Strategie di internazionalizzazione e la competitività dell'est europa nel settore abbigliamento
Per globalizzazione s’intende l’integrazione, in un sistema produttivo coordinato e interdipendente, di diverse attività economiche logisticamente disperse su scala internazionale e opportunamente localizzate a seconda della singola convenienza economica (vantaggio comparato sul fattore intensamente utilizzato, curve di esperienza e sinergie di distretto e specializzazione). Una strategia globale, quindi, comporta l’adozione di una prospettiva più ampia dei confini nazionali (geograficamente) e aziendali (integrazione/esternalizzazione) nel decidere con che modalità operativa (FDI, market, make together) e con che raggio d’azione (distretto, nazione, mondo) eseguire le diverse attività della catena del valore relativamente ad uno specifico prodotto. Il settore dell’abbigliamento manifesta una tendenza verso la globalizzazione avvalorata da un progressivo omogeneizzarsi dei gusti dei consumatori, dalle contaminazioni stilistiche, dalla concentrazione parziale della produzione e da un approccio sempre più globale delle imprese, caratterizzato da un processo di integrazione a valle, associato ad una crescente coordinazione centrale e standardizzazione del marketing mix per uno sviluppo quanto più omogeneo dell’immagine del Brand su tutti i mercati. L'internazionalizzazione, intesa come spread geografico ottimale delle attività della catena del valore in funzione della massimizzazione del vantaggio competitivo, è oggi una necessità per tutte le imprese, e sotto questa spinta, la dimensione locale del distretto industriale sta ridefinendo le proprie coordinate evolutive e le proprie valenze strategiche. Si assiste ad un’evoluzione strutturale e organizzativa della forma classica di distretto (massima integrazione della catena del valore/filiera produttiva) in quella moderna del “distretto allargato” in cui aumenta la dimensione delle imprese e si registra un forte impulso all’internazionalizzazione, intesa come delocalizzazione delle attività ad alta intensità di lavoro in Paesi che presentano un inferiore costo della manodopera, mantenendo, però, saldamente internalizzate le attività ad alto valore aggiunto su cui si fonda il vantaggio competitivo in differenziazione (R&D, marketing, quality controll). La competitività nel lungo periodo è, dunque, legata ad una forma di distretto bipolare che, fondandosi sulla cooperazione tra nucleo italiano e la periferia produttiva nei PVS, permette il perseguimento congiunto di un contenimento dei costi di produzione e della differenziazione del prodotto a retail, e quindi di un prodotto finale competitivamente superiore a quello del distretto classico. Il fenomeno a cui si sta assistendo oggi è una progressiva razionalizzazione del Made in Italy a tutti i livelli della filiera produttiva, dove per razionalizzazione s’intende un efficiente uso del Made in Italy solo quando questo si dimostri davvero competitivo. La decisione di delocalizzare o meno la produzione avviene in base ad un’analisi di trade off tra costi / ricavi opportunità che tiene conto dei seguente fattori: risparmi di costo in produzione, costo opportunità in immagine, sensibilità al prezzo del target di mercato, la complessità di confezionamento dell’articolo in questione, i volumi produttivi, la qualità e la produttività raggiungibili esternamente (nei paesi in cui si delocalizza la produzione), l’efficienza del sourcing materiali (proximity e qualità), i costi e tempistiche di consegna, ecc. Oltre a questo va tenuto conto del fatto che una scelta di delocalizzazione produttiva necessita lo spostamento del fulcro delle strategie di marketing dal Made in Italy al brand e di investimenti in una struttura di coordinamento e di quality control necessari per fornire al consumatore le garanzie qualitative che sono da sempre associate al prodotto tessile – abbigliamento italiano. Su queste basi, la futura competitività del fashion business italiano sarà legata ad una strategia di differenziazione in immagine facente leva anche sulla provenienza del capo, ma soprattutto sullo stile e sulla creatività del marchio e accompagnata da un uso razionale del Made in Italy, inevitabilmente sempre più confinato verso il segmento alta moda (lusso e designer), dove la qualità superiore ben si allinea con i fattori critici di successo e le aspettative del consumatore. Per il resto del settore, la spinta all’internazionalizzazione, intesa come delocalizzazione della produzione in paesi a basso costo della manodopera e dotati di ampie potenzialità produttive, è in continua crescita di pari passo con le abilità produttive e le tecnologie dei contractor asiatici e la tendenza alla rilocalizzazione degli impianti in Europa dell’Est.
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Gibbi |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | MASTER CEMS MIM – Community of European Management School, Master in International Management |
Anno: | 2003 |
Docente/Relatore: | Aleksander Sulejewicz |
Istituito da: | Università Bocconi & Warsaw School of Economics |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 145 |
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