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destino di una pubblicità che diversamente sarebbe passato
inosservato.
Il citato servizio giornalistico infatti, cercava di insinuare l'esistenza di
un sottile e trasparente legame tra i contenuti dei programmi offerti
quotidianamente dal media televisivo, tra cui anche quelli pubblicitari,
ed i comportamenti irrazionali ed a volte violenti dei minori.
Ma la pubblicità può effettivamente influire in maniera così pervasiva
e potente sulla mentalità e sul comportamento dei bambini e degli
adolescenti? Se sì, esistono degli effetti negativi della pubblicità che
possano far configurare un qualche pericolo per il loro sviluppo etico,
fisico e psicologico da cui è necessario difenderli? E ancora, ci sono
degli strumenti idonei a tutelarli da tali effetti? Questi strumenti
funzionano efficacemente?
L'influenza che i moderni mezzi di comunicazione possono avere
sui soggetti in età evolutiva è fuori discussione. Soprattutto la
televisione preme in modo massiccio sui processi formativi ed
educativi. Tale responsabilità non sempre viene colta dall'opinione
pubblica e tuttavia effetti positivi o negativi scaturiscono
inesorabilmente da una serie di programmi, e tra questi anche quelli
pubblicitari. In realtà, tenuto conto della importanza assunta dalla Tv
nella vita quotidiana di un bambino nel colmare il suo tempo libero, e
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della quantità rilevante del suo ascolto, evidentemente, il problema del
rapporto tra pubblicità e minori presenta aspetti di maggiore gravità
relativamente al mezzo televisivo. Anche se non si deve minimizzare
l'impatto che la pubblicità su altri mezzi, come le affissioni e la
pubblicità sui periodici destinati espressamente al pubblico giovanile,
può esercitare sui bambini e sugli adolescenti.
Senza voler suscitare alcun allarmismo, né tantomeno demonizzare la
comunicazione pubblicitaria in toto, questo lavoro cercherà, prima di
tutto, di mostrare quegli effetti della pubblicità televisiva che sono
capaci di influire negativamente sullo sviluppo psicointellettivo e sulla
sicurezza fisica dei minori, dai quali è necessario che gli stessi
bambini ed adolescenti vengano tutelati.
Poiché non è possibile trascurare, in ogni forma di comunicazione, il
rapporto esistente tra il messaggio ed il medium, lo studio di questi
effetti non potrà prescindere dall'ideale continuum che lega la
pubblicità alla programmazione televisiva. Per tale motivo quindi,
nello sviluppare l'argomento, verranno presi in considerazione alcuni
aspetti della Tv, quali i livelli di esposizione e i contenuti veicolati,
che non riguardano specificamente la pubblicità, ma che servono ad
inquadrare organicamente il contesto in cui il minore assimila lo spot.
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La presentazione di tali aspetti costituirà una base per evidenziare la
necessità, e per mostrare l'opportunità, di una serie di strumenti che
proteggano il pubblico infantile dagli effetti indesiderati della
pubblicità televisiva. Saranno analizzati quegli articoli di legge che
hanno maggiormente a che fare con la tutela dei minori, nonché le
disposizioni della deontologia pubblicitaria in merito allo stesso tema.
Inoltre, verranno presi in considerazione gli organismi statuali e
autodisciplinari che sono predisposti all'applicazione delle stesse leggi
e dei regolamenti di autodisciplina, valutando con attenzione le loro
procedure per verificarne il livello di efficacia.
Nel complesso lo scopo del lavoro è appunto quello di verificare se la
tutela dei minori, in pubblicità, viene realizzata in maniera adeguata o
se è necessario apportare delle modifiche radicali, piuttosto che dei
minimi accorgimenti al sistema, per aumentare il livello di protezione.
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CAPITOLO PRIMO
MINORI, TV E PUBBLICITÀ
SOMMARIO: 1.1 Pubblicità televisiva e pubblico infantile - 1.2 Dati sul consumo televisivo
dei minori - 1.3 Il bambino veicolo di pubblicità - 1.3.1 Perché gli spot piacciono ai
bambini? - 1.3.2 Minori influenzatori d'acquisto - 1.3.3. Mini testimonial
1.1 PUBBLICITÀ TELEVISIVA E PUBBLICO INFANTILE
Quella di prendere posizione è sempre un'operazione delicata,
soprattutto quando i due schieramenti sono agguerriti e numerosi
come quelli dei sostenitori e dei detrattori della pubblicità televisiva.
Molti argomenti depongono per l'una o per l'altra, e la questione non
appare vicina ad essere definitivamente risolta.
La pubblicità televisiva è stata uno dei fenomeni che ha maggiormente
accompagnato, con continuità e adesione, l'itinerario percorso dal
nostro Paese sulla strada dello sviluppo sociale ed economico.
Ha fornito parole, immagini, forme alle mille realtà e nuove tendenze
che andavano emergendo alla superficie della vita collettiva,
favorendone il consolidamento e il riconoscimento pubblico.
Ha esteso i confini dell'immaginario degli italiani, costruendo per essi
nuove e più sofisticate dimensioni parallele a quella reale
dell'esperienza quotidiana.
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Tuttavia, d'altra parte, quando si parla di pubblicità non si possono
trascurare i ben noti, e tante volte discussi, effetti secondari quali, ad
esempio, i fenomeni di massificazione, alienazione, creazione di
bisogni indotti, omologazione culturale.
Una delle preoccupazioni più diffuse a proposito degli spot riguarda il
pubblico infantile, che è un forte consumatore di Tv e quindi di
pubblicità.
La pubblicità televisiva è uno dei più potenti ed efficaci veicoli della
socializzazione al consumo, vale a dire della prima introduzione
dell'individuo in un ambito di comportamenti che ha enormi risvolti
sul piano sociale e culturale. Sempre più spesso si parla del consumo
come una delle aree in cui si manifestano più diffusamente le tendenze
verso stili di vita più avanzati, verso una crescita culturale
generalizzata, verso nuove forme di comunicazione tra persone. Con
questo clima culturale, in cui la pubblicità può essere considerata uno
dei principali ambiti di manifestazione del nostro linguaggio, delle
emozioni, dei desideri, dei sogni, potrebbe apparire quasi paradossale
l'istinto a difendersene e a proteggere la parte più "indifesa" della
collettività: il pubblico infantile.
Tuttavia è ben noto che il consumo di pubblicità richiede, in chi la
guarda, una serie articolata e complessa di filtri culturali, che i
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bambini possiedono in quantità limitate, ed una certa dose di distacco
che permetta una valutazione oggettiva del messaggio sia nella forma
che nel contenuto. Il minore va dunque accompagnato e guidato dal
genitore in questo processo di esplorazione ed apprendimento del
quale dovrebbe cogliere soprattutto le valenze ludiche, fantastiche,
favolistiche degli spot.
Cosa accade, tuttavia, se il consumo televisivo e, di conseguenza,
pubblicitario da parte del pubblico infantile non viene accompagnato
da un'adeguata tutela educativa familiare?
Ormai è un dato di fatto quello che vede i minori forti consumatori di
programmi televisivi, con una media di ascolto giornaliero di circa tre
ore, parte delle quali passate davanti al tubo catodico da “soli”, senza
la presenza “rassicurante” di un adulto. Come naturale conseguenza
della forte esposizione alla Tv, si ha anche un elevato assorbimento di
spot da parte dei bambini, considerato che nei palinsesti delle varie
emittenti la pubblicità è distribuita lungo tutto l'arco del giorno.
“Si calcola che un bambino sia mediamente esposto in un anno a
qualcosa come 15 mila comunicati pubblicitari. Inoltre a differenza
degli adulti che, all'apparire della pubblicità sul teleschermo pongono
spesso in atto comportamenti di evitamento sostanziale dell'ascolto (si
distraggono, escono dalla stanza, parlano tra loro, cambiano canale,
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ecc.), i bambini, e soprattutto i più piccoli, seguono con attenzione e
interesse anche la pubblicità, perché trovano in ciascuna uno
spettacolo in sé compiuto, divertente, familiare.”
1
Si pone dunque, la necessità di comprendere e di sviluppare una
tutela legislativa accanto ad una ben più importante tutela educativa
nell'ambito familiare; una legislazione pubblicitaria, insomma, che
rafforzi le azioni intraprese dalla famiglia per la formazione etica del
minore, e che, in alcuni casi, “sostituisca” “genitori che si servono
abitualmente ed a lungo della televisione come di una specie di
bambinaia elettronica.”
2
1
Citazione da Spot e Pupi in MASS MEDIA, n.4, settembre-ottobre 1985, Adriano Zanacchi.
2
Karol Wojtyla, estratto dal Messaggio del Santo Padre del 24 Gennaio 1994 su Televisione e
famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere.
12
1.2 DATI SUL CONSUMO TELEVISIVO DEI MINORI
L'indagine condotta dall'Eurispes, in collaborazione con Telefono
Azzurro, in occasione del “1° Rapporto nazionale sulla condizione
dell'infanzia e della preadolescenza” pubblicato nel 2000, ha fornito
dati interessanti su quanto e come bambini ed adolescenti consumano
il mezzo televisivo.
La televisione è presente in oltre 98% delle case italiane, sono
circa 4 milioni i bambini di età compresa tra i 3 e i 10 anni, che la
guardano quotidianamente, in media, per circa due ore e quaranta
minuti al giorno. Quasi il 30% la guarda fra le due e le tre ore al
giorno, un 21,2% che la guarda fra le tre e le quattro ore quotidiane e,
infine, circa un 20,4% che fa uso della televisione per ben 4 ore e
oltre. Solo un bambino di età compresa tra i sei e i dieci anni ogni
cento, non farebbe uso della televisione.
Il tempo che i bambini italiani dedicano alla visione della Tv è
veramente notevole, negli anni dell’obbligo scolastico, passano più
tempo davanti al piccolo schermo che sui banchi di scuola: circa 15
mila ore durante gli anni della formazione elementare e media, di
contro, alla scuola ne dedicherebbero solamente 11 mila.
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Dall'altra parte del mondo l'atteggiamento nei confronti della
televisione non è meno problematico. I bambini americani che
guardano la televisione per troppo tempo sono inquieti e hanno
problemi ad addormentarsi; il 15,6% dei bambini si addormenta
davanti all'apparecchio acceso almeno due volte alla settimana.
Lo studio degli effetti indotti dalla televisione sui bambini
rappresenta uno dei temi più dibattuti dalle ricerche sull'influenza dei
mass media nella società contemporanea.
Si è calcolato che un bambino, prima della fine della scuola
dell'obbligo, avrebbe assistito, televisivamente parlando, ad oltre 18
mila omicidi; unito a questo sconcertante dato e, che avrebbe il
compito di tranquillizzare, si è evidenziato anche che la televisione
tende a desensibilizzare, dal momento che il primo atto violento a cui
si assiste colpisce emotivamente molto più che il millesimo.
I programmi preferiti dai bambini di età compresa tra i tre e i dieci
anni, sono prevalentemente quelli per l'infanzia: li seguono il 90,4%
dei bambini tra i 3 e i 5 anni e il 95,7% di quelli di età compresa tra i
sei e i dieci anni. Mentre per i più piccoli questo tipo di trasmissioni
rappresenta quasi la totalità dei programmi visti, per i più grandi vi è
una maggiore varietà: oltre il 42%, infatti, vede film e il 33,8%
telefilm.
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Piuttosto presenti sono, inoltre, i giochi e i quiz con il 23%, i
programmi sportivi (14,1%) e quelli musicali (10,5%); non irrilevante
anche la quota di bambini tra i sei ed i dieci anni che segue i
documentari (10%).
L'Eurispes ha chiesto ad un campione di 1.118 bambini, alunni della
scuola elementare, quale tipologia di programmi vedono abitualmente.
È emerso che il tipo di programma largamente più diffuso è quello dei
cartoni animati con l'85,2%, mentre seguono, con percentuale minore
(38,8%), la visione di film e telefilm, di serie televisive (31,4%) e di
spettacoli di intrattenimento (26,1%).
Diversa è la scelta operata dai ragazzi (2.000) delle scuole medie,
ai quali è stato chiesto con quale frequenza vengono visti i diversi
programmi, proponendo un'articolazione per tipologie degli stessi. Ciò
che i ragazzi vedono, infatti, sembrerebbero essere prevalentemente i
film e i telefilm: ben il 40,7% degli intervistati tutti i giorni, mentre un
altro 33,6% comunque più volte a settimana; solamente un 7,9% non
vede mai questo tipo di programmi. Anche per loro, particolarmente
visti sono i cartoni animati. Per i bambini dai sei ai dieci anni si tratta
della programmazione preferita, mentre nella fascia della scuola
media, ne vedono tutti i giorni il 38,1% dei ragazzi, più volte a
settimana il 25,7% e una volta a settimana il 17,8%.
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Interessante e piuttosto sorprendente è il dato che indica come nella
classifica dei programmi più seguiti, al terzo posto si trovino i
telegiornali. Ben un terzo dei ragazzi, infatti, dichiara di vedere il
telegiornale tutti i giorni e un altro 21,1% dichiara di vederlo più volte
nella corso della settimana; di contro un 20,2% dichiara di non
vederne mai. Il 45,6% di essi guarda la televisione dalle due alle tre
ore al giorno, mentre un altro 29,5% si colloca attorno ad un'ora di
visione quotidiana. D'altra parte, se solamente un 2% non guarda mai
la televisione, è quasi l'8% dei ragazzi a vedere la televisione per ben
cinque ore e oltre al giorno.
Per quanto riguarda le modalità di consumo televisivo, solamente
l'8,1% dei bambini tra gli otto e i dieci anni non guarda mai la
televisione da solo, mentre di contro ben un 11,6% la vede sempre
solo; i ragazzi oltre i dieci anni guardano da soli la televisione nel
30,7% dei casi, con fratelli e sorelle nel 28,9%, con i genitori nel
24,6%.
Quello che emerge è un quadro allarmante, dal momento che la
televisione sembra essere una presenza davvero radicata nella vita dei
bambini. Si tratta di un mezzo che al di là della sua funzione primaria
di trasmissione di immagini, rappresenta un sorta di “rito”, di
elemento che aiuta a scandire i diversi tempi della giornata.
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Tuttavia, quello che colpisce, oltre alla quantità assoluta della
esposizione, è soprattutto il fatto che i bambini gradiscano, o per lo
meno consumino, programmi prevalentemente o esclusivamente
destinati agli adulti. Dato che molto spesso gli spot si conformano al
tipo di programma che interrompono se ne deduce che i bambini sono
anche esposti a pubblicità che, per prodotti reclamizzati e per
contenuti, sono rivolte agli adulti.
Tutto questo dimostra l'inconsistenza e l'inefficacia di quelle
strategie di intervento che pretendono di assicurare una tutela del
pubblico giovanile nei confronti della pubblicità tv semplicemente
limitandosi a vigilare sui programmi destinati ai bambini e collocati in
posizioni orarie (pomeridiane) nelle quali si presume, a torto, che
l'ascolto dei bambini sia massimamente concentrato.
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1.3 IL BAMBINO VEICOLO DI PUBBLICITÀ
1.3.1 Perché gli spot piacciono ai bambini?
Gli spot costituiscono un “genere” di spettacolo con
caratteristiche strutturali differenziali rispetto ai normali programmi
televisivi, sia sul piano formale, sia sotto l'aspetto dei contenuti. Tali
caratteristiche, che si aggiungono a quelle proprie della televisione, ne
accentuano talvolta la funzione di richiamo nei confronti del pubblico
giovanile e appaiono capaci di esercitare una specifica influenza sullo
sviluppo psicointellettivo e sul mondo sociorelazionale dei minori.
Tra i caratteri propri della pubblicità televisiva che ne spiegano
l'appeal presso il pubblico infantile, vi rientrano:
- la brevità spazio-temporale, adatta all'ampiezza ridotta
dell'attenzione infantile, che ne consente la fruizione in un arco di
tempo estremamente ridotto;
- la familiarità delle situazioni proposte, facilmente riconoscibili e
spesso ambientate in scenari domestici, che facilita l'identificazione e
le rende percepibili in maniera più immediata rispetto alle più
complesse situazioni narrative degli spettacoli veri e propri: il minore
trova negli spot tutta una tipologia di comportamenti ricorrenti, che