4
1.1. La nascita
Nel 1800 esistevano due tipologie fondamentali di sarti, quelli che
lavoravano per l’alta società e quelli che lo facevano per la corte.
Normalmente il loro lavoro, fatta eccezione per qualcuno dotato
d’ingegno sartoriale, si riduceva a copiare pedissequamente e senza
alcuna originalità gli stili di sartoria esistenti in Europa. I vestiti più
originali erano sicuramente quelli derivati dal teatro, portati
normalmente dagli aristocratici; i sarti usavano tessuti, seta, merletti, al
fine di meglio evidenziare i lineamenti; la situazione della moda
risultava alquanto statica e di carattere artigianale, gli abiti erano un
privilegio della nobiltà e dell’aristocrazia e il loro prezzo volutamente
esorbitante. Quando, nel 1858, Charles Frederick Worth (Allegati Fig.
1,2) apre a Parigi, il suo negozio-laboratorio, decreta la nascita della
haute couture; gli abiti diventano allora espressione dell’ispirazione del
sarto e non derivano più dalle direttive della cliente, alla quale sono
invece proposti come prototipi esclusivi tra cui scegliere il modello da
farsi realizzare su misura.
Worth cura l’allestimento dell’atelier, dalle vetrine alle atmosfere degli
interni, e presenta le sue creazioni ricorrendo alle sfilate delle sue
mannequins. L’obiettivo è quello di conquistare, attraverso un lusso
raffinato, il mercato di élite: la moda di Worth è infatti destinata ad una
clientela esclusiva, composta di nobili parigine, di cortigiane, di attrici o
5
di ricche signore americane
1
, alle quali vengono proposti prodotti
esclusivi e personalizzati.
La proposta di Worth era decisamente nuova e stravolgeva i vecchi
schemi; egli aveva concepito ed attuato l’idea delle sfilate, nonché
quella di vendere ai suoi clienti non vestiti, bensì sogni realizzabili.
Worth divenne sarto ufficiale dell’imperatrice Eugenia, moglie
dell’imperatore Napoleone III e fu chiamato il padre della moda
francese. Molti altri sarti in seguito si adeguarono a quanto fatto dallo
stilista francese. La moda trovava finalmente il suo punto d’arrivo; sarti,
stilisti, collezioni, sfilate, rassegne, showroom erano divenuti punti
fondamentali del suo sviluppo.
2
Il declino della couture coincide con l’avvento della Rivoluzione
Industriale; in questo periodo la classe media cresce in maniera
significativa e viene messa in grado di accedere alla moda a prezzi
contenuti; l’offerta viene dunque allargata anche ai ceti medi, dopo che
per molto tempo era stata un privilegio di pochi. Ciò comporta il declino
della couture, ma al tempo stesso la democratizzazione della moda,
sancita anche dall’avvento della macchina da cucire che rende più snella
e veloce la produzione di capi: è la nascita del prêt-à-porter.
I primi passi di questa nuova concezione dell’abbigliamento risalgono al
1863; è proprio in questo periodo che i couturiers francesi tentano di
difendersi dalla massicce imitazioni a buon mercato perpetrate nei
1
D. Scipioni, La Moda, Ellissi, Napoli 2002, p. 32,33.
2
A. Foglio, Il marketing della moda, Il Mulino, Bologna, 2001, op. cit..
6
confronti dei loro prodotti, ma l’industrializzazione è alle porte e
nessuno avrebbe potuto arrestare il suo cammino
3
.
La rivoluzione forzata dell’abbigliamento femminile coincide con lo
scoppio della prima guerra mondiale: il coinvolgimento delle donne nella
cura dei feriti le obbliga ad accorciare le gonne e a rinunciare ad inutili
ornamenti. Alla fine della guerra alcuni couturiers proseguono la
sperimentazione di abiti semplici, altri tornano alle creazioni sofisticate.
A partire dagli anni Venti, Parigi presenta lo stile alla garçonne che
mette in primo piano una figura femminile priva di forme, somigliante al
corpo di un adolescente, che veste una corta gonna a pieghe con la vita
segnata sui fianchi; illustre rappresentatrice di questo stile è Coco Chanel
(Allegati Fig. 3). La stilista francese inventa un abbigliamento femminile
che si concilia con il lavoro e col vivere quotidiano accanto agli uomini,
ma non per sedurli: il principio fondamentale di Chanel è infatti la
funzionalità dell’abito che si contrappone allo stile precedente fatto di
busti e costrizioni per il corpo.
Le origini di una cultura della moda italiana si possono far risalire agli
inizi del Novecento e trovano un preciso riferimento nelle città di Milano
e Torino, centri fondamentali dell’industrializzazione nel campo
dell’abbigliamento. Le ragioni di tale concentrazione sono di tipo
economico e sociale: la grande disponibilità di manodopera femminile
specializzata, il carattere prevalentemente cittadino dell’ acquisto di capi
pronti d’abbigliamento e la presenza in zona di una grande industria
tessile. Il prodotto, caratterizzato da un’ elevata qualità, si rivolge
3
R. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, op. cit.
7
principalmente ad una clientela borghese che si affida all’abilità ed
all’inventiva di rinomate sartorie artigianali.
Nello stesso periodo le difficoltà a creare una moda italiana che possa
contrastare lo strapotere francese, si giustificano nella carenza di
strutture industriali e tecniche tali da garantire un puro stile italiano con
caratteristiche di originalità nelle stoffe, nei colori e nei disegni. Non è
facile battere la concorrenza, ma questo è un punto fondamentale da cui
partire per liberare la genialità nazionale
4
.
Inizialmente la produzione si concentra su capi semplici: intimo
maschile, cappotti, soprabiti e impermeabili. Sono ancora lontani i
problemi di diversificazione del prodotto e di contenuto-moda dello
stesso, soprattutto per quanto riguarda la sfera femminile.
La guerra segna una brusca frenata di questo processo e molte aziende
tessili sono costrette dal regime e dalle mutate condizioni sociali alla
produzione di capi standardizzati o a fini militari.
4
R. Barthes, Il sistema della moda, op. cit.
8
1.2. Gli albori dell’industria moderna .
Con la conclusione della seconda guerra mondiale, l’industria
dell’abbigliamento riprende l’attività fra difficoltà di ogni genere . Nel
1946 la capacità produttiva viene sfruttata solo al 50 % con circa 25000
lavoratori occupati. Le cause di tale situazione sono da un lato la scarsa
possibilità di approvvigionamento tessuti, dall’altra il calo vertiginoso
della domanda . Le esportazioni sono limitate ad alcuni prodotti di lusso
a carattere sporadico
5
.
Nel corso della ricostruzione, i consumi, pur sviluppandosi notevolmente
rispetto agli anni immediatamente precedenti, restano ancora fermi ai
livelli propri di un’economia estremamente povera, basata soprattutto
sulla produzione agricola e orientata verso l’autoconsumo, lo spirito di
sacrificio e l’etica del risparmio.
Nel secondo dopoguerra si pongono le basi per un discorso innovativo e
internazionale; le due città che rappresentano questa nuova tendenza
sono Milano e Roma. Milano, le cui sartorie lavorano per la borghesia
industriale e per la vecchia aristocrazia, assume progressivamente la
funzione di centro di raccolta informazioni, infatti le principali riviste
specializzate dell’epoca come “La donna”, “Grazia” e “Bellezza”, hanno
sede nel capoluogo lombardo. A Roma fioriscono numerose sartorie
coinvolte nella produzione cinematografica, fra le più note Schubert e le
Sorelle Fontana.
5
Fonti interne all’ azienda LUBIAM, Mantova.
9
In questi anni i consumi sono molto limitati a causa sia dei redditi bassi
che della mancanza di modelli di riferimento capaci di liberare il
comportamento di consumo dai suoi vincoli tradizionali . A questo
proposito va sottolineato come con il piano “Marshall” e con gli aiuti
americani per la ricostruzione, venga importato in Italia anche
l’american way of life, cioè un modello di vita desiderabile perché
proposto dalla nazione vincitrice della guerra; si tratta di un modello
imperniato sul mito del successo, sulla competizione tra le persone e
sulla democratizzazione del benessere individuale.
Naturalmente i beni di consumo giocano in tale modello un ruolo
fondamentale, funzionando come simboli di successo nella vita e come
metro di valutazione del valore riconosciuto alle persone. Ciò consente il
pieno attivarsi in Italia di fenomeni di imitazione reciproca tra i propri
modelli di consumo e quelli degli altri individui con i quali si entra in
contatto
6
.
E’ in questi anni che il modo di vestire degli Italiani comincia a cambiare
radicalmente, spostandosi verso l’acquisto di confezioni di serie a scapito
del tradizionale abito artigianale prodotto in sartoria che aveva
rappresentato il 90% della produzione fino ad all’ora.
Grazie anche all’arrivo dagli Stati Uniti di tecnici specializzati, chiamati
dalle imprese maggiori per introdurre nuove soluzioni organizzative e
metodi produttivi innovativi, l’industria di confezione, in particolare
l’abbigliamento maschile, raggiunge livelli di qualità e di
differenziazione elevati: vengono introdotti progressivamente giacche,
pantaloni e abiti interi.
6
V.Codeluppi, I Consumatori, Angeli, Milano 1997, p. 17.
10
I sarti italiani iniziano ad emanciparsi dal modello dominante parigino. I
couturiers presentano modelli femminili che sono troppo lontani dalla
realtà vissuta quotidianamente dalle donne; così facendo avviano un
processo di indebolimento dell’alta moda, che finisce per favorire il
successo mondiale dello stile italiano. La dipendenza dalla Francia non
appare ancora del tutto superata, ma le collezioni italiane presentano
segnali evidenti di autonomia che indicano la possibilità di realizzare in
breve tempo l’obiettivo originario. La produzione resta però ancora
rivolta principalmente alla domanda interna.
11
1.3. I rapporti e le competizioni coi mercati esteri
Dal 1956 alla fine degli anni Sessanta si registra una fase di vigoroso
sviluppo del processo di industrializzazione, stimolato dalla crescita
impetuosa della domanda interna .In questi anni avviene l’affermazione
definitiva del modello americano nel nostro Paese. L’Italia esce da una
situazione di sostanziale sottosviluppo e attraverso il cosiddetto
“miracolo economico” tra il 1959 e il 1963 raddoppia la produzione
industriale, riuscendo a immettersi nel novero dei dieci Paesi più
industrializzati del mondo
7
.
L’ incremento del reddito “discrezionale”, cioè del reddito eccedente le
spese di prima necessità, permette al ceto medio consumi non
strettamente necessari.
Si instaura così, per la prima volta nel nostro Paese, una vera società dei
consumi di massa. E con tale società si consolida anche una cultura del
consumo, cioè di un quadro collettivo di orientamento che spinge i
consumatori alla ricerca di una elevata quantità di beni da consumare.
Si crea una cultura il cui orizzonte di riferimento è ormai completamente
aperto verso il mondo intero e proprio per ciò comporta la nascita di un
senso di onnipotenza per le capacità umane che si traduce in una fiducia
cieca e illuminata nelle possibilità dello sviluppo economico e nel
progresso
8
.
7
Anderson Black J., Garland M., Storia della Moda, op. cit.
8
V.Codeluppi, I Consumatori, op. cit.
12
In questi anni l’industria di confezione pone il suo sguardo anche
sull’abbigliamento femminile; ciò di cui le consumatrici hanno bisogno è
un prodotto di massa, seriale, ma di buona qualità e somigliante quanto
più possibile alla moda lussuosa decantata sulle riviste. Tale evoluzione è
una diretta conseguenza del miglioramento qualitativo della produzione
industriale sia in termini di vestibilità che di eleganza e
contemporaneamente della mutata mentalità della popolazione femminile
nelle aree urbane
9
.
Le novità investono inoltre il sistema distributivo con la comparsa del
dettaglio specializzato e delle prime boutiques di medio–piccole
dimensioni, dedicate per lo più alle fasce di mercato più alte.
Il 1957 segna una data importante: l’Italia firma il Trattato che istituisce
la Comunità Economica Europea, la competizione con gli altri Paesi
stimola fortemente le imprese nazionali a cercare nuove strategie
promozionali e commerciali.
10
Nascono così le prime sfilate, le mostre e
le fiere nei principali centri italiani, con la finalità di presentare i prodotti
di abbigliamento italiano ai clienti nazionali e internazionali.
Gli anni Sessanta segnano una tappa fondamentale per la moda italiana
che riuscirà, grazie all’apporto della cultura industriale milanese con la
sua professionalità manageriale nella creazione stilistica, a diventare
industria; l’attenzione progettuale, la ricerca di spazi e sponsorizzazioni
pongono quindi le basi per la diffusione di una moderna cultura della
moda anche in Italia.
9
Anderson Black J., Garland M., Storia della Moda, op. cit.
10
Federtessile, Il tessile-abbigliamento e la sua dinamica evolutiva, op. cit.
13
In questo contesto i giovani emergono come classe sociale e come
segmento di mercato, sono i veri protagonisti di una rivoluzione del
costume di dimensioni internazionali che raggiunge punte massime nella
seconda metà degli anni Sessanta. Nella comunanza di ideali politici, di
interessi musicali, di modi di vivere e di comportarsi, si formano gruppi
generazionali, uniti anche nella ricerca di uno stile vestimentario
autonomo che possa costituire un’identità distinta da quella degli adulti
11
.
11
D. Scipioni, La Moda, Ellissi, Napoli 2002, p. 55, 56.
14
1.4. La crisi del settore
Gli inizi degli anni Settanta vedono un forte incremento del costo della
manodopera e l’adozione di norme sempre più rigide in materia di
lavoro, senza contare la rapida crescita dell’inflazione, fattori che
portano ad un progressivo deterioramento della produttività industriale
ed a un fenomeno di alterazione tra efficienza e costo lavoro.
Il boom economico esaurisce il suo corso naturale, il consumismo che ne
è derivato supera la fase di maturità, il gruppo sociale che ne è stato il
principale protagonista, i giovani, si trova ora a fare i conti con la
dimensione conflittuale già espressa, ma ancora in modo superficiale. Il
significato dell’abbigliamento conferma i suoi legami con l’appartenenza
ideologica e la protesta anticapitalistica si esprime anche nelle
limitazioni dei prodotti di consumo
12
; cresce la preferenza per gli
indumenti di foggia informale o più in generale per capi semplici e meno
costosi. Questi fenomeni, combinati fra loro, non tardano a mandare in
crisi l’industria della confezione in serie e i comparti di vestiario
tradizionale.
Le stesse “élites contestative” operano paradossalmente come nuovo
punto di riferimento per i comportamenti di consumo dell’epoca e le loro
proposte, apparentemente anticonsumistiche, sono in realtà prontamente
recuperate dal sistema industriale e commerciale.
12
Ibidem, p. 59.
15
Sul piano delle scelte di consumo le persone incominciano in questo
periodo a selezionare i prodotti con maggiore attenzione e maturità
13
.
Inizia in questo periodo la pratica diffusa dei “salvataggi statali” delle
imprese in crisi che contribuisce a falsare la concorrenza sui mercati.
L’attenzione del settore si sposta così sulla flessibilità al fine di adeguare
meglio l’offerta ai gusti sempre più variabili del consumatore; questo
fenomeno dà vita a un processo di frammentazione e differenziazione
interindividuale, giocato attraverso le scelte di consumo. Si sviluppano di
conseguenza i fenomeni del decentramento organizzativo e della
subfornitura
14
.
Di fronte a una saturazione del mercato interno, le industrie cercano
nuovi sbocchi con iniziative volte alla promozione del prodotto italiano
all’estero. Le imprese attuano un processo di riorganizzazione e
innovazione tecnologica, con lo scopo preciso di abbattere i costi di
produzione. La priorità, in ogni caso, è di soddisfare la nuova domanda
di produzioni limitate, ma altamente innovative e l’obiettivo può essere
raggiunto soltanto applicando una politica di decentramento produttivo.
Durante gli anni Settanta le persone dedicano ben poche attenzioni alla
cura del corpo e al vestire, prese come sono dai problemi causati dalla
crisi economica e dai valori diffusi dalla grande ondata di proteste
culturali e sociali originatasi a partire dal Sessantotto
15
.
13
V.Codeluppi, I Consumatori, op. cit.
14
Ceriani G., Grandi R., Moda: regole e rappresentazioni. Il cambiamento, il sistema, la comunicazione, F. Angeli, op.
op. cit.
15
V.Codeluppi, Che cos’è la moda, Carocci, Roma 2002, p. 44.