2
1.2. La Globalizzazione dell’ambiente economico: spunti teorici
Negli ultimi 20 anni, l’interscambio commerciale tra i vari Paesi del mondo è cresciuto
con un’intensità mai vista prima, dando vita alla così detta globalizzazione
dell’economia mondiale.
Dal punto di vista economico ambientale, per globalizzazione si intende
l’integrazione progressiva delle singole economie nazionali in un unico sistema
economico mondiale caratterizzato da strette interdipendenze economico –
finanziarie tra i blocchi continentali emergenti (Asia, UE, NAFTA) e da un più elevato
grado di competitività per le imprese ma anche da maggiori stimoli innovativi.
Dal punto di vista dell’impresa, invece, per globalizzazione si intende l’integrazione,
in un sistema produttivo coordinato e interdipendente, di diverse attività economiche
logisticamente disperse su scala internazionale
1
. Tale termine si distingue per tanto
dalla internazionalizzazione a cui, in letteratura economica, si riconduce la semplice
dispersione internazionale delle attività della catena del valore delle imprese.
La globalizzazione, nelle sue tre forme, commercio internazionale, investimenti diretti
esteri (equity e non equity) e investimenti di capitale, implica la divisione dei processi
industriali in subprocessi che vengono opportunamente localizzati in nazioni differenti
a seconda della convenienza economica (vantaggio comparato, di distretto e
specializzazione).
2
Quattro forze modellano il contesto competitivo dell’economia mondiale:
1. La liberalizzazione del commercio.
2. Lo sviluppo tecnologico.
3. La riconfigurazione della struttura aziendale verso un maggiore grado di
flessibilità.
4. Le politiche economiche e sociali dei vari Governi nazionali.
1
Dicken, 1998
2
Glasmeier and Conroy, 1994.
3
L’apertura dei mercati nazionali attraverso una riduzione delle tariffe doganali e delle
diverse barriere non tariffarie istituite per la protezione dei mercati locali ha costituito
un forte impulso alla scambio internazionale di merci.
A questo si è aggiunto il progresso tecnologico e delle telecomunicazioni che ha
favorito incredibilmente, rendendolo più efficiente (meno costoso e più veloce) il
trasporto di merci e di informazioni tra nazioni e continenti con l’importante
conseguenza di ridurre l’importanza della prossimità logistica e produttiva al
headquarter o ai mercati di sbocco. In terzo luogo negli ultimi tempi si è assistito
anche ad un cambiamento nella struttura organizzativa interna delle imprese
impegnate in un contesto internazionale: la tendenza è quella di abbandonare la
rigidità di una struttura verticalmente integrata a favore della flessibilità di un sistema
internazionale a rete (network), caratterizzato da alleanze strategiche e contractual
agreements (licenze, franchising e da rapporti più o meno stretti di sub fornitura) che
permetta di rispondere velocemente ed efficientemente alla crescente
volatilità(market turbolence e shifting of comparative advantage) del contesto
economico mondiale.
In fine, i Governi delle diverse nazioni, nell’intento di attirare capitali esteri e stimolare
la crescita dell’economia interna, cercano di influenzare l’attrattività e la competitività
dei propri sistemi economici agli occhi delle imprese multinazionali instaurando un
cosiddetto “friendly environment” verso gli investimenti delle MNCs anche a discapito
degli interessi ambientali e dei lavoratori, i quali, soprattutto nei Paesi in via di
sviluppo, sono soggetti, in nome del progresso economico, al massimo sfruttamento
alla stregua di un fattore produttivo materiale.
Questo processo di integrazione delle economie nazionali in un sistema economico
mondiale di libero scambio, regolato dal WTO (Organizzazione del Commercio
Mondiale) con i suoi 138 membri, 139 con la prossima entrata della Cina, porta
anche ad un sensibile incremento del grado di competitività nei diversi settori
dell’economia dato il crescente numero di concorrenti che si scontrano sulla stessa
Arena competitiva mondiale.
Proprio per limitare questa pressione competitiva mondiale ad una cerchia più
ristretta di nazioni si è andato sviluppando un sistema di alleanze regionali tra nazioni
4
vicine ed economicamente interdipendenti che ha dato vita a veri e propri blocchi
economici continentali. Questa regionalizzazione dell’economia mondiale trova la
sua massima espressione negli accordi regionali di libero scambio in cui vengono
privilegiati i rapporti commerciali tra i Paesi membri attraverso sistemi tariffari
preferenziali ed una libera circolazione di merci e capitali.
Esempi in tal senso sono il NAFTA (Nord Atlantic Free Trade Agreement), la UE
(Unione Europea) e l’ASEAN (Associazione dei Paesi del Sud-Est asiatico) prossima
a diventare AFTA (Asean Free Trade Association) nel 2003, rappresentanti
rispettivamente il continente americano, europeo e asiatico.
In un tale contesto vi sono poche speranze che le disomogeneità di ricchezza tra le
diverse regioni del mondo possano essere appianate; ad una società ricca è
necessaria l’esistenza di una società povera su cui fondare il suo benessere.
Il problema della Globalizzazione e delle su conseguenze in campo economico è
stato trattato anche da Vaccà
3
. Secondo i suoi studi, la globalizzazione dell'economia
sta ad indicare una profonda trasformazione, che si è avuta a partire dagli anni '80,
nei rapporti fra i sistemi economici e le rispettive strutture produttive. Ciò che si viene
a creare, infatti, è un confronto competitivo-cooperativo che rende le economie
nazionali sempre più interdipendenti, ossia il loro successo economico, la loro
crescita sono, di fatto, sempre più il risultato di processi interattivi che
tendenzialmente rendono sia il sistema economico sia le imprese sempre meno in
grado di operare secondo una logica di autosufficienza.
Il Vaccà affronta il problema spinoso del perché i processi di internazionalizzazione
basati sull'integrazione verticale ed orizzontale abbiano lasciato il passo a quelli
basati sull'interazione cooperativa fra l'impresa e le altre imprese ed il contesto socio-
culturale ed istituzionale.Tre aspetti possono essere assunti come indicatori di una
trasformazione fondamentale dei rapporti tra impresa e ambiente in tutto il mondo
capitalistico:
Il primo aspetto può essere definito come trionfo della diversità intesa quale modo
naturale di essere dei processi produttivi, che tendono sempre più a differenziarsi e a
radicarsi in contesti socio-culturali ed istituzionali diversi. Il mutamento dei processi è
3
Vaccà, S.” L'impresa transnazionale tra passato e futuro”, Milano: F. Angeli, 1995.
5
frutto del crescente ricorso a rapporti di “make together” nei quali l'economia di
impresa si avvale di fattori produttivi ambientali, generati da differenti contesti socio-
culturali ed istituzionali che penetrano nell'impresa, costituendo reali forze produttive
e che concorrono direttamente al suo sviluppo.
Il secondo può definirsi come la diffusione della cooperazione intesa quale modo
adottato dall'impresa per interagire con le altre imprese o con le istituzioni esterne,
così da avvalersi del loro contributo di competenza e del loro supporto produttivo e
professionale per sviluppare sempre più efficacemente la propria capacità
competitiva e innovativa.
La cooperazione rafforza la capacità di competizione e lo sviluppo della
differenziazione tecnologica dei processi produttivi in quanto attraverso l'integrazione
e la cooperazione fra le competenze tecnico-professionali di differenti imprese si
raggiunge l'obiettivo di moltiplicare e differenziare più efficacemente i modi di
produzione.
Pertanto l'impresa, che intende radicarsi nei diversi contesti socio-culturali, deve
esprimere una crescente abilità di cooperazione che implica una capacità di
competizione innovativa e quindi anche di differenziazione.
Il terzo aspetto si può, infine, definire come la necessità del decentramento
nell'organizzazione dell'impresa e soprattutto dell'allargamento della partecipazione
del lavoro ai processi decisionali della stessa impresa.
Alla centralizzazione delle decisioni e alla rigida burocratizzazione
dell'organizzazione gerarchica, si sostituisce una graduale disarticolazione dei
processi decisionali, affinché essi siano più rispondenti al pluralismo dei soggetti,
delle capacità e delle risorse coinvolte nell'attività produttiva. La conoscenza e quindi
l'informazione, prodotta dal fattore umano, tende a divenire la risorsa produttiva più
importante, che può essere utilmente sfruttata grazie anche all'abbattimento delle
barriere spazio-tempo avutosi con lo sviluppo delle reti telematiche.
6
Tutto ciò fa intendere che lo sviluppo dell'economia d'impresa a livello internazionale
si configura come uno sviluppo differenziato, cioè dotato di caratteristiche
tecnologiche, organizzative, umane e istituzionali, differenti per un'impresa radicata
nei diversi sistemi socio-culturali. Quindi il "trionfo della diversità" mira a sottolineare
il "trionfo dei contesti locali" su quelli più generali (nazionale e globale).
Il globale indica che il mondo si sviluppa divenendo più interdipendente, mettendo in
relazione varietà locali che differiscono quanto a fattori di produttività necessari per
competere a livello internazionale, quanto a occasioni per disporre di alternative
tecnologiche utilizzabili per innovare, quanto a necessità di valorizzare il capitale
umano per essere in grado di avvalersi delle stesse opportunità offerte dal progresso
tecnologico.
Questa interdipendenza tra sistemi a livello globale non implica una
omogeneizzazione indifferenziata, ma al contrario aumenta le possibilità per ogni
area di meglio precisare e coltivare la propria identità sviluppando anche
specializzazioni settoriali e vantaggi competitivi (delle Nazioni, Porter M.). Dall'analisi
dei dati empirici si evidenzia infatti, che ciò che veramente conta con lo sviluppo delle
nuove aree, è il fatto che si presentano e si qualificano sempre meglio sulla scena
economica nuove forze produttive, le quali si differenziano anche profondamente da
un'area all'altra, in quanto fortemente connesse al contesto locale o nazionale in cui
operano le diverse imprese. Diverse dunque, ma fortemente correlate le une alle
altre in modo da creare sia rapporti conflittuali (competitività elevata) che di proficuo
interscambio (vedi teoria del vantaggio comparato).
Per concludere, l’integrazione delle economie nazionali in un contesto competitivo
mondiale (sarebbe meglio dire regionale se ci si rapporta a dati empirici) può però
anche comportare un indebolimento delle potenzialità dell’ambiente locale come
fonte di vantaggio competitivo.
Una strategia globale comporta infatti l’adozione di una prospettiva più ampia dei
confini nazionali (geograficamente) e aziendali (integrazione/esternalizzazione) nel
decidere con che modalità operativa (FDI, market) e a con che raggio di azione
(distretto, nazione, mondo) operare le diverse attività della catena del valore
relativamente ad uno specifico prodotto.
7
4
La letteratura corrente distingue due vantaggi principali di una strategia globale:
global sourcing e global sharing.
Il global sourcing consiste in una strategia finalizzata a ridurre i costi di produzione di
un’impresa attraverso la localizzazione ottimale (secondo parametri di efficienza)
delle attività di produzione e approvvigionamento nel mondo.
Global sharing (economie di scopo), è una strategia finalizzata alla riduzione dei costi
totali attraverso l’utilizzo diversificato e perciò molteplice di talune attività fisse (un
sistema di distribuzione, un marchio).
4
Fonte: “The Globalization of local districts”, Patrizia Tiberi Vipraio. Lettura esposta presso “Department of
Economics”, Monash University, Melbourne, Victoria, Maggio 1998
8
1.3. Il processo di globalizzazione dei settori industriali
5
I settori industriali si globalizzano perché i cambiamenti della tecnologia, dei
fabbisogni dei clienti, delle politiche di governo o dell’infrastruttura di un paese
creano importanti differenze nelle posizioni competitive fra imprese di nazioni diverse
oppure rendono più significativi i vantaggi di una strategia globale.
Per massimizzare i benefici di una strategia globale e per poter scegliere la giusta
combinazione tra un approccio globale e multilocale al mercato, i manager di
un’impresa impegnata a livello internazionale devono saper riconoscere il grado di
globalizzazione del settore di appartenenza studiando 4 “global drivers” o variabili di
globalizzazione :
1. Drivers di Mercato; dipendono dal comportamento del consumatore e dalla
struttura dei canali di distribuzione:
Grado di omogeneità dei gusti e dei bisogni del consumatore;
Canali globali;
Grado di trasferibilità del marketing mix tra i diversi mercati nazionali.
2. Drivers di Costo; dipendono dalla particolare struttura economica del business
e condizionano la concentrabilità geografica delle attività:
Possibilità di sviluppare economie di scala e di scopo;
Possibilità di sviluppare curve di esperienza;
Efficienza del sourcing;
Logistica favorevole (un basso rapporto Prezzo di vendita/Costo di
trasporto);
Esistenza di differenze nel costo, specializzazione, e produttività dei
fattori tra le nazioni;
Possibilità di ridurre i costi di sviluppo dei prodotti attraverso la
standardizzazione;
5
George Yip, “Global Strategy in a World of Nation”, estratto da “Transnational Management”, Bartlet –
Ghoshal , Edito da Mc. Graw Hill, 2000.
9
3. Drivers di Governo; dipendono dalle politiche governative in materia di
commercio internazionale, investimenti esteri e libero flusso di capitali:
Politiche commerciali favorevoli (basse barriere tariffarie e non tariffarie
all'import);
Standard di prodotto compatibili con quelli internazionali;
Regole di marketing omogenee a quelle internazionali;
4. Drivers Competitivi; unici drivers endogeni e perciò completamente
controllabili dall’impresa:
Interdipendenza dei Paesi attraverso l’organizzazione delle attività
Essere un concorrente globale, sviluppando strategie di “follow the
leader”, “oligopolistic competition” e cercando il “first mover advantage”
dove possibile.
I leader globali nascenti di un settore industriale cominciano sempre con qualche
vantaggio in patria, che sia una concezione innovativa di un prodotto, un livello di
qualità più elevato o un vantaggio nel costo dei fattori. Tuttavia, affinché il successo
duri nel tempo di solito è necessario che l’impresa non si fermi a quello stadio. Il
vantaggio domestico deve diventare il punto di appoggio per penetrare nei mercati
esteri. Una volta lì, il concorrente globale di successo integra il vantaggio iniziale
della base domestica con economie di scala o con vantaggi in termini di reputazione
che gli vengono dal vendere a livello mondiale. Col passare del tempo il vantaggio
competitivo viene integrato (o vengono annullati gli svantaggi della base domestica)
insediando determinate attività, opportunamente scelte, nelle nazioni estere.
Anche se il vantaggio iniziale della base domestica è difficile da mantenere nel
tempo, una strategia globale può contribuire ad arricchirlo e ad espanderlo.
I costi dei fattori, essendo un vantaggio di livello inferiore, sono una fonte spesso
elusiva e fugace di vantaggio competitivo per un concorrente internazionale, così
come lo sono per un concorrente nazionale. Questo lo si è visto con chiarezza, per
esempio, nel caso dell’abbigliamento.
10
Il competitore globale, collocando le attività all'’estero, può annullare o persino
sfruttare le variazioni nel costo della manodopera se si appoggia ad un efficiente e
flessibile network di subfornitura dotato di legami intra e interorganizzativi dal lato del
sourcing, produzione e distribuzione.
11
1.4. Internazionalizzazione della catena del valore
Per un impresa che desideri massimizzare la sua efficienza operativa al fine di
ottenere un vantaggio competitivo su un mercato globale caratterizzato da una forte
e simultanea pressione verso la differenziazione e l’abbattimento dei costi, è
importante effettuare delle scelte strategiche a livello della catena del valore che ne
delineino la figura, sia in ambito geografico (delocalizzazione/internazionalizzazione)
che prettamente strutturale (integrazione/esternalizzazione). Un’impresa dovrebbe
infatti raggiungere una struttura quanto più flessibile, localizzando o duplicando le
diverse attività aziendali là dove risulta più efficiente per sfruttare un possibile
vantaggio comparato (a seconda che l’attività sia capital o labor intensive), la
presenza di un sistema distrettuale e quindi di un vantaggio competitivo nazionale
(Diamante di Porter), incentivi governativi locali agli investimenti o per una maggiore
vicinanza/controllo al mercato di sbocco, concentrandosi sulle attività fondamentali
per il perseguimento del vantaggio competitivo ricercato (maggiori competenze, core
business) ed esternalizzando le altre alla ricerca del “best price” fornito dal mercato.
Lo spread geografico ottimale della catena del valore, nel sistema industriale e
competitivo del terzo millennio, è quanto mai facilitato dagli sviluppi della tecnica e
delle telecomunicazioni che rendono efficientemente coordinabili attività
logisticamente disperse e quindi conveniente l’assunzione da parte dell’impresa di
una struttura internazionale
6
.
Dobbiamo capire in che modo le imprese creino il vantaggio competitivo mediante la
strategia internazionale e in che modo questa rafforzi i vantaggi competitivi
conquistati nel paese d’origine.
Il modella della concorrenza internazionale differisce in modo netto da settore
industriale a settore industriale.
6
Internazionale, inteso in senso lato, non considerando le differenze tra internazionale, multinazionale, globale,
transnazionale ma la generale definizione di Internazionalizzazione: decisione di estendere il sistema della catena
del valore oltre i confini nazionali per svolgere ciascuna attività aziendale là dove risulta più efficiente. Si vedrà
in seguito come Porter definirà una strategia GLOBALE.
12
Ad un estremo dello spettro la concorrenza internazionale assume una forma che
potrebbe essere definita multidomestica (multilocale). La concorrenza in ciascuna
nazione (o in ciascun piccolo gruppo di nazioni) è essenzialmente indipendente.
All'estremo opposto dello spettro si trovano i settori industriali globali, nei quali la
posizione competitiva di un’impresa in una nazione influisce in modo significativo
sulla sua posizione in altre nazioni e viene influenzata da essa. I rivali competono fra
loro su una base veramente mondiale, sfruttando i vantaggi che derivano da tutta la
loro rete di attività mondiali. Le imprese mettono assieme i vantaggi che ricavano
dalla loro base domestica con altri dovuti dalla loro presenza in molte nazioni, quali
ad esempio le economie di scala, la possibilità di servire clienti multinazionali ed una
immagine di marca che può essere trasferita.
La capacità di raggiungere il vantaggio competitivo nei settori industriali globali conta
molto ai fini del commercio e degli investimenti internazionali.
1.4.1. Il vantaggio competitivo mediante la strategia globale
7
La strategia globale è quella nella quale un’impresa vende i suoi prodotti in molte
nazioni e impiega, per farlo, un approccio strategico integrato su scala mondiale. Il
solo fatto di essere una multinazionale non significa avere una strategia globale,
infatti, nel caso l’impresa abbia consociate autonome che operino indipendentemente
in ogni nazione offrendo un prodotto altamente rispondente ai gusti locali, con una
strategia di marketing ed immagine ad hoc, un siffatto approccio sarebbe da definirsi
multilocale.
Ovviamente, tra le due strategie “pure” esistono delle posizioni intermedie.
L’efficienza di una maggior componente globale piuttosto che multilocale nella
strategia dipenderà dal grado di globalizzazione raggiunto dal settore di
appartenenza
8
.
7
George Yip, “Global Strategy in a World of Nation”, estratto da “Transnational Management”, Bartlet –
Ghoshal , Edito da Mc. Graw Hill, 2000.
8
Del grado di globalizzazione del settore si parlerà in seguito nel capitolo.
13
Definire una strategia competitiva a livello mondiale comporta una serie di scelte
operativo organizzative sintetizzabili nelle 5 dimensioni seguenti:
1. Selezione del mercato: In una strategia multidomestica, i mercati
internazionali in cui operare sono scelti in base alle loro singole potenzialità di
profitto; in una strategie globale, invece, i singoli Paesi sono selezionati in
base alla potenzialità del loro contributo al posizionamento competitivo
globale. Si può pensare di penetrare un mercato non profittevole solo per
ragioni di competizione oligopolistica, ad esempio per sottrarre quote di
mercato ad un concorrente sul suo mercato nazionale.
2. Caratteristiche dell’offerta: In una strategia multidomestica, i prodotti offerti in
ciascun mercato sono fortemente adattati agli specifici bisogni del luogo; in
una ideale strategia globale, invece, il prodotto dovrebbe essere
standardizzato e perciò identico per ogni mercato. In realtà ad essere identico
è il prodotto base (core product) al quale poi vengono portati dei minimi
adattamenti per renderlo più appetibile a ciascun mercato. Un esempio in
merito può essere l’adattamento di una collezione alta moda per il mercato
giapponese che richiede maniche più corte, un girovita più stretto ecc.
3. Localizzazione di attività della Catena del Valore: In una strategia
multidomestica, tutta o buona parte della Catena del Valore è riprodotta in
ciascun Paese di sbocco; in una più semplice strategia di
internazionalizzazione (esportazione) quasi la totalità della Catena del Valore
è mantenuta nel Paese di origine; un approccio globale, invece, cerca di
perseguire risparmi di costo ed in generale un vantaggio competitivo,
localizzando ciascuna attività della Catena proprio nel Paese che risulta
essere ottimale perchè presentante il massimo rapporto Produttività/costo
(maggior competitività) per il fattore impiegato intensivamente dall’attività in
questione e/o la possibilità di sviluppare importanti “trasferimenti” di
conoscenza (importante per le attività ad alto valore aggiunto). Un esempio in
proposito è la cosiddetta “excentralization” o strategia di concentrazione
14
parziale, tipica di settori labor intensive, in cui l’attività operativa e il sourcing
vengono concentrate presso distretti produttivi globali, o “global platform”
9
, in
cui l’impresa può trovare un indubbio vantaggio comparato nel fattore lavoro e
avere la possibilità di sfruttare e sviluppare economie di scala e curve di
esperienza essenziali per la competitività su scala globale, mentre altre attività
come la R & S e il marketing vengono parzialmente duplicate presso uffici
regionali localizzati strategicamente per sfruttare maggiori fonti di input e
creare sinergie creative e di know how attraverso un flusso informativo
multidirezionale. Un visibile esempio può essere fornito da un impresa
appartenente al settore abbigliamento, segmento casual, dove la produzione
viene concentrata per l’80% in Asia (anche se viene dispersa in più Paesi per
una ragione di quote) per motivi di costo e le attività di R & S e di marketing,
pur rimanendo in buona parte centralizzate presso la casa madre nel Paese di
origine, vengono dotate di “antenne” regionali attraverso una loro parziale
duplicazione presso le filiali direttivo – commerciali localizzate in importanti
centri del fashion mondiale (N Y, HK, Londra).
4. Grado di standardizzazione del marketing mix: In una strategia multidomestica
le variabili del marketing mix vengono completamente adattate alle singole
specificità nazionali in termini di gusti e bisogni dei consumatori locali; una
scelta globale invece implica l’uniformità dell’ immagine del Brand e del
marketing mix su tutti i mercati di sbocco, limitando la possibilità di eventuali
adattamenti locali a casi di effettiva necessità legati a fattori legali o culturali
(no a pubblicità con modelle seminude in Paesi mussulmani).
5. Grado di integrazione delle strategie competitive: In una strategia globale è
fondamentale poter raggiungere un elevato grado di integrazione strategica
operando una strategia competitiva quanto più comune nei diversi mercati.
Ciò è ottenibile attraverso un forte accentramento direttivo a livello corporate;
per contro, in una strategia multidomestica, i manager delle diverse filiali sono
9
Home base estere che integrano le fonte di vantaggio competitivo dell’impresa e del Paese do origine e si
dimostrano essenziali per il raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile a livello globale.
15
liberi di sviluppare strategie competitive locali anche molto diverse fra loro,
purchè in linea con i fattori critici di successo del mercato di interesse.
I maggiori benefici di una strategia globale si hanno a livello di contenimento dei
costi, e di immagine. Il primo lo si ottiene attraverso il perseguimento di economie di
scala e curve di esperienza, lo sfruttamento di un vantaggio comparato sui fattori
produttivi ovunque esso si presenti, delocalizzando l’attività produttiva ed il sourcing
dove i fattori sono più competitivi, e la flessibilità di una strategia di concentrazione
parziale dal lato produttivo che permette di inseguire gli spostamenti del vantaggio
comparato e le convenienze congiunturali del cambio valutario. Una siffatta strategia
globale può, inoltre, ridurre i costi attraverso un maggiore potere contrattuale con i
fornitori, strettamente legato alle economie di scala, e alla flessibilità di un sourcing
globale.
Il secondo vantaggio, invece, è legato all’immagine globale dell’impresa che proprio
perché operante su numerosi mercati nazionali viene percepita come superiore
dall’immaginario del consumatore, il quale può anche sentire questa superiorità
attraverso la sicurezza di un servizio di assistenza internazionale.
Il problema a questo punto diventa quello di come collocare e gestire la catena del
valore per vendere su scala mondiale.
La collocazione geografica delle attività della catena del valore che sono più
correlate agli acquirenti, quali il marketing, la distribuzione fisica e il servizio di
assistenza ai clienti, di solito è vincolata alla collocazione geografica degli acquirenti.
Anche altre attività possono essere collegate alla sede geografica degli acquirenti
perché i costi di trasporto sono elevati o perché sono necessari interscambi molto
stretti.
Per contro, certe attività come ad esempio la fabbricazione, la logistica in entrata e le
attività di supporto (sviluppo tecnologico e approvvigionamenti) spesso si possono
rendere indipendenti dalla sede geografica degli acquirenti. In una strategia globale,
un’impresa distribuisce queste attività in modo da ottimizzare la sua posizione di
costo o la sua differenziazione da una punto di vista mondiale.