Il mio lavoro si articola in quattro capitoli, i primi due costituiscono la
base teorica per l’analisi del caso pratico al quale sono dedicati il terzo ed il
quarto capitolo.
Il primo capitolo tratta la storia del mezzo di comunicazione che si
diffuse con la Rivoluzione Industriale dapprima in Francia e poi in tutta Europa.
La liberalizzazione legislativa, lo sviluppo dei mezzi tecnici di riproduzione di
massa ma soprattutto l’allargamento delle città e lo sviluppo
dell’industrializzazione fecero del manifesto il mezzo principe della
comunicazione pubblicitaria del periodo preso in esame in questo lavoro. I primi
cartellonisti furono dei veri e propri artisti, come ad esempio Henri de
Toulouse-Lautrec. In Italia il manifesto pubblicitario si sviluppò più tardi perché
più tardi si era avviato il processo di trasformazione industriale; tuttavia anche il
nostro paese vanta una vastissima produzione di manifesti pubblicitari nel
periodo compreso tra fine Ottocento ed primi anni Trenta. Infine, questi furono
anche gli anni delle Avanguardie storiche che consideravano la pubblicità una
forma d’arte popolare ed un modo per diffondere i loro principi estetici alle
masse, come fu in Italia per i futuristi che fecero largo uso della pubblicità e del
manifesto.
Il secondo capitolo definisce meglio la figura dell’artista-pubblicitario,
guardando ai pubblicitari italiani dell’epoca e al rapporto di committenza che si
instaurò con gli industriali ed inquadra la società italiana agli inizi del
Novecento parlando in particolare dei consumi e dei consumatori. Inoltre si
entra nel dettaglio per quanto riguarda i prodotti pubblicizzati dai manifesti che
vanno dai libri ai viaggi, alla moda e se ne guarda la struttura e il modo di
comunicare il messaggio pubblicitario. Un particolare riguardo è dato alla
pubblicità delle bevande alcoliche che introduce il caso pratico sviluppato nel
terzo e quarto capitolo.
Il terzo capitolo introduce l’azienda Campari, con un accenno alla storia e
alla sua pubblicità; in particolare viene data importanza all’evoluzione dei
5
manifesti Campari nel corso degli anni. Per quanto riguarda la lettura dei
manifesti, questi, secondo gli studiosi del genere, furono caratterizzati da un
particolare “stile Campari” mentre il “nome” era una costante di tutta la
produzione pubblicitaria dell’azienda. Infine si dà spazio all’importante
collaborazione tra Fortunato Depero e Davide Campari, uno dei più intensi
rapporti di committenza in campo pubblicitario di quell’epoca e non solo.
Il quarto capitolo infine, analizza alcuni tra i manifesti più importanti
prodotti da Campari selezionandoli in base al soggetto, al messaggio
pubblicitario, alle influenze artistiche e agli artisti (o grafici) che li realizzano e
confrontandoli tra loro per individuare somiglianze e differenze. Vengono
confrontati anche dei manifesti realizzati dopo la seconda guerra mondiale, utili
a capire le diversità che intercorrono tra una concezione della pubblicità più
intuitiva ed artistica come lo era quella dei primi trent’anni del Novecento ed
una concezione invece più moderna che si sviluppò solo dopo il 1945.
Nell’impostazione del lavoro ho tenuto conto degli avvenimenti storici
che influenzarono la concezione della pubblicità in generale e del manifesto
come mezzo pubblicitario anche se in maniera limitata, infatti «quello del
manifesto è uno sviluppo complesso ed i suoi movimenti di continuità e
discontinuità, impregnanti di vita quotidiana, non corrispondono alle date della
storia tradizionalmente intesa. Sono molte le sorprese sulla diversità degli stili
pubblicitari che si possono cogliere in uno stesso periodo, sulle loro
anticipazioni, persistenze e trasgressioni».
1
Infine, prima di addentrarmi nella trattazione vera propria vorrei citare
una particolare riflessione di Alberto Abruzzese sullo studio del manifesto: gli
anni presenti sono «estremamente adatti ad accogliere una ragionata riproposta
dell’esperienza del manifesto almeno per tre motivi. Il primo è di carattere
generale e relativo ad un sostanziale mutamento dei rapporti tra cultura e
1
A. Abruzzese, “L’arte del cartellone” in Archeologie della pubblicità a cura di P. Papakristo e D. Pitteri, Napoli,
Liguori, 2003, p. 161
6
consumi. (…), Il secondo motivo (…) si fonda sul fatto che la cultura della
pubblicità vive in questi anni una sua forte legittimazione ma allo stesso tempo
suscita ancora (…) una serie di contestazioni da parte di tradizioni culturali che
non hanno mai riflettuto in modo teoricamente adeguato proprio sulle forme di
socializzazione dell’arte, di costruzione e rafforzamento degli stili di vita, di
sperimentazione linguistica e simbolica, di cui i manifesti sono stati una così
eloquente espressione. (…) Infine il terzo motivo è più direttamente connesso
agli interessi delle agenzie pubblicitarie e alle loro scelte strategiche verso i
mezzi di comunicazione più efficaci. Interessi e scelte di una fase in cui anche il
reticolo televisivo – almeno nella sua dimensione massificata e omologante –
comincia ad entrare in crisi; mentre invece - almeno virtualmente - le linee di
sviluppo della civiltà postindustriale sembrano indicare nuovi modi di vivere il
territorio, di ridefinire l’ambiente urbano, di ricostruire l’abitabilità e visibilità
dei centri storici e delle periferie».
2
Proprio quest’ultimo motivo proposto da
Abruzzese postulerebbe delle possibili conseguenze sulla pubblicità esterna, che
potrebbe recuperare una nuova dimensione in un certo senso “ecologica” in
alternativa al dominio ancora oggi incontrastato degli spot televisivi e potrebbe
trovare utile la riflessione sulle radici storiche del manifesto in quanto «arredo
urbano, ristrutturazione percettiva del territorio, valorizzazione della vita
pubblica».
3
2
Ivi, p. 159-160
3
Ibidem
7
Capitolo I
L’affiche tra arte e pubblicità: le origini e i protagonisti della
storia del manifesto in Italia e in Europa
1.1 Le origini del manifesto
1.1.1 Da Pompei alla legge Le Chapelier
Le definizioni che vengono date del manifesto concordano più o meno
tutte nel dire che il manifesto è un artefatto grafico affisso in luoghi pubblici e
costituito da un foglio di carta di grandi dimensioni veicolante messaggi
iconico-verbali.
Tali messaggi iconico-verbali possono essere catalogati come “ufficiali”
(bandi, avvisi, ordinanze), “propagandistici” (pubblicità progresso, manifesti
politici, elettorali), “commerciali” (pubblicità di merci, film, concerti, spettacoli
teatrali).
Volendo parlare invece di storia del manifesto, le cose si complicano e
diventa davvero difficile risalire alle origini di questo mezzo di comunicazione a
noi così familiare.
Molti autori hanno tentato di ricostruire la storia del manifesto ed ognuno
l’ha fatto trattando l’argomento secondo un proprio punto di vista; alcuni
considerandolo come mero oggetto cartaceo, altri considerandolo come mezzo
di comunicazione legato allo sviluppo dell’industria o dipendente dallo sviluppo
delle tecniche di riproduzione massiva e così via.
Attilio Rossi
4
ad esempio, considera le impaginazioni figurate egiziane e
sumere di testi geroglifici come delle antenate dei manifesti.
In seguito a Roma si sarebbero ereditati questi mezzi sviluppandoli anche
su bronzo e rame e si sarebbero creati addirittura degli spazi di affissione
4
A. Rossi, I manifesti, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1966, p. 9
8
«imbiancando a calce dei rettangoli di uguale grandezza nei crocicchi e nelle
piazze».
5
Pompei ad esempio è una delle città in cui si riscontrano parecchie
testimonianze di questo tipo.
Il punto di vista di Rossi é però smentito da Simona de Iulio
6
la quale
parla di “prime affissioni” che iniziano a diffondersi nel XV secolo, pochi anni
dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Falabrino
7
invece stabilisce che il primo manifesto della storia è quello
realizzato il 17 ottobre del 1482 da Jean du Prè per il Grande Perdono di Nôtre
Dame de Reims mentre nel 1498 Pierre le Caron pubblica un piccolo manifesto
per l’entrata di Luigi XII a Parigi.
Ciononostante tutti gli autori concordano nell’attribuire il monopolio dei
primi avvisi alla Chiesa che li utilizzava per la concessione delle indulgenze e
allo Stato che invece li utilizzava come avvisi per il reclutamento dei volontari.
Infatti ben presto il potere politico prese coscienza delle potenzialità del
mezzo ed impose una severa normativa assicurandosi il monopolio
dell’affissione, ciò determinò il fatto che dal XV al XIX secolo i manifesti
esposti nelle strade d’Europa furono per lo più avvisi ufficiali, privi di
illustrazioni, fatta eccezione per lo stemma reale e fregi decorativi o lettere
ornate all’inizio del testo.
La prima legge che consentì ai privati di affiggere manifesti è datata 1791
ed è francese, la legge Le Chapelier.
Tale concessione però venne data obbligando i privati ad usare carte
colorate e riservando alle autorità la stampa in nero su carta bianca per gli
avvisi ufficiali.
5
Ibidem
6
S. De Iulio, “manifesto” in A. Abruzzese, F. Colombo, Dizionario della pubblicità, Bologna, Zanichelli, 1994, p.
260
7
G. Falabrino, Effimera e bella: storia della pubblicità italiana, Torino, Gutenberg 2000, 1990, p. 16
9
A questa legge se ne aggiungono altre due, quella del 1818 che
prevedeva la timbratura di tutti gli avvisi incollati sui muri di Parigi e quella del
1881 che disciplinava e regolava il diritto e le condizioni dell’affissione.
Con quest’ultima legge viene sancita la nascita di un maturo periodo di
liberalizzazione in Francia.
Il manifesto viene regolato e limitato per quanto riguarda la gestione
degli spazi e le modalità di affissione, ma viene anche reso libero da esami e
controlli preventivi e difeso da atti di vandalismo, strappo e logoramento.
Con la liberalizzazione dell’affissione, il manifesto comincia a
diffondersi e a diventare un vero e proprio strumento di comunicazione non più
riservato a pochi privilegiati e l’utilizzo da parte dei privati ne condiziona
l’apertura a nuovi contenuti e di conseguenza a nuove forme e nuove tecniche
comunicative.
1.1.2 Dalla xilografia al manifesto a colori
La diffusione del manifesto nel XIX secolo però non è dovuta
esclusivamente alla liberalizzazione del mezzo che a partire dalla Francia si
diffonde e viene poi attuata anche in altri paesi europei, ma è dovuta anche
all’evoluzione ed al perfezionamento dei mezzi tecnici di riproduzione di massa
che avviene proprio in questi anni.
Citando una frase di Falabrino, «la pubblicità nasce come strumento
dell’industria e si vale dei nuovi ritrovati che la scienza e l’industria le
forniscono: la storia della pubblicità è legata alla storia delle tecniche e delle
invenzioni».
8
Ciò vale soprattutto per la storia del manifesto.
Per secoli le riproduzioni delle opere d’arte erano state fatte con
l’acquaforte e la xilografia e quest’ultima venne usata per tutto l’Ottocento
anche dai giornali, per le illustrazioni degli articoli e degli annunci pubblicitari.
8
Ivi, p. 56
10
La xilografia (o silografia) era stata introdotta nel secolo XVIII; si
trattava di una tecnica al tratto per la quale si utilizzava un bulino, (un piccolo
arnese in acciaio con punta tagliente per incidere metallo, cuoio e pelli)
trasversalmente alla venatura di un blocco di legno durissimo, normalmente il
bosso. Le parti in rilievo recavano l’inchiostro e le linee incise rappresentavano
il bianco.
L’acquaforte invece era una tecnica che utilizzava delle lastre in metallo
ricoperte da uno strato di cere, gomme e resine, sul quale l’artista disegnava con
una punta da incisione e lasciava scoperto il metallo sottostante che veniva poi
intaccato dall’applicazione dell’acido nitrico (detto anche acquaforte).
Fino a fine del secolo XIX le lastre usate per l’acquaforte erano
solitamente di rame, un metallo poco resistente, per cui non si poteva tirare un
gran numero di stampe senza che rimanessero i segni dell’usura. Per questa
ragione le acqueforti non si potevano applicare nella produzione di massa la
quale divenne finalmente possibile con l’avvento del processo litografico.
Quest’ultimo era stato inventato nel 1793 dal praghese Johann Aloys
Senefelder e si basava su un principio semplice che consisteva nel levigare una
superficie piatta di calcare a grana fine ed assorbente; in seguito con un pastello
grasso si tracciava il disegno direttamente sulla pietra.
Inumidendo la superficie della pietra l’acqua veniva assorbita ad
eccezione delle parti toccate dal pastello. La pietra veniva poi bagnata dall’
inchiostro, che era trattenuto solo dalle parti toccate dal pastello mentre il resto
della superficie lo respingeva. Infine si poneva un foglio di carta sulla pietra,
che assorbiva l’immagine rovesciata.
La principale attrattiva di questo procedimento consisteva nel fatto che
l’artista poteva lavorare direttamente sulla pietra, inoltre esso era di basso costo
e la pietra durava a lungo.
11
La litografia rivoluzionò l’arte della riproduzione dei disegni.
Quarant’anni dopo l’invenzione della litografia, Brisset inventava il
torchio litografico a stella che permetteva stampe di grandi dimensioni.
Passarono appena tre anni e nel 1836 Engelmann completò la serie dei progressi
litografici con il procedimento detto cromolitografia. Quest’ultimo
procedimento fu proprio quello che permise l’utilizzo del colore nella
riproduzione delle illustrazioni.
Fino ad allora i singoli fogli erano stati colorati a mano, fu George Baxter
il primo ad introdurre l’incisione su acciaio e legno a colori e da quella si passò
alla cromolitografia che veniva effettuata usando del colore ad olio. Dapprima le
tinte utilizzate furono il rosso e l’azzurro soltanto, poi accrebbero i colori e si
perfezionò sempre più il tiraggio.
Il perfezionamento di quest’ultimo processo di riproduzione grafica
segnò “la condanna del bianco e nero” e contribuì all’immensa produzione di
manifesti che furono stampati nel XIX secolo, caratterizzati da una festa di
colori di grazia e di stile.
1.1.3 Il manifesto e la cultura dell’immagine
Carlo Arturo Quintavalle suppone che gli inizi della storia del manifesto
potrebbero individuarsi in qualsiasi momento «dalle insegne dipinte di Pompei,
dalle immagini a fresco dipinte nelle città medioevali, dalle xilografie popolari
quattrocentesche…»
9
, ma sottolinea che evidentemente fissando le origini del
manifesto in queste epoche, si andrebbe troppo indietro e si perderebbe la
specificità della storia del manifesto, il suo rapporto col mondo del consumo e
col mondo dell’immagine.
Continuando, Quintavalle specifica che è altrettanto inutile fissare come
punto di partenza della storia del manifesto un supporto cartaceo e tantomeno un
tipo di stampa (xilografia, litografia ecc.), ma secondo il critico bisogna partire
9
C. A. Quintavalle, Manifesti storie da incollare, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1996, p. 18
12
dalla nascita di un nuovo modo di comunicare che pone le basi nella tarda
cultura settecentesca e che si diffonde soprattutto nella cultura ottocentesca.
Infatti nell’Ottocento «si ha una crescita della scolarizzazione, una
crescita della cultura della borghesia e anche della piccola borghesia come
classe che intende giungere al potere, si sviluppano i frutti della Enciclopedie di
Diderot e D’Alembert ed ecco che con questa, e con le conoscenze tecniche
collegate, viene crescendo anche una nuova esperienza globale e una funzione
globale del comunicare».
10
Secondo Quintavalle, la storia del manifesto comincia nel XIX secolo
perché il manifesto si pone come un “racconto”, con una struttura concentrata,
ma pur sempre un racconto; esso viene inteso fin dalle sue origini come un
racconto popolare perché «esiste ormai nel secolo XIX, una letteratura che non
è più d’elite ma è rivolta alla grande fascia del pubblico borghese verso il quale
c’è pure una importante forma di comunicazione diretta, l’illustrazione con i
manifesti che vi si collegano».
11
Al pubblico borghese era rivolto il romanzo, che veniva pubblicato come
feuilleton in appendice ai quotidiani (edito a dispense con alcune illustrazioni
appositamente disegnate) e che rispondeva ad una funzione precisa: da una parte
soddisfare coloro che sapevano leggere e scrivere, dall’altra essere usato da chi
era analfabeta ma poteva vedere le figure.
La figura, l’illustrazione del romanzo ottocentesco in Francia, di
Gavarni
12
ma anche di altri come Daumier
13
, e non solo del romanzo, svolge una
10
Ibidem
11
Ibidem
12
Paul Gavarni pseudonimo di Sulpice-Guillaume Chevalier fu litografo e acquerellista (Parigi 1804-1866). Un
primo album di litografie (1825) segnò l'inizio della sua attività come collaboratore di importanti riviste (La Mode,
Charivari, Paris), nelle quali apparvero puntualmente i suoi disegni, caratterizzati da una spiritosa satira della
società borghese del suo tempo. Durante un soggiorno in Inghilterra si dedicò alla pittura ad acquarello e a
illustrazioni per riviste londinesi; al suo ritorno a Parigi eseguì nuove e mordenti serie di litografie (Masques et
visages, Propos de Thomas Vireloque, Les Partageuses, Histoire de politique, Boèmes).
13
Honorè Daumier (1808-1879) fu disegnatore, pittore e litografo. Fu nominato “il Michelangelo della satira” per la
sua feroce e spregiudicata vena ironica, comune alla maggior parte dei suoi soggetti. Collaborò per giornali satirici,
prima per Caricature, poi per Charivari.
13
funzione evidente «quella di richiamare sinteticamente la narrazione nei suoi
punti principali, di evidenziare un episodio chiave di un complesso narrativo, un
capitolo di romanzo, una certa fase di racconto».
14
Le illustrazioni dei romanzi ottocenteschi fissano (secondo Quintavalle),
le radici del manifesto come mezzo di comunicazione che non si serve più
esclusivamente della scrittura, ma sfrutta l’immagine per “raccontare” qualcosa,
che può essere un prodotto, uno spettacolo teatrale o un semplice avviso.
Al contrario, nei secoli XVII e XVIII il rapporto tra scrittura ed
immagine era sempre stato rigorosamente gerarchico: «la scrittura lingua
dell’elite, cultura tout court, l’icona lingua funzionale alla persuasione, oppure
lingua popolare».
15
Nell’Ottocento, l’immagine non viene più posta in secondo piano ed il
racconto nelle opere narrative passa attraverso due livelli di interpretazione da
parte del pubblico di cui il primo livello si realizza sfogliando le immagini senza
ulteriori approfondimenti.
L’Ottocento segna la nascita della “cultura dell’immagine” che dal
feuilleton diventa parte integrante del manifesto, e l’immagine non avrà più una
funzione prettamente decorativa ma diventerà essa stessa un racconto.
1.1.4 Il manifesto, l’industrializzazione e la città
Vittorio Pica nel 1896 scriveva :«Il cartellone illustrato […] nella sua
gloria efimera, poiché il sole lo scolora, la pioggia l’inzuppa e lo macula, il
vento lo lacera, corrisponde mirabilmente all’intensità febbrile dell’esistenza
Caduto in miseria, Daumier si dedicò alla pittura (Il mugnaio, suo figlio e l'asino, 1849). Tra i soggetti delle sue
opere, oltre alla denuncia politica è ricorrente anche la satira di costume in cui viene affrontato il tema della miseria
umana, mettendo a nudo i vizi della gente comune e le vuote apparenze di certi comportamenti.
14
Ivi, p. 19
15
C. A. Quintavalle, Pubblicità: modello, sistema, storia, Milano, Feltrinelli economica, 1977, p. 34
14
vorticosa delle nostre grandi città, alla mutabilità assidua ed all’inestinguibile
sete di nuovo delle anime nostre».
16
La storia del manifesto è fondamentalmente legata all’avvento di
fenomeni quali l’industrializzazione, lo sviluppo del sistema capitalistico e
l’urbanizzazione massificata.
Verso la fine del XIX secolo, con quella che gli storici chiamano la
“Seconda rivoluzione industriale”, il manifesto comincia ad essere adoperato
per la merce, i beni di consumo ed i grandi magazzini.
Secondo Luigi Menegazzi
17
la rivoluzione industriale non solo modifica
le condizioni di vita
18
ma, con la nascita delle grandi imprese viene prodotta una
quantità di beni che fino ad allora non era mai stata considerata per la quale è
necessario individuare e raggiungere nuovi acquirenti.
Se inizialmente la domanda determinava o almeno orientava la
produzione, in seguito l’offerta di prodotti in quantità superiore alle richieste
impone il ricorso al manifesto pubblicitario, allora mezzo insostituibile di
informazione di massa.
È così che industriali e commercianti cominciano a prendere atto
dell’efficacia del linguaggio del manifesto; nella complessità della vita cittadina
esso è un ottimo mezzo per poter rendere visibili ed allettanti le proprie merci,
per poter raggiungere le grandi masse di potenziali consumatori, per superare la
concorrenza e per conquistare fette sempre maggiori di mercato.
«I manifesti diventano la veste più consueta dei muri della città moderna,
il segno più evidente della modernità delle nuove metropoli».
19
Il nuovo mezzo di comunicazione va ad inserirsi immediatamente dentro
la scena urbana e ne diventa protagonista e ciò è ancora più vero in una città
16
citato in “L’immagine della rèclame” di S. De Iulio in Lumi di progresso: comunicazione e persuasione alle
origini della cartellonistica italiana a cura di A. Abruzzese e S. De Iulio, Treviso, Canova, 1996, p. 15
17
L . Menegazzi, Il manifesto italiano, Milano, Electa, 1995, p. 14
18
Lo sviluppo dei trasporti e l’espansione negli scambi fanno confluire prodotti, risorse e popolazione nei centri
produttivi, ampliando nuclei abitativi preesistenti e generando nuovi insediamenti. Le città diventano agglomerati
urbani spaventosi e malsani.
19
E. Grazioli, Arte e pubblicità, Milano, Mondatori, 2001, p. 12
15
come Parigi che nel XIX secolo viene descritta come “la città per
antonomasia”.
20
Il prefetto Haussmann
21
aveva trasformato la capitale francese in una
metropoli, «enfatizzando l’importanza dei sistemi di comunicazione, costruendo
strade, assi, boulevards, dotando la città di un adeguato sistema di fognature e di
acqua potabile»
22
. Grazie a questi cambiamenti, Haussmann aveva mutato non
solo l’aspetto della città ma anche il modo di viverla, di rapportarsi ad essa; le
strade erano diventate dei luoghi di passeggio ed i negozi e le vetrine
cominciavano a concentrarsi nei boulevards facendoli diventare una sorta di
salotto all’aperto.
«Nelle lussuose e confortevoli gallerie la funzione commerciale si fonde
con una componente ludica, sociale, di relazione, anticipando dinamiche che
caratterizzano i grandi magazzini. Proprio nei passages e nelle grandi
esposizioni si genera il processo di spettacolarizzazione pubblicitaria dello
spazio urbano, di fruizione collettiva ed individuale al tempo stesso delle
merci».
23
È in questi luoghi di flânerie
24
e di commercio che compaiono i primi
manifesti accompagnando la vita della città, che sta cominciando a divenire
anche accelerata e frenetica.
«Il manifesto propugna una nuova forma di fruizione, disturbata, casuale,
distratta. Si inserisce nei circuiti della metropoli come un cortocircuito ottico,
capace di colpire con immediatezza, sintesi, colore appunto. Sorta di blitz della
20
C. A. Quintavalle, Pubblicità: modello, sistema, storia, Milano, Feltrinelli economica, 1977, p. 39
21
Haussmann Georges-Eugéne (Parigi 1809 - ivi 1891). Politico francese. Entrato nella carriera amministrativa
sotto la monarchia di luglio, si avvicinò durante la Repubblica alle posizioni di Luigi Napoleone Bonaparte, che lo
nominò prefetto (1849). Favorevole al colpo di stato del 2 dicembre 1851 e poi al secondo impero, divenne prefetto
della Senna (1853-1869). Circondatosi di architetti e ingegneri, predispose lunghi e intensi lavori di abbellimento e
di risanamento di Parigi (dalla creazione dei giardini al tracciato dei grandi boulevard rettilinei, funzionali tra l'altro
anche alla repressione di eventuali sommosse, dalle fogne agli acquedotti), che rafforzarono l'immagine del regime
e trasformarono il volto della capitale. Abbattuti i vecchi quartieri proletari del centro, focolai rivoluzionari fin dal
1789, i ceti popolari furono costretti a trasferirsi in periferia, mentre al nuovo ordine urbanistico fece da contraltare
un efficiente controllo poliziesco. Travolto da uno scandalo legato agli ingenti capitali investiti nei lavori, fu
destituito. Nominato barone e poi senatore (1857), fu eletto deputato nel 1877.
22
P. Papakristo, “La visibilità trasparente” in Archeologie della pubblicità, a cura di P. Papakristo e D. Pitteri,
Napoli, Liguori editore, 2003 ,p. 112
23
P. Papakristo, opera citata, p. 113
24
passeggiare senza fretta per le vie della città . Flâneur: colui che esercita l’arte della speculazione intellettuale ed
estetica che nasce dal passeggiare.
16
visione, epifania dello piazzamento metropolitano, è la perfetta espressione di
una società che rapidamente muta, che cambia la propria vocazione»
25
1.1.5 Il manifesto e la pubblicità
Prima di parlare della storia del manifesto bisogna però vedere come
questo si inserisce nella storia della pubblicità e quindi dobbiamo tornare un po’
indietro nel tempo per scoprire quelli che furono i primi annunci pubblicitari
della storia.
La pubblicità nasce quando produttore e compratore non sono più in
contatto diretto, quando i beni di consumo prodotti in migliaia (e poi in milioni)
di esemplari vengono fatti conoscere dai mezzi di informazione che stampano
migliaia di copie e sono trasportati dai mezzi di comunicazione che riforniscono
con regolarità i più lontani mercati. Quindi sono la produzione in serie,
l’informazione multipla ed i trasporti veloci e regolari che pongono le
condizioni per il mercato e per l’informazione di massa.
Le origini sono da rintracciare nel XVII secolo, quando la stampa esce
dall’ambito esclusivamente religioso e letterario con una prima forma di
informazione economica; in Italia dal 1598 e per quasi cinquant’anni si stampò
addirittura un settimanale, le Liste de cambi et mercantie, un vero e proprio
antenato del giornalismo economico.
L’antenata della pubblicità moderna però nasce a Parigi dove il contatto
tra chi offre beni e servizi e chi li cerca non è né facile né immediato già nel
Seicento.
Theophraste Renaudot, un medico (divenuto poi giornalista) è il primo a
realizzare nel 1630 un Bureau d’adresses et de rencontre, un ufficio dove chi
offriva o cercava beni e servizi lasciava biglietti con la descrizione dell’oggetto,
della persona di servizio o del lavoro richiesti ed offerti. Un anno dopo
25
D. Pitteri, “Italia 1863- 1939” in Archeologie della pubblicità, a cura di P. Papakristo e D. Pitteri, Napoli, Liguori
editore, 2003, p. 150
17
Renaudot comincia a stampare e a diffondere un suo giornale, una gazzetta
settimanale, alla quale vengono allegati gli avvisi del Bureau; a partire dal
decimo numero la Gazette di Renaudot comincia ad ospitare degli annunci
pubblicitari; nasce così la pubblicità moderna.
In Inghilterra invece i giornali cominciano a pubblicare avvisi
pubblicitari nel 1652 e pochi anni dopo, sull’esempio francese si trovano
all’opera diversi “uffici del pubblico avviso” che consociati danno vita al
settimanale The Public Advertiser. Questo giornale è l’antenato di molte
pubblicazioni inglesi e fra esse dal 1745 ebbe un particolare successo The
General Advertiser, un giornale destinato fondamentalmente alla pubblicità con
sessanta annunci per numero.
Anche in Italia nel Settecento cominciano a diffondersi alcuni giornali
che sono a metà tra l’informazione economica e gli annunci di pubblica utilità e
fra questi ultimi si insinuano i primi avvisi propriamente pubblicitari; tra le città
più sensibili a queste nuove necessità troviamo Firenze, Napoli e Venezia.
Ma è solo nell’Ottocento e con la rivoluzione industriale che si hanno
delle iniziative pubblicitarie di maggiore importanza. Il francese Emile de
Girardin è il giornalista che per primo si rende conto che la diffusione di un
giornale può aumentare con la diminuzione del prezzo di vendita. Per molto
tempo la pubblicità era stata confinata nei settimanali specializzati oppure era
costituita da piccoli annunci saltuari e spesso gratuiti per la convinzione che essi
dovessero costituire un servizio per i lettori. De Girardin è il primo che si
accorge dell’importanza del servizio e pensa di sfruttarlo dal punto di vista
economico. Egli per abbassare il prezzo di vendita dei giornali pensò di unire
ciò che gli altri editori avevano tenuto diviso: non più le notizie del mondo
politico e delle lettere su certi giornali e le informazioni economiche e gli
annunci su altri fogli, «ma politica, guerre, letteratura, scienza e moda dovevano
18