5
attore e scrittore. L’unico caso significativo è rappresentato dai
protagonisti della commedia dell’arte, i quali scrivevano i
canovacci che poi avrebbero interpretato sul palco.
Bisogna giungere a fine capitolo per trovare i primi importanti
casi di questo fenomeno e quindi per avvicinarsi al cuore del
presente lavoro: Giovanni Guareschi, il quale scrive i romanzi
e le sceneggiature di Don Camillo, e Paolo Villaggio, autore
delle avventure del ragionier Ugo Fantozzi e interprete della
sua versione televisiva.
Il secondo capitolo è dedicato a quelli che sono stati definiti
tele-scrittori (in alcuni casi anche cine-scrittori), cioè quegli
attori comici che nel passaggio dal microfono alla penna non
hanno modificato sostanzialmente le loro performance. Si tratta
di quegli attori che riempiono le pagine dei loro libri con
monologhi, sketch e scenette, che sono le stesse, o quasi, che li
hanno resi popolari sul grande o piccolo schermo.
Il riferimento è soprattutto agli scrittori creati dai programmi
televisivi di cabaret che negli ultimi anni si sono moltiplicati
(ormai quasi ogni canale ha il “suo” Zelig) senza mai soffrire
problemi di inflazione, considerato che riscuotono sempre un
forte successo di pubblico.
6
Il terzo capitolo, invece, si occupa dei comici romanzieri, vale
a dire quegli attori comici, forse più audaci o forse
semplicemente più portati per la letteratura, che hanno prodotto
veri e propri romanzi, pur mantenendo una forte vena ironica, a
tratti esilarante. I casi qui analizzati sono quelli di Leonardo
Pieraccioni, e delle sue tre raccolte di mini-novelle, e di
Natalino Balasso, autore di un divertente romanzo tinto di
giallo, intitolato L’anno prossimo si sta a casa.
Infine vi è il quarto capitolo, che ha come oggetto quello che
molti critici hanno definito Il caso Faletti. Infatti le sue pagine
sono intitolate unicamente a Giorgio Faletti, artista popolare
per i personaggi comici interpretati, ma che negli ultimissimi
anni ha optato per una decisa virata verso la letteratura, in
particolare verso il genere noir. Il capitolo descrive proprio le
sue due opere thriller: prima le analizza singolarmente per poi
tentare un confronto tra di esse.
A conclusione del presente elaborato si è voluto inserire una
simpatica appendice intitolata Perle di saggezza, ovvero frasi,
particolarmente significative o divertenti, tratte dai testi
analizzati. Una sorta di tributo a chi svolge una funzione tanto
7
nobile come quella di regalare sorrisi e a volte persino salvare
la vita: una recente ricerca scientifica ha infatti dimostrato che
se si trascorrono almeno 15 minuti della giornata ridendo, si
attenuerebbe di molto il pericolo d’infarto.
D’altra parte non occorreva il parere dei medici per capire che
una sana risata rilassa il corpo e rasserena l’animo!
Capitolo 1
La scrittura comica nei secoli
1. Dal medioevo all’Ottocento
Nella letteratura italiana il comico ha un presenza debole, la
forza dominante è costituita piuttosto dallo stile “alto” o tragico
e fino al XIX secolo ha sopravvissuto la forte opposizione tra
comico e sublime, tutta a favore del secondo termine.
1
Fra l’altro, spesso nei dizionari classici la voce comico rimanda
alla nozione di commedia in antitesi a tragedia e a epica; il
lemma, dunque, non si riferisce a una categoria autonoma, ma
a un carattere attribuibile a una forma già data: la
rappresentazione teatrale, appunto, con caratteri e attributi
1
Cataudella M., La forma del comico nella letteratura italiana, Salernum,
Salerno, 1987, p.5
9
particolari si chiama commedia e il comico è semplicemente un
carattere di tale rappresentazione.
2
Sono nozioni che assumono il comico come aspetto almeno
secondario, come segno negativo di una gerarchia dei valori e
dei contenuti espressivi.
D’altronde, già Aristotele, nella Poetica, aveva innestato il
rapporto tra comico e bruttezza e deformazione fisica e morale.
Egli definiva la commedia
(…) imitazione di persone più volgari dell'ordinario, non
però volgari di qual si voglia specie di bruttezza o fisica
o morale, bensì di quella sola specie che è il ridicolo:
perché il ridicolo è una partizione del brutto. Il ridicolo è
qualcosa come di sbagliato e di deforme, senza però
essere cagione di dolore e di danno.
3
Questo concetto di ridicolo, ovvero di comico, come difetto e
deformità, come qualcosa di sbagliato (che tuttavia non
provoca dolore ma riso), ha rappresentato una costante nelle
poetiche italiane dal Medioevo al Rinascimento.
4
Questo atteggiamento ha collocato il comico nei gradini più
bassi della gerarchia letteraria. Tuttavia, nel contempo, la
2
ivi, p. 5
3
ivi, p. 7
4
ivi, p. 7
10
stessa comunità intellettuale gli attribuiva una precisa funzione
sociale: il comico era eletto a strumento letterario atto a
castigare i costumi eccessivi e viziosi, attraverso la loro
enfatizzazione e ridicolizzazione.
5
In quel periodo storico, l’esempio più significativo è il
Decameron, di Giovanni Boccaccio, composto tra il 1349 e il
1351.
Nel Proemio, l’autore dichiara le ragioni del libro. Come egli
ricevette conforto nella pena d’amore dai “ragionamenti
d’alcuno amico”, così egli con i suoi racconti intende porgere
sollievo a chi più ne bisogna, cioè alle donne, che per la loro
condizione non avevano distrazioni che alleggerissero le loro
cure.
6
L’opera rappresenta un grandioso affresco della società del
tardo medioevo: vi sono presenti tutte le classi sociali e gli
aspetti della vita, dalle corti feudali ai bassifondi cittadini. Le
situazioni comiche che coinvolgono i fanciulli protagonisti
delle cento novelle di cui si compone il romanzo sono spesso
legate ad una sensualità innocente ed esuberante, mentre in
5
ivi, p. 9
6
La biblioteca di Repubblica, l’Enciclopedia, UTET, Torino, 2003, volume
3, p. 238
11
altre vengono ritratte virtù e ideali della società cortese in
declino.
7
1.1 La commedia dell’arte
Una tappa fondamentale per la scrittura comica è stata la
seconda metà del ‘500, quando nacque la commedia dell’arte,
definita così perché i suoi attori, per la prima volta dopo un
millennio e più, erano attori di mestiere.
Si trattava di declamatori, mimi, cantori, giocolieri, i più capaci
e acculturati erano anche scrittori e trattatisti (Pirandello è
giunto a sostenere che i comici dell’arte non erano attori i quali
sapevano recitare, ma scrittori i quali sapevano recitare).
8
Questi nuovi professionisti ebbero un’intuizione vincente:
capirono che il pubblico, a teatro, viene attratto non tanto
dall’autore, quanto dall’attore, ovvero colui che compie
l’azione. Pertanto, di un testo scritto, ciò che agli spettatori
interessa è lo scheletro, l’intrigo, ossia quella determinata
variazione che, lasciata allo sviluppo libero degli attori-
interpreti, l’autore propone sopra uno dei pochi temi, sempre
7
Edigeo (a cura di), Enciclopedia Zanichelli, Zanichelli editore, Bologna,
1995, p. 242
8
http://wwit.wikipedia.org
12
gli stessi, dell’eterno repertorio comico, affidati a un numero
assai ridotto di personaggi.
9
Questi personaggi sono le maschere, non tanto inventate
quanto riscoperte dai comici dell’arte, in una tradizione delle
farse medioevali ma anche e soprattutto di quella commedia
classica (attica e latina) che i letterati
avevano spesso diluito nella retorica
di una veste più nobile e che i comici
dell’arte riportarono all’estemporanea
ebbrezza della sua sostanza comica.
10
Ogni realizzazione teatrale dei comici professionisti si reggeva
sulla presenza di una o più coppie di Innamorati (giovani e
belli, recitavano senza maschere), di una coppia di Vecchi
(Pantalone, borbottone, avaro, sempre beffato, e il Dottore,
caricatura del bestione pedante), di una coppia di servitori, gli
Zanni (Brighella, furbo e imbroglione, e Arlecchino, poltrone e
sciocco), di un Capitano (Capitan Spavento, il millantatore
spaccone) ai quali era possibile aggiungere, di volta in volta, la
necessaria varietà di comparse occasionali.
11
9
La biblioteca di Repubblica, op. cit., p. 187
10
http://www.girodivite.it
11
La biblioteca di Repubblica, op. cit., p. 187
13
Le origini della commedia dell’arte sono essenzialmente negli
spettacoli di piazza: l’uso delle maschere, il gioco
dell’improvvisazione, la particolare comicità dei lazzi, il
virtuosismo acrobatico e musicale, la presenza della donna,
sembrano postulare uno stretto legame con la tradizione dello
spettacolo di piazza realizzato da istrioni, buffoni e ciarlatani.
Nondimeno, la stragrande maggioranza delle compagnie si
esibiva per un pubblico borghese e popolano (anche se bisogna
segnalare che alcune troupe teatrali, le cosiddette compagnie
accademiche, ambivano a conquistare i pubblici cortesi, magari
giungendo ad un compromesso con la cultura dominante) e le
loro rappresentazioni si ispiravano alla realtà quotidiana,
arricchite da numeri acrobatici, danze e canti.
12
Proprio per questa sua estraneità alla cultura ufficiale, e
soprattutto per il ricorso alle maschere e all’impiego delle
donne, la commedia dell’arte fu subito e a lungo condannata da
retori ed ecclesiastici.
13
Invece in Europa, soprattutto in Francia e Spagna, i comici
dell’arte italiani furono molto ammirati e richiesti, non solo per
la loro bravura tecnica, ma per il fatto che non recitavano un
testo imparato a memoria, bensì improvvisavano. Tuttavia,
12
ivi, p. 188
13
ivi, p. 189
14
anche la vena dell’attore più emozionante era agevolata dal
fatto che quell’attore, identificato per sempre con la sua
maschera, sosteneva per tutta la vita una parte sola. Ovvero,
pur non avendo innanzi a sé un testo compiuto, gli attori
avevano comunque uno schema di parti fisse: di ruoli, cioè,
sempre presenti in ogni possibile trama delle loro
rappresentazioni, e per sempre segnati da caratteri invariabili.
14
Probabilmente la virtù maggiore di questi comici consisteva in
una sì forte vitalità, in un tale colore di accenti, da far
l’impressione che una rappresentazione pianificata, studiata nei
dettagli, fosse invece una creazione estemporanea: vita vissuta
e rivelata sul momento.
15
1.2 Età moderna e contemporanea
Avvicinandoci all’età moderna, la comicità si identifica sempre
più con gli atteggiamenti stereotipati, illogici, ripetitivi,
ossessivi, legati ad abitudini di vita non vagliate razionalmente,
spesso segnate dal vizio.
16
14
http://www.girodivite.it
15
ibidem
16
http://www.valsesiascuole.it
15
In generale, con l’età moderna inizia ad emergere una comicità
come testimonianza della debolezza umana.
Con l’avvento dell’illuminismo la comicità irriverente e
sboccata di tipo carnevalesco viene soppiantata da forme più
sottili: la razionalità illuministica tocca anche l’espressività del
comico, sviluppando il gusto per uno humour lucido e gelido.
In questo ambito nasce la categoria del cosiddetto “humour
nero”, che trae spunti di riso da situazioni generalmente
considerate tragiche, come una catastrofe o la perdita di una
persona.
17
Nel XVIII secolo il commediografo italiano di maggior
successo fu Carlo Goldoni (Venezia 1707 – Parigi 1783), il
quale diede nuovo respiro alla commedia, rinnovandola sia
nelle forme di divertimento (il melodramma stava prendendo
sempre più piede) che nelle forme del contenuto (le storie
frivole o bizzose o romanzesche erano comunque lontane dalla
realtà e il pubblico iniziava a capirlo).
18
Così Goldoni obbligò gli attori a riferirsi a un testo scritto (si
passò dalla recitazione in versi alla prosa), rinunciò alle facili
buffonerie, eliminò gradualmente le maschere, conferendo loro
17
ibidem
18
La biblioteca di Repubblica, op. cit., volume 10, pp. 568-569
16
un’individualità sempre più marcata e trasformando la
commedia dell’arte, a soggetto, in commedia di carattere.
19
La
prima interamente scritta fu La Donna in garbo, del 1743.
La riforma goldoniana nacque dal suo amore per il teatro vivo,
quello che rappresenta la realtà, e dalla propensione ad una
produzione svincolata dalle regole e dalle convenzioni del
teatro erudito. Goldoni intese restituire il teatro alla sua
funzione etico-moralistica e mirare a un’arte verosimile e
naturale.
20
La sopraccitata commedia del 1743, con l’implicita
imposizione agli attori comici di un testo tutto scritto (non più
un canovaccio), rappresentò la prima importante vittoria
dell’autore sull’attore, ristabilendo quell’equilibro che la
commedia dell’arte aveva spezzato.
Il mondo poetico di Goldoni è la Venezia del ‘700, ricreata
nelle calli e nei campielli, nei salotti e nelle ville, dove si
muovono personaggi di ogni ceto sociale, di cui l’autore
rappresentò con acutezza e cordialità vizi e virtù. Nel dialetto
veneziano Goldoni trovò il linguaggio più adeguato ad
19
http://it.wikipedia.org/
20
La biblioteca di Repubblica, op. cit., p. 569
17
esprimere il suo genio comico, così come nell’osservazione
della realtà scoprì una fonte inesauribile d’ispirazione.
21
L’Ottocento propone la nuova categoria espressiva e
interpretativa del realismo, il quale intende attribuire sobrietà e
dignità concettuale alle vicende quotidiane della gente comune.
In questo contesto, dunque, le stesse debolezze umane vengono
meno violentemente satireggiate, rese più credibili, quasi
accettabili. E’ di questo tenore, per esempio, la satira al
personaggio di Don Abbondio ne I promessi sposi di
Alessandro Manzoni.
22
Sempre nel secolo XIX, ovvero in epoca romantica, si assiste
ad una fusione dei generi letterari che non isolano più i
caratteri comici da quelli tragici, i personaggi bassi da quelli
sublimi. Proprio questa ricomposizione degli opposti (comico e
sublime) genera una nuova forma di comico, o meglio di
pseudocomico, chiamato umorismo che provoca una caduta
della forza comica, trasformando il riso in sorriso, e comunque
si allontana decisamente dal mondo popolare nel quale il
21
ivi, p. 570
22
http://www.valsesiascuole.it
18
comico aveva attecchito come cultura alternativa ed
emarginata.
23
La ragione dello scivolamento dalla comicità all’umorismo si
può rintracciare in una precisa contingenza storico-sociale.
Infatti nell’800 si era accorciata di molto la distanza, profonda
nella cultura medioevale e rinascimentale, tra aristocrazia e
plebe, e la classe di mezzo che conquistò il campo privilegiò
l’ironia (leggi “umorismo”) come linguaggio della
dissimulazione e dell’allusivo, come risultato della coincidenza
degli opposti, sublime e comico appunto.
24
2. Il Novecento
Il secolo XX si apre con Il riso. Saggio sul significato del
comico
25
del filosofo francese Henri Bergson (Parigi 1859 – ivi
1941).
L’autore considera il riso essenzialmente come “castigo
sociale”: sono comici quegli atteggiamenti rigidi, meccanici,
incapaci di aderire alla fluidità e alla mutevolezza della vita e
23
Cataudella M., op. cit., p. 10
24
ivi, pp. 10-11
25
Bergson H. (1900), Il riso. Saggio sul significato del comico, UTET,
Vicenza, 1979