Con il mio lavoro cercherò di offrire una panoramica di come la “comunicazione
culturale” si orienta nel complesso mondo delle comunicazioni specifiche di alcuni
ambiti, e di come si differenzia da altri “tipi” di comunicazione
2
.
Un nuovo bisogno emergente
Dall’ultimo rapporto di Federculture 2004
3
è emerso che le politiche culturali
stanno acquisendo sempre più spazio tra le attività di programmazione pubblica e che il
settore culturale ha risentito in misura ridotta della crisi generale che si è avuta nel 2003.
Il potenziamento di sistemi e percorsi culturali può divenire “la vera carta vincente del
paese”. Il decidere di investire in ambito culturale è giustificato, prima di tutto a causa
dell’aumento della richiesta di quest’attività, e di conseguenza questo settore ha
acquisito maggiore valore anche a livello economico. Inoltre la presenza di numerosi
fondi, non solo nazionali e regionali, ma anche comunitari destinati, ad esempio, al
recupero di centri urbani per il turismo culturale sono un’ulteriore riprova della crescita
del settore “attività culturale”. Il settore sembra proprio essere diventato un settore in
cui vale la pena di investire, sia in risorse umane sia finanziarie. Ma questo investire nel
valorizzare la cultura deriva principalmente dal cambiamento nel tipo di approccio degli
individui alla cultura.
É cambiato il modo in cui si percepisce la cultura: non si parla più di una cultura
per pochi
4
, ovvero di una cultura destinata solo ai già “iniziati”, ma di un consumo di
massa legato dalle strategie di commercializzazione degli eventi culturali (non bisogna,
comunque, dimenticare che ciò che attiene al culturale non scinde dall’economico).
2
Si tratta, infatti, di un tipo di comunicazione che va distinta e non confusa con la comunicazione
pubblica o sociale, anche se si tende a sovrapporle in quanto spesso gli enti culturali hanno anche un
origine pubblica.
3
Si fa riferimento a Politiche, strategie e strumenti per la cultura -2004
4
Il rapporto di Federculture si basa su dati statistici, quindi forse per non rendere troppo complesso
il lavoro di ricerca dati che vi è alla base, il termine “cultura” viene assunto come consumo di massa,
viene considerato solo come elemento quantitativo e non qualitativo. In questo ambito eravamo interessati
a questo aspetto della cultura. Nei prossimi capitoli si cercherà di capire anche che cosa si intenda per
cultura, non solo nel senso più materiale.
2
I dati Istat rivelano che la domanda di consumo d’arte e cultura sta crescendo e in
maniera visibile, quindi si è verificato un aumento a livello quantitativo, ma a livello
qualitativo? Un aumento quantitativo non significa un aumento del consumo di qualità
in maniera direttamente proporzionale, ovvero un aumento del consumo con finalità
educativa e di crescita culturale (come solitamente si associa all’idea di cultura).
Interessante è anche il fatto che non solo sia cresciuto il consumo individuale di cultura,
ma anche il consumo delle famiglie per la cultura, per cui si parla di un aumento del
2,1% rispetto al 2003 in cui si era già verificato un aumento del 12% rispetto all’anno
precedente, il tutto inserito in un contesto in cui l’incremento del turismo culturale in
Italia nel 2003 è pari al 24% rispetto al 1996
5
.
Il culturale ha avuto modo di evolversi e di raggiungere un pubblico più vasto
anche grazie alle “nuove tecnologie”, che sono andate a potenziare la comunicazione
culturale fornendo una buona possibilità di diffusione, ad alcuni enti, il cui raggio
d’azione in passato poteva coprire solo aree locali, ma che oggi possono raggiungere
chiunque. Si parla sempre di una diffusione più ad un livello quantitativo che
qualitativo; di certo la tecnologia ha contribuito a raggiungere in maniera più veloce un
pubblico più ampio, e di certo l’informazione multimediale ha trovato spazio per parlare
di mostre ed eventi culturali perché il suo pubblico ne ha fatto richiesta, ma fino a che
punto la comunicazione culturale è stata completa ed efficace? A quest’esigenza di
soddisfare il bisogno di “cultura”, come si è risposto? In che modo ci si è organizzati?
Istituzioni culturali ed eventi culturali
La logica della domanda e risposta nel mercato, ovvero alla domanda di
determinato bene corrisponde un’offerta (più o meno ampia) di questo bene, è la stessa
logica che si trova alla base del settore cultura, per cui si è cercato di soddisfare la
domanda di cultura che è emersa nel pubblico. Ecco, infatti, che sono apparsi enti ed
organizzazioni le cui finalità principali sono quella di valorizzare e tutelare il patrimonio
culturale e quella di creare la comunicazione a proposito di esso. Queste nuove
5
Si fa riferimento ai dati pubblicati a cura del Ufficio Studi di Federculture consultabili on line al
sito www.federculture.it in data 26 luglio 2005.
3
associazioni ed istituzioni dalla natura e origine più varia si sono poste come obiettivo
quello di rispondere in maniera professionale a questo tipo di richiesta.
Si tratta di un fenomeno in un certo senso ciclico, ovvero non è detto che la
nascita del bisogno culturale sia sorta prima dell’offerta di cultura. Spesso domanda ed
offerta si creano vicendevolmente, non si sa quale sia il motore primo, se la domanda ha
dato inizio al processo, o viceversa, di certo, però questo processo risulta circolare. Non
è questa la sede per discutere da che cosa ha origine il tutto, se il bisogno derivi da un
eccesso di offerta, o viceversa che l’offerta nasca da un’insistente richiesta, bisogna solo
constatare che si è assistito ad un aumento della comunicazione culturale ed alla
conseguente strutturazione del settore culturale.
Ci troviamo di fronte ad istituzioni che spesso si occupano in maniera esclusiva di
comunicazione rivolta alla valorizzazione e promozione della cultura. Ora, infatti,
musei, biblioteche, Istituti di cultura, Enti del turismo ecc. si occupano in maniera più
professionale di catturare il proprio pubblico, non solo organizzando particolari eventi,
ma anche informandolo in maniera dettagliata di che cosa avverrà e cercando di fornire
anche i retroscena culturali, i “perché” dell’evento, cercando di rendere partecipe il
pubblico e di “integrarlo” con quanto sta avvenendo. Si è più focalizzati verso il
pubblico dei fruitori piuttosto che verso la ricerca di meri finanziatori e fondi, perché è
stata rivalutata la loro funzione all’interno dell’economia delle istituzioni, e si ha
bisogno di sensibilizzarli.
D’altronde in Italia il patrimonio culturale è di dimensioni e valenza eccezionali, e
ha una diffusione capillare su tutta la superficie italiana, tanto che spesso il nostro Paese
viene definito con l’espressione di “museo a cielo aperto”. Di conseguenza non abbiamo
potuto che adeguarci a questa definizione dell’Italia e attrezzarci a fare uso di questa
nostra ricchezza in maniera produttiva e proficua.
La cultura e la comunicazione culturale sono diventate un settore importante
d’investimento e rilevante dal punto di vista che riguarda l’istruzione, che ha deciso di
occuparsene direttamente con l’istituzione di master e di corsi di formazione per la
creazione di personale specializzato in questo tipo di comunicazione. Non si lascia più il
tutto assegnato al caso o ad impreparati, oggigiorno si ha una figura specializzata che
riveste il ruolo di responsabile della comunicazione e dell’ufficio stampa. Ad esempio
4
nella Carta nazionale delle professioni museali pubblicata a luglio dall’ICOM
6
, si parla
di un responsabile della comunicazione e dell’ufficio stampa che è visto come il garante
di una “corretta ed adeguata diffusione della mission, del patrimonio e delle attività del
museo tramite opportune modalità di comunicazione e appositi materiali informativi”
7
.
Questo responsabile non viene semplicemente elencato tra una serie di figure presenti
all’interno del museo, ma se ne definiscono in maniera specifica i requisiti per l’accesso
alla carica, il tipo di responsabilità che deve essere in grado di assumersi, gli ambiti
degli incarichi che dovrà ricoprire e i compiti che deve essere in grado di assolvere. Un
aspetto interessante della categorizzazione di questi professionisti consiste nel fatto che
il responsabile della comunicazione viene inserito tra i responsabili dell’ambito
amministrativo, finanziario, gestionale e della comunicazione, come ad indicare che il
suo ruolo possa essere posto sullo stesso piano di un responsabile amministrativo, o di
un responsabile per lo sviluppo, in modo tale da risultare una figura centrale e nodale
per lo sviluppo del museo. Naturalmente visti gli ultimi sviluppi tecnologici il
responsabile della comunicazione è affiancato anche da un responsabile del sito web
con cui ottimizzare e gestire l’area del sito web dedicata all’ufficio stampa.
Come per i musei anche in altri enti che si occupano di cultura si è andata
delineando una figura specifica addetta alla comunicazione culturale. Sembra proprio
che si possa parlare di una comunicazione culturale a tutti gli effetti. Ma in che modo è
effettivamente possibile parlare di comunicazione culturale? Si può affermare che sia
una comunicazione che ha ricavato un suo spazio di comunicazione con specifiche
tecniche ed obiettivi? Oppure si tratta pur sempre di una sottocategoria di
comunicazione pubblica?
6
La Carta nazionale delle professioni museali pubblica da dall’ICOM il 4 luglio 2005 considera
quattro macroaree di attività all’interno del museo, ovvero ambito ricerca, cura e gestione delle
collezioni,ambito amministrativo, gestionale e della comunicazione, ambito servizi e rapporti con il
pubblico e il territorio, ambito strutture e sicurezza.
7
Cit. p. 35 della Carta nazionale delle professioni museali.
5
Comunicare l’evento culturale. Un nuovo oggetto di
comunicazione?
Abbiamo appena visto come sia formata una figura professionale che si occupi di
comunicazione culturale, ma è proprio parlare di comunicazione in senso culturale?
Dipende solo dall’oggetto della comunicazione o sono altri gli elementi che permettono
il binomio culturale-comunicazione?
Per necessità e per avere una visione schematica e semplificata si tende a dividere
la comunicazione in maniera settoriale, ad esempio Rolando Stefano
8
utilizza una
matrice composta da tre tipi di competenze per potere classificare il tipo di
comunicazione, ovvero, competenze funzionale (es.: ufficio stampa), competenza
territoriale (es.: provincia di Verona) e competenza settoriale (es.: Azienda sanitaria
locale). Le tre variabili della matrice si combinano tra loro in tutti i modi possibili. La
conquista della specificità settoriale, ovvero il legame con uno specifico ambito
indipendentemente dall’essere territoriale, storico, di finalità, è recente e si è rivelato
centrale e fondamentale. La comunicazione, infatti, non è una tecnica trasferibile tout
court in qualunque contesto indipendentemente dai problemi e dalla complessità della
situazione, perché in uno stesso settore vi è ruolo per più soggetti pubblici, privati,
associativi che compongono un sistema di relazioni multidirezionali ed esercitano
legittime parzialità riguardo all’interpretazione di ruolo all’interno di un contesto
comune, perché la conoscenza delle altrui parzialità deve essere messa in relazione con
la conoscenza della dovuta normativa del settore e quindi alla regole che fissano la
legittimità o l’illegittimità di comportamenti.
Sembra quindi che la settorialità della comunicazione culturale sia necessaria per
avere una comunicazione efficace e per potere valorizzare i pregi della cultura. La
comunicazione della cultura è parte integrante della cultura e leva strategica
d’importanza cruciale. D’altronde la cultura è il risultato di un processo di scambio,
interazioni, imitazione, scelte di linguaggio e modalità espressive.
8
Rolando Stefano (a cura di) Teoria e tecnica della comunicazione pubblica. Dallo Stato
Sovraordinato alla sussidiarietà, Etas, Milano, 2003. In particolare si fa riferimento al capitolo 15
“Società, cultura , economia. Aree di patto pubblico-privato”
6
Come si può parlare di comunicazione pubblica, politica, sociale, oggigiorno si
può parlare anche di comunicazione culturale a tutti gli effetti, in quanto essa non si
differenzia solo in base all’oggetto, ma anche per altri fattori di cui abbiamo appena
parlato. I confini per una definizione non sono ancora netti e stabili -come capita anche
per altre forme di comunicazione- non sempre tutte le comunicazioni sono classificabili
in maniera netta e nitida, ma possono rientrare in più categorie. Forse la comunicazione
culturale si pone in un’area compresa tra comunicazione pubblica e sociale
9
, i cui
confini sono un po’ labili e mobili in quanto spesso sia emittenti che finalità si
sovrappongono. Può essere vista come incentivo da parte di soggetti istituzionali alla
fruizione del patrimonio, ma anche come parte di un piano di marketing di un singolo
museo; si vede qui che appunto si potrebbe fare rientrare nella categoria di
comunicazione pubblica in quanto spesso sono soggetti istituzionali pubblici che si
occupano anche di questo tipo di comunicazione, però si vede anche che altri enti sia
privati che statali, come possono essere i musei, si dispongono per questo tipo di
comunicazione, rivolgendo attenzione non solo verso la cultura di conservazione ed
esposizione, ma anche verso il pubblico e il mercato. L’interazione tra il pubblico e
queste organizzazioni dà modo all’erogazione integrata di servizi informativi che stanno
alla base di una buona strategia comunicativa.
La stessa funzione di valorizzazione dei beni culturali, sostegno alla fruizione e
accrescimento del soddisfacimento d’interessi generali sono forme di comunicazione e
forniscono principi base per l’organizzazione dei messaggi che appunto si concretizzano
in mostre, in eventi celebrativi e percorsi guidati. Trattandosi di comunicazione, non ci
si preoccupa solo del contenuto, ma anche delle modalità con cui si attiva. Esistono,
infatti, varie modalità di informare il pubblico sull’esistenza di un’offerta e di orientarlo
nelle scelte. La comunicazione culturale sta sviluppando competenze specialistiche per
una comunicazione di tipo integrata in cui esista coerenza, unitarietà di fondo nella
scelta dei messaggi, degli strumenti e dei canali prescelti per contribuire alla creazione
di un’immagine forte e attrattiva.
Esiste certamente una comunicazione che si occupa specificamente di cultura, che
ha ritagliato un suo spazio, che si è adattata ad uno specifico settore, che ha acquisito
9
si potrebbe anche sostenere che la comunicazione culturale abbia alcuni tratti tipici della
pubblicità in quanto come questa ha la finalità non solo di informare, ma ha una capacità attrattiva.
7
una specifica competenza tecnica e di strumenti, ma che alcune volte sfumare in altre
categorie di comunicazione (come avremo modo di vedere nel settimo capitolo). Le
linee di confine della comunicazione culturale sono definite, ma forse non in modo così
stabile e inflessibile; possiamo vedere aree in cui si presentano aspetti comuni che
portano a sovrapposizioni, per esempio con la comunicazione pubblicitaria, con quella
pubblica, o con quella sociale, poiché spesso le finalità di questi tipi di comunicazione
risultano in qualche modo interscambiabili.
Le domande che stanno alla base del mio lavoro riguardano principalmente
quanto la comunicazione culturale abbia importanza per la definizione de il culturale: se
non si disponesse della comunicazione culturale percepiremmo comunque il culturale
come tale? È quindi efficace la comunicazione culturale? In che modo si pone il
pubblico nei confronti del bene culturale? È un suo bisogno intrinseco oppure gli è
imposto dalla comunicazione? Queste sono alcune delle domande che mi sono posta di
rispondere. Attraverso questo lavoro, più che definire che cosa sia la comunicazione
culturale, si cercherà di evidenziare in che cosa essa sia maggiormente efficace, in che
cosa pecca e come fa tutto ciò. Mi sono proposta di analizzare, prima di tutto, che cosa
sia l’oggetto di questa comunicazione, ovvero che cosa sia il bene culturale, (in quanto è
su il culturale che si focalizza questa forma di comunicazione), per poi parlare delle
tecniche impiegate al fine di essere efficace, e del tipo di pubblico verso cui si orienta,
ed infine, cercare di capire il perché vedere abbiamo così bisogno della comunicazione
culturale.
8
Capitolo 1
Il patrimonio culturale
Una definizione materiale
In questi anni, a riconferma della crescita della sensibilità nei confronti del
culturale di cui si è già accennato nell’introduzione, si è provveduto alla definizione di
un nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, entrato in vigore il 1° maggio 2004.
È molto significativo che lo stesso legislatore abbia sentito la necessità di regolare
questo settore, infatti, questo settore si trova in un periodo di forte sviluppo, ma carente
di un’aggiornata
10
regolamentazione in materia a causa della poca attenzione che nel
passato vi è stata prestata. Per avere un chiaro riferimento, per sapere a che cosa ci
riferiamo nel momento in cui si parla di “bene culturale”, prendiamo in considerazione
la definizione che viene istituita con la L.310/1964, e le sue successive modifiche, fino
ad arrivare alla più recente proposta dal D.lgs. 22/1/2004.
La Commissione
11
parlamentare mista per la tutela e la valorizzazione del
patrimonio archeologico, artistico e paesaggistico, di cui fu presidente l’On. Francesco
Franceschini, definì il bene culturale attraverso l’elencazione delle categorie nelle quali
viene ad articolarsi il patrimonio culturale; il bene culturale figura come un oggetto
definito ed identificabile con chiarezza; solo gli elementi elencati possono essere beni
culturali. Abbiamo, quindi, un insieme di elementi definiti e solo essi sono patrimonio
culturale. In questo modo si ha una limitazione di ciò che può essere bene culturale,
focalizzandosi solo su ciò che rientra in quelle categorie: non si tratta di una definizione
10
In realtà una nuova definizione di “bene culturale” era stata data nel D.lg. 112/1998 e poi nel
D.lg. 490 dell’anno successivo, quindi è oramai più di un po’ di anni che si è particolarmente sensibili nei
confronti di questo argomento, forse vista la fonte di ricchezza che si sta rivelando. Risulta quindi che sia
un settore in costante evoluzione e che per ciò ha bisogno sia di definizioni che di normative continue.
11
La Commissione Franceschini istituita con L 310/1964 dopo due anni di lavoro presentò una
relazione dal titolo “Per la salvezza dei beni culturali in Italia” che conteneva appunto al definizione qui
riportata.
9
di esso per esclusione, ma per inclusione, ovvero il bene deve essere l’oggetto, deve
avere quella determinata caratteristica, non essere la negazione di qualcosa, ovvero un
non-essere. Si tratta quindi di possedere delle precise caratteristiche, (e non di non-
essere qualcosa.).
Questa definizione risulta articolata in specifici oggetti e, di conseguenza, poco
aperta a potenziali cambiamenti e a nuovi elementi. Forse per questa ragione, alla fine
della definizione viene aggiunta una sorta di postilla per cui è bene culturale ciò che
“che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà”; in questo modo la
definizione generale di bene culturale viene formulata come inciso, come eccezione alle
regole specifiche, in quanto si riferisce ai beni non compresi delle categorie specificate
che includono, con precisione e con una particolare attenzione pratica, gli oggetti che
“fisicamente” costituiscono il patrimonio culturale, ovvero i beni immobili, le raccolte
di musei, gli archivi, le raccolte librarie, le collezioni e gli oggetti le cui caratteristiche
risultano di interesse artistico, storico, archeologico (ambiti a cui fa riferimento
esplicitamente il testo normativo
12
).
Considerare il bene culturale come “testimonianza materiale” può fare pensare ad
una definizione troppo generica del concetto, ma, di fatto, essa individua nella forma più
sintetica e precisa le caratteristiche essenziali che un bene culturale deve possedere a
monte della sua articolazione in categorie. Si può essere tratti in inganno dal fatto che
questa definizione nasca solo in un secondo tempo, nel momento in cui i beni non
rientrano nell’elenco ben definito, per cui si potrebbe pensare che tutto ciò che si vuole
fare rientrare nella categoria di bene culturale e non sia un bene elencato venga
forzatamente fatto rientrare in questa definizione adattata. In realtà questa definizione,
per quanto generica, si basa pur sempre su un principio di inclusione, per cui se il bene
12
Secondo l’art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio il patrimonio culturale (2004) “è
costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici”. Per beni culturali intende “ le cose immobili e
mobile che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge
quali testimonianze aventi valore di civiltà”. Per beni paesaggistici invece intende “gli immobili e le aree
indicate dall’art 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici
del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge”. L’articolo 10 del codice propone
un elenco di ciò che è classificabile entro questa categoria.
10
non possiede le caratteristiche richieste nella definizione, esso non può essere di tipo
culturale.
Da questa definizione si colgono le caratteristiche fondamentali del bene
culturale: il bene deve essere testimonianza materiale e deve avere valore di civiltà. In
questo modo i pensieri, le riflessioni, le parole diventano beni culturali solo quando
sono raccolti in quadri, in edifici, in libri, che in un certo senso li fissano facendoli
diventare dei “beni” materiali. Oltre al fattore materiale, devono anche avere valore di
testimonianza di civiltà, ovvero dimostrare un legame forte con la società che li ha
prodotti o in cui sono inseriti.
La terminologia usata dalla Commissione Franceschini (1964) ha quindi proposto
una definizione alla cui base sta la dimensione materiale del bene, dimensione sempre
considerata basilare sin dalla prima legge di tutela del patrimonio artistico, istituita nel
1939
13
, legge che però rifletteva un modo oggi superato di concepire la politica di tutela
dei beni culturali. La legge del 1089/1939 muoveva, infatti, da una concezione di
intervento pubblico con la sola finalità di conservazione fisica delle cose di interesse
storico o artistico, mentre il lavoro della Commissione Franceschini sposta l’attenzione
verso una nuova prospettiva per cui il regime giuridico si sarebbe imperniato sul valore
culturale, che non è rappresentato dall’oggetto materiale nella sua estrinsecazione fisica,
ma dalla funzione sociale del bene, visto come fattore di sviluppo intellettuale della
collettività. Quindi anche se persiste la dimensione materiale del bene, essa perde un po’
quel vincolo fisico che esisteva nel 1939.
La definizione adottata dal 1964, in uso fino al 1999
14
, ha avuto il pregio di essere
un primo passo verso una nozione di bene culturale innovata, in quanto si stacca un po’
13
Nel 1939 si ebbe una sorta di svolta nella legislazione dei beni culturali. Nel 1902 era stata
istituita la prima legge sulla tutela del patrimonio artistico. Ma solo con la l. 364/1909, detta legge Rosadi
che si ebbe un sistema sufficientemente organico di tutela. Dal 1909 al 1939 non vi era stato alcun
provvedimento nel settore per i beni culturali, solo nel 1939 si ebbe una svolta. Il ministro dei beni
culturali Giuseppe Bottai con la collaborazione di Giulio Carlo Argan e Roberto Longhi emanò due leggi
gemelle, una sulla tutela delle cose d’interesse artistico e storico, 1/6/1939 n. 1089, e una sulla protezione
delle bellezze naturali, 29/6/1939 n. 1497.
14
Entra in vigore nel 1999 il Testo Unico dei beni culturali e ambientali. Fino al 1999 le due leggi
del 1939 erano rimaste completamente in vigore, e il Testo Unico le ha recepite comunque in maniera
11
del bene nel senso fisico più stretto; il bene era solo ciò che rientrava nelle tradizionali
categorie delle “cose immobili e mobili che presentavano interesse storico, artistico,
archeologico o etnografico” (categorie fissate dalla legge del 1089/1939), mentre ora il
bene può essere anche una delle “testimonianze materiali aventi valore di civiltà”.
Una definizione innovata di bene culturale
La concezione del bene culturale sta lentamente cambiando, ci si sta spostando
verso una nozione di bene che sia meno “stretta”, che permetta non solo a categorie
prefissate di rientrarvi; si inizia a cogliere la dimensione meno materiale, infatti, ha
acquisito rilevanza anche la sua dimensione sociale, come fattore di sviluppo della
collettività.
Nel Testo Unico del 1999, istituito con il D.Lgs.29/10/1999 n. 490, viene adottata
una nozione di bene culturale leggermente modificata rispetto a quella utilizzata fino a
quell’anno (fino al 1999 era in uso la definizione fornita dalla Commissione
Franceschini nel 1964); infatti i beni culturali ora vengono definiti come “quelli che
compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demo-etno-antropologico,
archeologico, archivistico e librario e le altre cose individuate dalla legge o in base alla
legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.
La definizione strutturata nel Testo Unico rimane pur sempre una definizione
normativa di bene culturale, ma con una piccola novità: la materialità del bene non
costituisce l’elemento centrale della definizione, ora è il valore culturale che impronta il
contenuto della definizione normativa
15
. Ora si considera solo una delle due
caratteristiche necessarie per definire un bene culturale, l’aggettivo “materiale” non è
più considerato nella definizione, il bene culturale è inteso ora solo come
“testimonianza avente valore di civiltà”, il che crea un po’ di caos nell’individuare quali
integrale, mentre il Codice dei beni culturali (2004) rappresenta un’innovazione anche se si muove
sempre nel solco della tradizione aperta da Bottai.
15
Nonostante le definizioni appaino molto simili, il cambio o in questo caso l’eliminazione di un
aggettivo possono fare rilevare una notevole differenza nel significato e soprattutto nella predisposizione
mentale che vi sta alla base.
12
siano i beni culturali al di fuori di quelli elencati negli artt. 2 e 3 del Testo Unico.
Essendoci una qualifica in meno da rispettare, i beni sembrano diventare infiniti, meno
individuabili, sembra che tutto possa essere fatto rientrare nella qualifica di bene.
Sembra che sempre più beni possano rientrare nel patrimonio culturale, per evitare
questo caos e per semplificare il processo di selezione i beni devono essere individuati
da leggi.
Questa definizione apporta di certo un’innovazione, l’assenza dell’aggettivo
materiale indica una rivalutazione generale del bene, bene che non è più legato in
maniera imprescindibile ad una cosa, ad un oggetto, ma anche le attività più astratte
possono rientrare nella categoria di bene. Le attività di pensiero, le riflessioni, le parole,
sembrano potere finalmente entrare a fare parte di questa categoria in modo pieno e
libero. Questo tipo di attività, che per un certo senso può essere considerata attività
culturale, non va confusa con questa; pensieri, riflessioni e opere sono beni culturali, e
non attività culturali.
Si pensava che questa definizione potesse finalmente riassorbire la distinzione
esistente tra bene culturale e attività culturale; se si intende per attività culturale “quella
rivolta a formare e a diffondere espressioni della cultura e dell’arte”, questa non è
ancora inclusa nella definizione di bene culturale, non rientra appieno nella definizione
di bene, ed, infatti, è definita separatamente nell’art. 148. Nonostante l’astrazione
proposta dalla definizione di bene che sembrerebbe fare rientrare la definizione di
attività culturale in quella di bene come sotto categoria, in realtà le attività culturali
continuano ad essere gestite con norme a parte, hanno una sorta di “amministrazione”
speciale che le riguarda, anche se spesso hanno i requisiti per rientrare nella categoria
dei beni culturali. Esse, infatti, continuano ad essere considerate delle attività-strumento
a supporto dei beni culturali, non sono i beni stessi. Ciò non toglie il loro valore al fine
di fare cogliere l’aspetto immateriale del bene.
Tornando a parlare del bene culturale, comunque, dobbiamo dire che la
concezione di esso si è “svecchiata”, il suo aspetto immateriale è stato rivalutato e
riapprezzato anche se l’idea di bene non riesce a scindersi in maniera definitiva dalla
sua anima materiale, è sempre legato in qualche modo in maniera inseparabile alla cosa
fisica. Per poter apprezzare appieno la dimensione immateriale del bene sono apparse,
come sopra dicevamo, quelle attività culturali di supporto e per la valorizzazione.
13
L’attività di valorizzazione, ovvero l’attribuzione di un valore aggiunto
all’oggetto, l’attribuzione di un significato particolare, risulta essere fondamentale per
evidenziarlo e incrementarne il valore; il bene culturale perde in qualche modo valore se
non interviene questa attività complementare a valorizzarlo, a farne appezzare il lato più
astratto che potrebbe rimanere nascosto e incolto. Ecco che le attività culturali (che non
vanno confuse con il bene stesso) intervengono in supporto, come attività relative ai
beni culturali per la progettazione e la promozione
16
di essi stessi.
Con l’eliminazione della connotazione materiale del bene si ottiene una flessibilità
della categoria dei beni culturali, si fa un passo avanti nella evoluzione della
definizione, per cui un bene, non essendo più solo bene in senso materiale, ha bisogno
di un’attività alle sue spalle che lo faccia considerare come un bene, che lo renda un
bene. Un pensiero non sarebbe apprezzato probabilmente se qualcuno non lo facesse
rientrare nella categoria di un bene culturale; l’intervento che viene fatto per valorizzare
un’idea, per darle rilievo, è fondamentale per farla rientrare nella categoria di bene,
quindi si potrebbe osare dire che le attività culturali sono il bene in sé, in quanto creano
il valore di civiltà che porta a considerare il pensiero, la riflessione, l’idea, o qualunque
elemento non dotato di fisicità, in maniera concreta come se fosse un bene in senso
fisico
17
.
Si può quindi parlare di una sorta di apertura della definizione di bene culturale,
dove molti più elementi posso rientrarvi, ma è anche vero che si trovano delle difficoltà
nel staccarsi completamente dalla dimensione materiale. Anche gli elementi più astratti
per essere apprezzati e colti devono essere in qualche modo materializzati, o almeno
colti come bene culturale in maniera esplicita. Infatti, nella definizione del bene
intervengono sia delle leggi e delle norme che in maniera esplicita definiscono la cosa,
rendendola in un certo senso meno astratta, concretizzandola per quanto possibile, sia le
attività culturali che svolgono la stessa funzione di fare percepire il bene come tale. In
tutto il processo di definizione di bene e di farlo percepire come tale, bisogna quindi
16
Tra le attività di promozione e valorizzazione va inclusa principalmente anche la comunicazione
culturale, che come vedremo ha tra le sue finalità quella di promuovere il bene e la cultura in generale.
17
Nonostante venga eliminata la dimensione fisica del bene, l’idea di bene è ancora strettamente
legata ad essa. D'altronde è più semplice ed intuitivo apprezzare un oggetto materiale, ben determinato
fisicamente, piuttosto che un’idea astratta ed impalpabile.
14
sempre tenere presente sia la dimensione fisica dell’elemento, sia quella astratta, per cui
il bene risulta un oggetto di interesse culturale con una dimensione materiale, ma anche
con funzione sociale, e per potere essere considerato come un bene culturale, deve
essere percepito come tale dalla collettività, e quindi deve essere pensato come fattore di
sviluppo della collettività, come un fattore che crei una sorta di identità riconoscibile da
tutta la collettività.
Le tipologie –classi naturalmente “aperte”- di bene culturale che vengono adottate
sono sei, e devono riguardare interesse di tipo “artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, archivistico e bibliografico” (come elencati nel Codice dei beni
culturali e del paesaggio 2004), qualità che sono in maniera implicita già incluse nella
categoria più vasta e generale di “testimonianze aventi valore di civiltà”. La definizione
di cosa rientra nella categoria di bene culturale si gioca sempre entro due estremi,
l’“elencazione” di specifici ambiti degli oggetti, quale può essere quello storico o
artistico, e la più nebulosa idea di testimonianza di civiltà
18
, che solleva la definizione
da una concezione materiale di bene culturale, ma le fa assumere un valore di tipo
sociale.
Complessivamente la definizione di bene culturale è cambiata notevolmente. Non
si elencano più semplicemente quali oggetti mobili ed immobili possono essere definiti
come tali, si possono ora includere molti altri elementi, non più legati ad una
dimensione materiale, ma che sono percepiti come culturale dal pubblico e dalla
collettività. In questo modo si inizia a notare anche l’importanza, per non dire la
fondamentalità, del pubblico nel definire cosa sia un bene e soprattutto il valore
aggiunto che viene dato all’elemento-bene. Coinvolgendo il fattore pubblico-collettività,
bisogna anche tenere presente che spesso esso è costituito non da un gruppo ristretto di
persone, ma da un gruppo di persone più vasto, per cui riuscire a soddisfare il suo
bisogno di bene culturale può risultare abbastanza complesso e spesso bisogna
prevedere una gamma di beni più vasta. Il bene culturale si amplia anche in questo
senso, e quindi per soddisfare il vasto pubblico, l’offerta propone una vasta gamma di
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Si tornerà sulla definizione di “testimonianze aventi valore di civiltà” in quanto il concetto di
civiltà è un concetto alquanto astratto che implica un complesso sistema di valori e abitudini che si
inserisce nella definizione decisamente complicata di che cosa sia la cultura.
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beni culturali per soddisfare le mille sfaccettature della collettività, per svilupparla in
maniera comunitaria e fornirle delle basi comuni.
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