2
Costituzionale che ne costituiscono la prima ed inderogabile forma di
garanzia. Il lavoratore non gode, però, soltanto di tali forme
eterologhe di tutela, esso è altresì legittimato ad azionare quella
peculiare forma di autotutela che è lo sciopero, diritto espressamente
riconosciuto dall’art. 40 della nostra Costituzione.
Pensato nel ’48 non come limitazione del diritto al lavoro ma come
mezzo di salvaguardia dello stesso, lo sciopero conferma e consolida
quel principio lavorista che concorre a realizzare, costituendo lo
strumento del quale da sempre, seppur in diverse forme, i lavoratori si
sono serviti per ottenere dal datore di lavoro e dall’impresa, un
miglioramento delle loro condizioni contrattuali, o per impedirne il
peggioramento
2
. Esso, nella tradizione, è da sempre considerato come
un mezzo di lotta per affermare gli interessi del lavoratore contro
quelli della controparte datoriale
3
, un’esperienza di antagonismo
aperto e diretto.
Nel corso degli ultimi decenni, tuttavia, il conflitto sociale ha subito
una mutazione nelle sue caratteristiche essenziali. E’ stata denunciata,
in particolare, una “dislocazione del conflitto e del suo impatto sociale
2
T. PIPAN, Sciopero contro l’utente. La metamorfosi del conflitto industriale, op. cit.
3
CARNELUTTI, Sciopero e giudizio, in Riv. Dir. Proc. Civ. I, 1949.
3
e politico, dal settore della produzione dei beni a quello della
produzione dei servizi, dal secondario al terziario”
4
; ne costituisce una
dimostrazione evidente il crescente numero degli scioperi nella
pubblica amministrazione e nei servizi essenziali
5
. Sempre più spesso
si afferma che “in questa fase storica, lo sciopero costituisce una
esperienza pressoché limitata ai soli servizi pubblici”
6
; una crescita
che aumenta sensibilmente a fronte di un esercizio del diritto di
sciopero ormai pressoché eccezionale nel settore delle produzioni
industriali.
A ciò si aggiunga che, sempre più spesso, lo sciopero nell’ambito dei
servizi pubblici, tende ad esprimersi attraverso azioni dimostrative
caratterizzate dalla costante inosservanza della normativa posta a
4
ACCORNERO, nel saggio La “terziarizzazione del conflitto e i suoi effetti, in Il
conflitto industriale in Italia. Stato della ricerca e ipotesi sulle tendenze, CELLA –
REGINI (a cura di), Bologna, Il Mulino, 1985, compie un analisi approfondita delle
trasformazioni morfologiche del conflitto sociale e cioè delle modalità di svolgimento del
conflitto e degli effetti che ne conseguono.
Sul tema cfr. anche ACCORNERO- CARRIERI, La conflittualità nei servizi pubblici:
tipi di soggetti e livelli di inadempienza, in GDLRI, 1985; Mc. M. BRITTON, Sciopero e
diritti degli utenti, Quaderni della Fondazione Malaguignini, Franco Angeli, Milano,
1995; e L. BORDOGNA, Tendenze e problemi nella sindacalizzazione nei servizi
pubblici, in RGL, IV, 1998.
5
“Mentre l’Italia come altri paesi entra nella fase del declino stabile della conflittualità
per tutti i settori produttivi privati, si riscontra una vera e propria esplosione delle proteste
nel pubblico impiego e nei servizi pubblici in specie, per lo più ad opera del risorgente
sindacalismo autonomo e di nuovi organismi di base (Cobas e simili), ma anche delle
strutture periferiche del sindacalismo confederale, in specie Cgil”, cfr. T. TREU, Il
conflitto e le regole, op. cit.
6
ACCORNERO- CARRIERI, La conflittualità nei servizi pubblici: tipi di soggetti e
livelli di inadempienza, op. cit.
4
presidio del corretto esercizio di tale diritto: è il reiterarsi del cd.
“sciopero selvaggio”, capace di coinvolgere i cittadini- utenti contro la
loro volontà e di ledere i loro interessi immediati
7
. Questo tipo di
astensione non è esercizio di un diritto, ma arbitrio individuale e
disconoscimento di ogni autorità di legge; “si arresta alle soglie
dell’illegittimità, soverchiando potenzialmente la gerarchia dei valori
Costituzionali”
8
.
E’ inevitabile, a questo punto, porsi alcune domande: lo sciopero sta
cambiando natura? È fallita la capacità concertativa del sindacato?
Quali sono le cause stanno alla base di questo fenomeno?
La ormai acquisita consapevolezza degli scioperanti del loro potere di
offesa
9
; l’elevata inflazione reale a fronte di salari immutati;
l’incertezza nel posto di lavoro; l’impermeabilità del Governo agli
interessi della classe lavoratrice; la caduta di credibilità delle autorità
pubbliche; la declinante importanza del danno inferto alle controparti
7
Cfr. ROMEI, Di che cosa parliamo quando parliamo di sciopero, in LD, 1999.
8
T. PIPAN, Sciopero contro l’utente. La metamorfosi del conflitto industriale, op. cit.
9
G. PROSPERETTI, ha sottolineato come i lavoratori dei servizi pubblici essenziali
siano “preservati dagli effetti della globalizzazione”. “Dovendo i servizi pubblici essere
fruiti laddove sono prodotti, le imprese che li erogano non possono ricorrere al deterrente
della delocalizzazione. (…). Gli utenti dei servizi pubblici essenziali nel condizionare la
sopravvivenza stessa delle comunità nelle quali operano, sono gli unici lavoratori capaci
di resistere sul piano della conflittualità con un uso strategico del diritto di sciopero”, Lo
sciopero virtuale,
5
sociali (Amministrazione o azienda pubblica di servizi); e ancora, la
crisi di rappresentatività dei sindacati storici, sono solo alcune delle
tendenze sociali che hanno contribuito a trasformare lo sciopero da
tradizionale strumento di tutela del diritto al lavoro, a vero e proprio
mezzo di ricatto, non solo verso l’Autorità, ma anche nei confronti del
sindacato. Tuttavia, sottolinea PASCUCCI, nonostante il “carattere
spesso patologico del conflitto terziario nel settore pubblico, anche
questo conflitto è espressione dei principi di libertà costituzionale e
non può, quindi, essere totalmente compresso, sebbene incida su altri
valori anch’essi rilevanti sul piano costituzionale”
10
. Queste
considerazioni sono state sempre ben presenti alla mente del
legislatore il quale ha affidato alla disciplina dello sciopero nei servizi
pubblici essenziali, il difficile compito di realizzare il
contemperamento fra il diritto di sciopero e gli altri diritti
fondamentali della persona costituzionalmente tutelati.
10
P. PASCUCCI, Tecniche regolative dello sciopero nei servizi pubblici essenziali,
Giappichelli, Torino, 1999.
6
1.2 Evoluzione legislativa: dall’autoregolamentazione alla legge n.
83 del 2000
Il tema della regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici
essenziali “costituisce una delle migliori espressioni di come,
soprattutto nel diritto sindacale, si evidenzi a chiare lettere la
divaricazione fra costituzione formale e costituzione materiale”
11
. A
fronte di un’espressa previsione costituzionale
12
che affida
l’ordinamento del diritto di sciopero alle “leggi”, si pone, infatti,
l’esperienza di quaranta anni di storia in cui, tranne rare eccezioni
13
, il
nostro ordinamento si è trovato in una situazione di vuoto normativo.
“Disciplinare lo sciopero vuol dire individuare modi e limiti del
contemperamento fra autotutela collettiva dei lavoratori e
funzionamento del sistema economico. L’obiettiva difficoltà di questo
compito contribuisce a spiegare, in primo luogo, la lunghissima
inerzia del legislatore repubblicano”, nonché “la limitazione
11
P. PASCUCCI, Regolamentazione autonoma e diritto di sciopero, in Letture di diritto
sindacale, M. D’ANTONA (a cura di), 1990.
12
L’art. 40 Cost. stabilisce: “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo
regolano”, con questa previsione il legislatore costituente ha rifiutato i sistemi che, nella
prima metà del secolo scorso, avevano considerato lo sciopero come un delitto.
13
Addetti agli impianti nucleari, personale delle Forze armate e della Polizia di Stato,
assistenti di volo.
7
dell’attuale disciplina al solo ambito dei servizi pubblici essenziali,
ove uno sciopero senza regole può vulnerare beni fondamentali della
persona”
14
.
Com’è noto, con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana
nel nostro ordinamento si è verificata una particolare e contraddittoria
situazione: l’affermazione costituzionale dello sciopero come diritto e
la contestuale vigenza di norme penali repressive
15
dello stesso,
risalenti al periodo fascista.
In mancanza di una legge che potesse disciplinare il diritto di sciopero
e di una tempestiva abrogazione delle norme che lo includevano fra le
forme di reato, l’ordinamento ha demandato alla giurisprudenza
costituzionale ed ordinaria, il compito di adattare alla nuova realtà le
vecchie norme di carattere penale e di definire le modalità di esercizio
del diritto di sciopero
16
.
14
Così afferma A. VALLEBONA, Introduzione, in La nuova disciplina dello sciopero
nei servizi pubblici essenziali, MENGHINI- MISCIONE- VALLEBONA (a cura di),
Cedam, 2000.
15
Il Codice Rocco, negli artt. 506 e 512 ed in particolare negli art. 330 e 331, sanzionava
con durezza i delitti di sciopero e di serrata. Ciò significava illiceità della condotta sia sul
piano dei rapporti con lo Stato, con l’eliminazione della relativa libertà, sia sul piano del
rapporto del lavoro, dove l’astensione volontaria dalla prestazione dovuta equivaleva ad
inadempimento contrattuale con tutte le conseguenze civilistiche e disciplinari.
16
Vedi CALAMANDREI, Significato costituzionale del diritto di sciopero, in RGL, I,
1986.
8
Gli orientamenti giurisprudenziali, volti a ridefinire l’orizzonte penale
e ad indicare, contemporaneamente, le modalità dello sciopero
legittimo; nonché lo studio volto a stabilire quali manifestazioni di
lotta far rientrare nel concetto di sciopero, e ad individuare i limiti
esterni attinenti alle modalità di esercizio dello stesso ed ai suoi
scopi
17
, hanno portato all’introduzione della distinzione fra “servizi
pubblici”, nei quali lo sciopero poteva essere legittimamente
esercitato, e “servizi pubblici essenziali”
18
dove lo sciopero era ancora
considerato illegittimo, in quanto suscettibile di ledere diritti di
preminente interesse generale aventi rango costituzionale. In tal senso
furono particolarmente significative alcune pronunce della Corte
Costituzionale. Ricordiamo fra le altre, le sentenze n. 123 del 1962
19
,
e n. 31 del 1969
20
, in cui la Corte individuò alcuni limiti “esterni” al
diritto di sciopero nei servizi pubblici, affermando la perseguibilità
17
Corte Costituzionale, n. 123 del 28 dicembre 1962, e Corte Costituzionale n. 31 del
1969 in Lavoro. La Giurisprudenza costituzionale 1956-1986, Roma, 1987, II.
La Corte ravvisava il limite nella “comparazione fra l’interesse da tutelare con lo sciopero
e gli altri interessi aventi pari o maggiore rilievo costituzionale”.
18
RUSCIANO, Lo sciopero nei servizi essenziali, in GDLRI, 1988.
19
Corte Cost. 28 dicembre 1962, n. 123 cit.
20
Corte Cost. 17 marzo 1969, n. 31 cit.
Già CALAMANDREI in Il significato costituzionale del diritto di sciopero, op. cit.
osservava che “dal momento in cui lo sciopero ha accettato di divenire un diritto, esso si è
adattato necessariamente a sentirsi prefiggere condizioni e restrizioni di esercizio che, se
non venissero stabilite per legge, dovrebbero immancabilmente essere tracciate, prima o
poi, sulla base dell’art. 40 Cost. , dalla giurisprudenza”.
9
penale dello sciopero limitatamente ai casi in cui lo stesso arrechi un
danno al “nucleo degli interessi generali assolutamente preminenti”
rispetto agli altri collegati all’autotutela di categoria; e
successivamente, la sentenza n. 222 del 1976
21
, con funzione
chiarificatrice delle posizioni della giurisprudenza Costituzionale in
relazione alla nozione di “servizio pubblico essenziale”.
Tutte queste pronunce evidenziavano la necessità, di salvaguardare
gli interessi fondamentali della persona rispetto a quelli collegati
all’autotutela di categoria; necessità che doveva anche far fronte ad
un’altra fondamentale esigenza: quella di garantire a tutti i lavoratori
quel diritto affermato nell’art. 40 della Costituzione, senza operare
21
Corte Cost. 3 agosto 1976, n. 222 , ibidem. La Corte riprendendo alcuni riferimenti
della sua precedente giurisprudenza afferma: “l’interdipendenza e la correlazione fra i
servizi costituiscono l’espressione di un fatto organizzatorio caratteristico di ogni tipo di
comunità, da cui, tuttavia, non può trarsi la conclusione che tutti i servizi abbiano uguale
grado di importanza e di indispensabilità. Certo tutti sono necessari e fra loro in qualche
modo complementari, quando la complessa attività cui da luogo la vita della comunità si
svolge in regime di normalità. Ma quando ragioni di necessità impongono di ridurre,
eventualmente anche al minimo, l’appagamento delle esigenze della collettività o di una
più ristretta comunità sociale, è sempre possibile individuare tra i servizi quelli che
debbono conservare la necessaria efficienza e quelli suscettibili di essere sospesi o
ridotti”.
L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale è esposta in dettaglio da M.
DELL’OLIO, Giurisprudenza costituzionale e diritto sindacale, in Lavoro. La
giurisprudenza costituzionale, op. cit.
Cfr. anche G. SUPPIEJ, Trent’anni di giurisprudenza costituzionale sullo sciopero e sulla
serrata, in RIDL, I, 1989, e ROMAGNOLI, Introduzione, in ROMAGNOLI-
BALLESTRERO, Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici
essenziali, in Commentario alla Costituzione, art. 40, supplemento legge 12 giugno 1990,
n. 146, Zanichelli, Bologna, 1994.
10
una discriminazione fra gli stessi
22
, ed è in questo senso che si cercò di
operare.
La “svolta” sul piano interpretativo, fu rappresentata dalla sentenza
della Corte di Cassazione 30 gennaio 1980, n. 711 la quale da un lato
ha affermato che non possono ravvisarsi “limiti interni al diritto di
sciopero, stante la necessaria genericità della sua nozione comune, dal
precetto costituzionale predisposta, e mancando la legge attuativa di
questo”, e dall’altro ha rilevato che eventuali “limiti possono
rinvenirsi soltanto in norme che tutelino posizioni soggettive
concorrenti su un piano prioritario o quanto meno paritario, con quel
diritto (…) Lo sciopero dunque è in sé legittimo quale che sia la sua
forma (…) è illecito ove travalichi… i limiti e sia lesivo di interessi
primari costituzionalmente protetti”
23
.
L’alternativa alla legge, non fu rappresentata solamente dalla
“supplenza giurisprudenziale”
24
: anche i sindacati confederali,
all’inizio degli anni ’70, si preoccuparono di affrontare il problema.
22
G. GIUGNI, sostenne che “la salvaguardia dei beni essenziali non presuppone
necessariamente una discriminazione di titolarità, ma piuttosto una valutazione caso per
caso della congruità dei modi di esercizio del diritto di sciopero”, Lo sciopero nei servizi
pubblici essenziali: problemi di diritto transitorio, in LD, 1991.
23
Cass. 30 gennaio 1980, n. 711, in OGL, 1980.
24
P. PASCUCCI, Regolamentazione autonoma e diritto di sciopero, op. cit.
11
Consci del forte disagio provocato all’utenza in occasione di scioperi
effettuati in alcuni settori nevralgici della vita del Paese (primo fra
tutti il settore dei trasporti), essi giunsero ad un progetto di
autoregolamentazione dell’esercizio del diritto di sciopero che teneva
presenti due, fondamentali, obiettivi: il rispetto dei diritti dell’utenza
da un lato, ed il rispetto dei diritti dei lavoratori, dall’altro
25
.
L’autoregolamentazione ha contribuito a disciplinare questa
complessa materia fino all’entrata in vigore della legge n. 146 del
1990; alla sua base, per molti aspetti, si poneva un motivo culturale,
ossia la centralità dei lavoratori nel nostro assetto costituzionale dalla
quale nasce un loro senso di responsabilità nella conduzione del
conflitto che avrebbe fatto apparire inutile ed “oltraggiosa” una
regolamentazione eteronoma della lotta; a ciò si aggiungeva la
consapevolezza dei sindacati confederali dell’effetto boomerang che
avrebbe prodotto, nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, uno
sciopero senza regole, effetto che consisteva nel rischio di isolamento
25
Sull’autoregolamentazione cfr. fra gli altri, G. ZANGARI, Disciplina legislativa ed
autodisciplina sindacale dei limiti di esercizio del diritto di sciopero (con particolare
riferimento ai servizi pubblici essenziali), in RIDLL, I, 1997; M. T. CARINCI,
Autoregolamentazione del diritto di sciopero, in RIDL, I, 1987 e P. PASCUCCI,
L’autoregolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici: evoluzione e prospettive, in
QDLRI, I, Giuffrè, Milano, 1989.
12
per i lavoratori in lotta che facevano mancare i servizi agli altri
cittadini, lavoratori come loro
26
.
Con l’autoregolamentazione sono direttamente le associazioni
sindacali a regolare, unilateralmente, il modo in cui si dovrà svolgere
il futuro conflitto, mediante l’adozione di codici di comportamento
27
che i loro associati sono tenuti ad osservare, in caso di agitazioni, sotto
la minaccia di sanzioni.
La dottrina
28
distingueva fra due tipi di autoregolamentazione: quella
in senso stretto o unilaterale, cioè proveniente dalla stessa
organizzazione che deve applicare i codici, e quella bilaterale. Il primo
tipo si riteneva di abbastanza facile identificazione in quanto, “pur
incarnandosi in modelli storici e sub- settoriali alquanto articolati e fra
loro non uniformi, conserva nondimeno una sostanziale omogeneità in
relazione alla natura ed alla sua efficacia giuridica”, mentre il secondo
faceva riferimento ad una “fenomenologia normativa quanto mai
26
Detto ciò, M. RUSCIANO concepisce l’autoregolamentazione come un “patto di civiltà
fra sindacati confederali e cittadini”.
27
U. ROMAGNOLI, Diritto di sciopero, autodisciplina e sindacalismo autonomo, in
GDLRI, 1979.
28
M.T. CARINCI, Autoregolamentazione del diritto di sciopero, in RIDL, I, 1987.
13
frammentaria e disaggregata”
29
ricomprendendo l’esperienza delle
clausole di tregua o di pace sindacale nonché le varie forme di
procedimentalizzazione del conflitto collettivo.
Il rapporto fra legge e autonomia collettiva in materia di
regolamentazione dello sciopero pose un primo, fondamentale,
problema in relazione alla lettera dell’art. 40 Cost. il quale afferma
che “lo sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”: è
palese l’indicazione di favore per la regolamentazione legale.
Su questo punto si è ampiamente discusso, chiedendosi se la formula
contenuta nell’art. 40, possa essere considerata preclusiva di una
disciplina dell’esercizio del diritto di sciopero stabilita dagli stessi
attori del conflitto collettivo, e ancor prima, se quella formula
rappresenti davvero una riserva di legge in senso tecnico.
L’opinione prevalente fu quella volta a sostenere la legittimità, ex art.
40 Cost. , di una disciplina autonoma del diritto di sciopero.
29
P. PASCUCCI, La regolamentazione autonoma del diritto di sciopero nella dottrina
italiana, in Riv. dir. e proc. civ., 1989, in cui si riporta la relazione tenuta dall’Autore
durante il seminario “Letture di diritto sindacale – Le basi teoriche del diritto sindacale”,
tenuto a Napoli il 17 maggio 1989 e organizzato dalla scuola di specializzazione in diritto
del lavoro e relazioni industriali dell’Università di Napoli.
14
Secondo un primo orientamento
30
, infatti, la norma in esame
conterrebbe non una riserva, preclusiva di regole di fonte collettiva,
bensì un invito, o una semplice “clausola a legiferare”, accoglibile
come tale, da parte di qualsiasi fonte. Altra autorevole dottrina
31
ha
affermato che l’art. 40 dovrebbe trovare attuazione solo nel caso in cui
le parti si vengano a trovare in una condizione di disparità e si
manifesti l’esigenza di creare delle regole volte a ristabilire
l’equilibrio fra loro; o ancora che, se la preferenza per la legge ex art.
40 Cost. dev’essere identificata con una riserva di legge, si tratta
sicuramente di una riserva, che, in quanto non assoluta, non può
costituire un ostacolo al libero esplicarsi di fonti diverse dalla legge in
materia di regolazione del conflitto collettivo
32
. In particolare G.
GIUGNI sottolineava il carattere “endo- statale” dell’istituto della
riserva di legge che, come tale, preclude la possibilità di disciplinare
la materia con altri atti dello Stato, ma non con fonti di autonomia
negoziale, atti di privati aventi valenza di negozi giuridici per
30
DELL’OLIO, Lo sciopero e la norma (Riflessioni sui servizi pubblici essenziali), in
DL, I, 1988.
Di “invito a legiferare” contenuto nell’art. 40 Cost. tratta A. VALLEBONA, in Il ruolo
del giudice nel sistema della legge sullo sciopero dei servizi pubblici essenziali, in Mass.
Giur. Lav. 1991.
31
M. D’ANTONA, La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e le tendenze
del diritto sindacale, in RGL, I, 1989.
32
In tal senso è assai esplicito M. RUSCIANO, Lo sciopero nei servizi essenziali,op. cit.
15
l’ordinamento statuale, ma di vera e propria “legge” per l’ordinamento
intersindacale
33
.
Accanto a questa impostazione, sicuramente prevalente, si
riscontravano altresì rare ma decise voci di dissenso, come la
Relazione della Commissione interministeriale di studio sulla
disciplina del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali
34
, in cui
si sosteneva che “la riserva di legge affermata dall’art. 40 Cost. non
può essere aggirata” facendo ricorso a “fonti normative diverse dalla
legge o dagli atti ad essa equiparati”, e che “tali mezzi di
regolamentazione privata sono muniti di una vis espansiva e di un
deterrente politico- sociale, tali da poter comprimere o limitare il
libero esercizio del diritto di sciopero”
35
.
33
G. GIUGNI, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, 1960; sulla
stessa linea id pensiero anche G. SANTORO PASSARELLI : “la riserva non esclude che
siano le stesse parti interessate a regolare lo sciopero, s’intende con effetto nei loro
rapporti interni”, in La disciplina dello sciopero prevista dalla Costituzione, in La
disciplina del diritto di sciopero, Roma, 1976.
Con una diversa angolazione M. PERSIANI, Diritti fondamentali della persona,
sottolinea che la legge non affida all’autonomia collettiva la funzione di porre precetti
nuovi ed aggiuntivi, ma quella di “specificare un precetto che la legge ha già adottato”:
non sussiste dunque alcun problema di coerenza con la statuizione dell’art. 40.
34
P. PASCUCCI, Regolamentazione autonoma e diritto di sciopero, op. cit.
35
Relazione finale della Commissione interministeriale di studio sulla disciplina del
diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Rass. sind. , 1982, I, n. 4.
Commissione presieduta da G. ZANGARI.