4
un grande poeta del Novecento. Attraverso i suoi versi si coglie un confronto,
latente ma carico di tensione, che scatena l’energia di ogni suo componimento.
Si possono individuare parecchie coppie oppositive: l’uomo e la Natura, prima
di tutto, poi la vita e la morte, bianco e nero, la fiducia nelle capacità dell’uomo
e il male che lo colpisce, si potrebbe andare avanti a lungo, ma una sola è
capace di inglobarle tutte ed è contenuta in una poesia brevissima, quasi un
epigramma:
Pertinax
Let chaos storm!
Let cloud shapes swarm!
I wait for form.
[Pertinace
Lasciate che il caos infuri!
Lasciate che le nubi si addensino!
Io aspetto la forma.]
<<Form>> e <<chaos>> segnano i limiti in cui si dibatte la concezione che ha il
poeta del mondo; viene subito alla mente una celebre frase di Frost presa da uno
dei brevissimi saggi in cui spiegò il suo concetto di fare versi “The Figure a
Poem Makes”, in cui definisce la poesia <<a momentary stay against
confusion
2
>>. Nell’eccellente intepretazione di R. Poirier
3
i due termini
diventano <<home>> e <<extravagance>>, che potremmo tradurre come “casa”,
la sicurezza e la costrizione, e “divagazione”, intendendo quest’ultima come
vagabondaggio fisico e mentale. Secondo il critico americano la parte migliore
della poetica frostiana si gioca proprio tra questi due estremi in cui si
fronteggiano stasi e movimento, libertà d’espressione e l’insieme delle regole,
da quelle grammaticali alla prosodia, e persino il rapporto uomo-donna. Non si
tratta comunque di una pura ipotesi; Frost poco prima di morire tenne un
interessante discorso al Dartmouth College, da cui sarà bene trarre qualche frase:
2
<< Un momento di stasi contro la confusione>>, The Figure a Poem Makes, in Complete Poems of Robert
Frost, 1949, New York, Holt, 1949, p. VI.
3
R. POIRIER, The Work of Knowing, New York, Oxford University Press, 1977.
5
I was thinking of the extravagance of the universe, you know, what an extravagant universe it
is. And the most extravagant thing in it, as far as we know, is man – the most wasteful,
spending thing in it -,… . And poetry is a sort of extravagance, in many ways. It’s something
that people wonder about. What’s the need of it? – you know. And the answer is, no need –
not particularly
4
.
[Stavo pensando alla bizzarria dell’universo, sapete, che stravagante universo sia. E la cosa
più stravagante in esso, così come lo conosciamo, è l’uomo, la creatura più sprecona,
dispendiosa-,…E la poesia è una bizzarra divagazione, in molti modi. È qualcosa su cui la
gente si interroga. Che bisogno c’è della poesia? Sapete, no, com’è. E la risposta è che non è
necessaria, non particolarmente.]
É una dichiarazione sulla gratuità della poesia, ma anche su quella dell’uomo e
dell’universo. Ed è significativo che Frost usi un verbo come <<wonder>> in
relazione alla poesia, che è una domanda piena di meraviglia sull’esistenza
umana, creata nel felice peregrinare della mente. Non c’è nessuna necessità per
cui l’uomo esista, egli è frutto di una libertà creativa che si muove all’interno di
un insieme di leggi, sia che si chiami Dio o Evoluzione. E la poesia nasce dallo
stesso atto, gratuito e necessario.
<< The extravagance lies in “ it sometimes seems as if ”
5
>> continua a dire il
poeta e poco dopo chiarisce meglio il concetto di <<extravagance>> in
rapporto alla poesia:
And poetry is an extravagance about grief. And grievances are something that can be
remedied, and grief is irremediable, you know
6
.
[ E la poesia è una divagazione sul dolore. E ai torti si può rimediare, ma al dolore no, lo
sapete.]
Di questa fulminea definizione (vedremo come queste frasi epigrammatiche
siano una sua peculiarità) si prenda ancora in considerazione il termine
<<extravagance>> : esso ha in sé la radice del verbo latino <<vagor>>, in
italiano <<vagare>> o a livello metaforico, <<divagare>>, ossia vagabondare da
un concetto all’altro senza una meta prefissata, unita al prefisso <<extra->>
suggerisce un cammino che oltrepassi i limiti imposti dal senso comune, o buon
senso che sia, per cercare nuovi traguardi in vie poco battute; un’immagine
4
On Extravagance: A Talk, in Collected Poems, Prose and Plays, a cura di R. Poirier e M. Richardson, New
York, The Library of America, 1995, p 839.
5
<<Il senso di divagazione sta nell’espressione “qualche volta sembra come se”>> , ibidem.
6
Ivi, p. 842.
6
questa che ben si adatta a Frost e alle sue passeggiate solitarie che avremo modo
di incontrare. Una parola difficile <<extravagance>>, difficile da spiegare, ma
che diventa più chiara attraverso le parole non di Frost, ma di uno scrittore a lui
molto caro, H. D. Thoreau:
I fear chiefly lest my expression may not be extra-vagant enough, may not wander far enough
beyond the narrow limit of my daily experience, so as to be adequate to the truth of which I
have been convinced. Extra-vagance!
7
[Temo soprattutto che il mio modo di esprimermi non sia abbastanza fuori dall’ordinario, non
riesca a vagare abbastanza fuori dagli stretti confini della mia esperienza quotidiana, così da
essere adeguata alla verità di cui sono convinto. Divagare!]
Partendo da questo brano, Richard Poirier costruisce la sua interpretazione
basata sull’antinomia home/extravagance, in cui il primo termine rappresenta la
sicurezza, il limite alla ribellione, il posto dove l’impeto di sentimenti e
sensazioni decanta in limpide visioni. La libertà sembrerebbe allora appartenere
alla seconda categoria, dove si trova lo spazio per la violenza dei sentimenti o
per gli amari sfoghi dell’anima, ma non è così. Non si tratta di mancanza di
freni, di adottare il versoliberismo, la libertà per Frost è la suprema abilità
dell’artigiano eccelso nel maneggiare le tecniche tradizionali innovandole a
contatto della libertà nella scelta del materiale; ben lontano dalle
sperimentazioni avanguardiste di Eliot e Pound, egli riscopre l’importanza della
composizione, nel senso di disporre secondo ben precise regole sentimenti, idee,
emozioni; possiamo riassumere tutto in un’altra dicotomia: “Ragione e
Sentimento”, o per dirla con Brodskij, “Dolore e Ragione”, dato che la poesia
parla del dolore. <<Extra-vagance>>, ci si permetta di non ridurla in
“divagazione”, termine che ne ridurrebbe il significato a “pensieri oziosi di un
ozioso”, diventa la facoltà del poeta di scegliere nuovi e sorprendenti modi di
proporre la propria visione del mondo, la capacità di ritrovare nel caos del
vissuto temi da filtrare attraverso la griglia del metro senza intaccarne la
spontanea freschezza.
7
H. D. THOREAU, Walden, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1966, p. 270.
7
Anche un poeta del calibro di S. Heaney ha scritto bellissime pagine
sull’energia che si percepisce nei versi di Frost, quando essa riesce a scorrere al
di là della forma e della classica compostezza dell’autore per mostrare tutta la
forza del suo canto:
I call it an emotional occurrence, yet it is preeminently a rhythmic one, an animation via the
ear of the whole nervous apparatus: what Borges called “an almost physical emotion.”
8
[Io la chiamo un’ irruzione di emozioni, anche se è principalmente ritmica, una scossa di
vitalità via orecchio dell’intero apparato nervoso; quello che Borges chiama “ quasi
un’emozione fisica.”]
Per Heaney in poesie come “Desert Places”, “Home Burial”, “Never Again
Would Birds’ Song Be the Same” il centro non si trova tanto nelle immagini,
quanto nella potenza delle parole disposte nel verso che raggiunge la massima
intensità attraverso la catena dei suoni.
Se per Frost la poesia è una divagazione sul dolore, allora si annulla la patina di
ottimismo che effettivamente si respira in molte opere di questo autore, ma si
tratta appunto di una patina, che non riesce a coprire la tragedia che si trova nei
suoi versi, anche se per essere sinceri bisogna ricordare che soprattutto in età
avanzata, ormai giunto all’apice della fama, Frost è diventato sempre più
convenzionale, sempre più portabandiera di quei valori che la società
statunitense cercava di esportare in un mondo conteso ai comunisti: la fiducia
nelle enormi capacità dell’uomo e soprattutto della grande nazione americana,
l’individualismo, l’arrampicata al successo partendo dal gradino più basso,
insomma the american way of life, condita però in Frost da un moralismo da
Padre Pellegrino e un forte attaccamento alle proprie tradizioni. Ma questa è
solo un divagazione che ha il solo scopo di inquadrare la personalità per niente
semplice del poeta.
Quello che si vuole dimostrare è appunto l’impossibilità di poter interpretare
l’opera di Frost in maniera univoca; la si può allora vedere in equilibrio tra
8
S. HEANEY, Above the Brim, in Homage to Robert Frost, New York, Farrar, Straus and Giroux, 1996, p. 66.
8
semplicità e oscurità, tradizione e moderno, libertà d’espressione e metrica,
home and extravagance :
All of these forms, shapes, joining, exist for Frost not despite differences and tensions but
partly because of them. And all imply the possible domestication of the wanderer or of the
vagrant; form or “home” must include the desire for what is beyond them. […] Poetry for him
is the act of reaching out to take in the “extravagant”,…
9
.
[Tutte queste forme, fogge, unioni esistono in Frost non malgrado differenze e tensioni, ma in
parte a causa di esse. E tutte implicano la possibilità di “addomesticare” chi vaga con la
mente o il corpo; la forma o “casa” deve includere il desiderio per ciò che esiste al di là di
essa. […] La poesia per lui è l’atto di allontanarsi per raggiungere il “vagare”,…]
È la continua ricerca di equilibrio che percorre le pagine di Frost non solo per
quanto riguarda i significati, ma prima di tutto a livello stilistico; equilibrio tra
metrica ed ispirazione, certo, come accade per tutti coloro che vogliono usare
uno schema fisso, ma, e questo vale soprattutto per Frost, tra ritmo e tono. È la
voce il primo e vero protagonista delle sue opere descritta in tutti i suoi toni e
con tutte le inflessioni del parlato, perché la lingua poetica non si trova nei libri,
ma nella bocca degli uomini; il sound of speech è la grande tecnica con cui
Frost ha fatto amare agli americani i suoi versi, in cui essi leggevano il loro
modo di quotidiano di parlare. Non si tratta di un esperimento dialettale o di
tendenze populiste, Frost si sentiva a tutti gli effetti un abitante del New England
e nel modo di esprimersi dei suoi conterranei apprezzava quella vitalità che non
riusciva a trovare nelle opere dei poeti inglesi imposti come modello da
università e accademie. Questa è la chiave della freschezza delle sue poesie,
della spontaneità dei suoi personaggi. Le poesie di Frost andrebbero lette ad alta
voce, come si faceva nell’antichità, per apprezzarne tutte le sfumature e cogliere
meglio il significato e il poeta fece così per tutta la vita, girando le scuole a dare
pubbliche letture delle sue opere, aiutando i suoi lettori a seguirlo su questa via
di intepretazione; per lui the sound of speech coincideva con the sound of
meaning: è il suono, come ha spiegato varie volte, il primo elemento che
suggerisce il messaggio del testo, anch’esso in bilico tra tono di voce e
9
R. POIRIER, op. cit. , p. 98.
9
interpretazione semantica. È difficile seguire il poeta su questa strada,
soprattutto per la difficoltà di reperire una qualsiasi registrazione e per la voluta
oscurità in cui l’autore ha lasciato chi gli poneva domande su alcune delle sue
poesie. Frost ha sempre fatto appello alla sensibilità e sagacia del lettore anche
con il rischio di essere frainteso, come spesso è accaduto, e di sentirsi accusare
di essere un poeta in grado solo di mascherare le sue idee piatte con un velo di
mistero.
Prima ancora del commento, il poeta doveva affrontare la rigidità del metro;
questa era l’altra sfida che Frost amava affrontare nel comporre: riuscire a
coniugare la volubilità della voce umana con una griglia predefinita. Anche se
usò spesso il blank verse, soprattutto nei suoi componimenti al limite del drama,
non compose mai versi liberi perché secondo lui non c’era alcun gusto e chi
scriveva poesia senza metro lo faceva spesso per posa, secondo la moda
letteraria del tempo, senza alcuna convinzione.
Anche questo servì a tenerlo fuori dalle avanguardie di quel periodo e a farne,
soprattutto agli inizi della carriera, una voce isolata; d’altronde Frost non volle
mai far parte di nessuna corrente, sebbene godesse della simpatia di Pound e
fosse in contatto con i più importanti poeti georgiani, scelse di staccarsi
dall’ingombrante tradizione inglese, come dalla rivoluzione in atto negli
ambienti artistici. Riteneva che fosse finito il tempo dei ritmi cantilenanti di
Swindburne e di tutta la raffinata poesia tardo-vittoriana in generale. Mentre
tutto il mondo letterario era in fermento per le grandi novità, Frost, al contrario
di Pound ed Eliot, decise di tornare negli U.S.A. dall’Inghilterra, centro culturale
del tempo. La sua idea di poesia e di modernismo era “democratica”, ossia
accessibile a tutti e soprattutto vicina ai valori della sua terra; ma non si trattò di
un puro ideale. Come molti critici hanno spiegato, tra cui M. Richardson e F.
Lentricchia, la manovra di Frost mirava a far entrare nel tessuto socio-
economico una figura che fino a quel momento era stata relegata ai margini.
Abbandonate le mollezze della lirica tardo ottocentesca e l’erudizione della
10
contemporanea, scelse una via che lo rese un uomo di successo. La sua poesia
facile e discorsiva, che faceva appello a valori e sentimenti nazionali, riuscì in
poco tempo a conquistare masse di lettori; nel corso della sua carriera Frost si
fece imprenditore di se stesso avvallando l’idea di “Mr. Ordinary”, l’uomo
comune che parlava ai suoi pari di vicende normali nell’esperienza umana,
poeta-contadino che alternava i lavori dei campi magari con una chiacchierata
con Krushev o J. F. Kennedy. Soprattutto le letture pubbliche delle sue poesie e
le conversazioni con gli studenti aiutarono a farlo avvicinare al suo pubblico, in
contrasto con l’idea del poeta chiuso nel suo mondo e completamente avulso
dalla società.
Non si deve però pensare che sia tutto una questione di calcolo degli utili: Frost
cercò un modo per permettere alla sua vocazione poetica di esprimersi
all’interno della struttura economica americana in cui la figura del poeta, oltre a
non aver una solida tradizione alle spalle, veniva offuscata dalla figura
dell’uomo d’azione, dedito agli affari e al successo.
Tutti questi aspetti sono trattati nel prossimo capitolo con più particolari e
dispiego di fonti autorevoli. Ma non è inutile insistere su alcuni punti che sono
assolutamente originali e diversi da quelli della cultura europea, essenziali a
inquadrare la figura di Frost nelle circostanze in cui le sue opere sono state
create.
Il poeta sosteneva che tutta la nostra vita fosse una ricerca di un equilibrio tra gli
estremi e certo questo baricentro lo cercava anche nella poesia, anzi in ogni
poesia. Perché ogni singolo componimento diventa una nuova sfida giocata su
due piani paralleli e in contrasto, e il poeta deve stare attento a non irrigidirsi
nella forma, ma neanche deve farsi prendere la mano dalla libera ispirazione. Ci
sono vari modi di interpretare questo dualismo: Katherine Kearns legge le
poesie di Frost alla luce di uno “sguardo di Tiresia”
10
, ossia di contrasto tra il
concetto femminile e maschile, il primo visto come istinto, libertà selvaggia e
10
K. KEARNS, Robert Frost and a Poetics of Appetite, Cambridge, Cambridge UP, 1994, in particolare il
secondo capitolo “Teiresia’s Gaze”, pp. 32-55.
11
priva di freni, il secondo come perfetto esecutore di regole; M. Richardson si
sofferma sul livello stilistico e sulla dicotomia tra form e freedom
11
; Poirier ha
uno sguardo più ampio che riesce a inglobare i vari piani possibili. Si è cercato
di seguire Poirier su questa strada, tentando di ricavare attraverso un’analisi per
quanto possibile completa l’essenza della poetica frostiana che è alla ricerca
continua del suo equilibrio, del suo confine e confrontare poi quanto emerso con
la versione italiana e poter cogliere somiglianze e differenze.
Frost era un poeta che cercava il confine, ma non ci si soffermava troppo a
lungo, anzi, una volta trovatolo, tornava indietro per poi provare una nuova
esperienza, poiché non amava la stasi; riteneva che il movimento più
affascinante della natura non fosse l’evoluzione, ma contrazione ed espansione,
aprire e chiudere; in lui nulla era lineare, ma si perdeva in un’infinità di
opposizioni; si rifiutava di pensare che la sua opera seguisse una sola direzione
puntando senza indugi a mostrare una tesi, e quando era costretto a scegliere
una sola opzione se ne rammaricava:
Two roads diverged in a yellow wood
And sorry I could not travel both
And be one traveller, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth; (vv. 1-5)
[Divergevano due strade in un bosco
Ingiallito, e spiacente di non poterle fare
Entrambe essendo uno solo, a lungo mi fermai
Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.]
Ma lui, in fondo, era un ottimista e sperava di poter sperimentare anche l’altra
un giorno:
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back. (vv. 13-15)
[Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
dubitavo se mai sarei tornato.]
12
11
M. RICHARDSON, The Ordeal of Robert Frost, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 1997.
12
Traduzione di G. Giudici, in Conoscenza della notte ed altre poesie, Milano, Mondadori, 1988, p. 129.
12
Non si poteva parlare di Frost senza citare almeno di sfuggita uno dei suoi lavori
più famosi : “The Road not Taken”, poesia che parla di scelte e responsabilità,
ma è prima di tutto un garbato aneddoto ambientato, come sempre, sullo sfondo
della sua campagna, appena tinta dalla malinconia dell’autunno, come la sua
speranza è offuscata dal rimpianto. Il tono calmo, ma non grave, pensoso, ma
colloquiale, i suoi termini semplici e quotidiani, scanditi da un ritmo regolare
fanno di “The Road not Taken” un ottimo esempio della poetica frostiana, come
emergerà meglio attraverso l’analisi delle tre poesie scelte: “Come in”, “Home
Burial”, “Mending Wall”. Le prime due rappresentano rispettivamente uno dei
più alti esempi di lirica e uno dei più commoventi dialoghi drammatici mai
scritti; la terza è una delle sue più famose poesie narrative: una tranquilla scena
ambientata sullo sfondo campestre che dà spunto per una miriade di
interpretazioni. Tre poesie che insieme abbracciano la totalità del mondo
artistico di Frost come affiora dagli spunti offerti dai testi, dai rimandi con altri
componimenti dell’autore, dal paragone con altri poeti. Attraverso prima
un’analisi accurata del testo in originale, poi delle tematiche suggerite, verranno
esplorate le tre zone più importanti della sua poetica, interpretata attraverso le
parole che l’autore stesso ci ha lasciato, non tanto nei saggi, Frost non amava
commentare direttamente le sue poesie, ma attraverso lettere, interviste e il
racconto di chi l’ha conosciuto. Infine verranno esaminate e confrontate le
traduzioni fatte in italiano; possiamo già anticipare quanto sia stato difficile
trovare più traduzioni di una stessa poesia di Frost nella nostra lingua e quanta
parte della sua opera sia tuttora sconosciuta nel nostro paese; possiamo anche
dire che, quel poco che è stato divulgato, è stato travisato con traduzioni
scadenti o una scelta delle opere mirata ad appiattire la sua figura in quella del
tradizionalista; ma questo sarà trattato meglio alla fine. Finiamo solo col dire
che due sono state le raccolte interamente dedicate a Frost: una di Franco De
Poli
13
uscita nel 1961, quindi quando l’autore era ancora in vita, l’altra è quella
13
Poesie scelte, a cura di F. De Poli, Parma, Guanda, 1961.
13
di Giovanni Giudici la cui prima stesura risale al 1965
14
, noi seguiremo l’ultima
edizione
15
corredata da un’introduzione di M. Bacigalupo; il resto si trova in
antologie.
Questa pagine hanno avuto il loro fulcro iniziale nello splendido saggio di un
altro grande poeta: I. Brodskij; in “Dolore e ragione”
16
“Come in” e “Home
Burial” sono passate al microscopio, verso per verso, quasi parola per parola; la
sua analisi è attenta al singolo dettaglio che può gettare luce nuova su tutto il
testo, al richiamo culturale che apre la via a nuovi confronti, ma non tradisce la
sua voce di poeta con uno stile appassionato e mai freddo, preciso come il taglio
di un diamante e, come il diamante, dalle mille sfaccettature; il suo commento
geniale ed entusiasmante è stata la guida migliore per inoltrarsi nella poesia,
facile e difficile, di Frost, e nella poesia americana in generale, oltre a molte
altre voci, certo, nella maggior parte americane: “Home Burial” è stata passata al
vaglio da un altro poeta e saggista, il primo a svelare i due volti di Frost: Randall
Jarrell
17
, “Mending Wall” è stata commentata da moltissimi critici che ne hanno
messo in risalto i diversi aspetti; non si possono infine dimenticare i consigli di
alcuni esperti
18
. Sono anche state utili alcuni interventi italiani, ma pochi studi
hanno un taglio davvero originale: si possono citare Andrea Mariani
19
, che ha
compiuto uno studio sulla funzione del colore in alcuni poeti americani e ha
dedicato un intero capitolo a Frost, Aldo Celli
20
che ne ha studiato la
simbologia, Paola Loreto
21
che ha centrato il suo saggio sulla teoria del tono, un
lavoro davvero unico e molto accurato.
14
Conoscenza della notte e altre poesie, a cura di G. Giudici, Torino, Einaudi, 1965.
15
Conoscenza della notte e altre poesie, a cura di G. Giudici, introduzione di M. Bacigalupo, Milano,
Mondadori, 1988.
16
I. BRODSKIJ, Dolore e ragione, Milano, Adelphi, 1998, pp. 83-133.
17
R. JARRELL, Robert Frost’s “Home Burial”, in The Third Book of Criticism, New York, Farrar, Straus and
Giroux, 1969, pp.190-231.
18
Non posso non ringraziare il professor B. Boelhower e il professor G. Dowling per i loro suggerimenti.
19
A. MARIANI, L’arcobaleno infranto. La funzione del colore in Whitman, Dickinson, Frost, Merwin, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1997, pp. 137-77.
20
A. CELLI, Il momento simbolico nella poesia di Robert Frost, in Il simbolismo nella letteratura Americana,
Firenze, La Nuova Italia, 1965, pp. 207-57.
21
P. LORETO, La voce di Robert Frost. Un timbro grave sotto un tono leggero, Milano, CUEM, 1999.
14
Le ultime righe le vorremmo dedicare ad una breve introduzione delle singole
poesie.
“Come in” è una delle numerose walking-poems
22
composte da Frost lungo tutto
la sua carriera; uscita nella raccolta A Witness Tree, in piena Seconda Guerra
Mondiale, è una lirica breve dai toni oscuri. Un uomo racconta una semplice
passeggiata che si ferma al limitare di un bosco: è il tramonto e l’unica presenza
che si avverte è il canto di un tordo. Siamo di fronte al primo confine, un confine
fisico tra mondo degli uomini e dominio della natura che pone un confronto tra
regole e vita selvaggia, fino ad arrivare alla scelta estrema: vita o morte; ma c’è
anche un secondo confine: la sottile linea dell’orizzonte segna il passaggio dalla
luce al buio che si compie durante l’ultimo canto del tordo, ultimo scudo contro
il silenzio; lo speaker rimane fermo tra questi due confini, indeciso se entrare o
meno, e, quando sembra che il bosco, cuore di tenebra e pianto, si faccia sempre
più affascinante e pericoloso, improvvisamente cambia registro e con un cenno
di diniego annulla la minaccia alzando lo sguardo alle stelle: no, non aveva
alcuna intenzione di entrare e poi l’invito non gli era ancora giunto. È chiara a
questo punto la scelta di tornare indietro, al suo mondo, per poi tornare di nuovo
a contemplare i boschi, magari innevati: è questo il tema di “Stopping by
Woods on a Snowy Evening”, poesia molto più celebre di “Come in” che mostra
come attraverso gli stessi elementi, la passeggiata di sera, il bosco, Frost riesca a
creare ogni volta un prodotto unico, variando con saggezza le sfumature del
tono, sbalordendo il lettore con la freschezza dei suoi versi.
Con “Home Burial” si passa dalla poesia lirica alla drammatica, ma il tema è
sempre la morte, non più adombrata, ma anzi già avvenuta. È una storia di
dolore e ragione come dice Brodskij, tesa fra il silenzio, che diventa lamento
disperato, e il calmo discorso pieno di senso pratico tra una donna e un uomo
sulla tomba del loro primo figlio. È un balletto tra sguardi che si evitano, corpi
22
Vengono così chiamate le poesie che hanno come tema principale il semplice vagabondare del protagonista; in
genere narrate da una prima persona molto vicina alla voce del poeta stesso, sono momenti di riflessione molto
importanti e fondamentali nell’ opera di Frost.
15
che temono il contatto, violenza trattenuta nei gesti, ma che scoppia a parole, e il
confine non è più solo una linea di demarcazione, ma un abisso tra due
psicologie che, rivelandosi a fondo, si scoprono inconciliabili. È una scena presa
da un dramma, con la sua scenografia: la scala, il primo confine fisico su cui si
svolge quasi tutto il dialogo, la camera da letto, il piccolo cimitero, e poi la
soglia, ultimo limite che separa marito e moglie. Una scena potente che rivela il
contrasto tra la concezione della donna, che è “extravagant”, poco incline a
rimaner soggiogata nella “home” del marito, ma più vicina alla natura, nella
quale sembra dileguarsi, e sostenitrice del primato dei sentimenti contro il buon
senso degli uomini attaccati ai loro adagi, alle loro tradizioni.
“Mending Wall” è invece completamente diversa, è solo un racconto in blank
verse di un episodio che annualmente si ripete: il muro che separa il campo del
narratore da quello del suo vicino va sempre riparato a primavera, ma non si sa
bene cosa produca il danno: i cacciatori non sono, forse degli esseri magici che
lavorano invisibili durante l’inverno. È inutile dire che questa è una poesia sul
confine; il muro è la personificazione delle divisioni con cui ogni uomo deve
fare i conti ogni giorno, e il dialogo tra i due vicini non è che la dimostrazione,
piena di brio e humour, di quanto sia difficile capire anche chi ci sta accanto.
Alla fine non si sa cosa sia quel <<something>> che distrugge i muri, ma questo
non deve preoccuparci: distruggere e ricostruire è una specie di gioco, un
piccolo rituale che ogni anno va ripetuto. E il muro può essere inutile a un fine
pratico, ma le divisioni esistono e non è detto che sia proprio un male. Frost qui
mostra tutta la sua anima yankee: ottimista nel fondo e fiduciosa nelle forze
dell’uomo, ci parla di un grande problema con il tono di chi ben conosce i mali
del mondo e, visto che non c’è niente da fare, vuole raccontarci una storiella di
campagna, ma allo stesso tempo farci riflettere.
In questa poesia, ancor meglio che nelle precedenti, si apre al lettore tutto il
mondo di Frost: la campagna con i suoi lavori e abitanti sullo sfondo di una
lirica che si può leggere su diversi piani: come piccolo aneddoto, come tensione
16
che divide gli uomini, come lezione sulla poesia tesa tra forma del metro e libera
ispirazione. Quest’ultima è al centro di quanto ha scritto Heaney:
Frost may have indeed declared that his whole anxiety was for himself as a performer, but the
performance succeeded fully only when it launched itself beyond skill and ego into a run of
energy that brimmed up outside the poet’s conscious intention and control.
23
[ Frost può anche aver dichiarato che ogni sua preoccupazione riguardasse se stesso come
artista, ma l’esecuzione ha pienamente successo solo quando si lancia oltre la perizia tecnica e
l’inciampo dell’io in uno scoppio di energia che gli fa oltrepassare le intenzioni e il controllo
del poeta.]
Per Heaney il vero fulcro della poesia di Frost sta <<above the brim
24
>>, al di là
del limite, e segue il poeta su questa strada per mostrare ai lettori la potenza
senza freni del suo canto; difficile seguire il suo genio critico su questa strada,
meglio ascoltare la voce del poeta che, come un ragazzino in cima ad una
betulla, cerca il suo momentaneo equilibrio tra terra e cielo.
23
S. HEANEY, Above the Brim, in Homage to Robert Frost, op. cit., p. 66.
24
Il titolo del saggio di Heaney è tratto dal verso 38 di “Birches”, componimento in cui viene immaginato il
gioco di un bambino che si diverte a far piegare e raddrizzare le cime delle betulle con la stessa cautela usata per
riempire una tazza non “oltre il bordo”.
17
CAPITOLO PRIMO
Vita e poesia di uno yankee
Biografia
Robert Lee Frost è nato a San Francisco, in California, il 26 marzo 1874. Il
luogo di nascita e il nome possono suonare strani per un vero yankee quale Frost
è sempre stato; infatti, nonostante il luogo di nascita e il nome da esercito
sudista, la terra cui si sentì sempre legato fu il New England, dove la famiglia
paterna, di origine scozzese, viveva. Il padre, William Preston Frost, Jr.,
giornalista ribelle di accese idee democratiche, subì il richiamo delle grandi
pianure e il fascino delle avventure dei cercatori d’oro; per questo, una volta
terminati gli studi ad Harvard, lasciò il Massachusetts, a costo di rompere i
legami con la famiglia, per le lontane terre dell’Ovest. Prima di recarsi a San
Francisco si stabilì in Pennysilvania, a Lewiston, dove fece il preside in una
piccola scuola; lì incontrò un’ insegnante, Isabelle Moodie, anch’essa di origine
scozzese, emigrata all’età di dodici anni per andare a vivere con uno zio nell’
Ohio e decise di sposarla, nonostante lei fosse più vecchia di sei anni. Appena
dopo un anno di matrimonio nacque Robert a cui fu aggiunto Lee in onore del
grande generale dell’esercito sudista, due anni dopo venne al mondo la sorella
Jeanie. Intanto, a causa della delusione per la sua carriera di giornalista politico,
Out trough the fields and the woods
And over the walls I have wended;
I have climbed the hills of view
And looked at the world, and descend;
I have come by the highway home,
And lo, it is ended..
Reluctance