6
richiamavano sfumava nel suo esorcismo, nel
superamento, narcisistico dell’onnipotenza del pensiero
indicato da Freud, del timore assoluto dell’annullamento
dell’Io. Il Doppio, nel riflesso o nell’ombra, poteva
essere, a seconda dell’attenzione e del rispetto ad esso
riservati, minaccia di annientamento o certezza nella
sconfitta della morte: entrambe le caratteristiche l’alter-
ego possedeva, stava solo all’individuo (che in tal sede
non è certo «in-dividuo», abbisognando del Doppio per
mantenere un’unità funzionale all’esistenza) trarre
giovamento dal rapporto consapevole con l’altro-sé, che
richiede, nell’analisi di psicanalisti quali Sigmund Freud,
Otto Rank, Jacques Lacan e Carl Gustav Jung, attenzione
al suo messaggio di alterità e al suo oggettivare le zone
nascoste di ogni Io strutturato in società. Pena, per
l’ignorare il messaggio, è il conflitto con l’alter-ego, fino
alla scissione e al combattimento contro il Doppio, in cui
a perdere, naturalmente, è solo l’individuo, sintesi di Io e
Sé, Matrice e Doppio. Insomma l’alter-ego, come
simbolizzato dalla paura e dall’attrazione per l’anima e
l’ombra, è il mezzo con cui l’uomo può ripristinare una
stabilità dell’Io, che invoca spesso disperatamente
7
l’evasione da questa realtà, in una maggiore
consapevolezza dell’individuo attraverso la superiore
conoscenza della propria costituzione e delle proprie
pulsioni, conoscenza che il dialogo con l’altro-sé può
fornire. Questo fa paura perché, con il nostro volto, ci
parla di segreti che in continuazione cerchiamo di negare,
mostrandoci la morte nel viso che vorremmo salvare
dalla scomparsa, ma una salvazione che solo tramite
l’accettazione della propria duplicità, l’accettazione del
Doppio, possiamo realizzare. Il Doppio, se compreso,
oltre il ricordo della propria morte ci mostra il segreto per
la sua sconfitta: la consapevolezza che, in un altro reale,
continueremo ad esistere, al di là di quello specchio in
cui il nostro volto vive.
Intuito, perché assaporato nelle sue
manifestazioni in questo reale, l’altrove che il Doppio
abita, si palesò la voglia di andare a trovare la sua
dimora, per avere la possibilità di trarne beneficio,
contemplando quel Sé che nell’aldiquà viene emarginato,
tutte le volte che il bisogno di fuga avesse urlato nell’Io.
Il primo contatto con il Doppio nell’altro reale fu il
sogno, nato con l’uomo (recenti studi hanno dimostrato
8
che anche il feto può sognare) e controparte della sua
vita, a dimostrare il naturale bisogno dell’evasione la cui
primaria risposta è nel meccanismo di vita
dell’organismo umano. Qui, luogo dell’inconscio, la
regia del Sé produce, parallelamente alla struttura filmica
nell’ambito dell’interscambio tra linguaggio
cinematografico e onirico/mentale, film in cui il Doppio,
nelle più disparate manifestazioni, ha occasione di far
sfogare l’individuo e il suo Io, contemporaneamente
lasciandogli messaggi più o meno criptici da cui trarre
giovamento nella realtà della veglia. L’interpretazione
dei sogni divenne allora pratica preziosa nelle civiltà
dell’Arabia islamica, in Cina, Egitto, Babilonia, Grecia,
come mezzo di discussione con la divinità, nella
predizione del futuro o nella semplice indicazione
dell’azione umana, come la futura visione dei film
richiederà l’interpretazione del tutto intima non solo delle
vicende, ma del personale messaggio da scovare nel
dialogo film/individuo. Tuttavia il sogno era scarsamente
gestibile e, soprattutto, provocabile, a dispetto delle
tenaci induzioni oniriche nei luoghi di culto, per fini di
predizione o guaritori, nelle cosiddette pratiche
9
dell’“incubazione”. La ricerca delle indicazioni
dall’aldilà assunse allora la struttura del mito, favola
universale, che traduceva in immagini mentali le
articolazioni del Doppio, simulando, nell’imperfezione
prima orale poi scritta, la visione onirica, così da
permettere un riscontro con modelli del Sé, anche se
imperfetto nello stimolo sensoriale, almeno sempre
disponibile alla fruizione rapida. Il mito, come il cinema,
racconta una storia di tutti, univoco nella struttura ma,
come il cinema, fornendo la possibilità di introiettare e
soggettivare la visione (da ricreare mentalmente nel mito)
fino a ricavarne il messaggio di vita che, nella liberazione
dell’istinto e attraverso il fondamentale mezzo
dell’identificazione, permette maggior “corpo” all’Io
dell’aldiquà.
Questo Io, così, nelle sue incursioni nel territorio
altro del Doppio, diventa così, in questo movimento
opposto al viaggio dell’anima nell’aldiquà, Doppio a sua
volta, alter-ego egli stesso dell’ombra cui si avvicina.
L’anima/ombra/riflesso riceve la visita dell’Io nell’aldilà
come il Doppio si manifesta agli uomini nell’aldiquà.
Non si può, pertanto, definire con certezza chi sia il
10
Doppio dell’altro e, di conseguenza, quale sia il “vero”
reale, se esiste il reale. E in questa sede non esiste. Le
riflessioni di classici dubbi, dal Genio cartesiano alla
caverna platonica (che tanto assomiglia alla moderna sala
cinematografica) con le sue illusioni, dal solipsismo ai
cervelli nella vasca di Putnam, saranno utili per capire il
contesto sensoriale con cui legittimare il reale creato dal
cinematografo sullo stesso piano di quello che
chiamiamo vita, ma che in effetti, sosterrò, è un film cui
si concede la sospensione dell’incredulità di cui parlava
Coleridge.
L’invenzione del cinematografo costituì l’inizio di
un processo che, parallelamente allo strutturarsi di un
linguaggio-cinema, andò a raccogliere, modificare e
“elettrizzare” tutte le componenti psicologiche, spirituali
e percettive che caratterizzarono l’interazione tra l’uomo
e le produzioni artistico-letterarie del passato,
rinforzando in particolare gli effetti di fuoriuscita dal
reale che quelle esperienze, statiche o non-visuali,
producevano in risposta ai bisogni di oggettivazione della
realtà da un altro punto di vista e al contatto con quel Sé
di cui spesso si sente la spinta. Il Cinema raccolse così, e
11
potenziò, le imperfette (in confronto alla oggettiva
maggiore maturità sensoriale del cinematografo)
suggestioni di alterità che i precedenti linguaggi tecnico-
artistici possedevano. A differenza del passato infatti il
mezzo cinematografico propone una cattura oggettiva del
reale che proprio mettendo a disposizione del regista
prima, e dello spettatore interpretante poi, un materiale
umano di fortissimo impatto, perché con la stessa materia
di questo reale, la luce, creato, offre mondi (alternativi
rispetto al reale) in cui l’esperienza percettiva raggiunge
effetti, è il caso di dire, «perturbanti», in grado di
contattare zone oscure, mettendole in luce, dell’ombra
ontogenetica e di quell’Ombra filogenetica che Jung
riscontra in ogni uomo, dandogli corpo visibile. Questo
potere tutto del cinematografo proviene da quella raccolta
di ombre, prospettive, figure, volti, espressioni, e in
seguito anche di colori e suoni, nel loro divenire, nel
movimento vitale del loro accadere, come occhio umano
registra, e tuttavia in modo profondamente diverso. I
tasselli di vita catturati forniscono il materiale che,
attraverso il montaggio, strumento primario del
linguaggio-cinema, modernizzano il mito fondendolo nel
12
sogno: l’elemento della disponibilità dell’altrove entro la
fortissima percezione di realtà, ed in essa del Doppio
costruito, nel connubio di uno strumento che può aprire il
varco più vero tra l’aldiquà e l’aldiquà della
Matrice/Doppio.
Si tratta di un rapporto, tra spettatore e mondo
filmico, di sdoppiamento, nel duplice configurarsi
dell’alternativa all’individuo (nel senso di riflesso o della
sua “ombra”, ci sono differenze che illustrerò) e dell’altra
realtà in cui quell’altro sé, Doppio dell’Io, vive. È un
rimando di concentricità straordinarie, di confronto e
spaventose confessioni, di orgasmi e brividi, in una
parola che ha del magico, ma specialmente nella lingua
di Freud: una perturbanza di vita. Doppio nel Doppio,
perché la materia di cui l’uomo è fatto è uno stupendo
amalgama di contrari. Un altro sé stesso in un'altra realtà,
che in ultima analisi si riferisce alla complessità della
macchina uomo. “Se l’io cosciente dorme, il suo doppio
si risveglia e agisce.”(Rohde: Psiche). Nel cinema si
muore e rinasce, si è immortali e ci si innamora di sé, si
combatte e si comprende, ci si rifugia e ci si riappacifica
con la realtà: il cinema, Doppio di vita, apre il suo occhio
13
sull’esistenza e la dimora del Doppio di cui siamo
portatori, e che ci è difficile contattare nel suo altrove.
14
Capitolo I
1.0_Il Doppio. Psicanalisi di uno specchio
TYLER
You were looking for a way to change your life. You could not do
this on your own. All the ways you wished you could be...that's
me! I look like you wanna look, I fuck like you wanna fuck, I'm
smart, capable and most importantly, I'm free in all the ways
that you are not.
[...]
JACK
This is impossible. This is crazy.
TYLER
People do it every day. They talk to themselves. They see
themselves as they like to be. They don't have the courage you
have, to just run with it.
(Fight Club, di David Fincher, Germania/Usa, 1999)
15
Fin dalla sua apparizione in questa realtà, l’uomo
ha intuito, e forse desiderato intuire, che nel suo abitare il
mondo era accompagnato da qualcun altro. Quest’altro
condivideva molto con lui, perché inscindibilmente
legato al suo essere individuo, ma era anche diverso,
perché portatore di messaggi spesso ambigui che ne
rivelano la profonda intimità ed un legame speciale con
un mondo sconosciuto che nasceva dentro di sé ma si
formava come altrove. Il bisogno di prendere atto di
questo Doppio costituì da subito un’esigenza da cui non
si poteva prescindere, se non si avesse voluto soccombere
alla sua necessaria presenza. Si trattava di una globale
concezione di posizionamento dell’uomo nella realtà, di
superstizione e speranza, di aldilà e spiriti protettori, di
un mondo di soffio in cui veleggiavano le vere essenze di
quei corpi destinati a diventare polvere, e che spesso da
incorporee entità si materializzavano in riflessi, ombre,
occhiate, sosia, rappresentazioni. Non si trattava solo di
guardare la morte sotto il punto di vista del suo mero
ruolo di passaggio, quanto di percepire della vita la sua
duplicità congenita, il suo inglobare il sé e l’altro, il me e
16
il mio riflesso, la mia percezione della realtà e la sua
esistenza al di là da me.
Da quando la psicanalisi ne ha imposto
l’attenzione al mondo, il tema del Doppio, e della sua
complementarietà spesso corrosiva, assunse risvolti
spaventosi ma anche rassicuranti, dal momento che la
scoperta dell’inconscio da parte di Freud, e l’enorme
successo della psicanalisi, furono seguiti dai metodi
attraverso i quali fare i conti con questa presenza
misteriosa che ogni uomo sente di avere, e le cui
manifestazioni questi studiosi mostravano come
individuare (nei sogni, nelle situazioni di psicosi, nei
lapsus, nell’immaginazione attiva) ma che, se ignorata,
produce scissioni, alienazioni e combattimenti vani con i
fantasmi della psiche. Tuttavia la natura diabolica di
questo oggetto misterioso che nasce da noi
apparentemente contro di noi non è l’esclusiva sua
caratteristica, anzi la sua esistenza è elemento essenziale
per sanare le discrasie di vita, campanello d’allarme per
rivolgere l’attenzione su qualcosa. Non di Doppio si
parla, ma di vita.
17
1.1 _Il Doppio e la superstizione. Quel
necessario ed ineliminabile nemicoamico
Secondo molte credenze primitive il bambino,
quando nasce, è solo metà di sé stesso. L’altra metà, il
suo Doppio, è la placenta. Le due metà si riuniranno solo
nella morte. Doppio e separazione. Nel simposio,
Platone, per bocca di Aristofane, descrive il celebre mito
delle metà, secondo il quale “ciascuno di noi è una
frazione dell'essere umano completo originario. Per
ciascuna persona ne esiste dunque un'altra che le è
complementare, perché quell' unico essere è stato tagliato
in due”
1
; la ricerca del proprio completante percorre tutta
la vita, e la congiunzione con esso è l’appagamento totale
che spiega la ricerca dell’amore. Doppio e amore. Gli
abitanti di Ambone e di Uliasen, due isole sull’equatore,
non lasciano mai la casa verso mezzogiorno, perché in
quelle regioni, a quell’ora, l’ombra
2
scompare ed essi
1
Platone, Simposio, Milano : Oscar mondadori, 1987
2
Il concetto di “ombra” è indistinto, in questa iniziale trattazione
delle antiche credenze sul Doppio, da quest’ultimo, in quanto
18
temono di perdere anche l’anima; mentre alcune
popolazioni credevano che nel bambino rivivesse l’anima
del padre
3
. Doppio e anima protettrice. In Austria,
Germania e nell’ex-Jugoslavia, una nota credenza avverte
che chi, la sera di san Silvestro o della vigilia di Natale,
all’accendersi delle luci non proietta ombra sulla parete,
oppure la proietta senza testa, morirà entro la fine
dell’anno (in Rank, Der Doppelgänger, vedi oltre).
Doppio e morte. Un mito di Tahiti narra che la dea Hina
rimase incinta perché su di lei cadde l’ombra di un albero
del pane, e nella Bibbia, in Luca I, 35, la promessa di
fecondità alla vergine Maria viene spiegata con le parole:
“la potenza dell’Altissimo ti adombrerà”. Doppio e
fecondità. Nel mito di Narciso, il bellissimo giovane si
innamora della propria immagine riflessa, del suo
Doppio, e ne muore
4
(il mito è aggiornato in Wilde e nel
suo Dorian Gray). Doppio e narcisismo.
panoramica delle primitive manifestazioni di pensieri su un “altro”
scaturito dall’uomo. “Ombra” tende a staccarsi da “Doppio” con
l’importante analisi di Carl Gustav Jung.
3
James G. Frazer, I pericoli dell’anima: “L’anima come ombra e
come riflesso”, in Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione,
Torino: Bollati Boringhieri, 1990
4
Nella versione di Ovidio, l’indovino Tiresia sentenzia che Narciso
vivrà finchè non conoscerà sé stesso, richiamando così l’attenzione
19
Quando parliamo di Doppio, non esiste una
definizione precisa (e sarebbe un controsenso averla,
vista l’ambiguità ontologica del tema). Il Doppio
racchiude opposizione e identità. Per questo nel
descrivere miti esemplificativi per l’inizio del viaggio
analitico sul tema non ho fatto differenza tra i concetti di
ombra, riflesso, immagine, anima
5
, essendo necessaria
una inclusione di tutto ciò che è altro-da-sé per coglierne
la profondità e l’ampiezza. La migliore strategia per
avvicinarsi ad un tema così complesso e liquido è quella
di parlarne e mostrarne di volta in volta le facce. In
questo senso l’analisi di chi maggiormente ha riflettuto
sul Doppio in termini psicoanalitici aiuterà ad entrare
(non voglio dire “chiarire” perché appunto di Doppio non
sull’approfondimento della metafora del riflesso come conoscenza
dell’altro sé. Nella versione di Pausania invece vi è un’elaborazione:
Narciso si innamora della sua immagine perché identica alla gemella
morta, portando l’attenzione sulla funzione evocatrice e rassicurante
dell’immagine in riferimento al perduto, di cui tratterò riguardo alla
natura dell’immagine fotografica
5
Nello studio fondamentale di Otto Rank (Der Doppelgänger, in
tedesco «sosia» ma anche «controfigura», «alter-ego»), qui
sviscerato come rappresentativo di un primo interesse scientifico sul
tema, vengono riportati numerosi esempi di identità verbale per
termini come «ombra», «anima», «spirito», «immagine», «eco» (su
tutti, il termine «loàkal» in uso nella popolazione degli indiani
Abiponi), a segnare un’enorme mole di sfaccettature di significato e
analisi rientranti nel tema del Doppio