del
tempo o di indicazione del luogo a implicare un’interpretazione generica.
Per dimostrare tutto questo, il primo studio si è avvalso di audioregistrazioni
di bambini inglesi e cinesi dell’età media di 21 mesi e delle loro madri mentre
svolgevano normali attività quotidiane nelle loro case come il gioco, i pasti e la
lettura di libri. I risultati indicano che anche nel Mandarino sono presenti i
concetti generici e che i bambini li usavano spontaneamente, facendo notare che
questa forma di espressione è saliente e precoce nel linguaggio naturale, anche se
meno usata che nell’Inglese.
Il secondo studio ha analizzato le videoregistrazioni di 48 bambini inglesi e
cinesi di 20 mesi e delle loro madri che interagivano con tre tipi di giocattoli:
giochi ordinari, giochi meccanici e libri con sole immagini di tipo familiare. I
risultati, oltre a confermare quelli della ricerca precedente, hanno indicato che sia
nel Mandarino sia nell’Inglese le espressioni generiche sono usate con maggior
frequenza dalle madri e dai bambini per parlare di animali che per qualsiasi altra
categoria.
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Il terzo studio si è occupato della comprensione di espressioni generiche
presentando ad adulti inglesi e cinesi un questionario con enunciati
precedentemente codificati come generici o non generici e chiedendo, per ogni
frase, di scegliere se secondo i soggetti quella frase era vera per “quasi tutti”, per
“uno” o per “pochi”. La maggior parte dei partecipanti, sia di lingua inglese che
di Mandarino, ha risposto dimostrandosi d’accordo con la codifica, scegliendo
cioè “uno” o “pochi” per le espressioni non generiche e “quasi tutti” per quelle
generiche.
Le conclusioni alle quali sono giunti gli autori di tutti gli studi presentati, o
meglio quelle conclusioni che sono interessanti per la ricerca che verrà illustrata
nel secondo capitolo, indicano che le espressioni generiche sono presenti in
linguaggi diversi anche se non nella stessa forma, che sono comprensibili già dai
4 anni e che i bambini non solo li capiscono ma li usano spontaneamente. Inoltre,
hanno aggiunto gli autori, la precoce comprensione di questo tipo di frasi
consente ai bambini di acquisire, dai discorsi degli adulti, molte informazioni
sulle classi e sulle loro proprietà. Quando un adulto parla di una categoria, cosa
che accade soprattutto utilizzando le espressioni generiche, influenza la
conoscenza del bambino su quella categoria. In particolare le espressioni
generiche arricchiscono la conoscenza del bambino in due modi: per prima cosa
lo aiuta ad aggiungere informazioni specifiche sulle proprietà che i membri di
una categoria hanno in comune, ad esempio “I pipistrelli volano di notte”. In
questo caso l’adulto trasmette un fatto specifico su una categoria (i pipistrelli)
che il bambino probabilmente non hai mai visto e così facendo contribuisce
all’ampliamento delle sue conoscenze. In secondo luogo le espressioni generiche
implicano delle somiglianze tra i membri di una stessa categoria, persino quando
le informazioni trasmesse sono brevi e non specifiche. Ad esempio dicendo “I
pipistrelli sono marroni” si trasmette un’informazione che è valida per tutti gli
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esemplari di quella specie. (Gelman e Tardif, 1998). A sua volta, quando uno
impara che qualcosa è un membro di una specie (ad esempio che il chihuahua è
un cane) tende a inferire che quell’esemplare condivida certe proprietà con gli
altri individui della stessa specie (Hollander, Gelman e Star, 2002) e queste
proprietà vengono spesso comunicate ai bambini proprio attraverso l’uso di
espressioni generiche (ad esempio, i cani abbaiano, le galline fanno le uova, i
pesci vivono nell’acqua).
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Le espressioni generiche con nomi di popolo
Le espressioni contenenti nomi di popolo ricorrono spesso nei sussidiari di
III elementare. E’ l’anno scolastico in cui i bambini incontrano per la prima volta
la storia antica e si comincia a studiare un gran numero di popoli (Greci, Egizi,
Etruschi, Fenici, Assiri…). I nomi di popoli possono a prima vista sembrare
molto simili alle espressioni generiche (ad esempio “I Greci erano politeisti”) ma
lo sono solo nella forma, presentando invece delle fondamentali differenze nel
contenuto. Le relazioni tra gli elementi di una categoria o classe (sia che si tratti
di generi naturali come animali, piante, o minerali, sia che si tratti di artefatti
come automobili o case) sono quelle di somiglianza. Si tratta di relazioni che
Piaget (1947) qualifica come “logico-artimetiche”, contrapponendole a quelle
“spazio-temporali”, perché prescindono dalla collocazione spaziale e temporale
degli oggetti inclusi nella categoria. Ad esempio, New York, Roma e Cartagine
appartengono tutte alla classe delle città, nonostante la distanza spaziale tra le
prime due e il fatto che la terza abbia cessato di esistere da un paio di millenni.
I popoli invece sono collocati in precisi contesti storici e geografici e le
relazioni tra i loro membri non consistono solo in somiglianze (come il fatto di
vivere in un certo territorio, condividere un linguaggio, tradizioni, usi e costumi)
ma anche in rapporti sociali di vario genere che danno origine a diversi tipi di
sottogruppo (come famiglie, ceti sociali, ceti economici e politici) e di strutture
(come l’organizzazione economica e quella politica).
Le frasi contenti nomi di popoli si riferiscono ora a questa ora a quella
struttura o sottogruppo e non possono perciò essere trattate come quelle
riguardanti generi naturali o artefatti. In alcuni casi esse affermano qualcosa che
vale per la totalità (o quasi) dei membri del popolo, ad esempio “Gli Egizi erano
convinti che dopo la morte ci fosse una seconda vita”; altre qualcosa che vale per
una parte soltanto come “I Cretesi furono abili costruttori di navi e bravi marinai”
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e, altre ancora, qualcosa che vale per il popolo inteso come entità complessiva
“Gli Ebrei erano organizzati in 12 tribù”.
I bambini che si trovano di fronte a queste frasi devono perciò affrontare
problemi più complessi di quelli sollevati dagli enunciati generici che si
riferiscono a categorie di generi naturali o di artefatti. La precoce comprensione
delle espressioni generiche e la generalizzazione di questo meccanismo di
attribuzione di una certa proprietà a tutti i membri della categoria potrebbe essere
fuorviante rispetto alla comprensione delle frasi contenenti nomi di popoli,
inducendo i bambini a credere che queste ultime abbiano un significato simile a
quello delle altre espressioni generiche e che descrivano perciò proprietà o azioni
che si applicano a tutti (o quasi tutti) i membri del popolo quando invece si parla
solo di una parte di esso.
I sussidiari della scuola elementare fanno largo uso di espressioni generiche
con i nomi di popoli, senza tenere conto della possibilità di un fraintendimento da
parte dei bambini. Donatella Colombo, in una tesi di laurea del 1998, ha
esaminato l’uso di queste espressioni nelle sezioni di storia di cinque sussidiari di
terza elementare di case editrici che hanno una forte presenza nella scuola. Le
frasi presenti nei sussidiari sono state divise in nove categorie in base al loro
significato.
In alcuni casi sono frasi la cui comprensione può avvenire anche senza che ci
si rappresenti un insieme composto da più individui con articolazione interna
“Gli Etruschi abitavano la zona compresa tra i fiumi Tevere e Arno”, in altri si fa
riferimento più o meno esplicito all’esistenza di sottogruppi “I Fenici giunsero
anche sulle coste africane dell’Oceano Atlantico”. Qui la difficoltà potrebbe
risiedere nel rappresentarsi un popolo dedito a diverse attività, altrimenti si
potrebbe pensare che tutti i Fenici si siano spostati sulle coste africane
dell’Oceano Atlantico.