6
Nell’ultimo comma dell’articolo 21 è espressamente
contemplato l’unico limite esplicito alla libera
manifestazione del pensiero: il buon costume. Spetta alla
legge il compito di prevenire e reprimere le sue
violazioni. L’art. 21 stabilisce inoltre che la stampa non
può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure ma
unicamente ad interventi repressivi, a differenza degli
spettacoli cinematografici e teatrali che invece potranno
subire interventi preventivi o censori, come avvenne nel
periodo del Regime fascista, quando vennero presi
provvedimenti restrittivi nei confronti dei mezzi di
comunicazione.
Le misure limitative della libertà di espressione attuate
dal Regime fascista, infatti, avevano riguardato
soprattutto la stampa più di ogni altro mass media.
Da ciò scaturì l’esigenza dei Costituenti di predisporre
garanzie per il futuro ordinamento, ragionando sulle
vicende del recente passato stabilendo nell’articolo 21
disposizioni solo riguardanti la stampa.
Oggi, a causa di tale mancanza, ci troviamo di fronte ad
una legislazione che non tutela quelli che sono i mezzi di
comunicazione contemporanei: il cinema ma soprattutto
la televisione.
7
Questo elaborato prende in considerazione il sistema
televisivo e cinematografico per studiarne le dinamiche
sia sociali che legislative nel contesto dei limiti imposti
alla libera manifestazione del pensiero.
Per quanto riguarda la censura applicata alla libertà
d’espressione in televisione, troviamo unicamente la
possibilità di adottare misure “repressive”. L’articolo 15,
comma 10 della Legge 6 agosto 1990 n. 223, recita ,a tal
proposito: «E’ vietata la trasmissione di programmi che
possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei
minori, che contengano scene di violenza gratuite o
pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di
intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione
o nazionalità ».
Alcune disposizioni della legge n. 223 sono state oggi
modificate dalla legge del 3 maggio 2004 n. 112, ( Legge
Gasparri) che all’art. 3, primo comma sancisce : ”Sono
principi fondamentali del sistema radiotelevisivo la
garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di
comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di
espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di
opinione e quella di ricevere o di comunicare
informazioni o idee senza limiti di frontiere” e
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soprattutto “ l'obiettività, la completezza, la lealtà e
l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse
opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose
e la salvaguardia delle diversità etniche e del
patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello
nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti,
in particolare della dignità della persona, della
promozione e tutela del benessere, della salute e
dell'armonico sviluppo fisico, psichico e morale del
minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto
comunitario, dalle norme internazionali vigenti”.
Tra i principi a garanzia degli utenti contenuti nell’art. 4,
primo comma della stessa legge, e nell’art. 10, sempre al
primo comma, troviamo le disposizioni atte a tutelare il
minore, e che regolamentano le fasce orarie e le norme di
trasmissione, in regola con il Codice di
Autoregolamentazione Tv e minori, approvato nel
novembre del 2002.
Non è stata trascurata la tutela del buon costume: all’art.
4, primo comma leggiamo : ” La disciplina del sistema
radiotelevisivo, a tutela degli utenti, garantisce la
trasmissione di apposita rettifica, quando l'interessato si
ritenga leso nei suoi interessi morali o materiali da
9
trasmissioni o notizie contrarie a verità , purché tale
rettifica non abbia contenuto che possa dare luogo a
responsabilità penali o civili e non sia contraria al
buon costume”.
Dunque l’unico motivo che può giustificare
l’introduzione di limiti all’esercizio della libertà di
manifestazione del pensiero, è quello previsto dall’ultimo
comma dell’art. 21 che si riferisce alla tutela del buon
costume.
Da queste possibili limitazioni sono peraltro escluse le
manifestazioni scientifiche ed artistiche, le quali godono,
ai sensi dell’art. 33 Cost. di una tutela particolare e più
accentuata.
Il concetto di buon costume si è evoluto nel tempo
assumendo una connotazione diversa: cambiano i
parametri di valutazione sia a livello sociale, che
legislativo.
Sulla base degli sviluppi della giurisprudenza è stata
definitivamente abbandonata la nozione di buon costume
riferita alla morale comune o etica sociale (boni mores)
mentre se n’ è affermata una più restrittiva riferita
esclusivamente alla sfera del pudore sessuale, con
10
particolare riferimento alla tutela dello sviluppo della
personalità dei minori.
Ricordiamo, a questo proposito, la sentenza del 19
febbraio 1965, n. 9 in cui la Corte Costituzionale,
investita di una questione inerente l’art. 553 del codice
penale, sanciva che chiunque pubblicamente incitasse a
pratiche contro la procreazione o facesse propaganda a
favore di esse, sarebbe stato punito. La Corte non aveva
assunto una posizione del tutto chiara al riguardo.
La questione era relativa al fatto che le disposizioni prese
in esame erano sospettate di incostituzionalità e andavano
lette come espressione del limite del buon costume,
inteso come pudore sessuale. La Corte stessa non riuscì a
dare una definizione definitiva e si limitò ad affermare
che “il buon costume non può essere fatto coincidere con
la morale o con la coscienza etica” e che dunque “rientra
tra i concetti non suscettibili di una categorica
definizione”.
Nella sentenza n. 368 del 27 luglio 1992, la Corte
affermò che il concetto di buon costume varia
notevolmente secondo le condizioni storiche d’ambiente
e di cultura. Considerato che si tratta di un limite, il buon
costume è diretto a significare un valore riferibile alla
11
collettività in generale, nel senso che denota le condizioni
essenziali che in relazione ai contenuti morali e alle
modalità d’ espressione del costume sessuale in un
determinato momento storico, siano indispensabili per
assicurare una convivenza sociale conforme ai principi
costituzionali inviolabili della tutela della dignità umana
e del rispetto reciproco tra le persone (art. 2 Cost.).
2
Dal momento in cui parliamo di buon costume in
relazione alla libera manifestazione del pensiero nei
mass media, definiamo anche il concetto di censura dove,
nel senso più ampio e approssimativo della parola, è il
controllo, per lo più esercitato dai pubblici poteri, sulle
pubblicazioni, sulla corrispondenza, sulle notizie, sulle
opinioni, sulle espressioni del pensiero, sugli spettacoli
(teatrali, cinematografici, televisivi) e su altre
manifestazioni, diretto a impedire o limitare la diffusione
di quanto venga ritenuto contrario all’interesse generale
(reale o presunto) della collettività
3
.
Mi sembra, quindi, importante analizzare come i costumi
sociali siano mutati nel tempo.
2
Corte cost ., 27 luglio 1992, n. 368
3
Grasso A.,Enciclopedia della televisione, Garzanti,1996
12
Per fare ciò ho deciso di studiare, da un punto di vista
legislativo e sociale, il sistema cinematografico e quello
televisivo ,essendo questi veri e propri “specchi dei
mutamenti sociali”.
Quali mezzi di diffusione del pensiero, sia il cinema che
la televisione, custodiscono l’evoluzione
dell’interpretazione di buon costume e dunque ci
forniscono un quadro storico e sociale degli episodi di
censura.
Essi sono accomunati da una situazione attuale di
disequilibrio fra tutela della libertà di espressione e suoi
necessari e connaturali limiti.
Nell’ultima parte di questo elaborato ho deciso di dare
spazio al diritto di satira quale esempio di libertà di
manifestazione del pensiero, messa troppo spesso in
discussione.
Tale diritto è garantito dal nostro ordinamento giuridico e
con quest’espressione devono essere indicate tutte le
varie forme di manifestazione del pensiero, aventi remote
origini storiche, accomunate “dall’intento immediato di
suscitare ilarità nei percettori e differenziate dalla
specificità dei fini ulteriori e dalla varietà delle forme
espressive ( lo sketch cinematografico o televisivo, la
13
caricatura politica, la parodia artistica, la vignetta o la
caricatura stampata, l’articolo giornalistico ecc.)”.
4
La satira rappresenta il banco di prova di ogni
democrazia essendo, il riconoscimento della sua liceità,
un modo di concepire il sistema politico e segnatamente i
rapporti autorità-individuo, in una data collettività.
Per questo s’individuano, come norme che danno
fondamento costituzionale mediante il loro raccordo,
l’articolo 21 della Costituzione e gli articoli 9 e 33, nella
parte in cui garantiscono rispettivamente protezione a
cultura ed arte.
E proprio l’elemento artistico all’interno del sistema
cinematografico e televisivo viene messo in discussione e
spesso incompreso e censurato.
Ma come scrisse Edgar Allan Poe : “…per nascondere le
cose più compromettenti non c’è miglior luogo
dell’eccesso di evidenza…”
5
.
A questo punto restano da chiarire i meccanismi che
fanno scaturire il bisogno di censurare : mentre per il
cinema abbiamo sempre potuto usufruire di una
4
M. Mantovani, Profili penalistici del diritto di satira, in Dir. Informazione e
informatica, 1992,295
5
E. Allan Poe . The Purloined Letter (La lettera trafugata) in “Racconti” .
14
legislazione che ne arginasse gli eccessi, per la
televisione non è stato così. Parlando di censura infatti
potremmo citare l’ormai celeberrimo “Codice Guala”,
ovvero un codice di autodisciplina voluto dall’allora
amministratore delegato della Rai, Filiberto Guala ,
redatto per coloro che lavoravano all’interno
dell’azienda.
Si legge testualmente: ”...la televisione costituisce un
nuovo mezzo di diffusione e di espressione delle idee dei
sentimenti, dell’arte. A differenza del cinema e del teatro
non limita il suo messaggio a determinate platee, ma può
penetrare simultaneamente nelle abitazioni di tutto il
territorio nazionale con l’efficacia visiva delle immagini,
oltre che con i suoni e le parole(…). I programmi
televisivi si ispirano al rispetto della persona umana;
della famiglia; dei sentimenti religiosi; degli ordinamenti
sociali; del decoro nazionale; della moralità dei
consumi; della sensibilità degli spettatori… ”.
6
Naturalmente correva l’anno 1954 e adesso le cose sono
cambiate: non esiste più un codice di disciplina.
Chi appare in televisione sa già cosa è lecito fare o dire.
6
Dossier 3 gennaio 1954. Cinquant’anni di tv. Biblioteca Rai-Teche (a cura di)
2003
15
A questo proposito possiamo parlare di auto censura e
auto limitazione.
La censura oggi risponde a criteri differenti rispetto al
passato. Negli ultimi anni il clima sociale è mutato: una
società laica è andata progressivamente sostituendosi ad
una tradizionalmente cattolica, comportando un maggior
permissivismo ed un’apertura ai modelli delle avanzate
civiltà occidentali. Siamo perciò di fronte ad un percorso
evolutivo che ha portato, non soltanto alla rivalutazione
di un’opera prima etichettata e poi bandita in nome della
repulsione e del disgusto che provocava, ma anche e
soprattutto ad una maturazione dello spettatore che oggi
non si scandalizza più di fronte ad un nudo
cinematografico o ad una scena particolarmente forte.
Tutto fa parte di un costume ormai completamente
adeguato alla modernità ed aperto al confronto, di
qualunque natura esso sia.
La censura sugli spettacoli costituisce uno dei
provvedimenti che l’art. 21 Cost. prevede al fine di
prevenire le violazioni del buoncostume da parte di
manifestazioni di pensiero diverse dalla stampa. L’art.
21, come già detto, pone il divieto assoluto di tutte le
manifestazioni di pensiero contrarie al buon costume. E’
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obbligo del legislatore intervenire per prevenire e
reprimere le violazioni, con piena discrezionalità nella
scelta dei provvedimenti adeguati allo scopo. A questo
punto però si pone il problema dell’art. 529 del Codice
Penale che definisce “osceni” atti e oggetti che, secondo
il comune sentimento, offendono il pudore senza
distinguere tra tutela dei maggiorenni e dei minorenni.
La censura a tutela degli adulti rappresenta una forma di
repressione equivalente alla negazione di tutte le libertà.
Il fatto poi che gli spettacoli avvengano in “luoghi aperti
al pubblico” nei quali di regola, si accede
volontariamente e spontaneamente non è lesivo della
libertà degli individui, in quanto essi sono appunto liberi
di accedervi.
Condivisibile rimane invece la censura dei film per i
minori, nel senso che il film si presume vietato ai minori,
salvo che non chieda ed ottenga lo specifico nulla osta di
censura. Inoltre tale censura investe, oltre al buon
costume, anche la violenza, la droga, il turpiloquio e la
volgarità per effetto degli artt. 30 e 31 Cost.
Anche nel caso della tutela dei minori emerge tuttavia, in
maniera piuttosto evidente, una certa antitesi: se infatti da
una parte il film potrebbe portare modelli negativi di
17
comportamento, insinuando nella psicologia del minore
un’idea distorta di normalità, dall’altra la censura
costituirebbe un limite alla capacità del minore stesso, di
attingere, là dove possibile, spunti per una riflessione
personale. E’ utile che anche i giovani possano ravvisare,
all’interno di un film, messaggi positivi, e quindi
condividerli, come pure provare repulsione per situazioni
e fenomeni assolutamente contrari ai loro valori.
La censura cinematografica per alcuni aspetti si dimostra
troppo rigida ed inflessibile, depauperando in maniera
netta e perentoria una pellicola di alcune sue immagini e
contenuti.
Molto spesso infatti sarebbe sufficiente filtrare anziché
tagliare o proibire per rendere comunque accessibile un
film e per adeguarlo alle esigenze di un pubblico
variegato. Adesso sono le persone ad assumere il ruolo di
giudice e non si tratta solo di un ‘evoluzione del
costume” ma anche, e soprattutto, di una maggior
consapevolezza da parte di un pubblico, prima riluttante
al confronto con tematiche scottanti, difficili da trattare e
tanto più da accettare come parte integrante del
patrimonio sociale e culturale di una civiltà.
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E allora non è stato forse conveniente usare la censura
prima che come mezzo di critica cinematografica, come
strumento di repressione e negazione di valori e
tematiche scomode?
Gianbattista Vico parlava di “Corsi e ricorsi storici” per
definire il ciclo continuo della storia, dove gli
avvenimenti spesso si ripetono anche se in luoghi e tempi
diversi.
E volendo ricordare un momento di massima repressione
delle idee, mi viene in mente il famigerato
“Maccartismo” degli anni ’50, sorto e sviluppato negli
Stati Uniti.
In questo periodo, in cui si diede inizio ad una vera e
propria “caccia alle streghe”, dove le streghe erano i
comunisti, si registrarono censure e repressioni anche nel
mondo dello spettacolo.
Il filone hollywoodiano delle inchieste ebbe il suo
periodo di “gloria” nel 1947 e poi tra il 1951 e il 1952.
In quegli anni il cinema americano fu investito da
un'ondata di paranoia inquisitoria che stroncò il filone di
realismo sociale da poco inaugurato e che portò
all'imprigionamento di alcuni personaggi del mondo della
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celluloide e al licenziamento e all'emarginazione di
tantissimi altri.
Oggi, per fortuna, non assistiamo a fenomeni di
repressione come quello appena ricordato. Resta
comunque il fatto che la censura esiste e viene chiamata
in causa sia nel cinema che in televisione, a volte
giustamente, altre meno.