La creatività secondo Richard Florida: analisi della classe creativa nella città di Roma
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la grande novità degli ultimi anni: “nel lavoro e negli altri aspetti della vita viene attri-
buito alla capacità creativa un valore più grande che mai” (Florida 2003, p. 23).
La necessità economica della creatività ha trovato espressione nell’ascesa di una nuova
classe definita da Florida “classe creativa” e arrivata a comprendere il quasi il 30% degli
occupati nei Paesi economicamente “avanzati”; gli appartenenti a questa classe si di-
stinguono in quanto impegnati in attività professionali la cui funzione principale è quel-
la di produrre forme nuove e significative e sono suddivisi in due sottosegmenti a se-
conda della natura del processo creativo alla base del loro lavoro:
“nucleo supercreativo”;
“creativi di professione”.
Il nucleo centrale (“nucleo supercreativo”) comprende scienziati e ingegneri, docenti
universitari, poeti e romanzieri, artisti, attori, stilisti e architetti, come pure l’aristocrazia
del pensiero delle società moderne: scrittori di testi non narrativi, dirigenti editoriali, fi-
gure del mondo culturale, ricercatori, analisti e opinionisti. Siano essi programmatori di
software o ingegneri, architetti o registi cinematografici, tutti sono impegnati in un pro-
cesso creativo. Questo livello superiore del lavoro creativo è caratterizzato dalla produ-
zione di nuove forme o nuove soluzioni che siano facilmente riproducibili e largamente
utilizzate.
Al di là del nucleo centrale, la classe creativa comprende anche i cosiddetti “creativi di
professione” cui è affidata tutta una serie di occupazioni ad alto impiego di conoscenza,
quali l’high-tech, i servizi finanziari, le professioni legale e sanitaria, la direzione azien-
dale.
Questi ultimi sono incaricati di risolvere problemi attingendo a un sofisticato complesso
di conoscenze. Quello che si richiede a questi “professionisti creativi” è di applicare o
combinare insieme in modo nuovo gli approcci classici per adattarli alla situazione. Si-
mili persone esercitano molto discernimento e di tanto in tanto sperimentano qualcosa di
radicalmente nuovo. Medici, avvocati e dirigenti, tutti appartenenti alla classe creativa,
fanno un lavoro di questo tipo quando affrontano i diversi casi che si trovano a dover ri-
solvere. Possono anche collaudare e perfezionare nuove tecniche, nuovi protocolli tera-
peutici, nuovi sistemi di management, e perfino svilupparne autonomamente.
L’ambito in cui la nuova classe si definisce è, quindi, essenzialmente economico. Così
come l’aristocrazia feudale derivava potere e identità dal dominio ereditario sulla terra e
Introduzione
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sulle persone e la borghesia dal ruolo mercantile e industriale, i componenti della classe
creativa si identificano come produttori di creatività e la loro presenza diventa condizio-
ne fondamentale per alimentare la produzione di innovazione, ricchezza e sviluppo.
A tal proposito Richard Florida elabora la cosiddetta “teoria del capitale creativo” in cui
sostiene come lo sviluppo economico di una regione o di una città sia guidato dalle scel-
te di localizzazione della classe creativa che preferisce “i luoghi diversi, tolleranti e a-
perti alle nuove idee” (Florida 2003, p. 295). Confutando la tesi New Economy che po-
stula la morte della geografia nell’era della comunicazione e delle reti virtuali,
l’economista americano rivendica la criticità del “luogo geografico”, e in particolar mo-
do della “città”, come unità organizzativa fondamentale per lo sviluppo della nuova
classe creativa e come motore dell’economia.
In particolare l’aspetto rilevante è rappresentato dalla creazione di un modello statistico
in cui Florida si propone di validare l’esistenza di un legame fra presenza di classe
creativa e tre fattori specifici: tecnologia, talento e tolleranza (le 3T). Ovvero, la presen-
za di creativi dovrebbe essere più alta nei contesti urbani caratterizzati dalla presenza di
imprese high-tech e da un elevato numero di brevetti prodotti (la tecnologia); dalla pre-
senza di persone con un elevato livello di istruzione (il talento) e di un numero rilevante
di stranieri e omosessuali (la tolleranza).
Le ricerche compiute dall’economista americano assieme al suo staff in circa 200 città
statunitensi confermano l’esistenza di una correlazione positiva e statisticamente signi-
ficativa fra la presenza di classe creativa e le 3T e hanno dato l’impulso ad estendere
l’approccio all’analisi di realtà diverse da quelle americane.
A tal proposito viene fondato nel 2003 il Creativity Group Europe, un gruppo di ricerca
volto ad applicare queste teorie nel contesto europeo e coordinato dallo stesso Florida
assieme a due studiosi italiani di tematiche economiche: la ricercatrice Irene Tinagli e il
professor Giovanni Padula.
Tra i lavori portati a termine da questo gruppo si segnala, in particolare, L’Italia nell’era
creativa che pone a confronto le 103 città italiane capoluogo di provincia alla luce del
modello teorico delle 3T; i risultati di questo studio, pubblicati tra Maggio e Giugno del
2005 ed apparsi su “Affari e Finanza” supplemento del lunedì del quotidiano La Re-
pubblica, mostrano che Roma batte tutte le altre città italiane nella classifica della crea-
tività.
La creatività secondo Richard Florida: analisi della classe creativa nella città di Roma
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A partire da questa constatazione, basata essenzialmente sugli aspetti quantitativi del
fenomeno, è nata la spinta a intraprendere un percorso individuale di ricerca, dal
carattere essenzialmente esplorativo, volto a far emergere la “fisionomia” della classe
creativa che a Roma risiede e lavora continuativamente e soprattutto quanto i suoi
membri percepiscano la città come “creativa”.
Questa tesi, pertanto, nel suo insieme si propone sostanzialmente tre obiettivi di fondo.
Innanzitutto, sintetizzare i pilastri fondamentali del pensiero di Richard Florida
all’interno di una cornice teorica di riferimento che tenti di spiegare le cause che sotten-
dono le trasformazioni radicali che hanno inciso sul contesto socio-economico a partire
dal secondo dopoguerra.
Il secondo obiettivo consiste nel mostrare la validità del modello statistico delle 3T an-
che in un contesto diverso da quello statunitense. In questo caso si estenderà l’approccio
alle venti città italiane capoluogo di regione e attraverso l’analisi descrittiva dei dati
raccolti nell’ambito del lavoro L’Italia nell’era creativa si individueranno le peculiarità
dell’ “economia creativa” italiana.
Infine, il terzo obiettivo è quello di analizzare, attraverso tecniche appartenenti al filone
della ricerca qualitativa, la classe creativa di un contesto specifico: la città di Roma.
L’indagine svolta lo scorso Ottobre ha previsto la somministrazione a un campione di
“creativi” di un’intervista semistrutturata al fine di individuare nella creative class le
tracce di un’identità condivisa e soprattutto la percezione della città.
L’interpretazione delle informazioni raccolte si è basata sulla cosiddetta analisi erme-
neutica attraverso la quale si è proceduto a scomporre i testi delle interviste registrate
mediante supporto audio e a ricostruire il tutto mediante criteri interpretativi espliciti e
argomentati.
Nello specifico l’architettura della tesi si basa su sei capitoli.
Nel primo si tenterà di diradare la nebbia che avvolge un concetto complesso come
quello di “creatività”; una volta sintetizzati gli apporti più significativi delle varie disci-
pline si tenterà di sviluppare un approccio economico al tema, incardinato sui concetti
di “nuovo” e “utile” riprendendo quanto affermato dal matematico francese Henri Poin-
carè nel 1913: “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano u-
tili" (Poincarè 1946, p. 17).
Introduzione
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Le categorie di “nuovo” e “utile” sono particolarmente significative perché radicano
l’attività creativa nella società e nella storia. Il “nuovo” è relativo al periodo storico in
cui viene concepito; l' “utile” è connesso con la comprensione e il riconoscimento socia-
le. Nuovo e utile illustrano adeguatamente l’essenza dell’atto creativo: un superamento
delle regole esistenti (il nuovo) che istituisca una ulteriore regola condivisa (l’utile). Ed
è appunto il legame tra creatività e utilità a caratterizzare il mondo contemporaneo dal
punto di vista economico, artistico, tecnologico.
La parte finale del capitolo, sulla base di quanto detto, sarà invece dedicata a dare
un’interpretazione “creativa” a quelli che sono ritenuti i passaggi fondamentali della
storia economica dell’uomo.
Nel secondo capitolo dopo aver sintetizzato i processi di trasformazione in corso a parti-
re dal secondo dopoguerra che hanno progressivamente modificato il contesto socio-
economico, l’attenzione si concentrerà sul concetto di “economia creativa” proposto da
Florida nel tentativo di afferrare il senso del nuovo caratterizzato dal ruolo della creati-
vità come fattore chiave dell’economia e della società.
Il terzo capitolo presenterà dapprima le teorie di chi prima di Florida ha speculato in
passato sulla nascita di nuove classi a seguito dei cambiamenti avvenuti nell’economia e
nella società, dopodiché si descriveranno i tratti essenziali della creative class e le tecni-
che di misurazione adottate dall’economista americano per quantificare il fenomeno.
Nel quarto capitolo si passerà ad analizzare il modello statistico messo a punto
dall’economista americano, che si propone di validare l’esistenza di un legame fra la
presenza di classe creativa e tre fattori specifici: tecnologia, talento e tolleranza.
Verranno analizzati singolarmente i fattori e gli indicatori “coniati” da Florida per la
misurazione, prestando particolare attenzione alla “tolleranza”. Questa dimensione, che
sta ad indicare l’apertura di un luogo verso le diversità, rappresenta senza dubbio
l’aspetto caratteristico della “teoria del capitale creativo”.
Nel quinto si mostrerà l’applicabilità del modello statistico delle 3T alle venti città ca-
poluogo di regione dell’Italia. Attraverso un’analisi descrittiva dei dati raccolti
nell’ambito del rapporto di ricerca già citato L’Italia nell’era creativa, si fotograferà lo
stato dell’economia creativa italiana e si faranno emergere le contraddizioni presenti.
Particolare attenzione sarà dedicata al modo in cui sono stati costruiti gli indicatori per
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misurare le 3T, leggermente diverso da quello adottato in The Rise of the Creative
Class.
L’ultimo capitolo sarà interamente dedicato al percorso di ricerca svolto individualmen-
te al fine di analizzare la classe creativa romana. Verranno pertanto descritti in modo
dettagliato i connotati della ricerca prestando attenzione in particolare all’impianto me-
todologico ed infine i risultati elaborati sulla base delle informazioni raccolte.
La tesi è completata da tre appendici; le prime due descriveranno le classificazioni delle
professioni attualmente utilizzate dall’ International Labour Office e dall’Istat. Le ricer-
che sull’ampiezza della classe creativa svolte rispettivamente in Europa e in Italia dal
Creativity Group Europe si basano, infatti, su questi due sistemi leggermente diversi ri-
spetto a quello adottato dall’U. S. Censis e utilizzato da Richard Florida nel suo libro.
La terza appendice riporta, infine, i profili biografici dei nove intervistati appartenenti
alla classe creativa romana e oggetto della ricerca effettuata.
1. CAPITOLO PRIMO
LA CREATIVITÀ COME FORZA ECONOMICA DELLA STORIA
1.1 Premessa storica
L'idea di creatività come abilità degli esseri umani nasce solo nel Novecento perché
l’atto del creare è stato a lungo percepito come un attributo esclusivo della divinità.
Se si gettasse uno sguardo sugli atteggiamenti nei confronti della creatività, osservando
il problema nella prospettiva della lunga durata, si assisterebbe a un progressivo capo-
volgimento di posizioni.
A lungo, infatti, la creatività è stata vista con sospetto; nell’antica Grecia veniva consi-
derata una forma di hybris
2
, una pretesa smisurata di modificare lo stato delle cose ap-
provato dagli dei. Un esempio significativo di ciò si riscontra nella mitologia: Icaro,
scappando dal labirinto di Minosse, viene punito nel suo tentativo di volare troppo in al-
to grazie alla tecnica
3
.
La storia romana, invece, racconta attraverso la penna di Svetonio il caso di un artigiano
che dopo aver inventato un tipo di vetro infrangibile, venne pagato profumatamente
dall’imperatore per non mettere in circolazione il prodotto (Bodei, 2004) .
2
E’la superbia degli uomini nei confronti delle divinità, l’andare oltre, rompere l’ordine. E’ in quel momento
che scatta la ftonos, ossia la legge del contrappasso, l'ineluttabile punizione che non può mai trasformarsi
in perdono perché il suo scopo è quello di ricomporre l'ordine che l'intenzione (non l'azione) dell'uomo a-
veva provato ad infrangere (D’Anna, 1995).
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Nel mondo classico ogni buona scoperta tecnica o teorica è normalmente interpretata
come un’imitazione della natura e delle sue immutabili leggi.
Il primato della natura implica necessariamente quello dell’imitazione, la cosiddetta
mimesis, che riduce di conseguenza i diritti della creatività.
Un caso illuminante, sotto questo punto di vista, è fornito dall’ ostilità per secoli rivolta
alla meccanica, una delle prime manifestazioni della creatività tecnologica.
In origine il termine mechané significa "astuzia", "inganno", "artificio". La meccanica,
il sapere attorno alle macchine, nasce dunque con questo marchio distintivo: è preposta
alla costruzione di entità artificiali, di trappole tese alla natura per catturarne l’energia e
volgerla in direzione dei vantaggi e dei capricci degli uomini, in poche parole strumento
di hybris.
I pregiudizi nei confronti della creatività si mantengono e vengono rafforzati
dall’avvento e dall’affermazione del cristianesimo. Le divinità greche non creano nulla,
perché il mondo è eterno e increato, ma agiscono sulle forze naturali (come il fulmine o
il mare), mentre il Dio cristiano è creatore, anzi l’unico Creatore.
Solo con l'età moderna inizia il progressivo apprezzamento e lo sdoganamento della
creatività come facoltà degli uomini prima in campo artistico e poi negli altri contesti.
A partire dal Settecento si hanno buone ragioni e buoni indicatori per constatare effettivi
progressi dell’umanità: la vittoria sul vaiolo grazie al vaccino di Jenner, il parafulmine,
la mongolfiera, che dà l’assalto al cielo, mitica sede degli dei. Si sviluppa così il pathos
prima sull’innovazione e, a partire dai primi decenni del Novecento (quando il termine
venne coniato), sulla "creatività" stessa (Bodei, 2004).
La natura non è più oggetto da imitare nella sua fissità, ma nel suo dinamismo alla Bra-
que o alla Balla (Legrenzi 2005).
Ogni manifestazione di creatività, che spezza i vincoli dell’esistente e sembra dapprima
"anarchica", obbedisce in realtà a nuovi vincoli; ossia, come dicono, rispettivamente,
Gregory Bateson o Max Wertheimer, "riquadra" i problemi e mostra la sua capacità di
"ristrutturazione mentale" (Melucci, 1994).
3
Icaro, figlio di Dedalo, è una figura della mitologia greca. Il mito racconta che Minosse, re di Creta, ave-
va dato ordine a Dedalo di costruire un labirinto talmente intricato dal quale nessuno sarebbe potuto usci-
re, per rinchiudervi il Minotauro. Una volta costruito il labirinto, Minosse vi rinchiuse Dedalo e lo stesso Ica-
ro per evitare che il segreto fosse rivelato. Ma Dedalo riuscì a trovare un modo per fuggire: costruì due
paia di ali e le fissò con la cera alle sue spalle e a quelle del figlio. Icaro prese così il volo, ma non segui i
consigli del padre e si avvicinò troppo al sole. La cera si sciolse e le ali si staccarono: cadde in mare, vici-
no a Samo, e morì. (D’Anna, 1996).
La creatività come forza economica della storia
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Qualcosa di simile afferma anche il matematico Henri Poincaré, quando definisce, nel
1913, la creatività come la capacità di unire elementi esistenti con connessioni nuove,
che siano utili. Ed è, appunto, il legame, tra creatività e utilità che caratterizza il nostro
mondo contemporaneo dal punto di vista economico, tecnologico, artistico, e mentale.
Questo preambolo storico è sembrato doveroso per iniziare a contestualizzare l’idea di
creatività; nelle pagine che seguono si mira a diradare ancor di più la nebbia che avvol-
ge un concetto tirato da una parte o dall’altra a seconda della disciplina in oggetto.
Il capitolo si divide in tre parti. Nella prima si analizzerà la creatività da un punto di vi-
sta semantico. Un esercizio di sociolinguistica utile per distinguere questo concetto dai
suoi simili.
Nella seconda parte saranno passati in rassegna gli apporti più significativi di varie di-
scipline; pur non rientrando negli intenti di questo lavoro un’analisi dettagliata di tutti i
vari contributi, questa panoramica, che non vuole avere pretese di esaustività, permette-
rà di sottolineare quelli che sono ritenuti, dopo decenni di studi, i tratti fondamentali del
della creatività e di giungere a una prima definizione del concetto.
L’ultima parte spiegherà come la creatività sia da sempre il motore economico della sto-
ria dell’umanità dando un’interpretazione “creativa” a quelli che sono ritenuti i passaggi
fondamentali della storia economica.
1.2 Analisi semantica della creatività
Il concetto di creatività è uno dei più controversi e difficili da comprendere.
Per disporre, quindi, di un punto di riferimento relativamente neutro sarà utile partire da
un dizionario; nel caso specifico l’ultima edizione del “Devoto-Oli” (2004), per cercare
di chiarire cosa s’intende per creatività (e i suoi “derivati”) almeno da un punto di vista
semantico.
La parola in esame, che compare nei dizionari solo alla fine del Ventesimo secolo, viene
così definita: “capacità produttiva della ragione o della fantasia” e ancora “talento crea-
tivo, inventiva”, “facoltà inventiva”.
L’aggettivo creativo ha, invece, una storia di parecchi secoli, ma con il significato di ciò
“che è pertinente la creazione”, “che ha la qualità, l’abilità o il potere di creare”. Il ter-
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mine viene, quindi, ricondotto alla sua radice cosicché diviene essenziale rifarsi alle de-
finizioni più ampie proposte per il verbo creare (di cui va notato che la radice latina è
comune a quella del verbo crescere); creare: “produrre dal nulla” (specialmente riferito
a esseri divini); “far nascere qualcosa di nuovo elaborando in modo originale elementi
preesistenti”, “inventare, ideare, suscitare”; “eleggere, nominare”; e ancora “procreare,
generare”.
Così come è accaduto al corrispettivo francese, l’antico aggettivo creativo ha trovato
una nuova vitalità ed estensione per influenza dell’inglese creative, trascinandosi dietro
anche il derivato creatività.
Nell’Oxford Dictionary (2002) l’aggettivo creative indica l’uso di quelle skills necessa-
rie per produrre qualcosa di nuovo o un lavoro artistico.
4
Nel Cambridge Dictionary (2001) creative sta per produrre o usare idee originali e inu-
suali.
5
Grazie a queste contaminazioni l’aggettivo creativo a partire dagli anni Settanta si è ca-
ricato di connotazioni che lo rendono sinonimo di “produttivo”, “inventivo”, “fantasio-
so” e sopratutto l’aggettivo si è anche trasformato con una interessante distorsione in un
sostantivo che riguarda una specifica attività professionale (“chi elabora annunci pub-
blicitari”, indica lo Zingarelli per la prima volta nel 1970).
A partire da questi elementi, una prima ricognizione dei nuclei semantici del termine
creatività permette di osservare che:
la creatività ha a che fare con la dimensione inventiva. Essa implica dunque una
particolare propensione a ideare, su un piano che può essere astratto o concreto
purché contrassegnato dall’estro;
essere creativi significa essere particolarmente in grado di creare, ovvero di far
nascere, qualcosa di nuovo;
la creatività può rivelarsi anche in una speciale attitudine combinatoria: che si
esercita su elementi preesistenti, ma riuscendo a elaborarli in modo originale
(ossia scoprendone nuove connessioni).
Da questi elementi emerge, inoltre, una forte positività della parola: in tutti i suoi signi-
ficati e nuclei semantici la creatività appare connotata euforicamente, come valore otti-
4
“involving the use of skill and the imagination to produce sth new or a work of art” (Oxford Dictionary,
2002)
5
“producing or using original and unusual ideas” (Cambridge Dictionary, 2001)
La creatività come forza economica della storia
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mistico o moraleggiante, che giunge fino a evocare un’aura di ispirazione divina. Ne
fanno prova i contrari del verbo creare, tutti marcatamente negativi (distruggere, uccide-
re) o comunque disforici (abolire, sciogliere, destituire). Che la radice latina di creare ri-
sulti poi in comune con quella di crescere, infine, non fa che confermare, sia pure alla
lontana, le valenze euforiche del termine (Melucci, 1994).
1.2.1 Le metafore della creatività
“Quando le figure retoriche sono usate in modo creativo esse non servono solo ad abbel-
lire un contenuto già dato, ma contribuiscono a delineare un contenuto diverso” (Eco
1985, p. 347).
Il senso di questa citazione di Umberto Eco, presa dal paragrafo del suo Trattato di se-
miotica generale concernente il tema “Metafora e metonimia” risulta di grande interesse
per il ragionamento che qui si sta facendo; alcune delle metafore che adesso si presente-
ranno, tratte dal libro di Alberto Melucci Creatività: miti, discorsi, processi (1994), in-
fatti, non fanno che ritradurre, in modo “abbellito”, i campi semantici della parola crea-
tività considerati precedentemente. Altre invece, più “creative”, tendono a modificarne
parzialmente il contenuto. Le une e le altre si prestano comunque a qualche utile consi-
derazione.
Tra le metafore del primo ordine, reperibili in nuce nelle definizioni del vocabolario, si
ritrovano in particolare le seguenti:
la “metafora della creazione dal nulla”. Viene accostata sovente alla figura dell’
imprenditore, per il quale una delle spinte più grandi alla realizzazione
dell’impresa creativa sembra essere proprio la visione di qualcosa che non esiste
ancora e il senso di poterla creare (costruire, produrre);
la “metafora della gestazione e del parto”. Questa appare la rappresentazione
simbolica più diffusa. Fortemente radicata nel frasario attinente la creatività (pe-
riodo di incubazione, concepire, generare e partorire un’idea, sgravarsi
dell’opera ecc.);
la “metafora del mosaico”. Si pone l’accento sul carattere creativo di ogni pro-
cedimento in cui, a partire da elementi preesistenti, si perviene a qualcosa di
nuovo, cogliendo tra questi relazioni inattese. Rispetto alle metafore sopra elen-
cate, si configura come più possibilista: la creatività non deve essere per forza
La creatività secondo Richard Florida: analisi della classe creativa nella città di Roma
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assoluta ma può anche venire da una ricombinazione, ingegnosa, di “cose vec-
chie”.
Le metafore del secondo ordine, che vanno per qualche aspetto al di là delle definizioni
offerte dal vocabolario, sono più numerose. Tra quelle di maggior pregnanza si indicano
le seguenti:
la “metafora della luce”. Tralasciando la classica figura della “lampadina”, il
simbolismo dell’illuminazione e della luce viene richiamato frequentemente
quando si parla di creatività. Questa traduzione metaforica è palesemente favori-
ta da svariate espressioni verbali concernenti il momento della scoperta (rendere
chiaro, portare alla luce, gettare luce, brillante, illuminante ecc.);
la “metafora del godimento sessuale”. Descrive lo slancio creativo non solo co-
me fase straordinaria, ma come concentrazione unica di energie mentali e corpo-
ree fuse passionalmente, vero e proprio climax di emozioni e sensazioni, rispetto
a lunghe fasi preparatorie di esercizio e di mestiere;
la “metafora del labirinto”. Da un “groviglio”, un “ginepraio”, che rappresenta
l’impasse in cui si trova bloccato il pensiero comune, l’idea creativa è quella che
consente di imboccare un sentiero mai esplorato prima, e quindi di individuare la
via di uscita.
Confrontando questo secondo insieme di metafore con la definizione del vocabolario,
data all’inizio, non è difficile rendersi conto che tutte, in misura variabile, tendono a
modificare il campo semantico della parola creatività, ampliandolo o “tirandolo” in una
direzione o nell’altra.
In sé, difatti, il termine non ricopre, per esempio, né il simbolismo della luce, né
l’abbandono del godimento sessuale, né la nozione di un sentiero per uscire dal labirin-
to. Eppure, queste metafore così “sfuocate” risultano in realtà immediatamente com-
prensibili, e per vari aspetti molto significative.
1.2.2 Creatività, fantasia, immaginazione
Nella lingua italiana , fantasia e immaginazione sono termini spesso utilizzati come si-
nonimi di creatività.
Inoltre un qualsiasi dizionario dà a queste parole delle definizioni abbastanza simili.
La creatività come forza economica della storia
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Bruno Munari, artista e designer italiano che da oltre venti anni si occupa di creatività,
osserva che esistono alcune differenze tra creatività, fantasia ed immaginazione. Nel suo
libro più celebre, Fantasia (1977), l’autore giunge alla conclusione che la fantasia può
anche non tener conto della realizzabilità o della funzionalità di un’idea.
Mentre lavorare di fantasia significa “inventare, immaginare cose non vere”, creare si-
gnifica “produrre dal nulla” e quindi realizzare cose concrete (Munari 1977, p. 17).
Immaginazione, a sua volta, non è sinonimo di fantasia se si accoglie l’osservazione di
Munari secondo il quale “la fantasia pensa, l’immaginazione vede” (Munari 1977, p.
19).
Per chiarire meglio questi concetti si può fornire un esempio.
L’invenzione della candid camera è frutto del pensiero creativo. Fino a quel momento il
cinema aveva sempre utilizzato attori consapevoli di essere attori. Il metodo della can-
did camera esce da questo schema ed utilizza come attori, persone inconsapevoli di es-
sere filmate. Il tutto viene non solo pensato, ma, come è noto, realizzato e ne viene fuori
uno spettacolo molto divertente (Melucci, 1994).
La fantasia è la facoltà di pensare quante varianti si potrebbero fare sul tema della can-
did camera, anche senza realizzarne alcuna.
L’immaginazione è una cosa diversa. Alcune persone, coinvolte a loro insaputa da una
troupe che sta realizzando una candid camera, intuiscono che c’è qualcosa di strano,
immaginano una telecamera nascosta dietro a uno specchio e mandano a monte tutta la
macchinazione. L’immaginazione è la capacità di vedere ciò che tutti non vedono.
1.2.3 Idea, invenzione, innovazione
Si vuole concludere il cammino intrapreso nell’universo semantico della creatività cer-
cando di fare chiarezza su altri tre termini ad essa spesso connessi: idea, invenzione e
innovazione.
L’idea è “un prodotto astratto di persone che interpretano fatti o esprimono emozioni”
(Devoto-Oli, 2004). L’elemento importante di questa definizione è che un’idea , finché
resta tale, è solamente un prodotto astratto.
Il termine viene spesso utilizzato in riferimento alla fase di incubazione che precede una
invenzione o innovazione. Quali sono le differenze fra un’invenzione e un’innovazione?
La creatività secondo Richard Florida: analisi della classe creativa nella città di Roma
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Mentre l’invenzione deve avere come caratteristica l’assoluta novità, l’innovazione può
avere solamente qualche elemento d novità rispetto a quanto esiste nel contesto in cui è
applicata.
Ad esempio, il laser è un’invenzione, il lettore di compact disc che utilizza la tecnologia
laser è un’innovazione.
L’invenzione usa la stessa tecnica della fantasia ma finalizzandola ad un uso pratico. Si
inventa un nuovo motore, una formula chimica, un materiale, uno strumento, ecc. Di so-
lito l’inventore non si preoccupa del lato estetico della sua invenzione. Ciò che importa
per lui è che la cosa inventata funzioni veramente e serva a qualcosa.
Come si lega la creatività a questi concetti?
Il punto di riferimento è ancora una volta Munari secondo il quale la creatività è “un uso
finalizzato della fantasia, anzi della fantasia e dell’invenzione in modo globale” (Munari
1977, p. 22).
L’immaginazione è il mezzo per visualizzare, per rendere visibile ciò che la fantasia,
l’invenzione e la creatività, pensano. Mentre la fantasia, l’invenzione e la creatività pro-
ducono qualcosa che prima non c’era, l’immaginazione può immaginare anche qualcosa
che già esiste ma che al momento non è presente.
1.3 La creatività nel dibattito scientifico
Nelle pagine precedenti si è voluto far chiarezza su un concetto tra i più difficili da in-
quadrare e si è cercato di diradare la nebbia che lo circonda almeno da un punto di vista
semantico.
Adesso è il momento di iniziare un discorso più complesso riguardante gli apporti disci-
plinari a questo tema.
La parola “creatività”, come si è visto, è recente e corrisponde a uno sviluppo molto
moderno del modo di pensare l’attività umana, che è maturato principalmente in ambito
filosofico e psicologico dalla fine dell’Ottocento e ha avuto da allora una crescita pro-
gressiva all’interno del dibattito scientifico e della ricerca teorica. Non c’è dubbio però
che solo dagli anni Sessanta, a partire dagli Stati Uniti, l’interesse verso la creatività ha
subito un incremento massiccio e una diffusione accelerata, con l’espansione delle ri-
La creatività come forza economica della storia
15
cerche, la creazione di istituti e le applicazioni in campo organizzativo. Contemporane-
amente il linguaggio della creatività si è diffuso dal mondo ristretto degli specialisti alla
vita quotidiana della gente comune ed è iniziato a venir meno quell’alone mistico che
per secoli l’ha circondata.
Entrando nello specifico, nel boom del discorso sociale sulla creatività convergono al-
meno tre tipi di competenze che hanno fornito il lessico e le coordinate culturali per
l’assimilazione di questo termine nel linguaggio di ogni giorno
6
.
Anzitutto, al fenomeno ha certamente contribuito l’estendersi di conoscenze propria-
mente psicologiche su questo tema, che ha coinciso con la crescita del paradigma cogni-
tivista in psicologia: l’interesse per i processi della mente che sostengono le nostre fa-
coltà cognitive ha fatto della creatività un oggetto specifico di indagine, fornendo una
base consistente di teorie, di osservazioni e di dati (Calvi 1966; Sbisa 1976; Rubini
1980; Sternberg 1988; Trombetta 1990).
Il secondo filone di contributi, più eterogeneo e più difficile da qualificare in termini di-
sciplinari, si potrebbe chiamare psico-sociale: occupandosi dei rapporti tra creatività ed
eccellenza, soprattutto in campo artistico e scientifico (Harman, Rheingold 1986; Briggs
1989; Gardner 1987, 1993), ha contribuito alla diffusione di quella equazione, spesso
scontata nel discorso quotidiano, che porta a qualificare come creativo qualunque ogget-
to, individuo o attività vagamente collegati alla nozione di “talento”.
Il terzo filone è sicuramente quello di maggiore interesse applicativo e che ha avuto ne-
gli ultimi vent’anni la sua maggiore visibilità; si occupa di creatività nella pratica, so-
prattutto nella pratica delle organizzazioni, quindi nel management, nella comunicazio-
ne, nella presa di decisioni (Drucker 1985; Osborn 1990; Jaoui 1991; Raudsepp 1991;
De Bono 1992; Demory 1993).
Negli ultimi tre decenni, quindi, la questione su cosa fosse realmente la creatività si è
imposta all’interno del dibattito scientifico travalicando i confini di diverse discipline,
variamente definite come scienze del comportamento, scienze cognitive e scienze socia-
li e ha visto convergere notevoli investimenti teorici e di ricerca.
Fin qui il discorso generale; in maniera più specifica si può vedere come le varie disci-
pline abbiano toccato aspetti diversi della creatività.
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Tra parentesi saranno indicati i nomi degli autori più significativi appartenenti a quel filone; le date indica-
no l’anno di pubblicazione dei libri più importanti sull’argomento in questione.