VI
soggetto analizzato, proporre una prospettiva alternativa, praticare
un percorso non già intrapreso, o quanto meno, non
particolarmente praticato.
Non ho la presunzione di porre l’accento esclusivo su un aspetto
che già da altri prima di me è stato considerato rilevante nella
filmografia kubrickiana: il linguaggio musicale. Ritengo, però, che
questo argomento non sia stato approfondito come meriterebbe,
essendo stato circoscritto esclusivamente alla contestualizzazione
dei film presi in esame, ed affrontato mediante i non esaustivi
strumenti analitici della critica cinematografica.
Partendo dai primi documentari e giungendo ai film preminenti
dell’autore, scopo di questa tesi è stato quello di individuare la
maturazione di un linguaggio musicale personale del regista
raggiunto con i film della piena maturità. Essi sono stati perciò
analizzati ponendo le musiche come fulcro principale, giungendo
alla conclusione che i film più importanti siano stati
prevalentemente concepiti, o quanto meno elaborati, in funzione di
esse. Queste opinioni sono motivate dalla analisi di ogni singolo
tema musicale (originali e non) e dall’approfondimento biografico
dei singoli compositori.
Ciò è stato affiancato alla realizzazione di tabelle sinottiche, atte a
schematizzare le ricorrenze tematiche delle colonne sonore di ogni
film preso in esame, mettendo così in risalto la ciclicità dei temi
fondamentali (il caso di “2001:Odissea nello spazio”), e le
caratteristiche sonore inerenti ad ogni sequenza.
Nessuna analisi ha fino ad ora focalizzato l’attenzione sulle
attinenze tra le caratteristiche dei film di Stanley Kubrick e le
peculiarità estetiche, storiche e tematiche originarie dei brani
VII
musicali in essi citati (dalla Nona di Beethoven ad Atmospheres di
György Ligeti, dalla Gazza ladra di Rossini, a Singin’ in the rain).
Tutto quello che è stato scritto su questo argomento, è stato
limitato ai confini narrativi dei film, tacendo delle caratteristiche
originarie dei temi musicali citati, considerandoli esclusivamente
nella loro transcodificazione cinematografica.
Questa tesi “ricontestualizza” le musiche di Beethoven, di Richard
Strauss e di tutti gli altri grandi autori citati da Kubrick, al fine di
rilevare cosa è sopravvissuto di queste peculiarità nell’adattamento
cinematografico. Il metodo usato da Stanley Kubrick nel rielaborare
i soggetti dei romanzi da cui i suoi film sono tratti (quasi tutti i suoi
film sono riadattamenti ispirati a celebri romanzi), è a mio parere
analogo nella realizzazione della colonna sonora.
La metodologia riscontrabile in ogni aspetto della filmografia
kubrickiana è essenzialmente rielaborativa; egli non ha creato
soggetti ex novo e ha usato solo di rado musiche originali,
realizzando i suoi capolavori rivestendo essenzialmente il ruolo di
“regista” canonico, secondo una logica più tradizionalistica e
teatrale. Ecco perché ritengo che la metodologia del linguaggio
musicale di Stanley Kubrick tenga conto dei valori intrinseci delle
musiche citate, opinione giustificata anche dalla sua nota dilezione
in materia e dalle sue testimonianze sull’importanza della colonna
sonora nel cinema.
Motivi quantitativi legati alla vastità di una simile analisi
comparata, mi hanno indotto a prendere in considerazione nove dei
tredici film di Stanley Kubrick, dal primo “Fear and desire”, fino ad
“Arancia meccanica”, sufficienti comunque ad individuare la
metodologia e lo stile riscontrati. L’importanza degli ultimi due film
VIII
presi in esame, “2001:Odissea nello spazio” ed il suddetto “Arancia
meccanica”, ha determinato la scelta di dedicare un capitolo intero
ad ognuno di essi. L’esclusione in questa tesi dei successivi “Barry
Lyndon”, “Shining”, “Full metal jacket” e “Eyes wide shut” è perciò
obbligata e non intenzionale; in essi, infatti, è riscontrabile perfetta
coerenza e continuità con il metodo musicale dei film approfonditi
in questa sede.
Se tanto è stato detto e scritto su Stanley Kubrick, ciò non toglie
che si possa riaffrontare un’analisi dei suoi capolavori guardandoli
come se fosse la prima volta, dimenticando quanto è stato
espresso e scritto. Su questo presupposto ho scritto questa tesi
confidando nel fatto che chi la leggerà la valuti con un analogo
atteggiamento.
Capitolo 1
I PRIMI FILM
(DA I TRE DOCUMENTARI A “IL DOTTOR STRANAMORE”)
In un arco di tempo pari quasi a un cinquantennio si sviluppa la
vita artistica di Stanley Kubrick, la cui conclusione combaciò
romanzescamente con gli ultimi giorni della sua esistenza.
Nato il 26 luglio 1928 a New York nel quartiere del Bronx, primo
genito di una famiglia ebraica americana di origine mitteleuropea a
cui si aggiungerà sei anni dopo la sua nascita la sorella Barbara, a
soli ventitré anni esordisce nel mondo del cinema con un
cortometraggio documentaristico dal titolo “Il giorno del
combattimento”. Autentico self-made man americano, Kubrick
intraprese la carriera di cineasta da autodidatta riuscendo ad
imporsi tra le “alte sfere” degli studios hollywoodiani in tempi
brevissimi. Dopo i primi esperimenti, da lui stesso ripudiati in
seguito, passando per il primo vero riconoscimento ufficiale della
critica con “Orizzonti di gloria” fino all’affidamento del film che
accrebbe la sua notorietà “Spartacus” (un Kolossal già avviato da
Anthony Mann), trasferitosi in Inghilterra nel 1962 Kubrick poté
creare le sue opere in assoluta indipendenza creativa, cosa che
attuò in totale isolamento dalla società e dall’establishment
cinematografico fino all’ultimo capitolo della sua cinematografia nel
1999 con “Eyes wide shut”. Quarantotto anni di carriera
caratterizzati da tre documentari e da un esiguo numero di film,
2
appena tredici, contraddistinti in compenso da una qualità e da una
finitezza sopraffina frutto di lavorazioni estese ed estenuanti come
molte testimonianze di collaboratori confermano, essi furono
distanziati tra loro da un numero di anni in proporzionale aumento
nel corso della carriera.
Motivo di questa vertiginosa e rapidissima scalata al successo del
ragazzo del Bronx che poco o niente sapeva di pratica
cinematografica, può essere individuato nella sua bramosa curiosità
e nella moltitudine di interessi che sin dalla giovinezza approfondì.
Introdotto all’età di dodici anni al gioco degli scacchi dal padre,
appassionato jazzista al punto di inseguire il desiderio di diventare
batterista professionista, scoprì l’amore per la fotografia quando a
tredici anni gli fu regalata la prima macchina fotografica, una
Graflex.
Eccellendo esclusivamente in fisica, l’unica materia che gli
suscitasse interesse al liceo William Howard Taft School, lo scarso
punteggio di 70,1 (pari ad una risicata sufficienza) con cui concluse
gli studi non gli permise l’accesso all’università. In compenso già
nel 1945 entrò nel mondo del lavoro nell’ambito più prossimo a
quello cinematografico: la fotografia. Tra tutte le sue passioni
giovanili questa fu quella in cui dimostrò le maggiori attitudini dato
che la rivista Look lo ingaggiò per quattro anni.
Sin da allora s’immerse in una lettura appassionata ed intensa di
ogni sorta di libro, formando una propria cultura che si rifletterà in
anni successivi negli argomenti e nelle trattazioni di ogni suo film
ispirato, nessuno escluso, da romanzi (eccezion fatta per i
primordi).
3
Lo scarso numero di lungometraggi “partoriti” dalla mente di
Kubrick a confronto dei cataloghi di altri prolifici colleghi come
Hitchcock, Chaplin o Fellini, non esenta lo studioso da analisi
elaborate e voluminose nell’approccio all’opera omnia del regista
newyorchese.
Numerose biografie e trattati scritti sull’argomento lo dimostrano e
anche analisi incentrate esclusivamente su aspetti particolari,
categoria alla quale questa tesi di laurea si deve ascrivere,
richiedono un lavoro vasto e dettagliato dovuto alla elaboratezza di
questi film, impeccabili da ogni punto di vista tecnico o estetico che
sia.
Argomento di analisi di questa tesi è l’aspetto musicale dei
suddetti, elemento fondamentale e caratteristico di ogni pellicola, a
cui Kubrick dedicò un attenzione preminente. Appurato il fatto che
questo fattore ha assunto importanza solo in uno stadio artistico
evoluto riscontrabile da “2001: Odissea nello spazio” in poi, e che i
lavori ad esso precedenti, con le dovute differenze, risultano affini
alle tendenze musicali standardizzate di Hollywood, caratterizzate
da figure di compositori dozzinali e manierati, in questo capitolo mi
accingerò ad un’analisi preliminare sommaria dei film antecedenti
alla data storica di uscita di “2001”, il 1968
1
.
Questo stadio artistico evoluto, come ho voluto definirlo, è
contraddistinto da un approccio differente alla applicazione di
commenti musicali al visivo, basato quasi esclusivamente sul
ricorso di temi musicali preesistenti ai film (nel caso specifico di
1
A sostegno di questa argomentazione cito l’introduzione di Sergio Bassetti, La
musica secondo Kubrick, Lindau, Torino, 2002.
4
“2001: Odissea nello spazio” tale metodo è riscontrabile nell’intera
colonna sonora). In sostanza Kubrick rinuncia alla collaborazione di
compositori accreditati preferendo, come in gran parte degli aspetti
dei suoi film, l’indipendenza e l’autonomia decisionale. Prediligendo
il repertorio classico e contemporaneo di matrice euro-colta, senza
rinunciare a citazioni di musica popolare volgarmente definita
“leggera” che in questa analisi classificherò nelle più adeguate
definizioni di “genere” come Rock, Blues, Jazz e Swing, Kubrick ha
dimostrato un gusto ineguagliato negli accostamenti audio-visivi ed
un’invidiabile apertura mentale nel sezionare un così vasto e
disparato repertorio musicale tali da sconvolgere, nel corso degli
anni, più di qualche datato “benpensante”. Non mancheranno
collaboratori musicali in questa seconda fase della sua carriera, ma
il più delle volte rivestiranno il ruolo di adattatori o arrangiatori di
celeberrime pagine di musica sinfonica ed operistica, e solo
raramente verrà lasciato loro spazio creativo per pagine scritte ex
novo. Nei capitoli successivi sarà dedicata un’analisi approfondita
delle associazioni audio-visive di “2001: Odissea nello spazio” e
“Arancia meccanica”, accostando parallelamente cenni storiografici
e analitici delle musiche in essi citate rispettivamente ai loro
contesti originari. I film analizzati nel complesso sono:
ξ I tre documentari d’esordio
ξ “Fear and desire”
ξ “Il bacio dell’assassino”
ξ “Rapina a mano armata”
ξ “Orizzonti di gloria”
ξ “Spartacus”
ξ “Lolita”
5
ξ “Il dottor Stranamore”
ξ “2001: Odissea nello spazio”
ξ “Arancia meccanica”
Lo scopo di questa analisi comparata, che vuole andare oltre la sola
indagine estetica delle relazioni suono-immagine interne ai singoli
film, è quello di individuare una o più cifre stilistiche ricorrenti nel
metodo applicativo del regista, il cui lavoro non si limita ad una
sterile selezione di musiche raffinate finalizzata alla vacua citazione
colta, bensì risulta essere il frutto di scelte ponderate e consapevoli
di un uomo di vasta cultura che bene conosceva i contesti storici e i
valori propri delle pagine musicali selezionate, come confermano le
numerose testimonianze riguardanti i suoi approfonditissimi studi
preparatori di ogni singolo aspetto dei soggetti affrontati nei suoi
film. La scelta di questa analisi comparata determina
conseguentemente la circoscrizione ai determinati film suddetti in
quanto caratterizzati in massima parte da musiche preesistenti; ma
volendo individuare un metodo nei gusti musicali di Stanley Kubrick
è bene definire inizialmente le prime tappe della sua “odissea”
cinematografica, perché anche se dovette suo malgrado collaborare
con musicisti di professione, in questo periodo riuscì comunque ad
imporre il suo gusto personale e a richiedere citazioni di suo
gradimento. I germogli del suo rivoluzionario metodo musicale
applicativo, il quale non ha mancato di influenzare numerosi
cineasti, sono riscontrabili, infatti, già nella prima fase della sua
carriera.
6
I TRE DOCUMENTARI
Penso che la quasi totale preoccupazione dell’arte moderna per il soggettivismo
abbia portato all’anarchia e alla sterilità nelle arti. Il concetto che la realtà esista
soltanto nella mente dell’artista [...] inizialmente è servito a infondere nuova
energia, ma ha finito poi col produrre un sacco di opere molto stravaganti, molto
personali ed estremamente prive di interesse. Nel film Orfeo di Cocteau il poeta
chiede cosa devo fare. “Stupiscimi” gli viene detto. Ben poca parte dell’arte
moderna lo fa [...]. Sia come sia, il cinema, sfortunatamente, non ha affatto
questo problema. Fin dall’inizio si è mosso il più cautamente possibile, e nessuno
può imputare ad un eccesso di originalità e di soggettivismo la generale piattezza
del cinema.
2
In un film ritengo che i principali strumenti da utilizzare siano le immagini, la
musica, il montaggio e le emozioni degli attori [...]. Per quel che mi riguarda le
scene più memorabili nei film migliori sono quelle costruite essenzialmente di
immagini e musica.
3
Prendendo spunto da una delle rarissime testimonianze rilasciate
possiamo avere ben chiara la Weltanschauung di Stanley Kubrick in
ambito artistico, in generale, e cinematografico, in particolare. La
circostanza in cui le suddette citazioni furono rilasciate, l’intervista
di Michel Ciment riguardante “Arancia Meccanica”, benché
posteriore al periodo del capitolo in questione è riconducibile a
tutta la carriera del regista sin dagli esordi. L’elenco dei fattori
preminenti di un film in cui l’elemento assente, il dialogo, risulta
2
M.Ciment, Kubrick, Rizzoli, Milano 2000, p. 151.
3
M.Ciment, Kubrick cit., p. 162.
7
ancora più indicativo di quelli citati, conferma l’assunto di base del
nostro argomento: la sensibilità di Kubrick per la musica.
Intraprendendo la carriera cinematografica Kubrick ha sempre dato
rilevanza ai principi suddetti, e se ciò può essere contestato a
riguardo dei suoi primi documentari e dei suoi primi lungometraggi,
è bene distinguere le intenzioni dai risultati del giovane
sperimentatore, ed è altrettanto doveroso valutare l’effettiva libertà
decisionale concessa dai suoi produttori. I differenti risultati
ottenuti dai tre documentari sono direttamente proporzionali alla
libertà concessagli, e là dove risultino lavori dozzinali è facile
individuare la causa nelle ristrettive imposizioni dei committenti.
Sintomo di questi disomogenei risultati, come vedremo, sono anche
gli aspetti musicali che sin da ora confermano le priorità stilistiche
testimoniate nell’intervista qui menzionata.
La volontà di dominio su ogni aspetto dei propri film era già
presente nel suo lavoro giovanile di foto-reporter della rivista Look.
La foto che sancì il sodalizio tra lui e questa rivista, il cui
commovente soggetto era un triste giornalaio circondato dai
manifesti della sua edicola riportanti a grandi titoli la morte del
presidente Franklin Delano Roosevelt, non fu il frutto di un fortuito
scatto eseguito all’insaputa del soggetto, ma come Kubrick stesso
confessò all’amico Walter Trueman, dovette sudare sangue per
convincere il vecchio giornalaio ad assumere un atteggiamento
addolorato
4
.
4
Le più attendibili fonti biografiche del regista americano sono tratte da J.
Baxter, Stanley Kubrick la biografia, Lindau 1999 Torino.
8
In tutti i lavori che gli furono commissionati da questo momento in
poi, accettò a fatica l’idea di dovere fotografare i soggetti impostigli
dal giornale, ma quando ebbe l’opportunità di trattare un servizio
stimolante come Prizefighter riguardante la fase preparatoria della
giornata dell’incontro di boxe del pugile Walter Cartier
5
, intuì di
avere già pronto il primo soggetto del suo futuro documentario.
“Il giorno del combattimento” (Day of the fight 1951) venne
alla luce grazie ad una concomitanza di fattori, il primo dei quali è
stato detto. L’amicizia dell’ex compagno di scuola Alex Singer e la
passione comune che li guidò verso l’arte del cinema, egli stesso
diventerà un celebre regista, fu la circostanza che diede
l’opportunità a Kubrick di rimediare i finanziatori. Avendo trovato
un lavoro come fattorino a “The March of Time”, serie di
documentari d’attualità finanziata dall’editore di “Life” e “Time”,
Alex Singer fece da tramite per introdurre il suo amico
nell’ambiente e trovare i finanziamenti sufficienti. Dopo aver preso
in affitto una camera Eyemo 35mm e appreso autonomamente
l’uso di un sincronizzatore, una giuntatrice ed una moviola per il
montaggio, coadiuvato nelle riprese dal suo collega ed amico, a
lavoro concluso Kubrick ebbe la spiacevole notizia del fallimento di
“The March of Time”. L’ultimo fattore che permise la realizzazione
di questo documentario, fu l’acquisizione dei diritti della RKO, senza
la quale non sarebbe mai stato distribuito. Tra tutte queste
circostanze, la spinta propulsiva fu naturalmente la conoscenza di
5
Grazie al lavoro di S. K., Cartier fece un gratificante carriera cinematografica
lavorando in film come Un volto nella folla di Elia Kazan e nella serie televisiva
“Sergent Bilko” di Phil Silver.
9
Alex Singer, il quale non solo stimolò Kubrick nel progetto e
collaborò fattivamente nelle riprese, ma ebbe anche il merito di
introdurlo alla conoscenza del musicista che caratterizzò questo
documentario oltre che numerosi altri film del maestro: Gerald
Fried.
Compositore di formazione prettamente classica, condivideva con
Stanley Kubrick la passione per il jazz, influenza facilmente
riscontrabile nelle soluzioni ritmiche delle sue colonne sonore.
Iniziando con questo documentario il suo sodalizio con
l’esigentissimo regista, Fried non poteva sapere allora che sarebbe
diventato il suo collaboratore musicale più longevo.
Escludendo i due successivi documentari parteciperà alla
realizzazione dei primi quattro film, un record mai eguagliato da
nessun altro collega nel corpus della filmografia kubrickiana ,cinque
collaborazioni complessive contando questo documentario, il che
dimostra non solo la qualità del suo operato (diventerà in futuro
valente compositore hollywoodiano), ma anche la sua capacità di
autocontrollo nel sapere gestire una non agevole collaborazione.
Pur godendo inizialmente di una certa libertà compositiva nei primi
film, Fried dovette presto scontrarsi con l’imperante autoritarismo
di Kubrick che con l’accrescimento della consapevolezza dei propri
mezzi pretese sempre di più, non accontentandosi di lasciare carta
bianca ai suoi collaboratori come molti altri cineasti dell’epoca,
tanto meno nell’aspetto musicale.
Testimonianza di questo incrinarsi dei loro rapporti è proprio
l’ultima tappa della loro collaborazione: “Orizzonti di gloria”.
Attraverso le parole stesse del musicista estratte da un’intervista
di Peter Bogdanovich possiamo averne riprova:
10
Nel periodo in cui ci siamo messi a lavoro su Orizzonti di gloria, lui era già
diventato “Stanley Kubrick”, e dunque fu una lotta- dovevo razionalizzare ogni
nota. Si è trattato di una esperienza divertente e stimolante, ma lui era certo di
sapere già tutto. Lui era anche batterista, e quella per Orizzonti di gloria fu la
prima partitura interamente percussiva. Per quanto ricordo ascoltò ogni singolo
effetto sonoro di mitragliatrice prima di adottarlo nel film
6
.
Il regime di libertà creativa con cui lavorò a “Il giorno del
combattimento”, per tornare al nostro argomento, ci permette di
vertere la nostra analisi sulla natura degli interventi musicali, la
loro disposizione all’interno del film e la loro coerenza piuttosto che
soffermarci sulle peculiarità intrinseche delle musiche stesse.
Il tema della gloriosa marcia trionfale che scandisce l’apertura
del documentario e che determina tutti i temi ricorrenti, non si
discosta dalle coeve composizioni di matrice hollywoodiana, tanto
da poter essere descritta per paragone con analoghe musiche per
film in costume ambientati nell’epoca d’oro dell’Impero romano, i
numerosissimi Kolossal che per anni hanno imperversato il mercato
americano. Una pomposa fanfara caratterizzata principalmente dal
suono roboante degli ottoni orchestrali, che pur senza
rappresentare un’illuminante ispirazione compositiva, ha
sicuramente il pregio di legarsi concettualmente con l’evento
sportivo rappresentato.
Il rimando indiretto con le glorie idealizzate dei tempi antichi, se
così lo si vuole leggere, si dimostra un cliché efficace per un
6
P. Bogdanovich (a cura di), What They say about Stanley Kubrick, “The New
York Times”, 4 luglio, 1999; confronta S. Bassetti, La musica secondo Kubrick,
cit., pag. 57.
11
documentario finalizzato all’esaltazione della virilità maschile in uno
sport che più degli altri rimane legato ai retaggi delle antiche
competizioni, caratterizzate proprio dal brutale scontro fisico
7
.
Un documentario incentrato principalmente sulla fase preparatoria
dell’incontro di Walter Cartier a partire dalla sveglia mattutina,
passando per la sua partecipazione alla messa, le cure per il
proprio cane, la visita medica, il pranzo, il viaggio in macchina con
il fratello gemello, soltanto nei minuti finali rivendica il suo titolo,
concludendosi con il match dall’esito favorevole per il nostro
protagonista.
Per un totale di 16’, Kubrick opta per un commento musicale di
circa 13’ interrotti proprio nel momento clou dell’incontro. Se
l’apertura del film è descritta dalla marcia gloriosa e i momenti più
rilassati sono caratterizzati da scansioni ritmiche ostinate dei legni
e dei timpani, Kubrick decide di lasciare ai suoni d’ambiente il
compito di descrivere le immagini del match.
7
Volendo trovare conferma di quest’abbinamento stilistico, si può creare un
parallelismo con la successiva serie dei film basati sul personaggio di Rocky, in
cui il celeberrimo tema trionfalistico “Gonna fly now” di Detta Little & Nelson
Pigfor, basato anch’esso sugli ottoni, si lega in qualche modo a questa categoria
musicale, anche se il valore creativo nella sua semplicità si dimostra sicuramente
più rilevante rispetto alla musica di Fried, come testimonierà la sua longevità (è
diventato ormai lo stereotipo dell’atleta vittorioso), e i film da parte loro avevano
un ben più marcato spirito american- hero, eccezion fatta forse per il primo.