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 Il fenomeno sociale dello sport ha attratto, negli ultimi 
anni, l’ interesse di un numero crescente di studiosi, fino al 
punto di costituire l’oggetto di una nuova specialità 
sociologica. Nell’ ambito di questa recente disciplina, 
affermatasi grazie al lavoro pionieristico di Norbert Elias e 
di altri esponenti della scuola anglosassone, il gioco del 
calcio ha ottenuto un ruolo sicuramente privilegiato. Non è 
difficile indicare i motivi di tale privilegio. In primo luogo il 
calcio è lo sport più seguito nel mondo (con l’ eccezione 
significativa degli Stati Uniti d’ America e di alcune ex 
colonie dell’ Inghilterra come il Canada e l’ Australia), 
mobilitando di conseguenza non solo notevoli risorse 
economiche ma anche la spasmodica attenzione dei mezzi 
di comunicazione di massa. In secondo luogo si tratta di 
uno sport che, a torto o a ragione, è supposto generare un 
vero e proprio social problem, la violenza dei tifosi 
organizzati, i  cosiddetti ultras, come vengono chiamati e 
come essi stessi amano definirsi in Italia. Si deve inoltre 
aggiungere che il gioco del calcio costituisce per un gran 
numerosi praticanti, spettatori e appassionati un’ autentica 
sottocultura, ovvero, secondo le definizioni canoniche, un 
sistema o sottosistema di simboli che orienta riti specifici, 
dotato di linguaggi specifici e capace di promuovere 
comportamenti specifici.  
Detto ciò, si deve osservare che la curiosità sociologica 
suscitata dal gioco del calcio si è rivolta, almeno fino alla 
fine degli anni Ottanta, prevalentemente a un solo aspetto, e 
cioè alla violenza degli spettatori, in vista, si suppone, dei 
mezzi più idonei per prevenirla. Nonostante l’ indubbia 
importanza di questo problema, riteniamo che un interesse 
prevalente per la violenza degli ultras costituisca una 
prospettiva molto ridotta e parzialmente distorcente, se si è 
interessati alla conoscenza della sottocultura calcistica, nel senso 
definito sopra. La sociologia non è però la sola disciplina 
-  - 9
che ha tentato di descrivere il calcio e fenomeni ad esso 
correlati. Da un’analisi comparata della letteratura che si 
occupa di sport e di fruitori dello spettacolo sportivo, ci 
troviamo infatti di fronte ad una certa varietà di approcci. 
In primo luogo  quello specificamente sociologico, cioè 
indirizzato ad un’analisi delle implicazioni e dell’impatto 
sulla nostra società del movimento sportivo e della 
fenomenologia del pubblico che assiste alle manifestazioni 
sportive stesse. Tale approccio vede tra i suoi principali 
artefici alcuni autori italiani quali Alessandro Dal Lago, 
Roberto Moscati, Antonio Roversi e Valerio Marchi. Vi è 
poi un approccio di orientamento evolutivo, mirato ad una 
particolare attenzione per i meccanismi mediante i quali si 
sono diffusi, nel tempo, atteggiamenti di aggressività e 
violenza tra gli spettatori sportivi, nello specifico i tifosi di 
calcio; questo indirizzo di studi appartiene alla scuola 
anglosassone, guidata da Norbert Elias. Infine giungiamo a 
teorizzazioni più marcatamente psicologiche avanzate dallo 
psicologo sociale Alessandro Salvini. Tali diversità di 
orientamento sollevano a loro volta una serie di questioni e 
di interrogativi di differente matrice. 
Se per gli “anglosassoni” lo sport, in primo luogo e, in 
seguito, il fenomeno del tifo organizzato ad esso correlato, 
viene vivisezionato attraverso la lente d’ingrandimento 
dello scienziato che mantiene le distanze da questa “bassa” 
forma d’intrattenimento del popolo, ciò si può  negare per 
quanto concerne gli studiosi italiani che successivamente si 
sono dedicati al fenomeno sportivo. Per i primi l’attività 
sportiva è una valvola di sfogo necessaria per sopportare le 
imposizioni che la società detta. Nella fattispecie dei tifosi, 
le attività connesse all’evento calcistico, siano di natura 
goliardica e ricreativa come i canti e le giornate passate 
insieme o di natura più cruenta come gli scontri tra le 
opposte tifoserie, vengono interpretate come esigenza della 
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 classe operaia di ribadire il proprio ruolo nella società, una 
contrapposizione tra “noi” e “loro” tesa a rafforzare la 
virilità e l’identità di gruppo. Di conseguenza i tentativi di 
analisi dell’intero complesso di ambiti propri dell’attività 
sportiva non possono trascurare gli sviluppi sociali di 
determinate classi, né, ignorare come lo sport abbia 
contribuito e alimentato l’espressione dei valori tipici delle 
classi sociali sopracitate.  
Pare però riduttivo limitarsi a definire il variegato ed 
eterogeneo mondo dei sostenitori calcistici come 
conseguenza della necessità di sfogare i propri impulsi e la 
propria rabbia. Dalle ricerche da noi svolte sono emerse 
una serie di motivazioni e di argomenti, in virtù dei quali 
non abbiamo timore a criticare la categoricità con cui gli 
esponenti della scuola anglosassone si sono espressi. 
Avremo modo, poi, nel corso del lavoro, di illustrare con 
maggiore chiarezza le nostre ragioni. La complessità della 
cultura sportiva trova riscontro inoltre nel pensiero dei 
sociologi italiani, in particolar modo di Alessandro Dal 
Lago e Roberto Moscati. Per questi autori l’intrecciarsi di 
atteggiamenti trasgressivi e rituali, di interessi economici e 
simbolici, di fatti, miti e stereotipi, sta a testimoniare tale 
complessità. Questa complessità e la specificità della cultura 
sportiva non determinano comunque la separazione dal 
resto della società, dalla quale si assorbono e  si recepiscono 
tensioni e conflitti, trasformati parodisticamente nel 
contesto dello stadio. Il discorso di Dal Lago e Moscati 
successivamente si amplia abbracciando tutta una serie di 
considerazioni relative ai mutamenti attraversati dalla 
società italiana negli ultimi quarant’anni. Ciò che a noi 
preme sottolineare sono, e qui ci ripetiamo, le motivazioni 
e gli impulsi che spingono migliaia di giovani e non ad 
organizzarsi per manifestare nel modo più concreto e 
 -    -11 
caloroso possibile il proprio attaccamento alla squadra del 
cuore.  
Ugualmente oggetto di critica è l’idea, anche questa 
tipicamente anglosassone, dell’omogeneità di provenienza 
sociale alla base dell’aggregazione dei tifosi di calcio. Non 
vorremmo essere fraintesi a causa delle eccessive critiche a 
Elias ed ai suoi seguaci, senza le cui ricerche adesso non ci 
troveremmo a discutere di questo argomento. Purtuttavia il 
loro approccio mostra dei limiti tra i quali quello di risentire 
di un’ osservazione privilegiata, e a volte esclusiva, del caso 
specifico britannico. In questa maniera sicorre il rischio di 
produrre inesatte generalizzazioni. Si avverte inoltre il peso 
dell’età di determinate teorie.  
Dopo una prima analisi della letteratura dedicata allo sport 
ed ai rituali aggregativi ad esso correlati, la ricerca verrà 
orientata nella direzione di un’ indagine approfondita 
riguardante i soggetti in questione. Si è cercato di verificare 
le ipotesi fin qui avanzate sulle dinamiche del tifo all’ 
interno di uno specifico settore appartenente a questa 
categoria: il presente infatti lavoro nasce dalla voglia di 
prendere in considerazione con consapevolezza una delle 
grandi aggregazioni sociali più importanti nella storia della 
gioventù romana, la curva Sud dello stadio Olimpico di 
Roma.  
Il tifo giallorosso è stato analizzato nella sua complessità, 
attraverso strumenti vari. Dapprima è stato descritto ed 
interpretato da un punto di vista storico. Tra ricerca 
antologica e minuziosa cronaca si è cercato di ricostruire un 
percorso finora poco esplorato: quello della storia di una 
società di calcio vista attraverso la sua tifoseria. Poi l’ analisi 
è stata orientata verso un’ indagine approfondita dei 
soggetti in questione e sono state realizzate delle interviste 
che hanno coinvolto una serie di aree di interesse piuttosto 
variegata. L’obiettivo del nostro lavoro è di descrivere “dal 
 -12-
di dentro” il tifo giallorosso, senza prendere le distanze 
dagli intervistati né permetterci di giudicare episodi e 
atteggiamenti narrati. Abbiamo scelto di dividere i soggetti 
intervistati in due grandi categorie, che racchiudessero 
idealmente i vari tipi di individui che affollano 
periodicamente gli stadi italiani in qualità di appassionati. 
Abbiamo definito come “tifosi” gli individui appartenenti a 
club organizzati appartenenti all’ associazione italiana Roma 
club e come “ultras” i soggetti aderenti a gruppi di accesi 
sostenitori, che si autodefiniscono tali e che, come avremo 
modo di constatare, esprimono forme di aggregazione 
molto più intense rispetto ai tifosi “normali”. Le modalità 
con le quali abbiamo contattato i sostenitori sono state 
varie. Siamo partiti dalla conoscenza diretta di alcuni, 
approfittando poi della disponibilità dimostrata per 
contattare loro conoscenti. Si è cercato di avviare un 
percorso che fosse cronologicamente coerente, invitando i 
soggetti intervistati a raccontare le loro esperienze e a 
raccontarsi, partendo dalle prime volte alla partita per 
passare poi all’attualità, fatta di amicizie e inimicizie con gli 
altri tifosi, di rapporti con le società e con i giocatori, di 
aneddoti di trasferte “epiche” e di incontri con la polizia, di 
“vita reale” al di fuori dello stadio, per giungere infine 
all’idea che ciascuno si è fatto, o sta cercando di farsi, del 
proprio futuro. Per verificare l’ attendibilità dei risultati 
ottenuti dalle interviste, ma principalmente per cercare di 
definire tendenzialmente le caratteristiche ed il profilo 
sociologico dei tifosi giallorossi, abbiamo inoltre 
sottoposto, a quaranta di loro,  un questionario a risposta 
chiusa. Anche in questo caso si è cercato di dare vita ad un 
lavoro il quale comprendesse il maggior numero di aspetti 
possibile dell’ “essere tifoso”. 
Nel nostro lavoro si cercherà anche di mettere in evidenza 
quanto sia importante approfondire gli aspetti comunicativi 
-    -13 
del tifo, poiché è proprio in questo campo che l’intrecciarsi 
di atteggiamenti trasgressivi  rituali e simbolici che lo 
caratterizzano hanno modo di esprimersi. Il lavoro sarà 
comprensivo pertanto di un’ indagine approfondita 
riguardante le dinamiche comunicative del tifo giallorosso.   
Nell’ esplorazione di questo vasto repertorio ci siamo 
proposti  l’ obiettivo di analizzare a scopo conoscitivo il 
loro linguaggio attraverso gli strumenti che essi stessi 
utilizzano per comunicare: cori, striscioni e coreografie. Il 
tifoso infatti è essenzialmente “opinione pubblica”: 
comunica i suoi messaggi alla squadra del cuore, alle forze 
dell’ ordine, ai tifosi nemici dirimpettai, a uomini politici, e 
addirittura al paese intero, sperando che qualche telecamera 
inquadri il suo,  o che qualche giornalista ne divulghi il 
testo, facendolo rimbalzare anche fuori dal campo di gioco. 
I cori e gli slogan che ogni domenica vengono scanditi nelle 
curve degli stadi di calcio  costituiscono probabilmente la 
forma di comunicazione di massa più innovativa e fraintesa 
degli ultimi trenta anni, e quella che a nostro modo di 
vedere può fornirci le informazioni più importanti per l’ 
interpretazione del fenomeno esaminato.  
La pluralità dei fenomeni legati al mondo del calcio, in cui 
interessi economici e simbolici, comportamenti rituali e 
trasgressivi, fatti miti e stereotipi s’ intrecciano spesso in 
modo inestricabile, ci ha suggerito uno stile di ricerca 
plurale e flessibile. Ci sembrava che il nostro scopo, 
analizzare e descrivere il tifo giallorosso dal punto di vista 
sociologico e comunicativo, potesse essere raggiunto solo 
ricorrendo a diversi metodi di ricerca. Il metodo 
quantitativo ci è sembrato indispensabile nell’ analisi del 
profilo sociologico dei tifosi (cap. IV) e nell’ analisi del 
contenuto delle loro forme di comunicazione (cap.V). I 
metodi qualitativi delle interviste in profondità (cap. IV) e 
dell’ analisi semiotica (cap. V) ci apparivano di grande utilità 
 -14 -
nell’ analisi della cultura ultras e in quella della sua forma di 
comunicazione visiva, le coreografie. Le analisi empiriche 
sono state precedute da una riflessione storico-sociolociga 
sul significato del gioco del calcio nella nostra cultura (cap.I), 
da un’ analisi della letteratura riguardante il tifo calcistico 
(cap.II) e sulla storia del tifo a Roma (cap.III).   
-     - 15
 
 
 
 
Capitolo 1 : Sport e Aspetti Sociali 
 
1.1  Sport e Sociologia: la Teoria Configurazionale 
1.2  Le Origini Inglesi dello Sport 
1.3  La Nascita del Calcio in Inghilterra 
1.4  Le Origini del Calcio in Italia 
1.5  Dal Tifo Calcistico Spontaneo a quello Organizzato 
in Italia  
1.6  Mediatizzazione Sportiva e Calcistizzazione 
Mediatica 
 
 
 
 
 
  - 16 -
1.1  Sport e Sociologia: la Teoria Configurazionale 
 
 
 
o sport è allo stesso tempo un fenomeno tra i più 
discussi e fra i meno compresi della nostra vita 
quotidiana. Il Novecento è stato il secolo dello sport 
e della sociologia. Da una parte lo sport, che ha 
rappresentato una metafora poderosa della modernità 
intesa come un complesso ed elaborato sistema di regole e 
significati. 
Dall’ altra la sociologia , che ha costruito una fitta rete di 
connessioni intellettuali per cercare di descrivere, 
interpretare e spiegare la tarda modernità. Purtuttavia i due 
percorsi tardarono ad incontrarsi. La cultura accademica ha 
vissuto a lungo con disorientamento,  e persino con 
fastidio, il rapporto con le varie manifestazioni della “ 
disprezzata” cultura di massa. Sino a quaranta anni fa un 
fenomeno così pervasivo ed ingombrante risultava privo d’ 
interesse e veniva considerato più  una materia da fisiologi e 
biomeccanici che da studiosi di scienze sociali”. 
Un grande contributo ai fini dell’ integrazione della 
tematica sportiva all’ interno dell’ universo delle scienze 
sociali viene dai lavori dei sociologi configurazionali. 
Capostipite di questa scuola di pensiero è Norbert Elias. 
Per il sociologo inglese ogni contesto sociale presenta una 
specifica configurazione che può essere colta e rappresentata 
sociologicamente osservando i nessi di interdipendenza che 
si generano nella dialettica tra cooperazione e conflitto. 
Cooperazione e conflitto rappresentano, secondo il suo 
modello teorico, le sole dinamiche sempre presenti nelle 
relazioni tra gli uomini. Il gioco sportivo è quella 
manifestazione che riesce meglio delle altre ad evidenziare 
L
-     - 17
la rete nascosta delle relazioni fra gruppi e individui entro 
una determinata società. 
La teoria configurazionale ha concentrato i propri sforzi 
soprattutto sull’ interpretazione della civilizzazione 
occidentale nell’ epoca moderna. La particolare attenzione 
rivolta in questa prospettiva al fenomeno della 
sportivizzazione ha alimentato il fiorire di numerosi studi, 
condotti soprattutto nell’ ambito accademico dell’ 
Università inglese di Leicester.  
Elias e Dunning
1
 , si pongono in maniera molto critica nei 
confronti delle scienze sociali che non sono state colpevoli  
di aver banalmente dimenticato il fenomeno sportivo, che  
è invece stato  consapevolmente rimosso a causa di una 
visione del mondo dominata dai propri tabù. Lo sport 
infatti rimanda a quella corporeità esorcizzata dall’ etica 
religiosa giudaico-cristiana e da questa definita per secoli 
come la prigione dell’ anima; lo sport è in primis emozione 
in potenziale rotta di collisione con il modello pedagogico 
della morale borghese ottocentesca, che ha imposto la 
repressione e il controllo come delle costanti nella relazione 
individuo-società.. 
Verso la fine degli anni trenta del Novecento Elias  elabora 
la teoria della civilizzazione, esposta nelle sue linee principali in 
due libri pubblicati  anche in Italia sul finire degli anni 
ottanta con il titolo, rispettivamente di La società di corte e Il 
processo di civilizzazione. Secondo Elias la storia moderna del 
mondo occidentale può essere letta come una prolungata 
elaborazione di un modello di vita civilizzato, vale a dire 
come una lenta e costante rivoluzione che, nel corso dei 
secoli, ha prodotto una radicale trasformazione dei 
comportamenti ritenuti, in ciascun periodo storico, normali 
e corretti, e ha con il tempo portato al formarsi di potenti 
barriere sia psicologiche che istituzionali contro la 
manifestazione incontrollata dei sentimenti. In sostanza, si 
  - 18 -
è trattato del formarsi di un patrimonio di regole di 
correttezza nei comportamenti tra gli uomini basato su 
sempre nuovi standard di decoro e ripugnanza. Nel 
Medioevo, ad esempio, il passaggio dall’ amore all’ odio 
poteva essere molto rapido ed intenso. Nelle nostre società 
più civilizzate, l’ improvviso avvampare ed estinguersi della 
passione che contraddistingueva l’ uomo medievale, 
secondo Elias ha lasciato il posto ad una combustione più 
lenta e continua. Le emozioni sono divenute più sfumate e 
controllate, e tutte le relazioni emotive, come la 
commozione l’ ira e il pianto, ed affettive si sono 
caratterizzate per una maggiore riservatezza. 
Cercando di elaborare una teoria sociale delle emozioni 
Elias mette in luce l’ azione fondamentale di due processi 
complementari. Il primo di questi consiste in questa azione 
di repressione della sfera istintuale basata sul controllo delle 
emozioni. Il secondo, quello maggiormente influenzato 
dalla sociologia weberiana, riguarda la sfera politica e 
istituzionale. Il processo di civilizzazione presuppone per il 
sociologo inglese il trasferimento ad un’ autorità pubblica 
del “monopolio della violenza legalizzata”. Con la 
costruzione dello Stato-nazione, forma politica della 
modernità occidentale, che va di pari passo con lo sviluppo 
di sistemi e mezzi finalizzati alla preservazione dell’ ordine 
e del controllo sociale, nasce un sistema di prevenzione e 
repressione penale internamente gestito da istituzioni 
specializzate al servizio dello Stato quali polizia e 
magistratura. 
La civilizzazione non opera però soltanto attraverso il 
rafforzamento e il perfezionamento di strumenti coercitivi 
di controllo sociale. Deve anche ideare e proporre 
paradigmi di comportamento e stili di vita distintivi. La 
trasformazione in attività sportive, da parte della borghesia 
industriale dell’ Ottocento, di quelli che erano stati i 
-     - 19
passatempi “oziosi”, i loisir della vecchia aristocrazia, 
costituisce un esempio illuminante. Poichè ogni classe 
dominante emergente tende ad adottare e a riadattare stili e 
comportamenti di quelle che l’ hanno preceduta, 
infondendole i propri valori e significati, sarà esemplare l’ 
invenzione dello sport moderno da parte della borghesia 
britannica ottocentesca, che rivisitando gran parte dei gesti 
espressivi dell’ antica aristocrazia (cacciare, cavalcare, 
duellare) ne produrrà una rielaborazione culturale coerente 
con i propri valori dell’ efficientismo, della competizione, e 
del successo tecnicamente misurabile. 
Queste premesse teoriche aiutano a comprendere perché, 
analizzando in maniera non riduttivistica le configurazioni 
sociali, lo sport moderno costituisca un oggetto privilegiato 
di indagine per Elias. Si tratta infatti di un fenomeno che 
cambia progressivamente, differenziandosi tanto dalla 
tradizione competitiva classica, quanto dai giochi 
cavallereschi e dai folkgame, sino a dar vita a una 
produzione di significato del tutto inedita. 
L’ antichità classica possedeva certamente una propria idea 
di competizione agonistica e anticipava alcune forme 
espressive rintracciabili ancora nello sport moderno. 
Sarebbe però un errore enfatizzare come farà nel 1893 il 
barone de Coubertin in qualità di rifondatore del 
movimento olimpico, qualunque elemento di continuità. 
Basti pensare a come i giochi del Circo in età romana si 
basassero più che sull’ etica della competizione retta da 
regole, che è un’ acquisizione relativamente recente della 
cultura sportiva, sulla spettacolarizzazione della violenza e 
sulla teatralizzazione della crudeltà. L’ incorporazione nello 
spettacolo delle categorie di violenza e crudeltà è propria di 
una cultura sociale antecedente alla moderna civilizzazione. 
Lo sport moderno tende invece a costruire eventi mimetici, 
incorporando il rifiuto della violenza e sottoponendo il 
  - 20 -
gesto violento ad un complesso sistema di regole e 
sanzioni. La violenza non è cancellata ma rimossa e 
addomesticata e fatta oggetto di dinamiche di simulazione 
che producono complessi apparati evocativi e normativi. I 
giochi di squadra in particolare permettono di operare una 
traslazione simbolica della violenza che risulta però 
precaria, come dimostra il suo periodico riemergere in 
forme di aggressività incontrollabile, individuale e di 
gruppo. Si pensi al fenomeno contemporaneo dell’ 
hooliganism, che ha preso piede ai margini del calcio 
spettacolo. Tuttavia, obiettano i sociologi configurazionali è 
proprio la civilizzazione, cui i giochi sportivi sono stati 
sottoposti a partire dall’ Ottocento, a rendere possibile la 
nostra percezione della violenza come qualcosa che non ha 
niente a che fare con lo sport. 
Nell’ analisi di Elias le pratiche sportive civilizzate 
concorrono quindi a realizzare quel programma di 
interiorizzazione delle norme e delle obbligazioni sociali 
attorno al quale si sviluppa la modernità occidentale. In 
modo particolare i giochi di squadra manifesterebbero il 
superamento del conflitto simbolico fra costumi agrari 
tradizionali, rappresentati dai giochi di villaggio, e l’ 
ideologia competitiva, propria dei nuovi ceti borghesi. Un 
superamento che fa propria l’ ideologia della norma e della 
prestazione, che a sua volta riflette i principi della 
modernità e del crescente capitalismo. La regolazione dei 
giochi di squadra è un lungo processo di costruzione di un 
sistema di norme e sanzioni che sembra una perfetta 
esemplificazione della costruzione dello Stato moderno e 
della sua dominante configurazione istituzionale, il 
parlamentarismo. Così come lo Stato-nazione edifica il suo 
sistema giudiziario, legittimandolo attraverso il vincolo dell’ 
imparzialità e l’ universalismo delle regole, lo sport 
moderno elabora regolamenti e sanzioni che servono a 
-     - 21
disciplinare lo spontaneo vitalismo dei vecchi giochi 
popolari e a sportivizzare gli antichi loisir aristocratici. 
Sportivizzazione, nazionalizzazione e parlamentarizzazione 
costituiscono dunque aspetti diversi e complementari del 
processo di civilizzazione, che, pur avendo precedenti in età 
rinascimentale, acquista intensità e velocità tra il 
diciottesimo e il diciannovesimo secolo, e che vede nell’ età 
vittoriana (1837-1901)  la sua fase culminante in cui si 
sviluppa e si diffonde a vasto raggio tramite il colonialismo 
britannico. Ma alla proiezione coloniale esterna va associata 
la dimensione politica interna., con il radicamento del 
parlamentarismo e l’ affermazione di regole del gioco che 
mirano a coinvolgere tutti gli attori in competizione: l’ 
ascendente borghesia, la declinante aristocrazia e il 
movimento operaio partorito dalla prima 
industrializzazione. Lo sport vittoriano dimostra come il 
conflitto possa essere disciplinato e razionalizzato 
attraverso regole che estromettano la violenza, definiscano i 
ruoli e sanciscano le differenze. Il gioco sportivo, come 
afferma Nicola Porro
2
, diviene  simbolo di una democrazia 
ristretta, una esemplare configurazione attraverso cui le 
ragioni della cooperazione e del conflitto vengono 
riconosciute e miniaturizzate in una plastica allegorica. 
Elias suddivide il processo di sportivizzazione in tre ondate. 
La prima ondata, attorno al diciottesimo secolo, era stata 
caratterizzata dalla trasformazione in pratica sportiva dei 
giochi tradizionali britannici (cricket), dall’ incorporazione 
dei vecchi passatempi aristocratici (caccia alla volpe e corse 
dei cavalli) e dalla rielaborazione “civilizzante” di forme di 
combattimento (boxe), e  può dunque  riferirsi ai progressi 
del processo di civilizzazione.