8
Circoscrivendo il raggio d’analisi al packaging alimentare, si
arriva a considerare Tetra Pak, la società svedese fondata nel 1951
da Ruben Rausing ed Erik Akerlund, che si occupa della produzione
e distribuzione d’imballaggi di cartone e poliaccoppiato per prodotti
alimentari liquidi e semiliquidi, e nella fattispecie Tetra Pak Italiana
SpA, la market sales company italiana, nonché la prima impresa
creata al di fuori dei confini svedesi (a Rubiera, in provincia di
Reggio Emilia, in quella zona che tuttora è definita la food package
valley italiana). L’innovazione principale di Tetra Pak - produrre
contenitori leggeri, pratici, che garantiscano la protezione del
prodotto da agenti esterni – è recepita ed utilizzata quasi da subito
dal mercato italiano, nonostante residuali resistenze delle case
produttrici, legate alla tradizione.
Agli albori del suo ingresso nel nostro Paese, Tetra Pak
Italiana SpA lega il proprio nome ad un prodotto simbolicamente
importante nella vita quotidiana dei consumatori – il latte, grazie
alla fiducia che Parmalat ripone sull’imballaggio in cartone – per poi
estendere il proprio servizio a prodotti variegati come il vino, il
succo di frutta e negli ultimi anni persino prodotti solidi. La piccola
filiale emiliana comincia così a far conoscere il proprio nome, il
proprio marchio, la propria mission aziendale (Cap. 2).
Sul mercato, non ha concorrenti diretti quindi detiene il
monopolio nel mercato del confezionamento per prodotti asettici e
non; la competizione resta attiva con i competitors indiretti – il
vetro, la plastica, la banda stagnata – ma la valutazione nella
scelta dei diversi tipi di confezionamento è condotta dai clienti, in
base alle preferenze ed ai comportamenti dei consumatori finali
(pressoché stabili, poiché essi percepiscono in modo differenziale la
praticità ed immagine dei diversi tipi di confezionamento).
9
Negli anni ‘90 si smuovono le acque in un settore
apparentemente tranquillo, poiché sorgono i primi competitors
diretti di Tetra Pak Italiana (che adesso ha costruito altri
stabilimenti a Modena e Latina, accrescendo la produzione e
investendo nella ricerca per garantire un maggior valore aggiunto
all’azienda, da offrire ai suoi clienti); il mercato subisce leggere
flessioni, che riducono la “già effimera” situazione monopolistica di
Tetra Pak, conducendola verso una situazione di pseudomonopolio,
in cui essa detiene una posizione dominante evidentissima rispetto
alla concorrenza, comportandosi come price leader, e
contemporaneamente cerca di affermare la propria leadership
attraverso strategie di comunicazione integrata business to
business (Cap. 3).
Lo stimolo che ha dato il via a questa ricerca empirica è stato
vedere in tv la pubblicità di Tetra Pak. Perché un’azienda che non
produce prodotti finiti, o meglio li produce ma non per i
consumatori finali – non posso andare al supermercato e comprare
un Tetra Brik – decide d’investire in pubblicità? A chi si rivolge?
Perché lo fa dopo una permanenza sul mercato nazionale di 40
anni? E quali risultati avrà questa strategia di marketing sulle
vendite e sulla situazione aziendale? Tutte domande cui si è cercato
di rispondere attraverso il presente lavoro di tesi.
Differenziarsi dalla concorrenza per Tetra Pak Italiana SpA ha
una doppia valenza, in quanto l’azienda si pone due target
obiettivo: i clienti potenziali ed i consumatori finali. Si osserva
pertanto che Tetra Pak Italiana SpA stia attuando una strategia di
differenziazione rispetto alla concorrenza, con l’obiettivo di
influenzare l’elasticità della domanda, diminuendola. In tale modo,
l’azienda ricerca un effetto distorcente sul meccanismo
concorrenziale - considerando il mercato degli imballaggi nella sua
totalità, con l’apporto di tutte le categorie di competitors – e
10
riafferma la propria posizione di leader, estirpando i concorrenti
diretti dalle possibilità di scelta dei clienti. Le strategie di
comunicazione di Tetra Pak possono pertanto apparire funzionali al
raggiungimento di un aggiuntivo potere monopolistico nei confronti
delle imprese minori che operano nel nostro Paese all’interno del
settore del confezionamento (asettico e non) di prodotti alimentari.
Aumentare le vendite quindi, ed eliminare dal range di scelta dei
clienti i concorrenti diretti.
Nei confronti dai consumatori finali (i cosiddetti consumatori
compratori), invece, le strategie di comunicazione messe in atto da
Tetra Pak Italiana SpA nel triennio 2002-2004 hanno l’obiettivo di
contenere ovvero minimizzare un processo che si definisce di
degenerescenza o lessicalizzazione; questo processo prende atto
quando, più o meno involontariamente, una marca aziendale - che
traduce visivamente la corporate image e le mission di un’azienda -
comincia a coincidere nel comune immaginario dei consumatori con
l’intero settore in cui esso s’inserisce. Quello che potrebbe a prima
vista sembrare un enorme vantaggio per l’azienda rivela in realtà
macabre negatività: se il nome Tetra Pak identifica l’intero settore
dell’imballaggio carton-based in poliaccoppiato, l’affidabilità, la
sicurezza, la storia, il valore aggiunto e quello percepito di Tetra
Pak perdono la propria specificità aziendale ed iniziano a riferirsi a
tutto il settore, pertanto a prodotti qualitativamente diversi, frutto
d’imprese produttrici altrettanto diverse. Si pone per Tetra Pak
Italiana SpA la necessità di riaffermare il proprio marchio
aziendale, di soffermare l’attenzione dei consumatori su un pay off
incisivo – “Protegge la bontà” – che racchiuda la principale mission,
cioè rendere i prodotti disponibili, sempre ed ovunque.
La scelta di confermare queste teorie attraverso l’analisi di
bilancio nasce dalla cosiddetta “cultura del bilancio come strumento
11
di comunicazione”
2
a più livelli: un bilancio ben redatto può essere
un elemento della comunicazione di prestigio, oltrechè della
comunicazione economica, patrimoniale e finanziaria di un’azienda.
Il bilancio, infatti, può esser considerato il miglior strumento
istituzionale possibile perché fornisce notizie (quasi)
obbligatoriamente veritiere sulla ricchezza dell’azienda e sulla sua
veridicità, che non è possibile richiedere ad altri strumenti – si
pensi per esempio alla brochure istituzionale, che può in teoria
mentire mostrando in fotografia fasi di lavorazione o ambienti che
sono esterni all’azienda. La lettura dei bilanci non è destinata
unicamente a specialisti della finanza e dell’economia aziendale,
pertanto i dati dovrebbero essere fruibili e comprensibili anche da
non specialisti. “Molti bilanci non funzionano perché tentano di
essere ogni cosa per ogni genere di pubblico” afferma Noble,
consigliando che per produrre un buon annual report bisogna
essere diretti, cioè semplici.
3
Il periodo che si andrà a considerare nella presente analisi è il
triennio 2002-2004, durante i quali Tetra Pak Italiana ha attuato
svariate modalità di comunicazione integrata (prese in esame
singolarmente nel Cap. 4); l’analisi di bilancio effettuata in questa
sede consiste nella lettura dei tre bilanci (già riclassificati) in modo
da trarre da essi una serie d’informazioni utili per apprezzare la
situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale dell’azienda
esaminata nel periodo considerato,
4
e nell’individuazione d’alcuni
quozienti, detti indici di bilancio, che verifichino un trend positivo
nelle vendite e nella gestione aziendale di Tetra Pak Italiana SpA
(Cap. 5).
2
Iannaccone Mario, 2003, Comunicazione integrata per piccole e medie imprese business to
business, Milano, FrancoAngeli.
3
Noble Martin, 2000, “Being Direct” in The international yearbook of annual reports, New York,
Graphis, pag.19.
4
Pescaglini Antonio & Rino, 2002, Ragioneria generale. Contabilità generale, bilancio e analisi di
bilancio mediante indici, Napoli, Edizioni giuridiche Simone.
12
Ringraziamenti.
Scrivo i ringraziamenti a pochissimi giorni dalla seduta di laurea,
perché nonostante il lavoro di reperimento del materiale, lettura,
scrittura, correzione e rifinitura della mia tesi sia durato parecchi
mesi, non ho neanche per un istante corso il rischio di dimenticare
qualcuno: ognuno ha avuto un ruolo importante nel mio percorso,
emozionale e formativo al tempo stesso. Allora…
Grazie al Prof. Pellegrini, che ha dedicato il suo tempo ed impegno
nella risoluzione di tutti i dubbi che ottenebravano la mia mente
nell’analisi dei bilanci d’esercizio. Il lavoro è lavoro, ma lei non si è
risparmiato: non è successo di rado d’incontrare il custode di
facoltà che doveva serrare tutti gli ingressi alle nove di sera,
mentre noi eravamo davanti al mio pc a lavorare. Per tutto questo,
e per aver accettato da subito il progetto di tesi, le assicuro che
sarà nei miei pensieri.
Tutto il mio amore, i miei ringraziamenti, la mia dedizione vanno
alla mia mamma ed al mio papà. GRAZIE! Io vi amo.
Grazie a Massimo, mio fratello, il mio alter ego, il mio punto di
riferimento, la persona senza la quale non sarei come sono, pregi e
difetti. Sei la persona più importante della mia vita, sempre lo
sarai. Anche se saremo lontani, ti porterò con me e ti proteggerò,
come tu fai da quando io ho respiro.
Grazie ad Enzo, l’altra parte di me, la persona con cui spero di
condividere la vita, almeno per i prossimi ottant’anni. Credo di non
aver bisogno di dirti altro: siamo 1.
Sento di dover ringraziare Daniela e Rosanna, le mie coinquiline, le
mie amiche, la mia famiglia acquisita: due angeli preziosi nel corso
di questi anni insieme, e ancora di più in questi mesi. Il mio
“maldivivere congenito” è passato ai loro occhi senza mai un
lamento, una porta chiusa: ci sono sempre state, pronte ad un
13
sorriso, ad un abbraccio, con la loro meravigliosa presenza nella
mia vita. Dany, grazie anche per i documenti che sono stato utile
sostegno nella ricerca.
Grazie a tutta la mia famiglia dunque, alla mia nonna, a mia zia, a
Marco: ho sofferto quanto voi quando sono partita, ma spero di
rendervi almeno un po’ orgogliosi oggi. Per Marco: grazie per aver
condiviso le angosce e tensioni del periodo pre-laurea…mal comune
mezzo gaudio. Ma tra cugini, anzi Fratelli di genitori diversi, è bene
che sia così. Ci sarò sempre per te.
Un ringraziamento speciale al prof. Peroni, che mi ha consigliato la
prospettiva di pseudomonopolio di cui ho trattato nella tesi: una
situazione concorrenziale non standard mi creava perplessità, che
lei ha dissolto nell’istante di una mail.
Come dimenticare il dottor Roberto Susanna del servizio Telemaco
della Camera di Commercio di Reggio Emilia, che mi ha fornito i
bilanci d’esercizio, come sostegno alla mia ricerca.
Grazie a Lucia, Melita e Claudia, che sono state per me non solo
colleghe di facoltà, ma soprattutto compagne, consigliere, specchi
in cui riflettere le mie gioie e tristezze nei 5anni di vita
universitaria. Ed a Enzo e Riccardo: quel giorno il pc faceva i
capricci e siete stati la mia ancora.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno dedicato il loro tempo ed i
loro sorrisi quando ne avevo bisogno, da Lucy al bibliotecario della
Biblioteca Nazionale.
Grazie a chi leggerà il mio lavoro, grazie a chi lo ha già letto, grazie
a voi tutti.
14
Capitolo 1 Cos’è il packaging?
1.1 Il Packaging tra protezione e comunicazione.
Nonostante una qualche forma di packaging sia sempre stata
utilizzata per contenere e proteggere i prodotti, negli ultimi due
secoli si è verificato un grande sviluppo, soprattutto come risposta
alla domanda commerciale, ed oggi il packaging è molto più
sofisticato e sviluppato di quanto non sia mai stato. La
distribuzione e la vendita al dettaglio dipendono completamente dal
packaging, strumento utilizzato per lo spostamento e la protezione
delle merci nel passaggio dal luogo della produzione a quello del
consumo. La confezione di un prodotto assume anche una funzione
ancillare a quella primaria di proteggere e contenere i prodotti:
essere veicolo d’informazione, quasi un media pubblicitario
portatile, a servizio del produttore e del trade, ma soprattutto del
consumatore.
Le origini del moderno packaging risalgono alla fine del
Diciottesimo secolo, quando la Rivoluzione Industriale introdusse
nuovi processi di meccanizzazione su larga scala, che favorirono la
produzione di quantità sempre maggiori d’articoli. Così, all’esigenza
di conservare e proteggere il prodotto, si unì l’obbligo di
differenziarne ciascuno rispetto a quelli concorrenti: trattandosi
perlopiù di merci deteriorabili, che necessitavano d’elevati gradi di
protezione, si predilesse l’uso di scatole di metallo e banda
stagnata, sicuramente più adatte a tale finalità rispetto a cartone,
plastica o vetro.
Al volgere del Ventesimo secolo, le innovazioni delle tecniche
di produzione favoriscono la realizzazione di contenitori in ogni
forma e materiale, utili non solo ad accompagnare il prodotto fino
al consumatore, ma capaci di rispondere a nuove esigenze, tra cui
15
concorrere col prodotto alla creazione della propria identità-
immagine e renderla riconoscibile all’immaginario del consumatore.
La studiosa Valeria Bucchetti definisce l’involucro una “ricerca di
forme tridimensionali, capaci di contenere in maniera opportuna,
funzionale ed estetica”
5
un bene destinato alla vendita, anche se i
termini opportuno, funzionale ed estetico assumono nel corso del
secolo differenti significati.
All’inizio del Novecento, l’involucro è ancora concepito come
un oggetto totalmente indipendente dal contenuto e non ancora
un’entità comunicativa ad esso legata, pertanto la bellezza, il puro
senso estetico, è un aspetto importante degli imballaggi, che
diventano quasi oggetti da collezionare più che finalizzati al
trasporto, stoccaggio e consumo.
Negli anni Trenta, negli Stati Uniti, dove si è già sviluppato un
mercato e un consumo di massa, il packaging riceve un’attenzione
prima sconosciuta da parte d’alcuni designer, come Raymond
Loewy, che per la prima volta guardano alla confezione nella sua
apparenza, ossia in quell’aspetto progettato per vendere meglio un
prodotto, senza nessun’altra finalità. Nella realtà commerciale entra
un nuovo venditore, un silent salesman
6
, un soggetto non dotato di
parola ma pronto a lanciare messaggi nel circuito linguistico ed
abile a farsi capire. La vera trasformazione nel mondo del
packaging, che ne muta le funzioni in maniera radicale, risale al
dopoguerra ed in particolare agli anni Cinquanta, quando anche
l’Europa conosce il consumo di massa ed i moderni sistemi di
distribuzione. Da questo momento, ciascun prodotto deve avere un
package per accedere al circuito delle merci.
7
5
Bucchetti Valeria alla voce “Packaging” in Storia del disegno industriale III, 1990, Milano, Electa,
p. 368.
6
Pilditch L., 1973, The Silent Salesman, London, Business Books.
7
Kotler Philip, 1984, Marketing Management, Englewood’s Cliffs, N.J., Prentice-Hall (trad. it.:
Marketing Management, 1986, Torino, Isedi.
16
Nel 1984 Kotler asserisce che col termine packaging
s’intendano “le attività volte a progettare e a realizzare il
contenitore, l’involucro e l’imballaggio di un prodotto”. Il diverso
significato dei termini utilizzati concerne le differenti modalità di
presentazione dei prodotti agli acquirenti, negli stadi del processo
di trasferimento dal produttore al consumatore. Quando i centri di
distribuzione e i punti vendita sono riforniti di merci, esse vengono
solitamente consegnate in lotti di notevoli dimensioni, detti pallet, e
suddivise in imballi (cartoni o casse) contenenti un numero
standard d’unità di prodotto; a questo proposito si parla
d’imballaggio “pack”. Nei punti vendita, i prodotti sono
ulteriormente disimballati e posti sugli scaffali singolarmente o in
più unità preconfezionate. Si può adesso parlare di package del
prodotto, che si differenzia in:
ξ Contenitore: il recipiente in diretto contatto con il prodotto
(es. il tubetto del dentifricio).
ξ Involucro: confezione che ingloba al suo interno il contenitore
e non entra in diretto contatto col prodotto. Spesso può
essere sigillato da cellophane o altro materiale trasparente
(es. l’astuccio contenente il tubetto del dentifricio).
ξ Imballaggio: necessario per il trasporto (i cosiddetti cartoni).
Un’ulteriore possibilità è offerta dai multipackage, che, tramite
l’assemblaggio d’incarti trasparenti o di confezioni predisposte allo
scopo, permettono a più unità di contenitori o involucri di essere
venduti congiuntamente (es. confezione da tre tubetti di
dentifricio). La differenziazione in tali tre stadi assume notevole
importanza se si considera quanto la modalità con cui il prodotto
entra in contatto da un lato con l’intermediario commerciale,
dall’altro col consumer, sia esso l’acquirente o il consumatore,
determini l’efficacia del confezionamento stesso.
17
Merce, acquirente, luogo di vendita e produttore sono i
soggetti del mercato, tra i quali si vanno ora ad instaurare nuovi e
differenti rapporti: la confezione da una parte cerca il dialogo
diretto con il consumatore, che ha smarrito il contatto diretto con il
luogo e i soggetti di produzione, dall’altra risponde alle esigenze
distributive, ai problemi di merchandising, cioè
d’immagazzinamento e disposizione dei prodotti nel punto vendita.
1.2 Il packaging come funzione comunicativa diffusa.
Il nuovo concetto di packaging indica un artefatto capace di
articolare un linguaggio proprio, attraverso il quale il produttore
può “far comunicare” il prodotto ed il consumatore esegue le
operazioni d’identificazione e decodifica all’interno della mappa
generale dei beni di consumo, orientando così la propria scelta
d’acquisto. Ed ecco che si moltiplicano e differenziano le funzioni
cui esso è adibito: Philip Kotler le differenzia in protezione ed
economia, funzioni legate alla realtà produttivo-distributiva
dell’azienda, e comodità e promozione, cioè funzioni customer
oriented, che tendono ad acquistare un ruolo sempre più pregnante
attraverso soluzioni innovative ed efficienti.
I fattori che risultano essere decisivi per valutare l’efficacia
del package possono essere identificati nell’acronimo “VIEW”, che
rimanda alle funzioni di:
ξ Visibility, cioè la capacità di un package di “fare un passo
avanti”, emergere alla vista dei consumatori davanti allo
scaffale rispetto ai propri concorrenti;
ξ Informative, che significa saper comunicare la natura del
contenuto dell’involucro immediatamente;
18
ξ Emotional impact, l’evocare nell’immaginario dell’acquirente
impressioni favorevolmente positive che siano conformi alle
scelte della strategia di marketing;
ξ Workability, che si riferisce all’ergonomicità e praticità del
package nell’uso domestico.
8
Si possono diversificare le funzioni del packaging, a prescindere
dalla categoria merceologica di riferimento, anche secondo tre ruoli
chiave:
1 Protezione
2 Comunicazione
3 Esposizione del prodotto
Per alcune tipologie di beni, alcune funzioni hanno un ruolo
predominante rispetto ad altre, sebbene le moderne scelte di
design industriale cerchino di convergere per l’ottimizzazione
simultanea di tutte, non sempre riuscendo nell’intento, per effetto
dei costi o dei limiti dimensionali talvolta imposti. In tali casi, è
ragionevole un tradeoff tra le funzioni
9
.
La protezione ed il contenimento delle merci sono la primaria
funzione cui è chiamato il packaging. La scelta dei materiali
utilizzati deve essere orientata a ridurre i rischi cui i prodotti sono
sottoposti, che possono essere di tipo meccanico, climatico o
biologico: la prima categoria si differenzia in rischi statici (legati
alla permanenza delle merci nei luoghi di stoccaggio e ai rischi di
flessione e compressione) o dinamici (dovuti agli urti o vibrazioni
durante la movimentazione ed il trasporto); la seconda categoria
interessa solo alcune tipologie di prodotti, che necessitano
refrigerazione o in ogni modo la permanenza in condizioni di
temperatura ed umidità prefisse; la terza riguarda le possibili
8
Faison Edmund W. J., “The role of packaging in international advertising” pag.195-202, in
Dunn,1964, International Handbook of advertising, USA, Mc Graw-Hill
9
Urban Glen L., Hauser John R., 1997, Design e marketing dei nuovi prodotti, Torino, ISEDI.
19
alterazioni della qualità del prodotto per opera di microrganismi
(unicellulari come muffe o batteri, o più complessi, come roditori o
insetti). Molti prodotti devono anche esser protetti da odori che
potrebbero danneggiarli; in generale, la normativa vigente si
occupa di porre vincoli ben precisi per tutelare il cittadino e la
qualità del bene finito. Spesso si parla di “rischi di prodotto”,
alludendo a quelle merci che possiedono un grado di pericolosità
intrinseco (si pensi ad alcune medicine oppure agli acidi e solventi
per l’uso domestico): in questi casi, le aziende produttrici di sistemi
di confezionamento puntano fortemente su chiusure di sicurezza
che proteggono l’utilizzatore, esaltandone la sicurezza.
Probabilmente l’accessibilità al prodotto è l’aspetto su cui più
recentemente si sono concentrati i designer, in quanto arriva a
toccare la pura tecnologia laddove vengono proposte soluzioni
all’avanguardia. Basti pensare al tappo del Gatorade: un vero
capolavoro d’ingegneria che permette di aprire e chiudere la
bottiglietta con un semplice gesto e con una sola mano, eliminando
la fatica e i secondi spesi nell’avvitare il classico tappo di tutti i
contenitori per bibite.
Un aspetto di rilievo nella definizione dei prerequisiti
protettivi dei package di prodotto riguarda i costi. Teoricamente il
costo dell’imballaggio non dovrebbe incidere in maniera eccessiva
sul prezzo finale del prodotto, anche se esistono articoli d’alta
gamma sfuggenti a questo requisito: puntare su una confezione
che superi il valore del prodotto significa contare su di essa per
abbattere una concorrenza di pari livello o attribuire al prodotto un
valore aggiunto superiore rispetto a quello che effettivamente
possiede. Negli ultimi anni, i costi destinati alle confezioni sono in
continua crescita, perché il tempo, l’attenzione, la ricerca destinati
a questo settore hanno conosciuto un’ascesa tale che oggi non si
possa pensare d’introdurre sul mercato un oggetto senza
20
imballaggio. Quando l’integrità del prodotto non giustifica un costo
eccessivo del packaging, si può verificare un tradeoff tra le perdite
originate dal tasso di rottura del prodotto ed i costi connessi col
package eventualmente necessario, che segnala il mantenimento di
uno status quo per motivi di convenienza economica.
Inoltre, ci si accorge di come centrale sia nella vendita la
configurazione estetica e la funzione comunicazionale del
packaging. Esso deve comunicare. In altre parole attirare
l’attenzione dell’acquirente, illustrare il prodotto, fornire le
istruzioni per usarlo, rassicurare chi lo compra e generare con lui
un rapporto di fedeltà. In particolari occasioni, per esempio durante
le festività interannuali o nel caso di offerte promozionali, il
packaging base subisce delle modifiche per sottolineare lo speciale
evento. Le scatole parlanti, come definite da Agnese Ananasso,
10
propongono quindi una comunicazione sia visiva sia verbale, in cui
la prima appare rispetto alla seconda meno influenzata da
convinzioni, prevenzioni o conoscenze pregresse dell’interlocutore e
dall’affidabilità, dal potere di persuasione e dalla cultura di chi lo
trasmette.
11
Si minimizza e sovverte la visione di “persuasore
occulto” del packaging, che secondo un approccio psicologico e
psicanalitico alla progettazione degli imballaggi, attribuiva a
caratteristiche specifiche di questi ultimi il potere di scatenare
reazioni inconsce, in grado di manipolare e provocare l’acquisto del
prodotto. La teoria affermata da Giò Rossi ottiene grandi consensi
nell’affermare che per ogni oggetto esista un suo archetipo, cui ci si
riferisce ogni qualvolta lo si ricerchi; un buon progettista
dell’imballaggio deve scoprire ed implementare nella forma, nel
colore, nei grafismi del pack questa simbologia archetipale. Così il
packaging non avrebbe una finalità persuasiva, ma informativa, sia
10
www.larepubblica.it articolo del 07/11/2002.
11
Sicca Lucio, 1990, Il marketing nell’azienda dettagliante moderna, Padova, Cedam.
21
pure a livello inconscio. Il bisogno cui esso risponde è latente, non
indotto dalla vista del contenitore, si rifà ad un universo di
riferimento ricchissimo di segni, attraverso il quale ciascuno
interpreta e classifica i prodotti. La definitiva affermazione del
libero servizio richiede che il packaging dei prodotti di consumo si
faccia indispensabilmente carico di valenze informative e seduttive
per l’acquirente.
Aumenta anche notevolmente la funzione espositiva e di
stoccaggio del packaging: il consumatore finale ed il cliente
intermedio ricercano una razionalizzazione della forma, che
consenta una miglior gestione dello spazio e funzionalità
nell’utilizzo. Il packaging diventa strumento per assecondare
l’esigenza di quei consumatori che scelgono la comodità come
indicatore del proprio benessere: quanto, però, quest’attenzione
alla praticità dipenda dalla richiesta dei consumatori e quanto
corrisponda ad un’esigenza di diversificazione delle aziende è
oggetto di diatribe letterarie. Vale la pena soffermarsi sull’aspetto
della comodità, in quanto s’affacciano quotidianamente sul mercato
soluzioni nuove e differenti, create per offrire garanzie a lungo
termine sulla qualità del prodotto. Contenitori resistenti, facili da
trasportare, funzionali nella fase di stoccaggio, leggeri, riciclabili,
d’ingombro ridotto, riscuotono presso il pubblico un’accoglienza
positiva: basti pensare al Tetra Brik, baluardo storico della Tetra
Pak, società produttrice d’imballaggi in cartone e poliaccoppiato,
che è stato introdotto sul mercato con un alimento ben posizionato
a livello simbolico come il latte ed ha presentato notevoli vantaggi
rispetto al vetro, ottenendo successo anche con altre bevande,
come il succo di frutta proposto in formati adatti all’uso familiare o
al consumo singolo, e conquistando prodotti ricchi di storia e
tradizione come il vino.