V
Per quanto insufficiente a spiegare un approccio tanto insolito ed
innovativo, l’articolo bastò a suscitare il mio interesse e la mia curiosità,
facendomi nascere il desiderio di saperne di più: avevo trovato l’argomento
della mia tesi di laurea.
Data la novità dell’argomento e la conseguente scarsità di una letteratura
al riguardo, il mio lavoro si è costruito prevalentemente attraverso saggi,
ricerche ed articoli pubblicati su Internet, partendo però da due stabili pilastri.
Da un lato, naturalmente, il libro del professor Cova; dall’altro il testo che
meglio di qualsiasi altro delinea lo scenario e la condizione sociale su cui il
marketing tribale fa leva, ossia Il tempo delle tribù
3
, del sociologo francese
Michel Maffesoli. Da questa prima bibliografia sono nati i primi due capitoli,
che forniscono al lettore gli strumenti per comprendere appieno le basi, la
filosofia e la strategia operativa del marketing tribale.
Il primo capitolo costituisce la parte più sociologica della mia tesi, presentando
quell’ipotesi postmoderna secondo la quale il nuovo millennio avrebbe portato
con sé la fine dell’Individualismo e la rinascita delle tribù. Dopo aver spiegato
le peculiarità di queste nuove tribù postmoderne, il capitolo si chiude con un
paragrafo dedicato alle tribù della Rete, “luogo” in cui il neotribalismo
postmoderno trova spazio e conferma.
Il secondo capitolo è invece interamente dedicato al marketing tribale, con un
interessante paragrafo introduttivo che delinea quella nuova – e mediterranea –
visione del consumo (e dei consumatori) che sta alla base della strategia
proposta da Cova. Guardando alla società da un punto di vista microsociale, la
scuola mediterranea vede infatti il consumo come un modo per instaurare
legami con gli altri e sottolinea l’emergere, nel comportamento dei consumatori,
di un marcato interesse per i legami e le identità sociali generati dai prodotti, più
che per i prodotti stessi.
Una volta approfondito l’argomento e compresa la filosofia del
marketing tribale, ho voluto focalizzare il mio discorso su un aspetto più
specifico e al tempo stesso più pratico. Dopo aver parlato di tribù che nascono
attorno ad una passione comune e possono essere “sfruttate” da un’azienda
grazie al marketing tribale, infatti, ho voluto concentrare la mia attenzione sulle
tribù che nascono – ma soprattutto possono essere costruite – sulla passione per
un marchio. Ho introdotto così, nel terzo capitolo, il concetto di brand
community e quello, ancor più recente, di tribal branding. Dato il mio personale
interesse per la comunicazione mediata dal computer e per le nuove forme di
3
Maffesoli, 2000.
VI
socialità on-line, ho poi spostato il mio discorso sul ruolo che può giocare
Internet in una strategia di tribal branding, evidenziando come sia possibile
promuovere e rafforzare il proprio brand attraverso le community on-line. Il
terzo capitolo si conclude infine con un lungo paragrafo dedicato a come si
costruisce una community on-line di successo, volto a fornire al lettore (e ancor
prima alla sottoscritta) le conoscenze necessarie per poter analizzare e giudicare
una comunità on-line.
Nel quarto ed ultimo capitolo, infatti, ho voluto confrontare con la realtà
quanto sostenuto nei capitoli precedenti, presentando – attraverso l’osservazione
e l’analisi della community on-line My Nutella – un esempio concreto (ed
italiano) di tribal branding on-line. La ricerca svolta sulla community promossa
da Ferrero mi ha permesso di toccare con mano i vantaggi e le implicazioni del
marketing tribale e del tribal branding, convincendomi definitivamente del
fascino e delle potenzialità che questi nuovi approcci al marketing portano con
loro. In futuro, ora non ho dubbi, ne sentiremo parlare ancora.
CAPITOLO PRIMO
Il neotribalismo postmoderno
[…] il tribalismo, in tutti i campi, sarà il valore
dominante per i decenni a venire; […].
Michel Maffesoli
Quello di “tribù” è un termine quanto mai di moda. Proposto circa
vent’anni fa dal sociologo della Sorbona Michel Maffesoli «per illustrare la
metamorfosi del legame sociale»
1
, è stato spontaneamente ed ampiamente
utilizzato da intellettuali e giornalisti, ed è ormai entrato a far parte del linguaggio
quotidiano. Oggi, non ci sono più dubbi, viviamo nel «tempo delle tribù».
Per comprendere appieno l’emergere del fenomeno tribale e descrivere
così l’attuale condizione sociale, tuttavia, è necessario porsi in una prospettiva
storica e collocare il concetto di “tribù” nel più vasto ambito da cui trae origine:
l’ipotesi postmoderna. Secondo i fautori della sociologia postmoderna, staremmo
vivendo un cambiamento epocale, altrettanto profondo di quello che portò dal
Medioevo al Rinascimento: il passaggio al nuovo millennio avrebbe segnato la
fine dell’Era Moderna e l’inizio di quella Postmoderna (figura 1.1).
Figura 1.1 L’ipotesi postmoderna
(TARDA ERA MODERNA)
2000
ERA MODERNA ERA
POSTMODERNA
1500
ERA PREMODERNA
(Medioevo)
500
Fonte: elaborazione propria.
1
Maffesoli, 2000; trad. it. p. 12.
2
1. L’ipotesi postmoderna.
Il progetto moderno che, dal Rinascimento in poi, ha dominato e guidato le
società occidentali, era fondato sui concetti di progresso e di affrancamento
individuale. Tutto ciò che si definiva “tradizione” era visto come un ostacolante
retaggio medievale da cui era necessario liberarsi, ed il legame sociale era
considerato come qualcosa che tiene insieme gli individui intralciandoli. Così,
cercando di realizzare l’ideale illuminato dell’individuo affrancato da ogni
costrizione sociale, l’uomo moderno ha lottato per liberarsi dalle superstizioni
religiose, dal peso dei vincoli di sangue e dalle istituzioni tradizionali (famiglia,
stirpe, paese, fede religiosa), facendo appello a nuove – e più impersonali –
istituzioni, quali lo Stato-nazione o la classe sociale. Per realizzare la propria
liberazione, quindi, l’uomo moderno ha opposto all’intimità, all’emozione e alla
vicinanza delle relazioni tradizionali (fondate sull’idea comunitaria)
l’impersonalità, la razionalità e l’universalità delle relazioni moderne (fondate
sulla nozione di contratto sociale), finendo con lo sviluppare un’economia di
mercato che ben presto si è rivelata il più forte agente disgregatore delle vecchie
comunità. Il campo della libertà individuale, infatti, si è esteso al punto da
risultare, oggi, pressoché illimitato. Non è più circoscritto all’economia, alla
politica o ad altri campi del sapere, ma ha incorporato anche i costumi e la vita
quotidiana nella sua interezza: mai come oggi l’individuo – nelle sue scelte
pubbliche e private – è stato così libero. Mai come oggi, tuttavia, è stato così solo.
La fine del XX secolo, infatti, ha visto sgretolarsi, se non proprio crollare,
quell’insieme di sistemi e utopie che costituivano per lui saldi punti di
riferimento: il lavoro, la famiglia, la politica, la religione. Il processo di
affrancamento individuale, avvenuto per tappe successive (libera scelta del
coniuge, emancipazione femminile, conquista del tempo libero, rivoluzione
sessuale, ecc.), ha finito quindi col far perdere all’individuo i propri sostegni, la
propria identità. Di conseguenza, negli anni Ottanta, il tema della libertà –
strettamente legato a quello di progresso – ha perduto la sua energia e ha smesso
di rappresentare un’ideologia positiva, trasformandosi, al contrario, in una fonte di
inquietudine e sradicamento.
La società del terzo millennio va quindi costruendosi sulle rovine della fiducia
nella libertà e nel progresso, ed è postmoderna proprio in tal senso.
3
Il primo a parlare di «condizione postmoderna» fu, nel 1979, Jean-
Francois Lyotard. Con il suo La condizione postmoderna: rapporto sul sapere
2
, il
termine “postmoderno” – una volta utilizzato soltanto nel campo dell’arte, della
letteratura e della scienza – viene esteso anche al campo della filosofia e delle
scienze sociali, ed assurge a vera e propria categoria interpretativa della società –
e dell’epoca – attuali. Ma quali sono, in definitiva, le caratteristiche ed i valori di
questa nostra era postmoderna?
Secondo una corrente del pensiero sociologico, incarnata da Gilles
Lipovetsky
3
, la Postmodernità sarebbe caratterizzata da un esasperato
individualismo, logico punto d’arrivo della moderna ricerca di affrancamento da
ogni legame sociale (tradizionale o moderno che fosse). L’individuo
postmoderno, libero da vincoli e sganciato da ideali collettivi, sarebbe quindi
caratterizzato da un’estrema mobilità (tanto sul piano spaziale quanto su quello
sociale) e da una pressoché totale autonomia: un nomade senza più agganci
sociali, o quasi. L’epoca postmoderna sarebbe dunque, secondo Lipovetsky,
l’epoca dell’uomo qualunque, costretto ad impegnarsi in un’azione individuale al
fine di produrre e mostrare la propria esistenza, costretto a “diventare qualcuno”
per potersi distinguere da tutti gli altri. Lo sviluppo dell’industria e del
commercio, e la diffusione dell’informatica in ogni ambito della vita umana,
inoltre, avrebbero esacerbato questo individualismo postmoderno, provocando un
processo di accentramento egoico: a casa propria, l’individuo sarebbe ormai
sollevato da tutte quelle alienanti occupazioni residue della tradizione e, senza
alcuna necessità di un contatto sociale fisico, sarebbe in grado di ottenere più o
meno tutto ciò di cui ha bisogno. Secondo questa corrente di pensiero, quindi, la
Postmodernità sarebbe un’epoca di esasperato individualismo e,
conseguentemente, di generalizzata frammentazione sociale.
Secondo un’altra – ed oggi più accreditata – corrente di pensiero, invece,
l’individualismo caratterizzerebbe solo quella breve epoca di transizione che è la
Tarda Modernità. Principale sostenitore di questa tesi è il sociologo francese
Michel Maffesoli: «capita spesso di leggere, e di sentire, che l’individuo e
l’individualismo sarebbero gli elementi fondamentali del nostro tempo. […] Basta
osservare l’importanza della moda, dell’istinto d’imitazione, delle pulsioni
gregarie di ogni ordine, delle molteplici isterie collettive e degli affollamenti
musicali, sportivi, religiosi, […], per convincersi del contrario»
4
. Maffesoli a
questo proposito parla di «saturazione» del concetto di Individuo e, di
2
Lyotard, 1979.
3
Lipovetsky, 1983 e 1987.
4
Maffesoli, 2000; trad. it. p. 19.
4
conseguenza, del suo supporto teorico, l’Individualismo: «la vita in società non si
fa più a partire dall’individuo potente e solitario, fondamento del contratto sociale,
della cittadinanza voluta o della democrazia rappresentativa difesa in quanto tale.
La vita in società è prima di tutto emozionale, fusionale, gregaria; […] stiamo
tornando in tutti i campi alla passione comunitaria. Da essa ci si può difendere,
ombrare, proteggere, o si può anche negarla; tutto questo non cambia nulla poiché
la tendenza che ci spinge verso l’altro, che ci spinge a imitarlo, è davanti ai nostri
occhi»
5
.
Laddove Modernità e Tardo Modernità sono connotate dal processo di
affrancamento individuale e dal trionfo dell’individualismo, la Postmodernità
sarebbe dunque caratterizzata dall’avvento di un movimento contrario, ossia da
tentativi di riaggregazione sociale, nell’ansiosa ricerca di un legame sociale di
tipo comunitario. Il soggetto postmoderno, liberatosi completamente dai suoi
legami sociali (tradizionali o moderni che fossero), ricercherebbe «una
ricomposizione sociale sulla base di libere scelte emotive»
6
. A differenza del
periodo moderno (astratto, razionale e dominato dalla differenziazione), quello
postmoderno sarebbe un periodo «empatico», dominato «dall’indifferenziazione,
dalla “perdita” in un soggetto collettivo», ossia da quello che Maffesoli chiama
«neotribalismo»
7
. Infatti, prosegue il sociologo francese, «se la distinzione è forse
una nozione che si applica alla Modernità, essa è tuttavia totalmente inadeguata a
descrivere le diverse forme di aggregazione sociale che vedono la luce. Esse
hanno contorni indefiniti: il sesso, l’apparenza, i modi di vita e l’ideologia sono
sempre più qualificati con termini (“trans…”, “meta…”) che superano la logica
dell’identità e/o quella binaria. In breve, e dando a questi termini l’accezione più
forte, si può dire che assistiamo alla tendenziale sostituzione di un sociale
razionalizzato con una socialità a dominante empatica»
8
.
Aspetto fondamentale di tale sostituzione è secondo Maffesoli lo slittamento
dall’individuo (che esercita la sua funzione in raggruppamenti contrattuali) alla
persona (che recita dei ruoli nelle tribù affettive). «[…] l’individuo è libero,
contrae e si inscrive all’interno di rapporti egualitari: è ciò che serve da base al
progetto, o meglio all’atteggiamento proiettivo (i.e. la politica). Al contrario la
persona è tributaria degli altri, accetta un dato sociale e si inscrive all’interno di
un insieme organico. In una parola possiamo dire che l’individuo ha una funzione,
5
Ibidem, pp. 21-22.
6
Cova, 2003; p. 10.
7
Maffesoli, 2000; trad. it. p. 39 (corsivo mio).
8
Ibidem, p. 40.
5
la persona un ruolo»
9
. Il soggetto postmoderno non è, dunque, l’individuo
dall’identità stabile, ma la persona eterogenea che, capace di una molteplicità di
ruoli, partecipa ad una molteplicità di tribù, riuscendo così a vivere la propria
pluralità intrinseca (figura 1.2).
Figura 1.2 Dal sociale razionalizzato alla socialità empatica
SOCIALE SOCIALITÀ
(Modernità) (Postmodernità)
Struttura meccanica Struttura organica
Organizzazioni economico-politiche Masse
Individui VS Persone
(funzione) (ruolo)
Raggruppamenti contrattuali Tribù affettive
Fonte: adattamento da M. Maffesoli, 2000.
«[…] in opposizione a un sociale razionalmente pensato e organizzato», quindi, la
socialità di fine secolo sarebbe «solo una concentrazione di piccole tribù che si
impegnano, alla meglio, ad aggiustarsi, ad accomodarsi e a comporsi
reciprocamente»
10
. Il costante va e vieni che si stabilisce tra lo sviluppo di questi
microgruppi e la crescente massificazione è, secondo Maffesoli, la tensione
fondante che caratterizza la socialità postmoderna: «la massa è il polo inglobante,
la tribù quello della cristallizzazione particolare. Tutta la vita sociale si organizza
attorno a questi due poli in un movimento senza fine; movimento più o meno
rapido, più o meno intenso, più o meno “stressante” a seconda dei luoghi e della
gente»
11
. Le tribù, in massa, costituiscono la società contemporanea.
Invece che spiegare la complessa dinamica sociale della nostra era come un
ripiegamento individualistico, dunque, questa corrente sociologica mette in luce
un tribalismo sempre più diffuso e una nuova insorgenza di valori arcaici
(particolarismi locali, religiosità, prossemia, narcisismo di gruppo), il cui
denominatore comune è la dimensione comunitaria. Maffesoli parla di un ritorno
esacerbato dell’arcaismo: «Al progresso lineare e assicurato, causa ed effetto di un
evidente benessere sociale, si sta sostituendo una sorta di “regresso” che
9
Ibidem, p. 113.
10
Ibidem, p. 21.
11
Ibidem, p. 191.
6
caratterizza il “tempo delle tribù”»
12
. Non si tratta, tuttavia, di uno stato
semplicemente regressivo, ma piuttosto di un «ritorno spiralesco di valori arcaici
uniti allo sviluppo tecnologico»
13
. Sinergia dell’arcaismo e dello sviluppo
tecnologico: sarebbe questo il carattere dominante della Postmodernità. Si
spiegherebbe così il ritorno di concetti pre-moderni e arcaici (quello di tribù in
primis) in perfetto accordo con i più recenti sviluppi tecnologici (ad esempio
Internet). La società attuale vede quindi l’individuo sempre in bilico tra un
immaginario moderno, fatto di sradicamento individuale, e un immaginario
postmoderno, fatto di tentativi di “ri-radicamento” (figura 1.3). È così che «una
certa indifferenziazione, consecutiva alla mondializzazione e alla progressiva
uniformità dei modi di vita e a volte di pensiero, può essere accompagnata
dall’accentuazione di valori particolari, da alcuni investiti con intensità.
Assistiamo così a una mass-mediatizzazione crescente, a un abbigliamento
standardizzato, a un fast-food invadente e, nello stesso tempo – allorquando si
tratterà, in momenti particolari, di riappropriarsi della propria esistenza – allo
sviluppo di una comunicazione locale […], al successo di abiti specifici nonché di
prodotti o di piatti locali»
14
. Dopo il periodo di “disincanto del mondo”
(Entzauberung in Weber), staremmo dunque assistendo ad un “reincanto del
mondo”, il quale «ha come principale cimento un’emozione o una sensibilità
vissuta in comune»
15
.
Figura 1.3 Il soggetto postmoderno in bilico fra due tipi di immaginario
IMMAGINARIO IMMAGINARIO
MODERNO POSTMODERNO
↓ ↓
SRADICAMENTO RI-RADICAMENTO
Individuo Comunità
Libertà Legame
Innovazione Autenticità
Universalità Prossimità
Globalizzazione Localizzazione
… …
PROGRESSO “REGRESSO”
Fonte: adattamento da B. Cova, 2003.
12
Ibidem, p. 15.
13
Ibidem.
14
Ibidem, p. 81.
15
Ibidem, p. 64.
7
La Postmodernità, secondo questa visione sociologica, nascerebbe insomma
dall’evoluzione dell’individualismo verso un’estetizzazione del quotidiano fatta di
emozioni condivise e di passioni collettive, la quale a sua volta porterebbe
all’emergere di piccole, ed effimere, “entità” affettive. Questa, in breve, la
metamorfosi del legame sociale delineata da Maffesoli, la quale preannuncia, alle
soglie del terzo millennio, il ritorno delle tribù (figura 1.4).
Figura 1.4 La metamorfosi del legame sociale
Tribù e altre
comunità pre-moderne
Tribù postmoderne LEGAME Aggregazioni
SOCIALE moderne
Individualità tardo-moderne
Fonte: adattamento da B. Cova, 2003.
8
2. L’epoca delle neotribù.
Michel Maffesoli ricorre metaforicamente alla nozione premoderna di
tribù nel tentativo di «trovare le parole meno false possibili per dire ciò che è»
16
:
laddove mancano concetti già formati per descrivere la socialità postmoderna,
infatti, è necessario accontentarsi delle metafore, delle analogie, delle immagini,
che costituiscono il mezzo meno inadeguato possibile per dire «ciò che è» e ciò
che sta nascendo.
Osservando il ritorno di valori arcaici e la rinascita delle comunità,
Maffesoli stabilisce un legame tra il tribalismo e l’immaginario postmoderno di ri-
radicamento, tenendo tuttavia sempre presente che in questo caso si tratta di un
tribalismo del tutto effimero, che prende forma occasionalmente e si nutre di
passioni puntuali e volubili. Le nuove tribù contemporanee, infatti, non hanno un
fine da raggiungere, non si riconoscono in un progetto – economico, politico o
sociale – da realizzare: la loro sola ragion d’essere è il «desiderio di un presente
vissuto collettivamente»
17
. Se uno scopo guida questi nuovi gruppi postmoderni,
quello è la «conquista del Presente», ossia la «ricerca di una vita quotidiana più
edonistica, […] meno finalizzata, meno determinata dal “dover-essere” e dal
lavoro», la quale «porta a sperimentare dei nuovi modi di essere, dove il “giretto”,
il cinema, lo sport e la “piccola mangiata” insieme occupano un ruolo
importantissimo»
18
. A differenza delle tribù primitive o premoderne, quindi,
queste neotribù possono essere puntuali ed effimere: ciò che le muove è il
semplice desiderio di “essere insieme”. «[…] il tenersi caldo, il sostenersi a
vicenda, lo stringersi agli altri»
19
, il sentirsi parte di un gruppo: ecco il
fondamento del neotribalismo.
Una neotribù, nella definizione proposta da Bernard Cova, «è un insieme
di individui non necessariamente omogeneo (in termini di caratteristiche sociali
obiettive), ma interrelato da un’unica soggettività, una pulsione affettiva o un
ethos in comune»
20
.
In primo luogo, quindi, una neotribù è un gruppo di persone fra loro diverse – in
termini di caratteristiche obiettive e di appartenenza primaria (età, sesso, razza,
origine, tratti fisici, posizione professionale, ecc.) – ma unite da una passione
16
Ibidem, p. 12.
17
Ibidem, p. 125.
18
Ibidem, pp. 213-14.
19
Ibidem, p. 47.
20
Cova, 2003; p. 16.
9
comune e condivisa, in nome della quale «possono svolgere azioni collettive
intensamente vissute, benché effimere»
21
. Da questa prima caratterizzazione
consegue che tutti quei microgruppi fondati principalmente su un legame sociale
di tipo “origine” o “carattere obiettivo comune” (famiglia, clan, etnia, razza,
popolo, generazione, classe d’età, corporazione, corpo, associazione, squadra,
ecc.), non vengono considerati neotribù.
In secondo luogo, inoltre, una neotribù è un gruppo che viene vissuto come spazio
non utilitaristico in cui vengono scambiate emozioni e passioni. Nel caso in cui il
legame sociale sotteso a un microgruppo abbia una motivazione utilitaristica,
quindi, non si parlerà di neotribù. Vanno dunque esclusi dal campo neotribale
concetti quali movimento, partito, fazione, consorteria, ecc.
In terzo luogo, una neotribù è caratterizzata da una alto grado di volatilità
partecipativa e da una strutturazione non rigida. Di conseguenza, ogni
microgruppo eccessivamente strutturato e dotato di regole rigide non può essere
considerato una neotribù (il che esclude congregazioni, ordini, confraternite, sette,
associazioni, club, società, ecc.).
In quarto luogo, infine, aspetto caratterizzante della neotribù è l’esistenza di
interrelazioni fra un buon numero di membri. Ciò permette di eliminare dal
campo neotribale quelle aggregazioni omogenee – sortite dall’operazione mentale
di un agente esterno (ad esempio un marketing manager) – che non prevedono
alcuna interazione fra i propri membri. Segmenti e nicchie, quindi, non sono
neotribù.
Dopo aver visto cosa è – e cosa non è – una neotribù, mi è ora possibile proporne
una personale definizione:
Si tratta dunque di qualcosa in più rispetto a semplici aggregazioni di
individui: le neotribù sono vere e proprie comunità emozionali.
Stando all’analisi compiuta da Max Weber, le caratteristiche di una comunità
emozionale (Gemeinde) sarebbero: l’aspetto effimero, la «composizione
mutevole», l’«assenza di un’organizzazione», l’iscrizione locale e la struttura
quotidiana
22
. Tutte caratteristiche che, abbiamo visto, ritroviamo anche nelle
neotribù postmoderne. Fa eccezione, in parte, solo l’iscrizione locale. Le nuove
21
Ibidem.
22
Citato in Maffesoli, 2000; trad. it. p. 41.
La neotribù è un gruppo scarsamente strutturato ed eterogeneo di individui
uniti – in modo non utilitaristico – da una passione comune e da un forte, per
quanto effimero, legame emotivo.
10
tribù, infatti, non sono necessariamente definite dal punto di vista spaziale: grazie
alle risorse dei nuovi mezzi di comunicazione (e soprattutto grazie ad Internet),
possono infatti nascere – come vedremo – delle comunità “virtuali”, in cui la
simultanea presenza fisica non è più un elemento imprescindibile.
Dall’analisi di Weber, scrive Maffesoli, emerge anche che «il legame tra
l’emozione condivisa e la condizione comunitaria aperta risulta essere proprio ciò
che suscita questa molteplicità di gruppi, i quali arrivano a costituire una forma di
legame sociale in fin dei conti ben solido»
23
. La dimensione comunitaria sarebbe
dunque il carattere essenziale del neotribalismo postmoderno. Di fronte alla
saturazione del Politico e al – conseguente – massivo disimpegno politico e
sindacale, di fronte al fallimento del mito progressista e «all’anomia esistenziale
suscitata da un sociale troppo razionalizzato, le tribù urbane sottolineano
l’urgenza di una socialità empatica: condivisione di emozioni, condivisione di
affetti»
24
. Ecco allora che «le reti che punteggiano le nostre megalopoli ritrovano
le funzioni di aiuto reciproco, di convivialità, di commensalità, di sostegno
professionale e, a volte, anche di rituali culturali […]». Si tratta, fa notare
Maffesoli, di un tribalismo che è sempre esistito, ma che è più o meno valorizzato
a seconda delle epoche e che attualmente «ritroviamo in buona salute»
25
.
Si tratta anche, tuttavia, di un tribalismo per certi versi del tutto inedito. Se
è vero, infatti, che raggruppamenti emozionali del tipo descritto sono sempre
esistiti (vedi i mods, i teddy boys, gli skinheads negli anni Sessanta e Settanta), è
anche vero che la novità «consiste nell’ampiezza del fenomeno e nel tipo di
persone (tutte?) coinvolte»
26
: le neotribù, insomma, non sono semplici gruppetti di
adolescenti, aggregazioni più o meno pittoresche in cui i giovani si rifugiano per
opporre un’identità collettiva al mondo degli adulti. Tutti noi – adolescenti ed
adulti – cerchiamo di sfuggire all’angoscia causata dalla fine delle grandi
organizzazioni tradizionali (i partiti, la Chiesa, l’azienda). Tutti noi cerchiamo e
troviamo in questi piccoli gruppi di nostri simili una conferma dei nostri gusti, del
nostro sentire, del nostro stile di vita, riuscendo così a “dare un senso” alla nostra
esperienza individuale. Le passioni degli adulti per le maratone o il bricolage,
quelle dei giovani per la musica hip-hop o per i roller-blade, quelle di entrambi
per quella determinata marca o quello specifico prodotto, sono passioni che
«vengono abbondantemente condivise, individualmente abbracciate con
entusiasmo, moralmente accettate e intensamente vissute»: «sono percepite come
23
Maffesoli, 2000; trad. it. p. 41.
24
Ibidem, p. 18.
25
Ibidem, p. 118.
26
Cova, 2003; p. 19.
11
legittime aspirazioni alla realizzazione di sé e al rinnovato incanto del mondo»
27
.
E tali passioni, per «esprimersi ed espandersi pienamente nello scambio, nella
condivisione […] e nel confronto di competenze ed esperienze», esigono
quell’«inquadramento collettivo relativamente flessibile ma emozionalmente
forte»
28
che è tipico delle neotribù.
Un’altra “novità” del neotribalismo postmoderno è la sua instabilità: «a differenza
di ciò che ha prevalso negli anni Settanta – con i punti forti della contro-cultura
californiana e delle comunità studentesche europee – oggi non si tratta di
aggregarsi a una banda, a una famiglia, a una comunità, ma di saltellare da un
gruppo all’altro, […]. In effetti, in opposizione alla stabilità indotta dal tribalismo
classico, il neotribalismo è caratterizzato dalla fluidità, dai raggruppamenti
puntuali e dallo sparpagliamento; è così che possiamo descrivere lo spettacolo
della strada nelle megalopoli moderne. L’adepto dello jogging, il punk, il look
rétro, l’uomo perbene, gli intrattenitori di strada, ci invitano a un costante
travelling»
29
. Ognuno, quindi, può appartenere a più neotribù
contemporaneamente, investendo in ciascuna una parte non trascurabile di sé e
ricoprendovi ruoli anche molto diversi fra loro. Questo «farfalleggiare» da una
tribù all’altra «è certamente una delle caratteristiche essenziali
dell’organizzazione sociale che si sta delineando»
30
e rende comprensibilmente
più difficile – quando non impossibile – l’individuazione e la classificazione di
questi microgruppi da parte delle tradizionali indagini e categorie sociologiche. La
neotribù, quindi, non è un oggetto facilmente identificabile. È «un evento
cristallizzato, è effervescenza sociale, più che un oggetto socioeconomico ben
definito: un’aggregazione momentanea, emotivamente galvanizzata, fra persone
che sono dissimili a priori. Non è mai un oggetto chiuso, ma un sistema aperto: ne
fa parte tutto e niente»
31
.
Tale “apertura” porta direttamente alla terza ed ultima “novità” del neotribalismo
rispetto al tribalismo classico, ossia la doppia identità, insieme primaria e
secondaria, dei raggruppamenti neotribali. La neotribù, infatti, se da un lato è
caratterizzata – come i gruppi primari – da coesione affettiva, solidarietà e legami
stretti fra i membri; dall’altro – come i gruppi secondari – è aperta: la sua stessa
esistenza dipende dal rapporto con l’esterno (ossia con altre neotribù) e dal fatto
di rendersi riconoscibile e “farsi pubblica” attraverso la valorizzazione delle
emozioni condivise dai suoi membri (figura 1.5).
27
Ibidem, p. 20.
28
Ibidem.
29
Maffesoli, 2000; trad. it. pp. 126-127.
30
Ibidem, p. 215.
31
Cova, 2003; p. 51.
12
Figura 1.5 La doppia identità delle neotribù
locale e tangibile
(interazione fra i membri)
globale e intangibile
(partecipazione all’immaginario)
Fonte: elaborazione propria.
Le singole e specifiche neotribù sono quindi inserite in quelle che Cova definisce
«costellazioni neotribali» ossia insiemi – bassamente strutturati – di neotribù
analoghe in cui viene condiviso più o meno lo stesso tipo di affettività. Si parlerà
allora, per esempio, di “costellazione neotribale” di Star Wars, includendo in essa
tutte quelle tribù che, in diverse parti del mondo, uniscono gli appassionati della
saga di George Lucas. Ecco allora che «Il noi neotribale è nel contempo sia locale
e tangibile (interazioni fra alcuni individui), sia globale e intangibile (senso di
partecipazione ad un tutto immaginario)»
32
.
Per completare questa panoramica sul neotribalismo postmoderno è
necessario menzionare un ultimo, importante, aspetto, ossia la reintegrazione dei
rituali nella quotidianità. La ricerca dell’emozione e della condivisione sociale ha
portato, infatti, ad un ritorno dei riti, fondato però su un modo profano e non
religioso di risacralizzare il quotidiano. Se è vero, infatti, che il ritorno del
“desiderio di comunità” ha portato con sé una rinnovata religiosità, è anche vero
tuttavia che questa va intesa nel suo senso più semplice: quello – etimologico – di
religare, ossia collegare, unire, “tenere assieme”. La religione, quindi, nella
Postmodernità, non riguarda tanto il legame degli uomini con il divino, quanto
piuttosto il legame degli uomini fra loro. «Non si può dire pertanto che la
religione sia stata retrocessa d’importanza nelle nostre società postmoderne, ma
solo che ha cambiato forma, diventando meno istituzionale, più improvvisata e
tuttavia sempre presente come collante sociale»
33
. Ecco allora che laddove «il
progetto, il futuro e l’ideale non servono più da cimento alla società, il rituale,
confortando il sentimento di appartenenza, può giocare questo ruolo e permettere
32
Ibidem, p. 21.
33
Ibidem, p. 14.
noi
neotribale