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Il fenomeno sociale dello sport ha attratto, negli ultimi
anni, l’ interesse di un numero crescente di studiosi, fino al
punto di costituire l’oggetto di una nuova specialità
sociologica. Nell’ ambito di questa recente disciplina,
affermatasi grazie al lavoro pionieristico di Norbert Elias e
di altri esponenti della scuola anglosassone, il gioco del
calcio ha ottenuto un ruolo sicuramente privilegiato. Non è
difficile indicare i motivi di tale privilegio. In primo luogo il
calcio è lo sport più seguito nel mondo (con l’ eccezione
significativa degli Stati Uniti d’ America e di alcune ex
colonie dell’ Inghilterra come il Canada e l’ Australia),
mobilitando di conseguenza non solo notevoli risorse
economiche ma anche la spasmodica attenzione dei mezzi
di comunicazione di massa. In secondo luogo si tratta di
uno sport che, a torto o a ragione, è supposto generare un
vero e proprio social problem, la violenza dei tifosi
organizzati, i cosiddetti ultras, come vengono chiamati e
come essi stessi amano definirsi in Italia. Si deve inoltre
aggiungere che il gioco del calcio costituisce per un gran
numerosi praticanti, spettatori e appassionati un’ autentica
sottocultura, ovvero, secondo le definizioni canoniche, un
sistema o sottosistema di simboli che orienta riti specifici,
dotato di linguaggi specifici e capace di promuovere
comportamenti specifici.
Detto ciò, si deve osservare che la curiosità sociologica
suscitata dal gioco del calcio si è rivolta, almeno fino alla
fine degli anni Ottanta, prevalentemente a un solo aspetto, e
cioè alla violenza degli spettatori, in vista, si suppone, dei
mezzi più idonei per prevenirla. Nonostante l’ indubbia
importanza di questo problema, riteniamo che un interesse
prevalente per la violenza degli ultras costituisca una
prospettiva molto ridotta e parzialmente distorcente, se si è
interessati alla conoscenza della sottocultura calcistica, nel senso
definito sopra. La sociologia non è però la sola disciplina
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che ha tentato di descrivere il calcio e fenomeni ad esso
correlati. Da un’analisi comparata della letteratura che si
occupa di sport e di fruitori dello spettacolo sportivo, ci
troviamo infatti di fronte ad una certa varietà di approcci.
In primo luogo quello specificamente sociologico, cioè
indirizzato ad un’analisi delle implicazioni e dell’impatto
sulla nostra società del movimento sportivo e della
fenomenologia del pubblico che assiste alle manifestazioni
sportive stesse. Tale approccio vede tra i suoi principali
artefici alcuni autori italiani quali Alessandro Dal Lago,
Roberto Moscati, Antonio Roversi e Valerio Marchi. Vi è
poi un approccio di orientamento evolutivo, mirato ad una
particolare attenzione per i meccanismi mediante i quali si
sono diffusi, nel tempo, atteggiamenti di aggressività e
violenza tra gli spettatori sportivi, nello specifico i tifosi di
calcio; questo indirizzo di studi appartiene alla scuola
anglosassone, guidata da Norbert Elias. Infine giungiamo a
teorizzazioni più marcatamente psicologiche avanzate dallo
psicologo sociale Alessandro Salvini. Tali diversità di
orientamento sollevano a loro volta una serie di questioni e
di interrogativi di differente matrice.
Se per gli “anglosassoni” lo sport, in primo luogo e, in
seguito, il fenomeno del tifo organizzato ad esso correlato,
viene vivisezionato attraverso la lente d’ingrandimento
dello scienziato che mantiene le distanze da questa “bassa”
forma d’intrattenimento del popolo, ciò si può negare per
quanto concerne gli studiosi italiani che successivamente si
sono dedicati al fenomeno sportivo. Per i primi l’attività
sportiva è una valvola di sfogo necessaria per sopportare le
imposizioni che la società detta. Nella fattispecie dei tifosi,
le attività connesse all’evento calcistico, siano di natura
goliardica e ricreativa come i canti e le giornate passate
insieme o di natura più cruenta come gli scontri tra le
opposte tifoserie, vengono interpretate come esigenza della
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classe operaia di ribadire il proprio ruolo nella società, una
contrapposizione tra “noi” e “loro” tesa a rafforzare la
virilità e l’identità di gruppo. Di conseguenza i tentativi di
analisi dell’intero complesso di ambiti propri dell’attività
sportiva non possono trascurare gli sviluppi sociali di
determinate classi, né, ignorare come lo sport abbia
contribuito e alimentato l’espressione dei valori tipici delle
classi sociali sopracitate.
Pare però riduttivo limitarsi a definire il variegato ed
eterogeneo mondo dei sostenitori calcistici come
conseguenza della necessità di sfogare i propri impulsi e la
propria rabbia. Dalle ricerche da noi svolte sono emerse
una serie di motivazioni e di argomenti, in virtù dei quali
non abbiamo timore a criticare la categoricità con cui gli
esponenti della scuola anglosassone si sono espressi.
Avremo modo, poi, nel corso del lavoro, di illustrare con
maggiore chiarezza le nostre ragioni. La complessità della
cultura sportiva trova riscontro inoltre nel pensiero dei
sociologi italiani, in particolar modo di Alessandro Dal
Lago e Roberto Moscati. Per questi autori l’intrecciarsi di
atteggiamenti trasgressivi e rituali, di interessi economici e
simbolici, di fatti, miti e stereotipi, sta a testimoniare tale
complessità. Questa complessità e la specificità della cultura
sportiva non determinano comunque la separazione dal
resto della società, dalla quale si assorbono e si recepiscono
tensioni e conflitti, trasformati parodisticamente nel
contesto dello stadio. Il discorso di Dal Lago e Moscati
successivamente si amplia abbracciando tutta una serie di
considerazioni relative ai mutamenti attraversati dalla
società italiana negli ultimi quarant’anni. Ciò che a noi
preme sottolineare sono, e qui ci ripetiamo, le motivazioni
e gli impulsi che spingono migliaia di giovani e non ad
organizzarsi per manifestare nel modo più concreto e
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caloroso possibile il proprio attaccamento alla squadra del
cuore.
Ugualmente oggetto di critica è l’idea, anche questa
tipicamente anglosassone, dell’omogeneità di provenienza
sociale alla base dell’aggregazione dei tifosi di calcio. Non
vorremmo essere fraintesi a causa delle eccessive critiche a
Elias ed ai suoi seguaci, senza le cui ricerche adesso non ci
troveremmo a discutere di questo argomento. Purtuttavia il
loro approccio mostra dei limiti tra i quali quello di risentire
di un’ osservazione privilegiata, e a volte esclusiva, del caso
specifico britannico. In questa maniera sicorre il rischio di
produrre inesatte generalizzazioni. Si avverte inoltre il peso
dell’età di determinate teorie.
Dopo una prima analisi della letteratura dedicata allo sport
ed ai rituali aggregativi ad esso correlati, la ricerca verrà
orientata nella direzione di un’ indagine approfondita
riguardante i soggetti in questione. Si è cercato di verificare
le ipotesi fin qui avanzate sulle dinamiche del tifo all’
interno di uno specifico settore appartenente a questa
categoria: il presente infatti lavoro nasce dalla voglia di
prendere in considerazione con consapevolezza una delle
grandi aggregazioni sociali più importanti nella storia della
gioventù romana, la curva Sud dello stadio Olimpico di
Roma.
Il tifo giallorosso è stato analizzato nella sua complessità,
attraverso strumenti vari. Dapprima è stato descritto ed
interpretato da un punto di vista storico. Tra ricerca
antologica e minuziosa cronaca si è cercato di ricostruire un
percorso finora poco esplorato: quello della storia di una
società di calcio vista attraverso la sua tifoseria. Poi l’ analisi
è stata orientata verso un’ indagine approfondita dei
soggetti in questione e sono state realizzate delle interviste
che hanno coinvolto una serie di aree di interesse piuttosto
variegata. L’obiettivo del nostro lavoro è di descrivere “dal
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di dentro” il tifo giallorosso, senza prendere le distanze
dagli intervistati né permetterci di giudicare episodi e
atteggiamenti narrati. Abbiamo scelto di dividere i soggetti
intervistati in due grandi categorie, che racchiudessero
idealmente i vari tipi di individui che affollano
periodicamente gli stadi italiani in qualità di appassionati.
Abbiamo definito come “tifosi” gli individui appartenenti a
club organizzati appartenenti all’ associazione italiana Roma
club e come “ultras” i soggetti aderenti a gruppi di accesi
sostenitori, che si autodefiniscono tali e che, come avremo
modo di constatare, esprimono forme di aggregazione
molto più intense rispetto ai tifosi “normali”. Le modalità
con le quali abbiamo contattato i sostenitori sono state
varie. Siamo partiti dalla conoscenza diretta di alcuni,
approfittando poi della disponibilità dimostrata per
contattare loro conoscenti. Si è cercato di avviare un
percorso che fosse cronologicamente coerente, invitando i
soggetti intervistati a raccontare le loro esperienze e a
raccontarsi, partendo dalle prime volte alla partita per
passare poi all’attualità, fatta di amicizie e inimicizie con gli
altri tifosi, di rapporti con le società e con i giocatori, di
aneddoti di trasferte “epiche” e di incontri con la polizia, di
“vita reale” al di fuori dello stadio, per giungere infine
all’idea che ciascuno si è fatto, o sta cercando di farsi, del
proprio futuro. Per verificare l’ attendibilità dei risultati
ottenuti dalle interviste, ma principalmente per cercare di
definire tendenzialmente le caratteristiche ed il profilo
sociologico dei tifosi giallorossi, abbiamo inoltre
sottoposto, a quaranta di loro, un questionario a risposta
chiusa. Anche in questo caso si è cercato di dare vita ad un
lavoro il quale comprendesse il maggior numero di aspetti
possibile dell’ “essere tifoso”.
Nel nostro lavoro si cercherà anche di mettere in evidenza
quanto sia importante approfondire gli aspetti comunicativi
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del tifo, poiché è proprio in questo campo che l’intrecciarsi
di atteggiamenti trasgressivi rituali e simbolici che lo
caratterizzano hanno modo di esprimersi. Il lavoro sarà
comprensivo pertanto di un’ indagine approfondita
riguardante le dinamiche comunicative del tifo giallorosso.
Nell’ esplorazione di questo vasto repertorio ci siamo
proposti l’ obiettivo di analizzare a scopo conoscitivo il
loro linguaggio attraverso gli strumenti che essi stessi
utilizzano per comunicare: cori, striscioni e coreografie. Il
tifoso infatti è essenzialmente “opinione pubblica”:
comunica i suoi messaggi alla squadra del cuore, alle forze
dell’ ordine, ai tifosi nemici dirimpettai, a uomini politici, e
addirittura al paese intero, sperando che qualche telecamera
inquadri il suo, o che qualche giornalista ne divulghi il
testo, facendolo rimbalzare anche fuori dal campo di gioco.
I cori e gli slogan che ogni domenica vengono scanditi nelle
curve degli stadi di calcio costituiscono probabilmente la
forma di comunicazione di massa più innovativa e fraintesa
degli ultimi trenta anni, e quella che a nostro modo di
vedere può fornirci le informazioni più importanti per l’
interpretazione del fenomeno esaminato.
La pluralità dei fenomeni legati al mondo del calcio, in cui
interessi economici e simbolici, comportamenti rituali e
trasgressivi, fatti miti e stereotipi s’ intrecciano spesso in
modo inestricabile, ci ha suggerito uno stile di ricerca
plurale e flessibile. Ci sembrava che il nostro scopo,
analizzare e descrivere il tifo giallorosso dal punto di vista
sociologico e comunicativo, potesse essere raggiunto solo
ricorrendo a diversi metodi di ricerca. Il metodo
quantitativo ci è sembrato indispensabile nell’ analisi del
profilo sociologico dei tifosi (cap. IV) e nell’ analisi del
contenuto delle loro forme di comunicazione (cap.V). I
metodi qualitativi delle interviste in profondità (cap. IV) e
dell’ analisi semiotica (cap. V) ci apparivano di grande utilità
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nell’ analisi della cultura ultras e in quella della sua forma di
comunicazione visiva, le coreografie. Le analisi empiriche
sono state precedute da una riflessione storico-sociolociga
sul significato del gioco del calcio nella nostra cultura (cap.I),
da un’ analisi della letteratura riguardante il tifo calcistico
(cap.II) e sulla storia del tifo a Roma (cap.III).
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Capitolo 1 : Sport e Aspetti Sociali
1.1 Sport e Sociologia: la Teoria Configurazionale
1.2 Le Origini Inglesi dello Sport
1.3 La Nascita del Calcio in Inghilterra
1.4 Le Origini del Calcio in Italia
1.5 Dal Tifo Calcistico Spontaneo a quello Organizzato
in Italia
1.6 Mediatizzazione Sportiva e Calcistizzazione
Mediatica
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1.1 Sport e Sociologia: la Teoria Configurazionale
o sport è allo stesso tempo un fenomeno tra i più
discussi e fra i meno compresi della nostra vita
quotidiana. Il Novecento è stato il secolo dello sport
e della sociologia. Da una parte lo sport, che ha
rappresentato una metafora poderosa della modernità
intesa come un complesso ed elaborato sistema di regole e
significati.
Dall’ altra la sociologia , che ha costruito una fitta rete di
connessioni intellettuali per cercare di descrivere,
interpretare e spiegare la tarda modernità. Purtuttavia i due
percorsi tardarono ad incontrarsi. La cultura accademica ha
vissuto a lungo con disorientamento, e persino con
fastidio, il rapporto con le varie manifestazioni della “
disprezzata” cultura di massa. Sino a quaranta anni fa un
fenomeno così pervasivo ed ingombrante risultava privo d’
interesse e veniva considerato più una materia da fisiologi e
biomeccanici che da studiosi di scienze sociali”.
Un grande contributo ai fini dell’ integrazione della
tematica sportiva all’ interno dell’ universo delle scienze
sociali viene dai lavori dei sociologi configurazionali.
Capostipite di questa scuola di pensiero è Norbert Elias.
Per il sociologo inglese ogni contesto sociale presenta una
specifica configurazione che può essere colta e rappresentata
sociologicamente osservando i nessi di interdipendenza che
si generano nella dialettica tra cooperazione e conflitto.
Cooperazione e conflitto rappresentano, secondo il suo
modello teorico, le sole dinamiche sempre presenti nelle
relazioni tra gli uomini. Il gioco sportivo è quella
manifestazione che riesce meglio delle altre ad evidenziare
L
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la rete nascosta delle relazioni fra gruppi e individui entro
una determinata società.
La teoria configurazionale ha concentrato i propri sforzi
soprattutto sull’ interpretazione della civilizzazione
occidentale nell’ epoca moderna. La particolare attenzione
rivolta in questa prospettiva al fenomeno della
sportivizzazione ha alimentato il fiorire di numerosi studi,
condotti soprattutto nell’ ambito accademico dell’
Università inglese di Leicester.
Elias e Dunning
1
, si pongono in maniera molto critica nei
confronti delle scienze sociali che non sono state colpevoli
di aver banalmente dimenticato il fenomeno sportivo, che
è invece stato consapevolmente rimosso a causa di una
visione del mondo dominata dai propri tabù. Lo sport
infatti rimanda a quella corporeità esorcizzata dall’ etica
religiosa giudaico-cristiana e da questa definita per secoli
come la prigione dell’ anima; lo sport è in primis emozione
in potenziale rotta di collisione con il modello pedagogico
della morale borghese ottocentesca, che ha imposto la
repressione e il controllo come delle costanti nella relazione
individuo-società..
Verso la fine degli anni trenta del Novecento Elias elabora
la teoria della civilizzazione, esposta nelle sue linee principali in
due libri pubblicati anche in Italia sul finire degli anni
ottanta con il titolo, rispettivamente di La società di corte e Il
processo di civilizzazione. Secondo Elias la storia moderna del
mondo occidentale può essere letta come una prolungata
elaborazione di un modello di vita civilizzato, vale a dire
come una lenta e costante rivoluzione che, nel corso dei
secoli, ha prodotto una radicale trasformazione dei
comportamenti ritenuti, in ciascun periodo storico, normali
e corretti, e ha con il tempo portato al formarsi di potenti
barriere sia psicologiche che istituzionali contro la
manifestazione incontrollata dei sentimenti. In sostanza, si
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è trattato del formarsi di un patrimonio di regole di
correttezza nei comportamenti tra gli uomini basato su
sempre nuovi standard di decoro e ripugnanza. Nel
Medioevo, ad esempio, il passaggio dall’ amore all’ odio
poteva essere molto rapido ed intenso. Nelle nostre società
più civilizzate, l’ improvviso avvampare ed estinguersi della
passione che contraddistingueva l’ uomo medievale,
secondo Elias ha lasciato il posto ad una combustione più
lenta e continua. Le emozioni sono divenute più sfumate e
controllate, e tutte le relazioni emotive, come la
commozione l’ ira e il pianto, ed affettive si sono
caratterizzate per una maggiore riservatezza.
Cercando di elaborare una teoria sociale delle emozioni
Elias mette in luce l’ azione fondamentale di due processi
complementari. Il primo di questi consiste in questa azione
di repressione della sfera istintuale basata sul controllo delle
emozioni. Il secondo, quello maggiormente influenzato
dalla sociologia weberiana, riguarda la sfera politica e
istituzionale. Il processo di civilizzazione presuppone per il
sociologo inglese il trasferimento ad un’ autorità pubblica
del “monopolio della violenza legalizzata”. Con la
costruzione dello Stato-nazione, forma politica della
modernità occidentale, che va di pari passo con lo sviluppo
di sistemi e mezzi finalizzati alla preservazione dell’ ordine
e del controllo sociale, nasce un sistema di prevenzione e
repressione penale internamente gestito da istituzioni
specializzate al servizio dello Stato quali polizia e
magistratura.
La civilizzazione non opera però soltanto attraverso il
rafforzamento e il perfezionamento di strumenti coercitivi
di controllo sociale. Deve anche ideare e proporre
paradigmi di comportamento e stili di vita distintivi. La
trasformazione in attività sportive, da parte della borghesia
industriale dell’ Ottocento, di quelli che erano stati i
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passatempi “oziosi”, i loisir della vecchia aristocrazia,
costituisce un esempio illuminante. Poichè ogni classe
dominante emergente tende ad adottare e a riadattare stili e
comportamenti di quelle che l’ hanno preceduta,
infondendole i propri valori e significati, sarà esemplare l’
invenzione dello sport moderno da parte della borghesia
britannica ottocentesca, che rivisitando gran parte dei gesti
espressivi dell’ antica aristocrazia (cacciare, cavalcare,
duellare) ne produrrà una rielaborazione culturale coerente
con i propri valori dell’ efficientismo, della competizione, e
del successo tecnicamente misurabile.
Queste premesse teoriche aiutano a comprendere perché,
analizzando in maniera non riduttivistica le configurazioni
sociali, lo sport moderno costituisca un oggetto privilegiato
di indagine per Elias. Si tratta infatti di un fenomeno che
cambia progressivamente, differenziandosi tanto dalla
tradizione competitiva classica, quanto dai giochi
cavallereschi e dai folkgame, sino a dar vita a una
produzione di significato del tutto inedita.
L’ antichità classica possedeva certamente una propria idea
di competizione agonistica e anticipava alcune forme
espressive rintracciabili ancora nello sport moderno.
Sarebbe però un errore enfatizzare come farà nel 1893 il
barone de Coubertin in qualità di rifondatore del
movimento olimpico, qualunque elemento di continuità.
Basti pensare a come i giochi del Circo in età romana si
basassero più che sull’ etica della competizione retta da
regole, che è un’ acquisizione relativamente recente della
cultura sportiva, sulla spettacolarizzazione della violenza e
sulla teatralizzazione della crudeltà. L’ incorporazione nello
spettacolo delle categorie di violenza e crudeltà è propria di
una cultura sociale antecedente alla moderna civilizzazione.
Lo sport moderno tende invece a costruire eventi mimetici,
incorporando il rifiuto della violenza e sottoponendo il
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gesto violento ad un complesso sistema di regole e
sanzioni. La violenza non è cancellata ma rimossa e
addomesticata e fatta oggetto di dinamiche di simulazione
che producono complessi apparati evocativi e normativi. I
giochi di squadra in particolare permettono di operare una
traslazione simbolica della violenza che risulta però
precaria, come dimostra il suo periodico riemergere in
forme di aggressività incontrollabile, individuale e di
gruppo. Si pensi al fenomeno contemporaneo dell’
hooliganism, che ha preso piede ai margini del calcio
spettacolo. Tuttavia, obiettano i sociologi configurazionali è
proprio la civilizzazione, cui i giochi sportivi sono stati
sottoposti a partire dall’ Ottocento, a rendere possibile la
nostra percezione della violenza come qualcosa che non ha
niente a che fare con lo sport.
Nell’ analisi di Elias le pratiche sportive civilizzate
concorrono quindi a realizzare quel programma di
interiorizzazione delle norme e delle obbligazioni sociali
attorno al quale si sviluppa la modernità occidentale. In
modo particolare i giochi di squadra manifesterebbero il
superamento del conflitto simbolico fra costumi agrari
tradizionali, rappresentati dai giochi di villaggio, e l’
ideologia competitiva, propria dei nuovi ceti borghesi. Un
superamento che fa propria l’ ideologia della norma e della
prestazione, che a sua volta riflette i principi della
modernità e del crescente capitalismo. La regolazione dei
giochi di squadra è un lungo processo di costruzione di un
sistema di norme e sanzioni che sembra una perfetta
esemplificazione della costruzione dello Stato moderno e
della sua dominante configurazione istituzionale, il
parlamentarismo. Così come lo Stato-nazione edifica il suo
sistema giudiziario, legittimandolo attraverso il vincolo dell’
imparzialità e l’ universalismo delle regole, lo sport
moderno elabora regolamenti e sanzioni che servono a
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disciplinare lo spontaneo vitalismo dei vecchi giochi
popolari e a sportivizzare gli antichi loisir aristocratici.
Sportivizzazione, nazionalizzazione e parlamentarizzazione
costituiscono dunque aspetti diversi e complementari del
processo di civilizzazione, che, pur avendo precedenti in età
rinascimentale, acquista intensità e velocità tra il
diciottesimo e il diciannovesimo secolo, e che vede nell’ età
vittoriana (1837-1901) la sua fase culminante in cui si
sviluppa e si diffonde a vasto raggio tramite il colonialismo
britannico. Ma alla proiezione coloniale esterna va associata
la dimensione politica interna., con il radicamento del
parlamentarismo e l’ affermazione di regole del gioco che
mirano a coinvolgere tutti gli attori in competizione: l’
ascendente borghesia, la declinante aristocrazia e il
movimento operaio partorito dalla prima
industrializzazione. Lo sport vittoriano dimostra come il
conflitto possa essere disciplinato e razionalizzato
attraverso regole che estromettano la violenza, definiscano i
ruoli e sanciscano le differenze. Il gioco sportivo, come
afferma Nicola Porro
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, diviene simbolo di una democrazia
ristretta, una esemplare configurazione attraverso cui le
ragioni della cooperazione e del conflitto vengono
riconosciute e miniaturizzate in una plastica allegorica.
Elias suddivide il processo di sportivizzazione in tre ondate.
La prima ondata, attorno al diciottesimo secolo, era stata
caratterizzata dalla trasformazione in pratica sportiva dei
giochi tradizionali britannici (cricket), dall’ incorporazione
dei vecchi passatempi aristocratici (caccia alla volpe e corse
dei cavalli) e dalla rielaborazione “civilizzante” di forme di
combattimento (boxe), e può dunque riferirsi ai progressi
del processo di civilizzazione.