VI
annullarla nella concezione di una propria priorità assoluta
volta ad affermare il primato del dominio e della forza. Vi fu
l’intelligente opera di strumentalizzazione che sfruttò le
capacità di indottrinamento delle masse. Avvenne un
drastico annullamento della volontà individuale per
l'esaltazione assoluta del sacrificio e sottomissione alla
volontà del capo per il bene della patria.
Tramite la propaganda che effettuò un controllo
politico su tutti i mezzi di comunicazione, avvenne il processo
di fascistizzazione del paese, con lo scopo di orientare
l’opinione pubblica, di caricarla, comunicando l'esaltazione
della missione nazionale. I messaggi furono rivolti a tutte le
categorie della società italiana e vennero diffusi
incessantemente attraverso la radio, la stampa e il cinema.
In seguito alla nascita dell’impero l'Italia fascista venne
celebrata sulla stampa con tutta l’enfasi comunicativa
possibile. Le popolazioni furono investite da un’emissione
continua di messaggi in cui era prevalente il tema dello
scontro ideologico. Si cercò di dare una giustificazione alle
iniziative di guerra e di conquista dell'impero, qui è evidente
l'uso politico che viene fatto della storia e sulla sua riscrittura
sulla base dei miti della romanità e delle imprese coloniali
riviste in chiave eroica, per la costruzione del consenso al
fascismo.
L’uso dei mass media, assunse un’importanza dovuta
anche al sapore di novità dei moderni mezzi di
VII
comunicazione. La radio, più di ogni altro mezzo ebbe un
ruolo di primo piano. I programmi trasmessi, in cui erano
presenti svago ed informazioni allo stesso tempo per
aumentare il numero degli ascoltatori, erano costituiti per lo
più da discorsi del Duce o del Furer, marce ufficiali o
conversazioni sul razzismo. La radio diventava, così, la voce
ufficiale dello Stato. Nel 1928 nacque l'Ente Italiano Audizioni
Radiofoniche (EIAR) e la radio grazie a questo acquistò molta
importanza tra i mass media utilizzati dal fascismo e tra la
popolazione.
Per quanto riguarda la stampa è importante
sottolineare il controllo attuato dal regime sulle informazioni.
Fu possibile grazie all’acquisto da parte del partito fascista
tra il 1911 e il 1925 delle maggiori testate giornalistiche e
grazie all’introduzione degli albi nel 1925. I quotidiani,
dunque, presentavano, attuando una censura su cronache
nere e di fallimenti economici, il periodo fascista come un
modello storico di pace e moralità. Lo stesso accadde anche
nei giornali per bambini i cui argomenti erano strettamente
legati all’ideologia fascista (superiorità dei bianchi sui neri,
malvagità degli ebrei ecc.).
L’altra grande arma del regime fu il cinema
sviluppatosi con la costituzione, nel 1925, dell’istituto
nazionale L.U.C.E., ente parastatale e poi di stato per la
propaganda e la diffusione della cultura popolare. Questo
istituto, i cui cinegiornali venivano proiettati
VIII
obbligatoriamente in tutte le sale cinematografiche a partire
dal 1926, rappresentò il più efficace mezzo del regime nel
campo dello spettacolo. La tematica più ricorrente fu il mito
bellico con il conseguente elogio del patriottismo.
Negli anni '30 nasceranno gli studi di Cinecittà, il
centro sperimentale di cinematografia, gli stabilimenti di
Tirrenia e importanti riviste di cinema. Lo Stato sostenne
finanziariamente l'industria cinematografica e guardò con
simpatia, fino alla seconda metà degli anni '30 al cinema di
evasione americano. Il cinema italiano oscillò tra tentativi di
fascistizzazione in chiave imperiale e lo sviluppo del filone dei
"telefoni bianchi".
Imbevuto di retorica, il fascismo creò una divisa per
ogni italiano, dalla più tenera età fino alla maturità.
Marciarono, sfilarono in ogni paese d'Italia, al grido "Viva il
Duce!" figli della lupa, piccole italiane, balilla, avanguardisti,
giovani fascisti e fasciste, donne e massaie rurali, salutando
romanamente e battendo il passo romano. Nella scuola
fascistizzata l'insegnamento travisò la storia.
L'organizzazione paramilitare della scuola, l'istituto
dell' Opera nazionale Balilla (O.N.B.) costituito nel 1926
valse a monopolizzare, fin dalle prime classi elementari, il
processo di formazione educativa dei giovani secondo il
principio del "credere, obbedire, combattere" , che tendeva a
fare di ogni cittadino essenzialmente un "soldato" , pronto a
rispondere agli ordini e fedele esecutore delle direttive
IX
imposte dall'alto. Fino agli anni '30 venne perseguita la
realizzazione di un’educazione fisica di massa. Mussolini fu
spesso ritratto in foto come aviatore, schermitore e
automobilista.
Nacque la scuola di mistica fascista, il regime aveva
trovato l'accordo con la Chiesa cattolica, realizzando
attraverso i Patti Lateranensi del 1929 la conciliazione fra lo
Stato italiano e la Santa Sede, così da garantire a Mussolini
l'appoggio delle più alte gerarchie ecclesiastiche.
L'ascesa del fascismo culminò nel 1936 con la conquista
dell'Etiopia, Mussolini puntò sull'espansione coloniale e infatti
venne riconquistata la Libia, perduta nella Grande Guerra,
conquistò l'Etiopia con una serie di battaglie e creò l'impero
italiano formato da: Somalia, Eritrea Etiopia e Libia. Il
governo fascista del Regno d’Italia, in connessione con la
conquista e la colonizzazione dell’Etiopia, approfondì il
razzismo varando primi provvedimenti di apartheid e il
divieto di relazioni tra italiani e popolazioni delle colonie.
Nei quotidiani troveranno sempre più spazio
specialisti e personaggi della cultura che introdurranno
caratteristiche proprie dei settimanali. La valorizzazione della
"terza pagina" ne è l'esempio più evidente. I giornali
svolgeranno per tutto il resto degli anni Trenta un ruolo
fondamentale nella formazione dell'opinione pubblica durante
il regime e nel celebrare le "imprese del Duce". Lo scoppio
della seconda guerra mondiale accrescerà l'accentramento
X
dittatoriale sui mezzi d'informazione e, in generale,
l'uniformità dei giornali. Il governo interverrà attraverso una
doppia censura, quella del Ministero della guerra e quella del
Ministero della cultura popolare (Minculpop), mentre in
provincia spunteranno fogli dei fasci locali con l’obiettivo di
richiamare allo spirito squadrista del primo fascismo e di
rafforzare la mobilitazione generale per la guerra.
Questa tesi nasce con l’intento di analizzare i
cambiamenti che il regime fascista apportò alla stampa
italiana. In particolare si è prestata maggiormente attenzione
alla stampa siciliana con un occhio di riguardo verso quella
della città di Enna, terra in cui sono nato.
Enna sia durante, che nel post-fascismo diede prova
di grande passione per il giornalismo, furono infatti pubblicati
molti fogli, importantissimi nel fornire ai cittadini
un’informazione a 360° pressoché “fascista”.
Nel primo capitolo si è analizzato il rapporto tra il
fascismo e i mass-media, cercando di capire come la stampa,
la radio e il cinema abbiano permesso il raggiungimento di
un così alto consenso.
Nel secondo capitolo si è studiato a fondo il
cambiamento che il fascismo ha apportato alla stampa
italiana. Sono stati analizzati sia i giornali fascisti che quelli
antifascisti prestando particolare attenzione al tipo di censura
applicata. In ultimo si è dato spazio all’Agenzia Stefani,
importante organo del regime per il controllo delle notizie.
XI
Nel terzo ed ultimo capitolo si è approfondito il tema
della stampa fascista in Sicilia analizzando in particolare i
fogli ennesi. Si è cercato di esaminare i giornali mettendone
a nudo le loro principali caratteristiche come: il linguaggio, la
grafica, lo stile, gli scopi e l’ideal tipo di fruitore.
1
Capitolo Primo
La fabbrica del consenso:
fascismo e mass media
1.1 La Stampa
1.1.1 La fascistizzazione della stampa
Lungo l’intero arco del regime mussoliniano la stampa
rimase il più importante canale propagandistico e culturale
del fascismo italiano. Sotto molti profili il giornalismo dominò
il tono e i contenuti del fascismo e del suo governo come non
è accaduto in alcun altro regime. Lo stesso duce, fu celebrato
come il più famoso giornalista del paese, dovuto
principalmente al fatto che assunse la carica di direttore dell’
“Avanti!” e del “Popolo d’Italia”. Dal 1922 in poi il
giornalismo sarà un eccellente trampolino di lancio per far
carriera sia nel partito che nello Stato. Mussolini confidava
molto sulle potenzialità del giornalismo tanto da definirlo:
2
“una scuola di vita che mi ha condotto a conoscere la
materia umana
1
”.
Sotto il fascismo la stampa doveva essere uno
strumento dello stato, rivolto agli interessi della nazione.
Essa doveva farsi responsabilmente veicolo dell’avanzamento
sociale e politico di tutti i cittadini. Al giornalismo non doveva
essere riconosciuta libertà di movimento se non nella misura
in cui assolveva le sue proprie specifiche funzioni nel
progresso del fascismo. Tutto ciò che veniva scritto e
divulgato doveva avere un solo scopo: “modellare la
coscienza nazionale
2
”.
Mussolini in un discorso pronunciato il 10 ottobre
1928 dinanzi ad una assemblea di sessanta editori di giornali
annunciò che la stampa italiana doveva essere
armonicamente diretta e guidata dallo Stato liberandosi,
così, da vecchi pregiudizi mentali del periodo liberale e
servire gli ideali della rivoluzione
3
. Nel 1922 quasi tutti i Fasci
locali disponevano di propri giornali, che servivano a
diffondere la propaganda fascista e ad attaccare i partiti di
opposizione. L’organo più importante era naturalmente il
“Popolo d’Italia”, che nel 1914 vendeva nell’Italia
settentrionale circa 30.000 copie. Al fine di coordinare l’opera
di propaganda nelle province, forniva ai giornali fascisti
minori, pezzi di cronaca, articoli e informazioni. Alcuni di
questi fogli, come ad esempio “Giovinezza” di Luigi Freddi,
avevano una circolazione limitata, ed erano l’opera di
3
studenti ed intellettuali che seguivano con entusiasmo la
leadership romantica di D’Annunzio e gli ideali del
nazionalismo. I minori organi del Pnf vendevano per lo più
qualche migliaio di copie e la loro diffusione era limitata ai
rispettivi capoluoghi di provincia. Il più importante,
“L’Intrepido” di Lucca, pubblicato da Carlo Scorza, tirava
14.000 copie, ma gli altri restavano assai indietro: “La
Scure” di Piacenza e “L’Idea fascista” di Pisa vendevano
ciascuna 6.000 copie, “All’armi” di Reggio Emilia e “Alalà!” di
Carrara 5.000
4
. Questi giornali furono fondati in maggioranza
da capi dello squadrismo provinciale, in aperto appoggio a
Mussolini. Tra i più importanti ricordiamo “Il Regime fascista”
a Cremona e “Il Corriere padano” a Ferrara, portavoce
entrambi dei ras locali: Roberto Farinacci nel primo caso e
Italo Balbo nel secondo.
Quando Mussolini giunse al potere la stampa non-
fascista era caratterizzata da un arco di opinioni politiche
assai ampio. Nei mesi successivi alla marcia su Roma
quotidiani d’importanza nazionale come il “Corriere della
Sera” di Milano, “La Stampa” di Torino e il “Messaggero” di
Roma, manifestarono nei confronti del fascismo un
atteggiamento incerto, in qualche caso favorevole. Solo dopo
il 1922, e specialmente a seguito dell’assassinio di Matteotti
nel giugno del 1924, questi grandi giornali assunsero una
posizione antifascista.
4
Una volta al potere, tre problemi generali si posero a
Mussolini in materia di stampa:
• Assumere il controllo dei giornali non-fascisti e
portarli ad appoggiare il regime;
• Schiacciare i residui fogli di opposizione;
• Imporre l’autorità assoluta dello Stato sulla stessa
stampa fascista, la quale assumeva non di rado
posizioni contrastanti con quelle del duce.
Nei primi due casi furono impiegati sia i poteri ufficiali
dello Stato (i prefetti) che la ripetuta violenza delle squadre.
Infine per quanto riguarda l’indisciplinata stampa fascista fu
creato un Ufficio stampa il cui compito era di monitorare
costantemente i contenuti dei suddetti fogli. L’obiettivo di
Mussolini fu quello di fare di tutta la stampa lo strumento
principe per l’organizzazione del consenso e un mezzo, a
seconda delle situazioni e delle necessità, per attuare la
propria politica interna ed estera.
L’operazione procedette attraverso gli interventi
legislativi e quelli polizieschi, le direttive, l’irreggimentazione
e l’allettamento dei giornalisti, i cambi di proprietà e
soprattutto dei direttori, l’epurazione delle redazioni, la
riorganizzazione della stampa del partito.
Molto importante fu il provvedimento firmato dal Re il
15 luglio 1923 che dava al governo poteri discrezionali in
5
materia di soppressione o sequestro dei giornali giudicati
pericolosi per gli interessi nazionali. Il riconoscimento dei
gerenti responsabili delle pubblicazioni periodiche fu affidato
ai prefetti, i quali avevano facoltà di dichiarali decaduti se
incorrevano per due volte nello spazio di due anni nei
seguenti reati di stampa
5
:
• Pubblicazione di notizie false o tendenziose che
danneggino l’attività diplomatica del governo, oppure
provochino ingiustificato allarme nella popolazione;
• Pubblicazione di articoli che eccitino all’odio di classe
e alla disobbedienza alle leggi;
• Divulgazione di notizie che danneggino la Patria, il
Re, la Real Famiglia, il Sommo Pontefice, la religione
dello Stato, le Istituzioni e i Poteri dello Stato o le
Potenze amiche.
Il potere arbitrario concesso ai prefetti diede a
Mussolini un’arma potente per il controllo dei giornali, e fornì
la base a tutti i futuri provvedimenti in materia di stampa.
Il delitto Matteotti e i provvedimenti contro la stampa
provocarono clamorose, anche se previste, proteste da parte
dei giornali antifascisti. Negli ultimi mesi del 1924 la lotta
politica tra il fascismo e l’opposizione raggiunse la massima
asprezza, soppressioni e sequestri erano all’ordine del
giorno.
6
Il caso più clamoroso di fascistizzazione dell’intero
periodo fu indubbiamente quello del “Corriere della sera”,
diretto da Luigi e Alberto Albertini. Sebbene in passato il
giornale non fosse stato sempre coerentemente antifascista,
il clima di tensione indusse i fratelli Albertini a passare
all’opposizione. Di conseguenza Mussolini cominciò, il 31
dicembre 1924, a sequestrare il giornale, costringendolo ad
evitare i commenti sulle faccende di politica interna. Le
minacce, i sequestri e la diffida del gerente responsabile,
spinsero i fratelli Crespi, che detenevano la maggioranza
della società editrice e che avevano già accettato il fascismo,
a sbarazzarsi degli Albertini. Approfittando di un cavillo
legale, i Crespi sciolsero l’accordo societario che li legava agli
Albertini e li estromisero, rimpiazzandoli con Ugo Ojetti.
Il colpo di grazia alla libertà di stampa, avvenne per
mezzo della legge del 31 dicembre 1925, n° 2307, che
strinse i giornali in una rete di misure liberticide.
I cardini del provvedimento furono l’art. 1 e l’art. 7. Il
primo creò la figura del direttore responsabile al posto di
quella del gerente. L’intento fu quello di dare al direttore,
con l’accresciuta responsabilità penale oltre che con
l’investitura (prerogativa di Mussolini), la possibilità di
limitare il potere degli editori. L’art. 7 prevedeva l’istituzione
dell’Ordine dei giornalisti con il relativo Albo, al quale
occorrerà essere iscritti per poter esercitare la professione
6
.
7
Uno strumento importante per assicurare l’adesione
leale al fascismo dei giornalisti riluttanti fu la loro
incorporazione nei sindacati nazionali fascisti. Mediante il
controllo di queste organizzazioni il regime fu in grado di
epurare il corpo dei giornalisti dal grosso degli elementi
antifascisti. La vecchia e rispettata Federazione della stampa
italiana, che aveva rappresentato per lunghi anni sia i
giornalisti che gli editori di giornali, fu sciolta dal governo e
fusa con il sindacato fascista in un’organizzazione nuova: la
Federazione fascista dei giornali italiani.
Per aderire al nuovo sindacato della stampa
bisognava possedere alcuni requisiti politici di base, come
avere la tessera del Pnf o dimostrare la propria fedeltà al
regime. Era escluso chiunque avesse lavorato in posizione di
dirigente in giornali di opposizione o avesse commesso delitti
contro il regime
7
.
Lo strumento principale di controllo sui giornalisti
nelle mani del regime restava l’albo professionale. I requisiti
specifici per l’iscrizione all’albo furono precisati per decreto
nel febbraio 1928. L’iscrizione era obbligatoria per chiunque
aspirasse alla professione giornalistica e non poteva essere
ottenuta da chi avesse compiuto atti pubblici in
contraddizione con gli interessi nazionali. Sebbene queste
misure riuscissero, in linea generale, a fare del corpo dei
giornalisti un servitore fidato del fascismo, il regime non
arrivò mai ad esercitare sui giornalisti italiani un’autorità
8
assoluta. In molti casi chi fu costretto ad abbandonare una
redazione poté trovar posto in un altro giornale il cui
direttore era meno ardentemente impegnato nel perseguire i
fini del regime, riuscendo così a fare una carriera
relativamente tranquilla. Molti furono anche coloro che
continuarono a scrivere per grandi giornali lungo l’intero arco
della vita del regime senza avere la tessera né del partito né
del sindacato.
Il processo di fascistizzazione proseguì inesorabile in
tutto il paese, ed il regime pervenne ben presto ad assumere
il controllo, diretto o indiretto, dell’intera stampa nazionale.
Restavano in provincia casi singoli di giornalisti o di fogli
minori che continuavano a mantenere un atteggiamento
antifascista; ma alla fine del decennio anche queste voci
furono ormai quasi tutte messe a tacere
8
.
Al fine di assicurare che i giornalisti fedeli al regime
comprendessero nel giusto modo la loro funzione nello Stato
fascista, il governo fondò numerose scuole e cattedre
universitarie di giornalismo. Nel 1927 il Sindacato dei
giornalisti dette vita a Roma ad una scuola professionale,
posta sotto gli auspici del ministero delle Corporazioni. Scopo
della scuola era di fornire agli aspiranti giornalisti la
necessaria preparazione tecnica e purificarli della mentalità
tradizionale. A Perugia venne creata nel marzo 1928 una
nuova facoltà di scienze politiche. Altre cattedre di