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quella parte del pianeta terra che per volume di
scambi economici, culturali e sociali si presenta
come la più visibile, la più presente, la più
discussa. La più globalizzata.
Quando la SARS ha cominciato a diffondersi dal
Guandong verso i paesi del Sud-est asiatico
prima e verso l’America e l’Europa poi, la Cina
era ancora un attore di secondaria importanza
nei discorsi dell’opinione pubblica. Se
l’integrazione, o meglio il dominio,
dell’economia cinese è già in atto da diversi anni
(lo si può fare risalire anche alla fine degli
Settanta), l’importanza del paese nelle
discussioni che avvengono quotidianamente sui
mezzi di comunicazione è un fatto nuovo. Che
ha avuto una crescita enorme nel periodo di
diffusione della SARS.
Etichettata presto come la nuova Spagnola, la
Sindrome Respiratoria Acuta Severa ha
contagiato persone in diverse parti del mondo e
ha minacciato di paralizzare le economie e i
rapporti fra la Cina e il resto del mondo
globalizzato. Ma, nel giro di pochi mesi, il virus
non è riuscito a confermare le aspettative più
funeste che erano state considerate. Cominciata
realmente nel novembre 2002 e ufficialmente nel
7
marzo 2003, la SARS ha cessato di essere un
allarme all’inizio dell’estate del 2003, pochi mesi
dopo la sua folgorante apparizione.
La SARS ha lasciato però degli strascichi. Prima
di tutto biologici: il virus continua ad esistere e si
ripresenta saltuariamente nei contesti di origine
(il Guandong, in Cina). E poi, degli effetti più
indiretti: la Cina fa sempre più parte del nostro
mondo, c’è chi la teme per la sua potenza
economica, chi spera di chiudersi a riccio e non
dovere guardare in faccia la realtà che parla di
uno spostamento ad est dei flussi economici, chi
denuncia il ritardo strutturale del nostro paese
nei rapporti con il paese asiatico.
Abbiamo ritenuto importante quindi cercare di
capire come la SARS potesse essere il sintomo di
un cambiamento strutturale della nostra società,
nella convinzione che tentare di interpretare un
cambiamento sia, in sintesi, più produttivo che
cercare di armarsi contro dei nuovi invasori. Per
farlo, abbiamo costruito delle premesse alla
nostra ricerca, fornendo, nel primo capitolo, una
descrizione della realtà della SARS: cosa è il
Sars-CoV, dove è nato e come si è sviluppato.
Un’operazione piuttosto delicata, dato che una
delle principali caratteristiche del virus, almeno
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nelle fasi iniziali dell’epidemia, è stata proprio la
sua difficile identificabilità.
Fattore, quest’ultimo, che si ricollega in maniera
diretta alla nostra interpretazione del fenomeno.
Partendo dalle riflessioni di alcuni importanti
esponenti della sociologia del rischio e della
teoria della “modernizzazione riflessiva” come
Ulrich Beck ed Anthony Giddens, abbiamo
cercato di individuare, nel secondo capitolo, i
motivi che fanno del rischio una delle categorie
costitutive delle società attuali. A rendere il
rischio così importante per l’orientamento
dell’individuo concorrono diversi fattori: la
misteriosità del male (come nel caso della SARS)
è uno di questi. In questo senso, quindi, abbiamo
approfondito il discorso per capire, a livelli più
generici, quali siano le parti delle società
deputate alla definizione della conoscenza, alla
produzione della sapere, alla riflessione. E
quindi, alla definizione delle categorie che ci
guidano in molte azioni quotidiane e ci aiutano,
nel caso di malattie epidemiche, a combattere il
male che avanza. Abbiamo realizzato una
riflessione sulle caratteristiche sociali del rischio,
inteso come categoria fondamentale
dell’orientamento degli individui nella vita
sociale, interpretando le suggestioni di Mary
9
Douglas sull’importanza del rischio per la
sopravvivenza dell’ordine nella società.
Partendo dalla convinzione del ruolo
fondamentale dei saperi esperti nella definizione
degli strumenti di orientamento dell’individuo,
sempre più individualizzato e bisognoso di
appigli di cui sembra essere stato privato con la
caduta dei grandi apparati di socializzazione e
con la fine del modello della fabbrica, abbiamo
analizzato, nel terzo capitolo, l’operato del
Ministero della Salute italiana nella fase di
contrasto all’emergenza della SARS. Ci siamo
chiesti, in sintesi, come il Ministero e la sua task
force anti-SARS abbiano lavorato per contrastare
l’insorgere dell’epidemia studiando un
documento elaborato dalla task force durante
l’emergenza. E ci siamo accorti che l’intervento
dei saperi esperti italiani non è stato in grado di
prevenire l’insorgere di un virus potenzialmente
letale, diverso da quello biologico: il virus della
fobia, creato da un sistema di gestione della
comunicazione del rischio inadeguato agli
standard più attuali e avanzati in tale ambito.
Diversi studiosi e medici, come Peter Sandman,
o Mauro Palazzi, propongono da tempo un
approccio studiato alla malattia che consideri il
virus sotto altri aspetti, relativi ai risvolti
10
psicologici dell’insorgere di un’epidemia. Perché
il sistema non crolli, o semplicemente perché
funzioni al meglio, c’è bisogno di una
collaborazione efficace fra istituzioni e profani,
fra esperti e cittadini; ma per fare questo, è
necessario che il sistema medico elimini del tutto
gli strascichi di quell’aura che lo rende così
distante dalla vita quotidiana e apra la propria
comunicazione al linguaggio dell’individuo
coinvolgendolo nella gestione dell’emergenza.
Cosa che in Italia, a nostro parere, non è
avvenuta, e che ha contribuito in maniera
determinante a creare una situazione di panico
latente e sostanzialmente ingiustificato.
Ma se la “comunicazione del rischio” predica il
bisogno di una collaborazione costante fra
individuo e istituzioni, e se i saperi esperti sono
la parte riflessiva della società capaci di
elaborare conoscenza e fornire autorità, che
distribuzione ha il potere nella società
dell’imprenditoria continua? Se, cioè, l’individuo
è sempre più indirizzato a badare al proprio
corpo e alla propria salute in maniera continua e
sostanzialmente ossessiva, chi approfitta della
situazione di un sostanziale e continuo controllo
delle volontà individuali?
11
Michael Foucalt riteneva l’ospedale, così come il
carcere, strumenti di coercizione utili ad una
gestione del potere capace di individuare e
isolare le parti poco funzionali della società. Una
società disciplinare, che individua e separa la
parte malata della società da quella sana; un
potere in grado di creare il concetto di devianza,
e di rischio. Le strategie messe in atto in molti
paesi per contrastare la diffusione della SARS
sembrano pericolosamente vicine a questo
modello teorico (basti pensare alla pena capitale
in Cina per chi avesse volontariamente diffuso il
virus della SARS non rispettando le quarantene
imposte dallo stesso governo che in un primo
tempo aveva mentito sulle cifre dei contagiati).
Ma c’è di più. Il nostro sistema sociale sembra
più vicino all’impostazione descritta da Gilles
Deleuze ne “La società del controllo”: non più
una società disciplinare che sanziona gli
individui operando una distinzione netta fra
guardie e sorvegliati. Ma un sistema in cui ogni
individuo, imprenditore di sé stesso, accetta di
buon grado le pratiche di controllo istituite dal
potere, sempre più capace di rigenerarsi, perché
condivide gli interessi e le finalità del sistema
sociale. Una società in cui medico e malato quasi
non si distinguono più, in cui la
12
medicalizzazione è continua, in cui anche un
virus relativamente pericoloso può essere degno
di un’attenzione costante. Ma una società, come
affermiamo nel quarto capitolo, in cui la fobia
può arrivare a essere veramente tale, cioè una
paura eccessiva e paralizzante.
Come è possibile però che il discorso relativo
all’epidemia si sviluppi così rapidamente da
superare la scientificità dei bollettini medici,
della linea suggerita dai saperi esperti? In questo
senso ci preoccupiamo di sottolineare
l’importanza del sistema mediatico nella
diffusione di un virus, nel nostro caso il Sars-
CoV. Nel quinto capitolo analizziamo il modo in
cui alcuni periodici italiani hanno parlato della
SARS. Evitando di fare riferimento a
semplicistiche relazioni di causa-effetto
ampiamente superate nella riflessione sul ruolo
dei mass-media, ci preoccupiamo però di
suggerire l’importanza fondamentale dei mezzi
di comunicazione di massa nella creazione del
discorso intorno ad un tema come quello della
SARS, cercando di cogliere gli eventi, i contesti, i
rischi, i saperi descritti all’interno degli articoli
del nostro corpus.
13
Questa tesi esiste anche grazie all’aiuto e
all’affetto di molte persone. Grazie perciò a mia
madre Maria, mio padre Santo e mio fratello
Lele. A mia nonna e a tutti i miei familiari. Ai
miei amici e coinquilini, su tutti Daniele, Nicola
e Luca. A Lorenzo e Angelo, fratelli acquisiti. A
tutti i ragazzi di Aci. Ai miei Biorn, Matteo,
Eddie e Aurelio. A Maria. A Tommaso e Ciro. A
tutti i ragazzi del ricevimento del martedì.
Grazie a Marco Bigotto, Valentina Talucci e
Maria Paolo Faggiano. A Carla. Alla Scarti e a
tutti quelli che la fanno vivere. Grazie ai Mùm e
ai Pink Floyd. E a tutti quelli che non riesco a
elencare, che sono tanti.
14
1. La Sars
“Aveva fantasticato che tutto il mondo fosse
condannato a essere vittima di una terribile,
inaudita, mai veduta pestilenza che dal fondo
dell’Asia marciava sull’Europa”.
Fedor Dostoevskij Delitto e castigo
1.1 L’inizio dell’epidemia
La Sindrome Respiratoria Acuta Severa (SARS),
entità clinica nuova, si impone all’attenzione
della comunità internazionale nel marzo 2003, in
seguito all’allarme lanciato dall’Organizzazione
Mondiale della sanità (OMS). Il paziente zero
viene identificato il 26 febbraio 2003 ad Hanoi: è
un cinese, proveniente dalla zona del Guandong.
Fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo
scoppieranno diversi focolai, quasi tutti
ospedalieri, a Hong Kong, Singapore, in Cina. E’
l’inizio formale dell’epidemia di SARS. Intorno
alla metà di marzo la SARS fa la sua comparsa in
Canada, con alcuni casi di importazione che
15
contageranno in breve tempo molti medici e
operatori del settore sanitario. Un altro caso
viene registrato a Francoforte: è un cinese,
fermato dopo il suo arrivo allo scalo
aeroportuale dalle autorità sanitarie tedesche.
Tuttavia, la storia della SARS ha radici più
profonde di quelle appena descritte. Già negli
ultimi mesi del 2002, infatti, le autorità cinesi
avevano dovuto faticare parecchio per
controllare un focolaio epidemico che aveva
causato oltre trecento casi di polmonite nella
provincia meridionale del Guandong. Benché si
trovassero di fronte a una malattia nuova, le
autorità preferirono non collaborare con l’OMS,
e continuarono, fino al marzo 2003, a diffondere
cifre truccate sulle dimensioni dell’epidemia per
non danneggiare i vorticosi ritmi di crescita
economica del paese. Ma, in questo modo,
contribuirono ad aumentare il potenziale
catastrofico della SARS, tanto a livello sanitario
quanto sociale.
La malattia raggiunge presto Hong Kong: un
medico cinese che alloggia all’Hotel Metropole
si ammala a fine febbraio e muore il 4 marzo.
Durante la sua permanenza in albergo, il medico
contagia altri cinque ospiti, tre turisti di
16
Singapore e due turisti canadesi. In pochi giorni
la malattia colpisce dozzine di medici e
personale ospedaliero del Prince of Wales
Hospital.
La malattia prende così a diffondersi
rapidamente, per focolai. Il più imponente di
questi si verifica ad Hong Kong, nel blocco E di
Amoy Gardens, enorme comprensorio abitato da
700 persone. Il governo della città emana, il 31
marzo 2003, un ordine urgente di isolamento. Il
blocco E viene così isolato da più di cento
poliziotti in guanti e mascherine, che hanno
l’ordine di proibire a chiunque di entrare o
uscire. Gli abitanti del blocco E rimarranno
completamente isolati dal resto del mondo,
privati della libertà di muoversi, per i successivi
dieci giorni.
I ritmi di diffusione della SARS si rivelano subito
molto alti: in poche settimane il virus colpisce in
molte parti del mondo: Cina, Hong Kong,
Taiwan, Singapore, Vietnam, Canada, Stati Uniti,
Thailandia, India, Indonesia, Corea del Sud,
Filippine, Mongolia, Malesia, Australia, Brasile,
Macao, Colombia, Kuwait, Nuova Zelanda,
Sudafrica e poi Italia, Germania, Slovenia,
Irlanda (vedi tabella 1.1.). Tutti i paesi,
17
coordinati dall’OMS, decidono di attuare misure
di prevenzione per contrastare l’epidemia e
impedire che possa diffondersi a livello locale. In
Italia vengono istituiti controlli sui passeggeri di
voli provenienti dall’Estremo Oriente, mentre in
Canada le autorità impongono la quarantena per
impedire che il virus, dopo avere contagiato
molti operatori ospedalieri, si diffonda al di fuori
degli ospedali.
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Tabella 1.1. Diffusione della SARS e tasso di
mortalità nei paesi più colpiti
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Fonte: Organizzazione mondiale della Sanità,
http://www.who.int/csr/sars/country/table2004_
04_21/en.